"Quello che stiamo cercando nel lavoro e nella vita non si trova la fuori, nelle ultime mode e nella tecnologia più avanzata, ma qui dentro, in noi stessi, ed è sempre stato qui, solo che noi non sapevamo apprezzarlo, rispettarlo o usarlo nel miglior modo. In sostanza, per avere una vita ricca di successi e di significato è necessario sintonizzarsi con il proprio mondo interiore, con ciò che si trova al di la delle analisi mentali, delle apparenze e del controllo, al d la della retorca e della superficie. Nel cuore umano. Il cuore conosce cose che la mente non sa e non può sapere, ed è la sede del coraggio e dello spirito, dell'integrità e dell'impegno. E' una fonte di energia e sentimenti profondi che ci spinge ad apprendere, cooperare, dirigere e servire."
Alfabetismo emotivo, Salute emotiva, Profondità emotive e Alchimia emotiva sono i quattro capisaldi dell'Intelligenza emotiva personale.
L'Alfabetismo emotivo si fonda sull'onestà, sull'energia, sull'intuito e sul sul feedback emotivo.
La Salute emotiva si fonda sulla presenza autentica, sul campo di fiducia, sull'insoddisfazione costruttiva e sulla capacità di ripresa e rinnovamento.
La Profondità emotiva si centra su potenzialità e obiettivi individuali, su impegno e coinvolgimento, su integrità applicata e autorevolezza senza autorità.
l'Alchimia emotiva si concentra sul flusso intuitivo, sul trasferimento temporale interiore, sulla creazione del futuro e sulla percezione delle opportunità.
L'intellgenza emotiva è fondamentale nella leadership e nell'organizzazione, ma anche nella vita privata.
I termini “emozione”, “emotivo”, “emotività” compaiono frequentemente
nei nostri discorsi. Questo rispecchia il fatto che ciascuno di noi
avverte le emozioni come facenti parte della nostra vita, determinando
spesso il modo di vedere determinate realtà, di vivere molte delle
nostre esperienze. Ma a cosa facciamo riferimento quando nominiamo le
emozioni? Per lo più pensiamo a delle sensazioni più o meno forti, degli
stati soggettivi che possono avere una durata più o meno prolungata nel
tempo, variare per intensità e per tipo. Il senso comune è inoltre
sempre molto pronto a trovare spiegazioni per la nascita e lo sviluppo
di particolari stati emotivi, e anche per suggerire metodi per
affrontare e gestire tali stati.
L'intelligenza emotiva è un aspetto dell'intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni.
L'intelligenza emotiva è stata trattata la prima volta nel 1990 dai
professori Peter Salovey e John D. Mayer nel loro articolo “Emotional
Intelligence”. Definiscono l'intelligenza emotiva come “La capacità di controllare i sentimenti ed emozioni
proprie ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste
informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni”. Di solito viene presentato un diagramma che concettualizza l'intelligenza emotiva, dimostrando che è composta da tre rami principali:
- Valutazione ed espressione delle emozioni
- Regolazione delle emozioni
- Utilizzo delle emozioni
Tale definizione iniziale è stata poi successivamente aggiornata in
quanto appariva imprecisa e priva di un ragionamento sui sentimenti,
trattando solo la percezione e la regolazione delle emozioni. È quindi
stata definita come segue: "L'intelligenza emotiva coinvolge
l'abilità di percepire, valutare ed esprimere un'emozione; l'abilità di
accedere ai sentimenti e/o crearli quando facilitano i pensieri;
l'abilità di capire l'emozione e la conoscenza emotiva; l'abilità di
regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale”.
Il tema dell'intelligenza emotiva è stato successivamente trattato
nel 1995 da Daniel Goleman nel libro "Emotional Intelligence" tradotto
in italiano nel 1997 "Intelligenza emotiva che cos'è perché può renderci
felici". Grazie a questo libro quindi anche in Italia il tema
dell'intelligenza emotiva ha iniziato ad essere utilizzato e studiato
sia in ambito psicologico che anche in ambito organizzativo/aziendale.
Le emozioni,
oltre ad avere tanto spazio nel campo della psicologia ingenua, sono un
importante oggetto di studio per la psicologia scientifica: sono da essa
considerate come reazioni psicofisiche piacevoli o spiacevoli dell'individuo a eventi esterni e interni rilevanti per i suoi scopi,
dalla sopravvivenza fisica all'adattamento sociale. Sono costituite da
un insieme di risposte alla percezione di uno stimolo con il quale
l'organismo interagisce: risposte fisiologiche
(alterazioni della frequenza respiratoria e cardiaca, della conduttività
elettrica della pelle, della pressione sanguigna), che sfociano in
sensazioni corporee quali tachicardia, rossore, sensazioni di caldo o di
freddo; risposte tonico-posturali, come la tensione o il rilassamento corporeo; risposte comportamentali predisposte mentalmente, abbozzate o compiutamente attuate; risposte espressive di tipo mimico-facciale, vocale e gestuale; risposte espressive
di tipo linguistico (per esempio scelte lessicali e sintattiche), il
tutto, naturalmente è arricchito poi dall'esperienza soggettiva dei
singoli individui.
Una distinzione alla quale aderiscono numerosi autori è quella tra emozioni fondamentali, o di base, o primarie, ed emozioni complesse, o sociali.
Le prime appaiono connesse a scopi quali la sopravvivenza fisica, lo
stabilirsi e il mantenersi di una relazione personale, la possibilità di
portare a termine le azioni intraprese; risultano comuni all'uomo e
agli animali superiori. Le seconde sono invece fortemente dipendenti da
scopi e capacità cognitive resi disponibili dallo sviluppo cognitivo e
sociale. Le emozioni più frequentemente classificate come fondamentali sono gioia, tristezza, paura, rabbia, alle quali secondo alcuni studiosi si aggiungono sorpresa, disprezzo, disgusto. Tra le emozioni sociali le più assiduamente citate risultano vergogna, senso di colpa, invidia, gelosia.
Le emozioni fondamentali – al contrario di quelle sociali – possono
essere espresse mediante modalità facciali, gestuali e vocali, che sono
universali, cioè indipendenti dalla cultura di appartenenza, e compaiono
già nel bambino di meno di un anno e nei primati superiori (“Esprimere
le emozioni”). Per quanto riguarda il nascere e lo svilupparsi delle
emozioni nei bambini le due principali posizioni sono l'ipotesi della differenziazione, secondo la quale da un iniziale stato di eccitazione si differenziano nel corso dello sviluppo le specifiche emozioni, e l'ipotesi differenziale, in base alla quale già nel neonato sono presenti alcune emozioni primarie.
•Teorie sulle emozioni
Diverse
sono le posizioni teoriche assunte dagli psicologi relativamente alla
natura, l'origine e la funzione delle emozioni. Fino agli anni Sessanta
gli studi sull'emotività si sono organizzati attorno alla controversia
tra la teoria di James e quella di Cannon.
James propose nel 1884 una teoria periferica o “viscerale”, secondo la quale “non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo”:
l'evento emotigeno causerebbe cioè una serie di cambiamenti a livello
viscerale e neurovegetativo, cambiamenti percepiti dall'individuo e
interpretati come esperienza emotiva. James parte dunque dalla semplice
percezione di un evento che porta al “sentirlo emotivamente”, e pone alla base di questo sentire emotivo l'attivazione fisiologica dell'organismo (arousal)
senza la quale non sarebbe possibile neanche definire un'emozione in
quanto tale. La posizione di James fu molto criticata, soprattutto da
Cannon, che riteneva che i visceri fossero troppo poco sensibili e le
loro reazioni troppo indifferenziate per poter essere considerati
effettivamente la fonte principale delle emozioni. Tuttavia, sebbene
perplessità circa la posizione di James siano inevitabili, la teoria in
sé presenta notevoli spunti euristici che sono stati positivamente
sviluppati da altri studiosi. Ricordiamo ad esempio l'ipotesi del feedback facciale, che postula un rapporto diretto tra le espressioni facciali e il sentire emotivo
(di conseguenza modificando volontariamente le espressioni facciali –
ad esempio addestrando i soggetti a contrarre i muscoli implicati
nell'atto del sorridere – dovrebbero in qualche modo essere influenzate
anche le emozioni corrispondenti, corrispondenza che ha effettivamente
trovato un riscontro empirico), e la teoria vascolare dell'efferenza emotiva,
che è alla base di discipline quali la meditazione trascendentale, lo
yoga, o il training autogeno. Essa postula che il ritmo e le modalità di
respirazione, causando un cambiamento della temperatura dell'ipotalamo,
influenzino di conseguenza gli stati emotivi: il raffreddamento
ipotalamico è condizione base per stati emotivi positivi, mentre, al
contrario, un innalzamento della temperatura di questa regione porta a
stati emotivi negativi.
Con la sua teoria centrale o neurologica James Cannon, pur rimanendo legato all'origine neurofisiologica delle emozioni, sostenne invece nel 1927 che l'emozione ha origine nella regione talamica dell'encefalo
ed è dunque di natura centrale. Successivamente, a partire dal
contributo di Cannnon, altri studiosi hanno ipotizzato che il circuito
posto come base dell'attivazione e della regolazione dell'emozionalità
umana comprenda tutta la zona composta da talamo, ipotalamo
(che cordina il sistema nervoso autonomo e se stimolato produce
risposte emotive “complete”, quale ad esempio la difesa affettiva nei
gatti) e amigdala (considerata come il computer
dell'emozionalità:da una parte – circuito subcorticale – valuta le
emozioni in maniera rapida, precognitiva, attuando se necessario
risposte tempestive, mentre dall'altro – circuito corticale – ponendo in
contatto queste informazioni “primitive” con le aree associative della
corteccia svolge funzioni superiori di valutazione dell'evento
emotigeno).
Le posizioni di J. Cannon, entrambe centrate sugli
aspetti neurofisiologici dell'emotività, risultano incomplete in quanto
paiono escludere ogni aspetto prettamente psicologico. Il primo a
proporre un modello che tenesse conto anche di questo fattore fu Schachter, con la sua teoria cognitivo-attivazionale (o teoria dei due fattori). Egli associò alla comunque imprescindibile attivazione fisiologica una componente di natura psicologica
che spiegasse l'attivazione fisiologia (altrimenti a suo parere troppo
indifferenziata e aspecifica) sulla base di un evento emotigeno
coerente. Schachter ritiene che entrambe le componenti siano condizioni
imprescindibili per lo sperimentare da parte degli individui di un
qualsiasi stato emotivo, e che essi debbano inoltre essere accompagnate
da un secondo atto cognitivo (successivo alla percezione e al
riconoscimento dello stato emotivo) che permetta di stabilire una
connessione tra i due fattori portando ad “etichettare” in maniera
appropriata l'emozione che si sperimenta. Schachter tentò di trovare
conferma sperimentale alla sua teoria e alle ipotesi da essa derivate, e
in molti casi ebbe risultati incoraggianti: ad esempio riuscì a
dimostrare che se le persone sono spinte ad attribuire un'attivazione
indipendente da uno stato emotigeno (ad esempio quella conseguente alla
somministrazione di uno stimolante quale l'adrenalina) ad una situazione
emotivamente pertinente, produrranno risposte emotive coerenti con
l'associazione formate. Per cui soggetti a cui era stata somministrata
adrenalina, ma che non erano stati informati correttamente circa la
sostanza che assumevano e i suoi effetti, e che venivano successivamente
posti a contatto con stimoli emotigeni, tendevano ad associare lo stato
di attivazione fisica che sentivano (causato dall'adrenalina) alla
situazione che stavano vivendo, intensificando le loro risposte emotive
rispetto a persone che, trovandosi in situazione analoga, erano però
stati correttamente informati riguardo gli effetti dell'adrenalina.
Dopo
la svolta nel modo di concepire e studiare le emozioni imposta dalla
teoria dei due fattori, gli anni Ottanta videro sorgere le teorie dell'appraisal. Appraisal è un termine inglese (valutazione, perizia), con cui si designa la valutazione cognitiva degli stimoli.
In psicologia delle emozioni, alcuni studiosi sostengono che emozioni
diverse sono caratterizzate da differenti sistemi valutativi, composti
da specifiche componenti o dimensioni; l'appraisal sarebbe dunque
all'origine della risposta emozionale. Questa visione si contrappone al
senso comune, che vedrebbe il sentire emotivo come qualcosa di
immediato, non controllabile, e ben distinto da controlli cognitivi
specifici. Gli studiosi dell'appraisal sostengono al contrario che le
emozioni non possono nascere senza una ragione e che la loro origine è
riscontrabile sempre in una qualche forma di valutazione cognitiva della situazione
collegata all'evento emotigeno con tutti i suoi possibili legami con il
benessere e le aspettative, gli scopi, i desideri del soggetto
coinvolto. In questo modo si mette in risalto, accanto alla valutazione
cognitiva, l'importanza della soggettività nella
percezione e di un'esperienza emotiva. Le principali valutazioni
riguardano il carattere piacevole o spiacevole dell'evento cui segue
l'emozione, la sua novità, la previsione della sua durata e
controllabilità, l'incertezza circa le sue conseguenze, la sua
compatibilità con le norme sociali di riferimento e con l'immagine che
l'individuo coinvolto ha di sé.
Altri studiosi, rifacendosi agli studi di Darwin, hanno preferito vedere le emozioni come reazioni sviluppatesi per la sopravvivenza della specie umana
(ad esempio la paura porterebbe a scappare davanti a un pericolo, il
sorridere come reazione di gioia faciliterebbe il riconoscimento di
persone non ostili...). Le emozioni, quanto meno quelle primarie,
vengono dunque concepite all'interno di queste teorie psicoevoluzionistiche
come qualcosa di unitario e innato nell'uomo. Esse quindi, così come le
corrispettive espressioni facciali che le caratterizzano, sarebbero
geneticamente determinate e automatiche nel loro insorgere.
•Esprimere le emozioni
Le emozioni
oltre a svolgere una funzione che potremmo definire più “personale”
riguardante l'interiorità e il sentire del singolo individuo, sono anche un importante mezzo di comunicazione.
Le emozioni non restano solamente dentro di noi ma vengono condivise,
tramite espressioni, gesti e parole con chi ci sta accanto. Tali forme
espressive vengono generalmente considerate come strettamente connesse
alla espressioni che le hanno generate e facilmente decifrabili da
chiunque. La psicologia si è occupata di studiare l'emotività anche da
questo particolare punto di vista.
Per quanto riguarda l'espressione facciale
delle emozioni, come già accennato sopra, il primo problema preso in
considerazione dagli studiosi delle emozioni riguardava l'innatezza e
l'universalità delle espressioni emotive (ipotizzate da Darwin): alcuni
psicologi, tra cui Eckman e Izard, si sono schierati decisamente a
favore di una tesi innatista, secondo la quale le espressioni facciali delle emozioni primarie sono condivise e riconosciute
da tutti gli esseri umani in quanto fissate su basi genetiche. Ma
ricerche condotte in maniera approfondita per confermare questa ipotesi
hanno fatto sorgere pesanti dubbi sulla sua fondatezza, e l'unica
emozione che viene effettivamente riconosciuta in maniera stabile a
prescindere da situazioni di contorno quali la cultura di appartenenza
dei soggetti o gli stimoli utilizzati dagli sperimentatori è la gioia,
mentre risultati più modesti si sono ottenuti con le espressioni di
emozioni negative. In definitiva si è giunti a concordare sul fatto che
esista un certo legame universale tra le emozioni di base e le loro
espressioni facciali, ma tale legame funge esclusivamente da base
all'espressione delle emozioni lasciando ampio spazio a influenze
ambientali, culturali e soggettive.
Le emozioni possono anche essere trasmesse, e quindi percepite a livello vocale.
Questa modalità espressiva è stata oggetto di minore attenzione da
parte della psicologia scientifica, ma gli studi condotti hanno comunque
evidenziato aspetti interessanti della questione. La voce si presenta
come uno strumento estremamente ricco di potenzialità e molto
flessibile, che con le infinite possibili variazioni nel tono
dell'eloquio, nella sua durata (il ritmo con cui parliamo, la velocità,
il modo in cui tendiamo ad utilizzare le pause), nell'intensità e
nell'articolazione delle parole offre molti modi per arricchire di
significati quanto viene detto a livello puramente verbale. Studi sono
stati condotti sia sulla fase di encoding (si misurano
nell'eloquio dei soggetti i correlati acustici delle diverse emozioni,
cioè come una persona parlando utilizza la voce per esprimere una
determinata emozione) dell'espressione vocale delle emozioni che su
quella di decoding (se e come l'ascoltatore è in grado
di riconoscere correttamente l'emozione che il parlante voleva
trasmettere). Tali studi hanno evidenziato da una parte come ogni
espressione sia effettivamente caratterizzata da precisi indicatori
vocali, e dall'altra come gli ascoltatori siano in grado di riconoscere
correttamente (con una percentuale di accuratezza che si avvicina al
60%, percentuale superiore a quella riscontrata negli studi sul
riconoscimento delle espressioni facciali) uno stato emotivo basandosi
esclusivamente su questi indicatori vocali.
In conclusione è però importante sottolineare come non sempre c'è una diretta corrispondenza tra l'emozione come viene sentita dal soggetto e l'emozione che viene espressa:
spesso un'elaborazione dell'emozione stessa può avvenire sulla base
della valutazione che il soggetto stesso attua sull'emozione: il fatto
di sentirsi più o meno in grado di far fronte all'evento emotigeno lo
porterà ad enfatizzare o inibire l'espressione stessa dell'emozione che
prova, così come l'avvertire l'emozione come compatibile o meno con le
sue norme sociali di riferimento (spesso, ad esempio, emozioni come la
tristezza o la gelosia vengono attenuate nella loro manifestazione per
cercare di trasmettere agli altri una migliore immagine di sé sulla base
delle norme sociali condivise).
•Emozioni e cultura
Come abbiamo visto, le emozioni non dipendono unicamente da un'attivazione neurofisiologica, ma comprendono, a vari livelli, valutazioni attive
da parte degli individui. Questa valutazione non solo porta ad
associare alle emozioni dei processi cognitivi di ordine superiore (vedi
paragrafo “Emozioni e processi cognitivi”), ma sottolinea anche l'importanza dell'individualità e del contesto culturale di riferimento nell'interpretare e quindi nel vivere una determinata emozione.
Così a seconda anche dei valori di riferimento, in determinate culture alcune emozioni si riscontrano con più frequenza di altre
(per esempio, in una cultura come quella indiana dove la tendenza è di
assegnare maggior importanza al destino e/o a forze di natura
soprannaturale, non controllabili dall'uomo, sarà meno facile
riscontrare collera nella popolazione rispetto alle società occidentali
che tendono al contrario a sottolineare le responsabilità dei singoli), o
addirittura esistono emozioni non condivise con altre culture (come l'emozione che i giapponesi chiamano oime e che corrisponde a un sentimento di debito psicologico e morale nei confronti di un'altra persona). Va anche considerata la tendenza ad esprimere o reprimere
le emozioni varierà da popolo a popolo: così ad esempio è luogo comune
che gli inglesi tendano a cercare di mantenersi freddi e distaccati
rispetto all'emotività, finendo per parlare delle loro emozioni più che
mostrarle, mentre accade esattamente il contrario in Polonia, dove il
mostrarsi riservati relativamente al proprio sentire è visto in termini
estremamente negativi. Inoltre le persone tenderanno a sviluppare una
determinata focalità emotiva nei confronti di certe
emozioni piuttosto che di altre e ad attivarsi di conseguenza in maniera
più veloce fornendo risposte immediate quando si trovano davanti ad
eventi che vengono riconosciuti come “focali” per la propria cultura,
eventi davanti ai quali l'individuo si sente in un certo senso chiamato a
prestare attenzione e dare una sua qualche risposta.
•Emozioni e processi cognitivi
Abbiamo
visto come lo studio delle emozioni ha presto adottato una prospettiva
strettamente psicologica rispetto ai primi studi più neurofisiologici,
prospettiva in cui grande spazio è stato riservato all'indagine dei rapporti tra emozione e processi cognitivi
(percezione, memoria, rappresentazione, linguaggio). Oltre alle
posizioni già esaminate precedentemente scorrendo i principali teorici
che si sono occupati di definire l'emotività, è interessante anche
ricordare come in quest'ambito un dibattito assai vivace ha riguardato
negli anni Ottanta il problema della dipendenza o dell'indipendenza
dell'emozione dalla cognizione: esemplari di due punti di vista
antitetici sono la posizione di Zajonc e Lazarus. Zajonc ha sostenuto che sistema cognitivo e sistema emotivo sono separati e parzialmente indipendenti:
l'emozione può sorgere senza che alcun processo cognitivo la preceda,
benché generalmente i due sistemi funzionino congiuntamente. Lazarus ha invece affermato che i fenomeni emozionali sono profondamente e completamente interconnessi ai processi cognitivi.
Per entrambi gli autori i processi percettivi sensoriali precedono
l'insorgere dell'emozione, ma per Zajonc tali processi sono di tipo
riflesso, mentre per Lazarus essi sono caratterizzati dalla presenza di
elaborazione cognitiva, benché preconscia, e danno luogo alla
valutazione della situazione (quella stessa cui fanno riferimento i
teorici dell'appraisal sopra ricordati) da cui origina l'emozione. Altre
posizioni sui rapporti tra emotività e processi cognitivi sono quella
dell'interconnessione radicale tra i due sistemi, elaborata da Leventhal
e Scherer, e quella di Izard, secondo cui cognizione ed emozione costituiscono
sistemi separati ma interagenti. Secondo Izard è necessario distinguere tra
esperienza emotiva sentita e simbolizzata: l'esperienza emotiva può essere
consapevole senza dare luogo necessariamente a una rappresentazione cognitiva.
In tale forma, essa rappresenta l'aspetto motivazionale dell'esperienza e
diviene emozione simbolizzata qualora si connetta a pensieri, simboli,
immagini.
Considerazioni tratte dal libro