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venerdì 24 luglio 2015

Una bussola per i nuovi servizi per l’impiego: una proposta di metodo

24 luglio 2015 di slosrl
Articolo di Sergio Bevilacqua, Alida Franceschina dal sito https://slosrl.wordpress.com/2015/07/24/una-bussola-per-i-nuovi-servizi-per-limpiego-una-proposta-di-metodo/
Gli autori del post sono Sergio Bevilacqua, esperto di interventi rivolti alle organizzazioni che erogano i servizi per l’impiego e Alida Franceschina, esperta di interventi rivolti a persone senza lavoro.
foto blog
Il Jobs Act è in dirittura di arrivo, uno dei decreti legislativi in discussione riguarda i servizi per l’impiego pubblici e privati, il ruolo delle regioni nella gestione dei servizi, la destinazione delle funzioni in passato demandate alle province, il collocamento mirato delle persone disabili e i diritti/doveri delle persone disoccupate. Finalmente tante novità che ci dicono di una rinnovata attenzione dello Stato e delle regioni verso i servizi per il lavoro. Dopo una lunga stagione di abbandono ripartono i lavori e pensiamo che chi opera nei servizi pubblici avrà finalmente indicazioni, per ora di massima, che conferiscono un senso di orientamento dopo un lunghissimo periodo di incertezza. Diversa invece la situazione di chi opera in quelli privati, soprattutto in Lombardia dove ferve il dibattito sui rischi della qualità dei servizi
Come sempre quando partono i lavori di un nuovo edificio, in questo caso l’avvio dell’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), si deve far fronte a tanti temi da gestire in contemporanea: le convenzioni tra Ministero e regioni ed il loro livello di autonomia, la definizione dei livelli essenziali di prestazione, il nuovo sistema informativo.
A noi sembra fondamentale considerare nelle future politiche dell’ANPAL la presa in carico delle persone senza lavoro perché costituisce il centro del problema. Perché in questo momento, con tutti i problemi organizzativi, gestionali,di definizione del sistema delle relazioni è così importante parlare di presa in carico della persona disoccupata?
Perché la letteratura dice che una persona senza lavoro soffre un trauma doloroso che indebolisce e a volte annulla, le capacità di ricerca attiva del lavoro . Ne abbiamo parlato varie volte in questo blog analizzando da vicino casi concreti. Se la persona ha un supporto che le permette di rileggere l’esperienza della perdita del lavro, di definire un proprio progetto professionale alternativo potrà farcela a rimettersi in pista, a cercare un lavoro, ad avere un atteggiamento “attivo”.  Se poi alle condizioni di fragilità personali si aggiungono obsolescenza del profilo ricoperto, età, bassa scolarità, il sostegno per il nuovo inserimento al lavoro diventa strategico.
In Lombardia fra operatori privati, enti accreditati della formazione professionale, organizzazioni sindacali è molto diffuso il giudizio positivo sull’efficacia dei servizi per il lavoro, ritenendo l’indicatore del numero di occupati creato dai servizi un elemento fondamentale. Sembrerebbe logico ovviamente, ma forse è il caso di approfondire la questione con un po’ di pazienza. Proviamo a farlo analizzando due casi.
Se un’agenzia trova lavoro ad una persona che è attiva al punto di procurarsi autonomamente dei buoni collegamenti con il mercato del lavoro e ha addirittura a disposizione un possibile datore di lavoro, l’agenzia investe denaro pubblico su una persona che con grandissima probabilità si sarebbe ricollocata da sola.
Se invece l’agenzia contatta l’azienda segnalata da un utente che per varie ragioni è in difficoltà a concludere la relazione avviata autonomamente con l’impresa, sicuramente apporta un contributo risolutivo perché evita i rischi legati alle incertezze di una gestione autonoma del contatto da parte del singolo utente. Però non abbiamo un’idea del livello di tenuta di quell’utente, né sappiamo, in caso di assunzione a tempo determinato, quanto quell’utente sarà in grado di ricollocarsi autonomamente.
Nel primo caso abbiamo un’assunzione, un successo in tempi di crisi, quindi apparentemente un dato incontrovertibile. Ma l’efficacia di quell’investimento rimane relativa e tutta da dimostrare:  l’indicatore del posto di lavoro da solo non è sufficiente a dare una adeguata valutazione dell’efficacia del servizio erogato. Nel secondo caso abbiamo addirittura il rischio di una cronicizzazione della dipendenza: se la persona non ce la fa a ricollocarsi al termine del contratto è quasi sicuro che si ripresenterà all’agenzia. A questo punto è necessario chiedersi quale sia il costo reale del servizio e quale sia l’efficacia
Ma se il modello di presa in carico non prevede un’attenta valutazione della domanda dell’utenza distinguendo fra i bisogni della persona senza lavoro, il rischio è la proposizione di un servizio uguale per tutti. Con esiti che potranno favorire l’utilizzo di risorse per la ricollocazione dei disoccupati forti cioè quelli attivi e propositivi, l’elevato rischio di cronicizzazione di quelli meno forti, cioè attivi ma con maggiori difficoltà e la marginalizzazione di quelli deboli che per vari motivi faticano ad attivarsi.
L’attuale “profilazione”, neologismo che intende l’attribuzione di un punteggio in base alle caratteristiche dell’utente, non prevede in alcun modo di considerare i vissuti della persona senza lavoro. Non è prevista una procedura che lo consenta e soprattutto non c’è la consapevolezza dei rischi di una mancata considerazione di questi aspetti.
Anche le indicazioni attuali previste dal decreto legislativo e non solo l’esperienza lombarda, si muovono in una direzione in cui al centro dell’attenzione si pone l’organizzazione che prende in carico la persona disoccupata. E le osservazioni che arrivano dagli attori lombardi confermano questa impostazione del dibattito.
In una recente intervista che ci ha visto coinvolti con Paola Fontana che propone i gruppi di auto aiuto per persone disoccupate, abbiamo cercato di spiegare la centralità di un approccio che deve partire dai bisogni cui si intende dare una risposta.
Il forte rischio è che per altri anni si centri l’attenzione sull’organizzazione che intercetta l’utente, pubblica o privata che sia. Reiterando una mancanza di attenzione nei confronti dell’analisi della domanda e delle caratteristiche delle persone che si presentano al servizio. Come se nell’impostazione strategica da conferire ai servizi per il lavoro si desse attenzione al ruolo ricoperto dall’attore che eroga il servizio e non al tipo di domande poste da chi si rivolge ai servizi.
Sarebbe un peccato correre il rischio di perdere l’occasione per ripensare al ruolo dei servizi per l’impiego, per ridefinire le politiche attive, per valutare l’efficacia degli esiti e degli indici di rating utilizzati fino ad ora.
Potrebbe essere utile nella ridefinizione dei servizi attingere dalle esperienze sviluppate nell’ inserimento lavorativo dei disabili dove da anni si è sperimentata la collaborazione fra pubblico e privato evitando un approccio stereotipato alla profilazione dell’utenza per comprenderne invece i bisogni individuando percorsi efficaci che ottimizzassero le scarse risorse a disposizione.
La pianificazione della strategia dei servizi per l’impiego richiede, come sempre accade nei casi di ridefinizione dei servizi, la capacità di immaginare sintesi nuove introducendo soluzioni innovative e favorendo integrazioni di  politiche che fino ad oggi sono rimaste inutilmente distanti.

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