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domenica 8 luglio 2018

METODOLOGIA DELLA RICERCA EDUCATIVA. BREVE STORIA DELLE PROVE STANDARDIZZATE FINO ALL’INVALSI

METODOLOGIA DELLA RICERCA EDUCATIVA.
BREVE STORIA DELLE PROVE STANDARDIZZATE FINO ALL’INVALSI
di Giuseppina D’Auria
gdauria@hotmail.com

Le prove standardizzate, in docimologia, nascono per raccogliere informazioni che possano essere confrontate, dal momento che seguono procedure costruite appositamente per valutare abilità, conoscenze e/o competenze di allievi all’interno di condizioni ben definite e controllate che riguardano costruzione, somministrazione e valutazione. Le prove sono svolte in modo identico per tutti i soggetti (tempi, spazi, modalità). Il rispetto delle procedure permette di avere dei valori e delle valutazioni quanto più comparabili possibile. Nel 1925 era iniziata un’esperienza di cooperazione internazionale da parte di un gruppo di studiosi che aveva dato vita all’International Bureau of Education (IBE), un istituto privato di diritto svizzero con sede a Ginevra. Gli istituti che si andavano progressivamente fondando nelle università europee (Stoccolma, Oslo, Parigi, Milano e Londra) e negli Stati Uniti (Pennsylvania) si ispiravano al modello dell’Istituto di Scienze dell’educazione fondato nel 1912 da Claparède a Ginevra. 
Nel 1929 l’esperienza dell’IBE si era aperta ai governi portandola a divenire – grazie anche ad un numero sempre crescente di Stati aderenti – la prima organizzazione internazionale nel campo della statistica in educazione. Conseguentemente, le prime tabelle comparative tra le nazioni iniziarono a comparire nel rapporto del 1937. 
Le due principali correnti di pensiero che avvertono l’esigenza  di adottare un’impostazione scientifica (…) sono la docimologia e il movimento della “Scuola Attiva”. La prima, sviluppata da Henri Piéron, si propone come la ricerca di un approccio scientifico alla definizione di criteri oggettivi inerenti la valutazione scolastica; la seconda attribuisce grande importanza al processo di scoperta e di costruzione del sapere da parte dell’allievo, e, di conseguenza, anch’essa si interroga su quali siano le basi su cui misurare questo nuovo modo di apprendere. 
Tra gli eventi principali della prima fase del confronto internazionale, vi è, nel 1927, proprio Locarno, il Congresso internazionale della Scuola Attiva che ha come tema il superamento di un sistema di valutazione giudicato arbitrario e si inserisce in un contesto sociale in cui i risultati 
scolastici hanno un’influenza molto maggiore di quella odierna sul futuro di un individuo. 
Le sfide che i sistemi educativi si pongono all’epoca, non sono però legate tanto alla definizione di standard minimi di apprendimento validi per tutti, quanto alla selezione, il più possibile obbiettiva, degli allievi più capaci e meritevoli di proseguire gli studi. 
Negli anni Trenta, dunque, si sviluppano le prime indagini comparate su vasta scala; probabilmente 
l’antesignano di queste ricerche è lo Scottish Mental Survey che, nel 1932, coinvolge 100.000 bambini di11 anni. Dal 1931 al 1938, inoltre, nell’ambito dell’International Examination Inquiry, vi sonoproficui scambi tra il Vecchio e il Nuovo Continente finalizzati a definire criteri validi e comuni di valutazione. 
Alla fine della seconda guerra mondiale l’esperienzadell’IBE confluì nell’United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO), che divenne, a tutti gli effetti, uno dei principali referenti a livello mondiale per la statistica in educazione. 
Il secondo dopoguerra vede però, sotto il patrocinio dell’UNESCO, la rinascita e lo sviluppo della pedagogia comparata che, inizialmente, si concretizza con incontri annuali dei direttori dei principali laboratori di ricerca in educazione degli Stati occidentali.. 
Lo sviluppo delle attività in questo settore e l’estensione della collaborazione anche a ricercatori 
provenienti dalla Psicologia che avevano significative esperienze nell’uso dei test di intelligenza, portò nel1958 alla creazione di un network scientifico che aveva l’obiettivo di sviluppare progetti di ricerca internazionale in ambito scolastico: l’International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA). 
La IEA si mosse anche nella direzione di omologare le tecniche e i metodi di ricerca, sviluppando attività di ricerca su base campionaria con l’obiettivo esplicito di mettere a confronto i diversi sistemi nazionali. Le attività dell’IEA, pur se basate su un principio di collaborazione scientifica, erano comunque condizionate dal clima politico legato alla Guerra Fredda “nella quale i sistemi educativi simbolizzavano le divergenze in politica internazionale”.
Primo studio: Pilot Twelve-Country Study (1960) Studenti 13enni, su cinque aree disciplinari. First International Mathematics Study (FIMS), che inaugura un fecondo filone di indagine sulla Matematica e le Scienze Naturali. Partecipanti: 12 paesi Studenti 13enni e pre-universitari. 
Per un trentennio, fino agli anni Novanta, l’IEA detiene di fatto il monopolio delle indagini internazionali, che crescono lentamente di numero e vedono un sempre maggiore numero di Paesi partecipanti. 
Dalla seconda metà degli anni Novanta, l’OCSE decide di entrare in azione e di coinvolgere maggiormente i governi nazionali nella preparazione di indagini internazionali più funzionali alle esigenze dei sistemi politici. Vede così la luce, nel 2000, la prima inchiesta PISA che assume una rilevanza preponderante rispetto alle iniziative analoghe dell’IEA. 
Le indagini dell’OCSE si caratterizzano per una maggiore regolarità nelle rilevazioni e per i notevoli progressi degli strumenti analitici. Dopo essersi concentrate sulle competenze prettamente scolastiche – ora vieppiù valutate da inchieste nazionali, rese possibili dal trasferimento di know-how – le rilevazioni PISA si stanno aprendo a competenze extracurricolari necessarie ad affrontare le sfide imposte dalle società contemporanee, come, ad esempio, quelle di natura finanziaria o comunicazionale. 
Con l’inizio degli anni Novanta, la qualità dei dati prodotti e le finalità dell’UNESCO furono messe 
in discussione: si iniziarono a proporre diverse entità che svolgevano ricerca in educazione su base quantitativa e fornivano raccomandazioni ai decisori. 
Le principali istituzioni attive in questo ambito erano la Banca Mondiale, l’Organization for Economic Cooperation and Development (OCSE), l’United Nations Children’s Fund (UNICEF), l’Office for Educational Research and Innovation (OEFRI) e l’Unione Europea (UE). 
Nel 2000 con la creazione del Programme for International Students Assessment (PISA), la leadership internazionale passò all’OCSE per ragioni politiche, pragmatiche e operative. 
Le prove INVALSI sono state avviate nell’anno scolastico 2007/08 e da allora si sono effettuate ogni anno coinvolgendo i livelli scolastici 2, 5, 8, 10. Per il livello 13, vale a dire quello che riguarda la maturità della scuola secondaria di secondo grado, si è in attesa di una decisione ministeriale. Un’impostazione quantitativa della valutazione (…) è abbastanza evidente la necessità di questo approccio. Meno automatica invece è stata la scelta del legislatore di non limitarsi al campionamento delle scuole ma di optare per la scelta censuaria,vale a dire di rivolgere le prove a tutte le scuole, costringendole a confrontarsi con risultati di altre scuole del paese. Si è pensato così di avviare la diffusione della cultura della valutazione. 
Questo processo non è stato indolore e, come era prevedibile, si sono registrate molte e infuocate 
polemiche. In Italia c’è una scarsa sensibilità ai dati quantitativi, ma è indubbio che l’accumulo di dati attendibili e sedimentati nel tempo consente di poter disporre di informazioni importanti per prendere decisioni relative al sistema scolastico.
Il fatto che prove di comprensione della lettura e di soluzione di problemi matematici attinenti alla vita quotidiana rappresentino per alcuni studenti difficoltà talvolta insormontabili in certe zone del 
nostro Paese è stato motivo di interventi compensativi così come è avvenuto mediante l’impiego di fondi PON nelle regioni meridionali. 
La resistenza che alcuni docenti oppongono alle prove INVALSI richiede qualche ulteriore riflessione. Queste prove, riferendosi a competenze fondamentali, necessarie per il proseguimento degli studi e/o per una partecipazione attiva alla vita sociale e politica, costituiscono in realtà un diritto di cittadinanza che gli studenti, soprattutto quelli più svantaggiati, devono riuscire ad acquisire.
Sottrarre gli studenti alla verifica di questa acquisizione significa anche nascondere una loro eventuale mancata acquisizione. È stato inoltre richiesto che le votazioni delle prove INVALSI del livello 8, che fanno attualmente media con i voti riportati nell’esame di stato, fossero svolte in un periodo diverso e fossero distinte dalle valutazioni dei docenti di classe pur essendo riportate in un unico certificato finale. 
Questa soluzione, che eviterebbe un terreno di scontro con i docenti che temono un’indebita invasione dell’INVALSI nei giudizi finali, sta percorrendo una via legislativa e dovrebbe arrivare a compimento. In tal modo potrebbe risultare più evidente la funzione di servizio alle scuole che l’Istituto vuole perseguire.
La frase “valutazione della qualità nella scuola dell’infanzia” contiene quattro termini densi di significato. Per comodità di analisi uniremo gli ultimi due (scuola e infanzia) indicando con ciò il 
nome del primo grado del nostro sistema dell’istruzione. Questo, tra l’altro, ci consente di concentrare l’attenzione sugli altri due termini (valutazione e qualità) In fondo, l’espressione “scuola dell’infanzia” presenta, rispetto agli altri due termini, un margine di ambiguità più ristretto (Cecconi L., 2002).
Certo, sappiamo bene che non esiste “una” scuola dell’infanzia ma una molteplicità di “scuole”, che 
differiscono l’una dall’altra per caratteristiche istituzionali (statale, pubblica territoriale, privata religiosa o laica), geografiche, pedagogiche e didattiche. Così come sappiamo bene che la specificazione “dell’infanzia” solo recentemente, e a fatica, ha iniziato a fare la sua comparsa nei testi ufficiali, sostituendo l’aggettivo, “materna”, che indicava (e in molti casi ancora indica) in modo inequivocabile il senso di una scelta e di una pratica sociale e pedagogica. Non ignoriamo, infine, che i recenti provvedimenti legislativi cambiando i riferimenti temporali della scuola dell’infanzia hanno mutato anche alcuni suoi connotati. Ciononostante esistono un’idea e una pratica piuttosto consolidate di ciò che si intende per scuola dell’infanzia mentre non si può dire altrettanto dell’idea e della pratica della valutazione della qualità (Cecconi L., 2002).
Di cosa parliamo? Le prove INVALSI. Dietro agli strumenti di valutazione e di autovalutazione attualmente disponibili esistono infatti, idee, finalità, soggetti e modalità precisi, che possono non essere adeguati al contesto in cui si opera e agli scopi valutativi che si vogliono perseguire. II primaria, Italiano, Prova di lettura (solo classi campione), Matematica.  V primaria, Inglese, Italiano, Matematica e questionario. III sec. primo grado, II sec. secondo grado Prove uguali per tutti servono a capire dove c’è qualcosa da migliorare. 
Costituzione Art. 3: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della perdona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. 
Dispersione scolastica. Il 15% degli studenti abbandona prima di aver conseguito il titolo di studio. 
La dispersione riguarda i figli di genitori che hanno al massimo il diploma di terza media in misura quattro volte più alta rispetto ai figli di genitori laureati. 
Appena 30 italiani su 100, fra i 16 e i 65 anni, possiedono livelli sufficienti di literacy e numeracy necessari per interagire in modo efficace in una società e un’economia avanzate. 
Cosa si impara? Conoscenze, Competenze, Sapere, Saper fare. L’INVALSI è nato proprio per misurare gli esiti di apprendimento di alcune competenze chiave, quindi per verificare e stimolare il necessario rinnovamento della scuola italiana. Questa misurazione può essere fatta solo attraverso prove oggettive uguali per tutti. Solo se tutti vengono misurati con lo stesso metro, i dati ottenuti permettono di leggere il fenomeno con la massima risoluzione, sono comparabili nello spazio e nel tempo, e sono veramente utili. Le prove non sono un esercizio di memoria ma di ragionamento. 
Le competenze: “Comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale”. (UE). Non c’è contrapposizione tra conoscenze e competenze. Le prime sono la base delle seconde. 
Le prove misurano alcune competenze essenziali per esempio: capire e utilizzare un testo scritto, utilizzare le conoscenze matematiche per affrontare un problema del mondo reale. Cosa si misura? 
Le prove non misurano tutto. Non servono a valutare né lo studente né l’insegnante e sono uno dei tanti elementi dell’autovalutazione di istituto. Spesso permettono di vedere quello che da soli è più difficile vedere. Le prove INVALSI non misurano tutto.
Alcune competenze importanti non sono valutabili con una prova standardizzata ma solo attraverso il contatto quotidiano che l’insegnante ha con i suoi allievi. Per questo le prove INVALSI non possono valutare globalmente uno studente, né possono monitorarne e guidarne il processo di apprendimento. Inoltre, alle prove standardizzate sfuggono tutte le variabili ambientali. Le prove standardizzate non possono valutare gli insegnanti perché questi oltre alle competenze misurate dalle prove devono insegnare molte altre competenze. È la valutazione degli insegnanti che deve farlo. 
I risultati delle prove indicano il livello di competenza raggiunto ma non possono spiegarne il perché. Solo gli insegnanti possono identificare i fattori che determinano ciascuna situazione d’apprendimento. Per questo le prove non possono dire come insegnare. Questa è una prerogativa degli insegnanti. Possono dire dove concentrare gli sforzi. 
Nel corso del tempo la normativa ha riconosciuto e ampliato la libertà di insegnamento. Maggiore autonomia delle scuole, maggiore libertà di insegnamento. Le prove INVALSI servono alla valutazione esterna la quale è il principale strumento per assicurare il diritto di tutti i ragazzi a ricevere dalla scuola pubblica le stesse possibilità. La valutazione formativa, attuata durante lo sviluppo di un determinato programma, ha lo scopo di produrre un miglioramento ed è condotta, nella maggior parte dei casi, da personale interno al programma oggetto di valutazione (Scriven, 1991). Tuttavia, come lo stesso Scriven precisa, una buona valutazione formativa può essere condotta tanto da personale interno quanto da personale esterno o, ancora meglio, da valutatori interni e da valutatori esterni in modo congiunto. 
La valutazione sommativa è effettuata, dopo la conclusione di un determinato programma, allo scopo di fornire informazioni utili ad un soggetto esterno (per esempio, enti finanziatori, istituti di 
sorveglianza o di valutazione, utenti potenziali) per prendere decisioni riguardanti il futuro del programma o dell’azione (generalizzazione del programma in altri contesti, aumento delle azioni di 
supporto, continuazione del supporto, modifiche del programma, continuazione a determinate condizioni, interruzione del programma). La valutazione sommativa, che non va confusa con la valutazione dei risultati (che può essere formativa e sommativa), può essere condotta tanto da valutatori interni quanto da valutatori esterni o da una combinazione degli uni e degli altri. Tuttavia, 
soprattutto per esigenze di credibilità e per evitare il rischio dell’autoreferenzialità, è bene che sia 
condotta da valutatori esterni.
Le prove: come sono fatte? Ogni domanda è il frutto di due anni di lavoro da parte di un gruppo di insegnanti e dirigenti scolastici con l’aiuto di esperti nazionali e internazionali. Ogni prova viene prima testata su migliaia di ragazzi (ogni anno 30.000) e analizzati statisticamente, per verificare precisione, equità e capacità di misurazione. Le domande non sono dei quiz! La misura è standardizzata. L’abilità di ogni ragazzo è misurata non in base ad una scala assoluta o ad criterio teorico (magari importati da un altro paese) ma rispetto alle abilità effettivamente presenti nella popolazione studentesca reale alla quale il ragazzo appartiene. L’ambiente di provenienza può influenzare i risultati delle prove. Di questo occorre tener conto quando si confrontano classi e scuole diverse. Per questo viene proposto il questionario sulle famiglie. Inoltre, i risultati delle prove vengono ricalcolati tenendo conto del contesto socioeconomico di provenienza. 
Grazie alla disponibilità dei risultati all’ingresso e all’uscita dai cicli scolastici oggi si può valutare meglio l’efficacia educativa delle scuole. Dall’a.s. 2015-16. Contributo dell’istituto scolastico al cambiamento del livello delle competenze dei ragazzi. 
Positivo, leggermente positivo, medio, leggermente negativo, negativo.  Si può confrontare l’effetto-scuola con i risultati delle prove INVALSI. 
Una scuola con esiti insoddisfacenti nelle prove INVALSI può in realtà aver lavorato molto bene, perché ha comunque alzato il livello delle competenze dei suoi ragazzi rispetto ad un livello di ingresso ancora più basso. 
Dal cartaceo al computer - II e V primaria: prova cartacea III sec. primo grado e II sec. secondo grado: prova al computer. Col cartaceo: 2,5 milioni di fascicoli in oltre 46.000 sedi scolastiche (22 TIR). 
-Diversi set di quesiti equivalenti 
-La banca dati e le analisi sui Big Data 
-Probabilità di rispondere correttamente alle altre domande presenti nella banca. 
-Scala di 5 livelli per ciascuna delle abilità misurate. 
La Certificazione individuale delle competenze come riconoscimento dei risultati delle prove. 
Italiano, matematica e inglese. 2018: ultimo anno secondaria inferiore 2019: ultimo anno secondaria superiore. Per gli altri gradi l’INVALSI comunica il numero degli studenti della classe che si è posizionato ad ogni livello. 
Le famiglie vanno informate per tempo per evitare che attribuiscano alle prove e alla certificazione una importanza che non hanno. Una percezione sbagliata potrebbe spingerle a chiedere un’esercitazione eccessiva e sterile su “fac-simile” delle prove INVALSI. 
È naturale che a scopi diversi corrispondano procedure e strumenti diversi. Per questo motivo gli strumenti della valutazione formativa non vanno confusi con quelli della valutazione sommativa. 
Gli strumenti di autovalutazione, per esempio, hanno lo scopo di mettere il soggetto che si auto-valuta nella condizione di individuare i propri punti deboli e di correggerli e/o di individuare le 
proprie potenzialità e di svilupparle. La valutazione formativa è caratterizzata proprio da questo suo 
legame con la dimensione operativa, con le azioni di miglioramento del contesto locale (allievo, aula, scuola), con la presa di consapevolezza da parte degli attori del processo delle dinamiche che 
condizionano l’efficacia e l’efficienza del processo stesso. 

Perché uno strumento di autovalutazione abbia una sua utilità sul piano formativo è indispensabile 
che le domande sul cosa, il perché, il chi e il come trovino una risposta e che tale risposta si dimostri compatibile con il contesto in cui si vuole usare lo strumento. Infatti, quale utilità può avere uno strumento di autovalutazione se l’idea di qualità a cui si ispira non è condivisa dalla comunità educativa della scuola che lo usa o da una parte importante di essa? Se essa non trova un 
pieno riscontro nella realtà sociale, pedagogica e organizzativa della scuola? Perché l’autovalutazione abbia un senso è necessario che questo senso sia costruito e condiviso dagli stessi 
soggetti che praticano l’autovalutazione. In altre parole è necessario che la definizione della qualità 
scaturisca da un processo dialogico, attivato all’interno della singola comunità educativa, che punti 
a definire localmente le ragioni e le caratteristiche della qualità, anche confrontandosi, perché no, 
con un’idea di qualità elaborata all’esterno di quella comunità. Occorre un dialogo all’interno della 
comunità tra i diversi soggetti, i diversi interessi e le diverse sensibilità pedagogiche e didattiche in 
essa presenti, ma occorre un dialogo anche tra le ragioni e i vincoli della qualità definita localmente 
e le ragioni e i vincoli di quella definita globalmente.
“Fiaccole da accendere” anziché “vasi da riempire” (Luciano Cecconi). 


Bibliografia  - Sitografia
Cecconi Luciano, La valutazione della qualità della scuola dell’infanzia. Qualità locale e qualità globale, in L’educatore, Anno XLIX, nn. 22 e 24, 2002.
Scriven Michael, Evaluation Thesaurus, Fourth Edition, Newbury Park, 1991.
Rete per l’infanzia della Commissione Europea, La qualità nei servizi per l’infanzia, Edizioni Junior, Bergamo, 1992.
http://archivio.invalsi.it/ricerche-nazionali/index.htm  

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