Translate

mercoledì 23 maggio 2012

Storia della Psicologia

Strutturalismo

Il primo psicologo nel senso più completo del termine è tradizionalmente considerato W. M. Wundt (1832-1920), iniziatore della “psicologia fisiologica” e fondatore a Lipsia, nel 1879 (considerato l'anno di nascita della psicologia), del primo laboratorio di psicologia sperimentale.
La conoscenza scientifica dell'epoca non metteva a disposizione di Wundt e dei suoi colleghi tecnologie sofisticate per lo studio del cervello umano e del suo funzionamento (e le conoscenze neurologiche dell'epoca erano ancora abbastanza abbozzate), pertanto lo psicologo tedesco iniziò il suo studio della mente da quello che poteva osservare e misurare direttamente: le esperienze soggettive o personali dei suoi collaboratori come risposta a stimoli fisici (suoni, colori, energie fisiche, calore...), sempre in condizioni controllate.
Questa tecnica di analisi dell'esperienza immediata (chiamata così in quanto si proponeva di studiare direttamente la percezione e non lo stimolo che la origina, per cui per esempio, considera la percezione che io ho del colore rosso e non la mela rossa che mi causa questa sensazione) prese il nome di introspezione. Attraverso l'impiego sistematico di questa metodologia di indagine Wundt e la scuola si proponevano di osservare direttamente e sistematicamente i processi riscontrabili nei soggetti nel momento in cui essi sperimentano una qualche percezione della realtà. In questo modo essi arrivavano idealmente alla scomposizione di complessi processi psicologici negli elementi che li costituiscono, semplificandoli poi ulteriormente fino ad raggiungere degli elementi base, degli atomi non ulteriormente scomponibili, dai quali si proponevano poi di avviare il processo inverso associando queste unità elementari per arrivare alla ricostruzione di processi articolati. Al pari dell'anatomia in medicina, questa vivisezione darà “risultati strutturali e non funzionali”.
Questa corrente (chiamata poi da E.B. Titchener, allievo di Wundt, “strutturalismo”) è dunque caratterizzata dalla concezione della mente come una sommatoria di parti elementari.

La psicologia della forma

Sempre in Germania, ma a Berlino, nacque presto (agli inizi del Novecento) un'altra scuola psicologica che si oppose allo strutturalismo. La psicologia della forma, o Gestaltpsychologie, rivendicò infatti il carattere di totalità dei fenomeni mentali rivalutando l'esperienza immediata che l'individuo ha della realtà. Il termine tedesco Gestalt, da cui la corrente prende il nome fa riferimento al concetto di forma, globalità; difatti i gestaltisti considerano le esperienze mentali come delle totalità che vanno studiate nella loro interezza, poiché il significato dei singoli elementi è dato dalla loro collocazione o dal loro ruolo nell'insieme in cui sono inseriti. Diventa così indebito per i gestaltisti pretendere di scomporre, come postulato dallo strutturalismo le esperienze nei loro costituenti ultimi: in questo modo i singoli elementi separati dal contesto originario diventano pure astrazioni, prive di realtà psicologica. Gli studiosi della psicologia della forma condividono dunque con gli strutturalisti il punto di partenza e l'area di principale interesse: la nascita del movimento vide infatti le loro ricerche incentrarsi sulla percezione, l'esperienza soggettiva e la coscienza. Tuttavia i gestaltisti, come risulta ben chiaro dal nome a cui fa riferimento la loro scuola, non condividono l'assunto degli strutturalisti, e, di conseguenza, per loro la mente ha valore come fenomeno unitario e non come sommatoria di singoli elementi. Tanto che lo “slogan” di questa scuola psicologica potrebbe recitare: “Il tutto è più della somma delle singole parti”, le quali di per sé possono esistere indipendentemente dal tutto, mentre è il tutto a perdere il suo significato se considerato a prescindere dalle parti che lo compongono (le singole note hanno un loro significato, ma una melodia è composta da note, senza le quali non esiste). Questa attenzione alla totalità del reale veniva riscontrata in ogni esperienza percettiva (dal riuscire a leggere un testo vedendolo e interpretandolo come una serie di stimoli neri su sfondo bianco e come un insieme organizzato e non caotico, al riuscire a cogliere una melodia nella sua individualità anche quando viene eseguita con strumenti diversi: quando cambia cioè il timbro). Essa portava con sé l'assunzione che la mente non ha una funzione passiva nella percezione, non si limita cioè a ricevere informazioni dagli organi di senso, ma organizza in modo attivo le informazioni ricevute in modo da comporle a formare un “tutto”.
Questa organizzazione del campo fenomenico si stabilirebbe sulla base di principi tendenzialmente innati (tra cui le famose leggi dell'organizzazione percettiva ).
Le procedure di indagine privilegiate dalla Gestaltpsychologie fanno riferimento al metodo fenomenologico, secondo il quale l'oggetto di studio deve essere il dato così come esso si presenta direttamente e spontaneamente all'individuo. Non si tratterebbe quindi di istruire il soggetto ad analizzare i propri contenuti di coscienza (come avveniva con la metodologia dell'introspezione utilizzata dalla scuola dello strutturalismo): al soggetto è invece semplicemente chiesto di riferire come gli appaiono le cose che ha dinnanzi o i pensieri che sta seguendo, così come appaiono, senza eccessive mediazioni intellettuali.
Come si è detto, il campo di studio privilegiato dalla psicologia della forma è la percezione, la quale costituì l'ambito in cui il fondatore della scuola, M. Wertheimer (1880-1943), compì le prime indagini, a partire da quella sull'effetto stroboscopico, pubblicata nel 1912, che viene usualmente indicata come l'atto di nascita del movimento gestaltista. Tra i primi e più noti rappresentanti della scuola vi furono K. Koffka e W. Koehler, il quale avviò lo studio dei processi di problem-solving, a cui fecero seguito i lavori di Wertheimer e di K. Duncker sul pensiero produttivo e quelli di G. Katona sull'apprendimento. Con l'avvento del nazismo molti esponenti della psicologia della forma emigrarono negli Stati Uniti, dove ebbero particolare successo le teorie di K. Lewin, riguardanti la dinamica di gruppo e la personalità. In Italia il gestaltismo fu coltivato soprattutto da C. Musatti e G. Kanizsa. 

Funzionalismo

Come la psicologia della Gestalt, ma partendo da presupposti differenti, il funzionalismo sostiene, in polemica con lo strutturalismo di Wundt e Titchener, che non è possibile studiare la vita psichica scomponendola in presunte costituenti fondamentali.
W. James (1842-1910), fondatore del movimento funzionalista con i suoi Principi della psicologia del 1890, ritiene che la coscienza sia caratterizzata da una successione ininterrotta di esperienze (il cosiddetto flusso di coscienza) in cui gli elementi precedenti si trasmutano in quelli successivi senza soluzione di continuità. James iniziò i suoi studi esaminando i riflessi, intesi come “azioni fondamentali”, e dei quali volle andare a indagare la motivazione. Coerentemente con il pensiero del suo tempo (estremamente interessato alle basi biologiche del comportamento) lo studioso americano trovò una spiegazione neurologica a questi atti involontari. Passò poi ad analizzare la mente a proposito della quale introdusse il famoso concetto sopra menzionato di flusso di coscienza: per il funzionalismo la mente è quindi caratterizzata da incessanti mutamenti cosicché risulta impossibile “fissarla” in rappresentazioni statiche.
Il funzionalismo fu fortemente influenzato dall'opera di Darwin, e condivide infatti l'assunto evoluzionistico secondo il quale i fenomeni psichici si sarebbero sviluppati in quanto capaci di produrre un miglior adattamento dell'individuo all'ambiente. James, infatti, rivendicò la fondamentale caratteristica adattativa della mente, intesa come strumento per prefigurare e raggiungere scopi futuri, introducendo quindi l'idea che la psicologia non debba solo interessarsi di descrivere o riconoscere in qualche modo l'esatto contenuto della mente, ma debba soprattutto interessarsi alle funzioni del pensiero (in che modo il pensiero permette agli esseri umani di far fronte alle sfide dell'esistenza?).
Il funzionalismo studia perciò soprattutto i processi mentali con un chiaro ruolo adattativo, quali l'apprendimento, il pensiero e la motivazione, e prende in attenta considerazione le differenze individuali che si manifestano al riguardo. Inoltre si interessa alle possibilità applicative della psicologia, soprattutto nel campo dell'educazione. Nell'ambito del funzionalismo è possibile individuare l'impiego di varie procedure di ricerca, tanto che si parla al riguardo di un certo eclettismo metodologico. I funzionalisti, pur promuovendo l'indagine sperimentale e osservativa, non trascurarono le analisi filosofiche. In generale, essi promossero un atteggiamento di tipo fenomenologico, già incontrato come metodologia cara alla psicologia della forma, volto alla descrizione dell'esperienza immediata del soggetto.
All'orientamento funzionalista vengono in genere ricondotti psicologi americani che si interessarono di dinamiche sociali (G.H. Mead), di costruzione di test (J.M. Cattell) e soprattutto di apprendimento (E.L. Thorndike e R.S. Woodworth). Il funzionalismo è finito per confluire dopo il 1910 nel comportamentismo, che pure ha recepito l'istanza evoluzionistica anche se la sviluppò in differente direzione. In Europa il funzionalismo si è diffuso grazie a E. Claparède e alcune sue istanze sono state successivamente fatte proprie da J. Piaget.

Comportamentismo

Nato quasi contemporaneamente alla scuola della Gestalt (la nascita del comportamentismo fu annunciata nel 1913 da J.B. Watson (1878-1958), che espose il “manifesto” della scuola nell'articolo La psicologia come la vede il comportamentista) questo movimento è fondato sullo studio scientifico del comportamento, cioè degli aspetti esteriori, praticamente osservabili, dell'attività mentale. Riprendendo il termine inglese behavior (comportamento) è conosciuto anche come behaviorismo.
Si può dire che con la nascita del movimento comportamentista il concetto stesso di psicologia che si era diffuso negli ultimi anni subì un radicale mutamento. Watson, infatti, riteneva che l'oggetto di studio privilegiato dei primi psicologi – la “mente” – fosse in realtà un qualcosa di troppo vago, mal definito e soprattutto estremamente soggettivo, al punto da non poter essere assunto in alcun modo come oggetto di studio di una disciplina che voleva proporsi come sperimentale e scientifica.
Proponendosi di far diventare la psicologia una disciplina con uno statuto analogo a quello delle scienze naturali tradizionali, così da poter pervenire a conoscenze oggettive che permettano di prevedere e controllare il comportamento e di dar luogo ad applicazioni pratiche, i comportamentismi ridisegnarono la psicologia e i suoi campi di studio, focalizzandosi sullo studio del comportamento manifesto (inteso come insieme di risposte puramente fisiologiche – muscolari e ghiandolari – degli individui) e dell'apprendimento. Proposero quindi di escludere dal campo della psicologia la coscienza e i processi mentali, fenomeni su cui, secondo i comportamentisti, non è possibile stabilire un accordo tra gli studiosi e non è possibile indagare applicando procedure di indagine rigorose. L'oggetto della psicologia deve invece essere il complesso delle manifestazioni esteriori, direttamente osservabili, di un individuo, di cui la psicologia dovrebbe anche scoprire le leggi che ne stanno alla base (quali stimoli producono le risposte che io posso osservare?).
Più precisamente il comportamentismo è interessato a stabilire rapporti tra gli stimoli recepiti dal soggetto e le sue risposte (il comportamentismo è anche denominato, da alcuni degli studiosi che si riconoscono in questa scuola, psicologia S-R, cioè stimolo-risposta), senza prendere in considerazione ciò che intercorre tra questi due elementi, sia che si tratti di processi mentali, sia che si tratti di processi fisiologici. La mente e il cervello vengono pertanto definiti come una “scatola nera” (black box), ossia un dispositivo le cui operazioni interne non possono essere indagate e di cui sono rilevabili solo gli input (stimoli in entrata) e gli output (risposte in uscita). Il ritenere irrilevanti i processi biologici per spiegare il comportamento e l'insistere sull'azione degli stimoli nel modulare le risposte hanno indotto i comportamentisti a misconoscere il ruolo dei fattori innati e a considerare le caratteristiche dell'individuo determinate prevalentemente dall'ambiente, che modificherebbe i comportamenti attraverso processi di condizionamento.
Il comportamentismo ebbe un rapido successo negli Stati Uniti (anche perché ben si accordava con la mentalità pragmatica, efficientistica e tecnologica di questo paese) e sino agli anni Cinquanta fu la scuola egemone nella psicologia anglosassone. Le ricerche di Watson sul condizionamento furono proseguite da E.R. Guthrie e B.F. Skinner. Innovazioni teoriche furono invece introdotte da C.L. Hull, K.W. Spence e W.K. Estes, i quali cercarono di precisare ed estendere i principi comportamentisti applicandovi modelli matematici. Nel frattempo era venuto meno il rigoroso divieto di interessarsi di ciò che si frappone tra gli stimoli e le risposte e si iniziò a ipotizzare l'esistenza di “variabili intervenienti”, cioè di processi interni all'organismo non rilevabili a livello del comportamento manifesto, ma necessari per la spiegazione di quest'ultimo. Hull ipotizzò l'esistenza di pulsioni, D. Hebb di “assembramenti neuronali”, E.C. Tolman di “mappe cognitive”. Più in generale, vennero avanzate le cosiddette teorie della mediazione, le quali ipotizzano che tra la recezione dello stimolo e l'emissione della risposta intervengano dei processi intermedi di natura simbolica, non direttamente osservabili. Queste più recenti proposte teoriche vengono in genere fatte rientrare nel cosiddetto neocomportamentismo, che media il passaggio tra il vero e proprio comportamentismo e il cognitivismo.

Freud e la psicoanalisi

Sigmund Freud (1856-1939), medico neurologo austriaco – il personaggio forse più presente nelle concezioni ingenue della psicologia – si colloco con le sue idee alquanto rivoluzionarie in posizione decisamente opposta alle scuole di pensiero che sceglievano l'introspezione come metodologia volta a studiare la mente dei soggetti . Per Freud infatti, molti dei processi mentali degli individui sono inaccessibili inconsci alle persone stesse che li sperimentano e pertanto la metodologia introspettiva così come era stata definita ed utilizzata nelle scuole psicologiche dell'epoca era da scartarsi.
Egli a partire dall'ultimo decennio dell'Ottocento elaborò una nuova disciplina che chiamò psicoanalisi, traendo spunto dal suo lavoro clinico con soggetti nevrotici, e in particolare con donne affette da isteria. Freud postulò che i problemi dei suoi pazienti fossero per la maggior parte legati a desideri per lo più inconsci che essi negavano anche a se stessi. Da queste riflessioni egli derivò le basi della psicoanalisi: esiste una vita psicologica inconscia, le nevrosi (e poi le psicosi) sono malattie della mente e non del cervello; esiste un'articolata sessualità anche in età infantile; lo sviluppo psichico dell'individuo è caratterizzato dal conflitto tra pulsioni e desideri da una parte e censure (per lo più di origine morale) dall'altra. Tale conflitto diventa patologico quando il soggetto, anziché risolvere in qualche modo i desideri inaccettabili, li respinge nell'inconscio. Queste tesi vennero poi confermate ed ampliate con studi successivi sui sogni, sui lapsus e sui motti di spirito.
Nata come applicazione prettamente clinica, già con lo stesso Freud la psicoanalisi coinvolse presto altri campi, intervenendo nella spiegazione di fenomeni artistici, letterari, religiosi, antropologici e sociali, e diventando di ausilio in ambito pedagogico.

Cognitivismo

Il cognitivismo può essere definito come un indirizzo della psicologia scientifica che si propone di studiare i processi mentali considerandoli analoghi a processi di elaborazione dell'informazione.
In realtà questa corrente psicologica non costituisce una vera e propria scuola, avendo al proprio interno un'eterogeneità di presupposti, di procedure di ricerca, di obiettivi e di modelli teorici. Tuttavia i suoi vari esponenti presentano alcuni elementi comuni: l'interesse per gli eventi mentali interni al soggetto; l'interpretazione dell'organismo come dotato sin dalla nascita di competenze specifiche; la concezione dell'individuo quale costruttore della propria rappresentazione del mondo.
Abbiamo visto come le linee di connessione tra il cognitivismo e il comportamentismo siano forti e numerose. Infatti dopo il primo periodo di stretta osservanza delle posizioni rigorose proposte da Watson e Skinner da più parti si era postulata l'esistenza di variabili interne al soggetto, pertanto non direttamente osservabili, ma ugualmente in grado di influenzare e orientare il comportamento degli individui, e pertanto degne di studio da parte della psicologia.
Già E.C. Tolman (1886-1959), ad esempio, prendendo il via da una serie di esperimenti sui ratti – sulla falsariga di quelli classici di Thorndike – giunse nel 1948 ad ipotizzare l'esistenza di mappe cognitive, “ipotesi”, “rappresentazioni spaziali” e “rappresentazioni delle mete”, collegate all'apprendimento dei ratti che avevano l'opportunità di familiarizzare con l'oggetto del loro apprendere (nel caso specifico un labirinto, da qui l'interesse per la spazialità) senza l'intervento di alcun tipo di rinforzo. Al contrario di quanto previsto da Thorndike (che ammetteva apprendimento solamente in presenza di un rinforzo) l'immagine di apprendimento che emergeva dagli esperimenti di Tolman non poteva essere fatto rientrare nello schema S-R (vedi paragrafo sul comportamentismo), in quanto preveda l'intervento anche di variabili di tipo intenzionale.
E nei modelli teorici elaborati dai cognitivisti si ipotizza infatti l'esistenza di meccanismi e processi mentali ritenuti reali, anche se non direttamente osservabili e non necessariamente corrispondenti a strutture o processi cerebrali. La verifica dei modelli comporta il riferimento alla coerenza logica interna dei modelli stessi e ai dati empirici di varia provenienza acquisiti con diverse metodologie; particolare importanza viene attribuita al metodo della simulazione del comportamento.
La nascita del cognitivismo si deve però molto all'importazione di idee tratte dalla cibernetica e dall'informatica, ai contributi dell'etologia e ad altri apporti: neurofisiologia, matematica (soprattutto la teoria dei giochi, delle decisioni e delle probabilità) e linguistica (in particolare la grammatica generativo-trasformazionale di N. Chomsky). Il cognitivismo comportò inoltre la rivalutazione di autori del passato, quali W.M. Wundt, F. Brentano, F.C. Bartlett, E.C. Tolman, e di esponenti della psicologia funzionalista e gestaltista e il riconoscimento dell'opera di studiosi quali J. Piaget e J.S. Bruner.
Le correnti del cognitivismo
All'interno del cognitivismo si possono distinguere due correnti. La prima, denominata Human Information Processing (HIP, elaborazione dell'informazione umana), si ispira alla cibernetica, sostenendo l'analogia tra operazioni della mente umana e processi di elaborazione dei dati eseguiti dai computer.
I primi modelli di funzionamento mentale proposti dall'HIP negli anni Sessanta erano caratterizzati dall'elaborazione rigidamente seriale delle informazioni e dalla collocazione finale, nella sequenza delle operazioni di elaborazione, delle fasi di selezione. Tali modelli prevedevano una capacità limitata di elaborazione dell'informazione e canali di elaborazione autonomi. Il merito di questi modelli – definiti, per le loro caratteristiche, “a oleodotto” – risiede nella loro semplicità. I dati sperimentali non hanno però sempre confermato la loro validità. A partire dagli anni Settanta sono comparsi modelli “a cascata” o “in parallelo”, che prevedono l'elaborazione contemporanea dell'informazione lungo canali comunicanti e che le operazioni di selezione vengano poste nelle prime fasi del processo elaborativo dell'informazione. Tali modelli implicano una capacità illimitata di elaborazione, la possibilità di interazione tra i diversi livelli di elaborazione dell'informazione e la possibilità di ricorrere a strategie alternative. Mentre i modelli a oleodotto, di tipo strutturale, postulavano l'esistenza di “blocchi” di operazioni di elaborazione dell'informazione, questi secondi sono di tipo funzionale, in quanto implicano soprattutto flussi di informazione su cui vengono compiute le varie operazioni.
La seconda corrente del cognitivismo (cosiddetta ecologica e ispirata all'opera dello studioso della percezione J. Gibson) ritiene che la mente accolga e riconosca in modo diretto le strutture di informazione che sono presenti nell'ambiente, senza che siano richieste operazioni di rielaborazione. Le versioni ecologiche del cognitivismo sottolineano la funzione adattativa dei sistemi psichici e la loro plasticità, mentre l'orientamento HIP tende a concepire la struttura mentale come fissa e priva della capacità di trasformarsi in relazione alle varie esigenze ambientali. Infine, per la corrente HIP l'informazione trattata dai sistemi psicologici è essenzialmente rappresentata da simboli astratti e le operazioni compiute dalla mente sono computazioni. Al contrario, per il cognitivismo ecologico l'informazione è essenzialmente struttura, organizzazione dell'ambiente e l'operazione fondamentale della mente è quella di cogliere relazioni.
All'entusiasmo inizialmente suscitato dal cognitivismo ha fatto seguito un ripensamento critico, iniziato dallo stesso Neisser con il volume Conoscenza e realtà (1976). La psicologia cognitivista non ha saputo rispondere alle attese, non riuscendo a fornire una spiegazione complessiva dei processi mentali indagati. Inoltre, alcuni dei presupposti su cui il cognitivismo si basava (quali l'analogia tra mente umana e mente artificiale, la natura computazionale dei processi mentali) sono stati messi in discussione. Il cognitivismo è così confluito in un più vasto e recente orientamento teorico interdisciplinare, di cui costituisce uno degli assi portanti, che è la scienza cognitiva.
Un recente ramo della scienza cognitiva può essere considerato il connessionismo, secondo il quale l'architettura della mente è concepita sul modello di una rete di unità (nodi) di elaborazione. Ogni unità è collegata ad altre per mezzo di nessi attraverso i quali si possono attivare o inibire i nodi adiacenti e così modificarne la risposta. Le unità comunicano tra loro in parallelo, cosicché l'intera rete è attraversata in ogni momento da vari flussi diversamente collocati sulla propria superficie. Ne consegue che la conoscenza è rappresentata nel sistema non da simboli, ma da schemi di attivazione che coinvolgono i vari nodi. In questo modo, la conoscenza non è depositata in particolari rappresentazioni o processi, ma è distribuita sull'intera rete. Per questi motivi si parla di parallelismo distribuito; significativamente, i primi e più noti sostenitori del connessionismo si sono raccolti attorno al programma Parallel Distributed Processing (PDP).

 

In sintesi

TeoriaConcetti chiaveMetodo
Strutturalismo (1879)Cerca di individuare la struttura della mente, che è vista come sommatoria di elementi.Introspezione
Psicologia della forma (1912)"Il tutto è più della somma delle singole parti": si rivendica la totalità dei fenomeni mentali. La mente organizza la percezione in modo attivo, sulla base di principi innati.Metodo fenomenologico
Funzionalismo (1890)Impossibile scomporre la vita psichica: esiste un continuo flusso di coscienza. Studia i processi mentali visti come aventi ruolo adattivo (influenza di Darwin).Eclettismo metodologico
Comportamentismo (1913)Studia il comportamento manifesto. La mente è vista come una "black box". Le caratteristiche degli individui sono determinate prevalentemente dall'ambiente.Metodo scientifico (osservazione ed esperimenti sul condizionamento)
Psicoanalisi (dal 1890)Esiste una vita psicologica inconscia; lo sviluppo psichico dell'individuo è caratterizzato dal conflitto tra pulsioni da una parte e censure (per lo più di origine morale) dall'altra.Clinico (studi su sogni, lapsus, motti di spirito...)
Cognitivismo (anni Sessanta)Studia i processi mentali considerandoli analoghi ai processi di elaborazione delle informazioni.Simulazione del comportamento

Nessun commento:

Posta un commento

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale