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lunedì 15 settembre 2014

maurospezzi.blog : DSA

maurospezzi.blog : DSA: DISTURBO  SPECIFICO DELLA LETTURA: IPOTESI CAUSALI   LA TEORIA MAGNOCELLULARE L’ipotesi Magnocellulare ammette l’esistenz...

Il Pedagogista e la Mediazione culturale


Secondo Wikipedia, il mediatore culturale è un agente bilingue che media tra partecipanti monolingue ad una conversazione appartenenti a due comunità linguistiche differenti. Il suo compito è quello di facilitare la comprensione. È informato su entrambe le culture, sia quella dei nativi sia quella del ricercatore anche se è più vicino ad una delle due.
Il mediatore è identificato dall'osservatore, e lo aiuta nella ricerca, o facendo parte del gruppo di interesse o intrattenendo relazioni con i membri della società in esame. Nel suo aiuto al ricercatore, egli ha un ruolo molto delicato, quello di rassicurare sulle intenzioni dell'osservatore quando lo presenterà ai guardiani, cioè coloro che proteggono il gruppo da occhi indiscreti e che giustamente vogliono informazioni sul suo scopo.
L'importanza del ruolo del mediatore implica una scelta accurata e non frettolosa della persona che lo interpreterà, anche perché il buon esito della ricerca è anche nelle sue mani.
Dal punto di vista dell'intervento sociale quella del mediatore culturale è una figura professionale che ha il compito di facilitare l’inserimento dei cittadini stranieri nel contesto sociale del paese di accoglienza, esercitando la funzione di tramite tra i bisogni dei migranti e le risposte offerte dai servizi pubblici.
La definizione di mediatore interculturale, ripresa ancora da Demetrio, può allora così riassumersi: "per mediatore interculturale intendiamo l’insegnante che, con consapevolezza, si interroga e si attrezza per favorire non tanto la transizione da una cultura all’altra quanto la sintesi - dove è possibile - tra culture, allo scopo di creare momenti pedagogici capaci di andare oltre le reciproche differenze".
Da www.informagiovani.info  - Il Mediatore culturale è un operatore che facilita gli immigrati e i membri delle minoranze etniche ad eccedere ai servizi pubblici. Di solito è lui stesso un immigrato o una persona che ha un’esperienza di vita plurietnica.
Il Mediatore culturale è una figura nuova, ancora poco conosciuta, ma sicuramente molto apprezzata, richiesta soprattutto in quei contesti, come le istituzioni educative (scuole, associazioni), quelle sanitarie ospedali, servizi sociali), giudiziarie (carceri, tribunali) e amministrative (comuni, province), dove è avvertita con maggiore urgenza la necessità di mediare tra culture diverse. Questa figura favorisce quindi il positivo inserimento degli immigrati nella società e mira alla realizzazione delle pari opportunità dei cittadini stranieri nei vari ambiti sociali.
Compito principale del Mediatore culturale è quello di offrire consulenza ai singoli utenti, alle famiglie e alle associazioni di immigrati, per aiutarli a muoversi autonomamente nella nuova realtà di vita e di lavoro. Il primo livello d’intervento è quello della mediazione linguistica, operando come interprete al momento dell’accoglienza nel nostro Paese, traducendo documenti, comunicazioni e avvisi, oppure elaborando materiali di presentazione dei servizi in lingue diverse dall’italiano.
Il secondo livello è quello della mediazione culturale: conoscendo la cultura degli immigrati, questa figura può interpretarne i bisogni, fornendo risposte efficaci che permettano ai soggetti di comprendere la cultura, gli usi e i costumi italiani e le opportunità offerte dai diversi servizi pubblici presenti sul territorio, aiutando parallelamente le istituzioni ad avvicinarsi a loro. Gli immigrati potranno utilizzare le informazioni ricevute per ricercare una casa e un lavoro e per conoscere le modalità di accesso ai servizi sociali, sanitari, e così via. Il Mediatore culturale può inoltre: affiancare l’équipe socio-sanitaria nella definizione di terapie e procedure sanitarie compatibili con la cultura di provenienza dell’utente; supportare l’attività di assistenza ad avvocati, difensori d’ufficio e magistrati; valorizzare nelle scuole le differenti culture, di cui sono portatori i bambini appartenenti alle minoranze etniche. Può inoltre svolgere attività di formazione del personale italiano in servizio, che interagisce con gli stranieri.
Competenze

Il Mediatore culturale deve avere un’ottima conoscenza della lingua italiana e sapere perfettamente almeno una delle lingue parlate dai gruppi etnici maggiormente rappresentati nel territorio in cui opera (arabo, cinese, ROM, ecc.). Deve anche conoscere usi, consuetudini e religione dei cittadini con i quali entra in contatto. Per poter ricoprire adeguatamente il ruolo, è necessaria un’esperienza di vita vissuta a cavallo fra due culture, come ad esempio una migrazione, un matrimonio misto o una permanenza pluriennale in un Paese da cui provengono i flussi migratori. Il Mediatore culturale molto spesso è uno straniero, che si è formato nel Paese d’accoglienza, specializzandosi in uno dei settori che prevedono questo nuovo profilo, sia esso educativo, sanitario, giuridico o amministrativo. Sul piano umano, egli deve inoltre possedere un’ottima capacità di relazionarsi con gli altri, buone doti comunicative, capacità di gestione e di risoluzione dei conflitti.

La formazione indispensabile resta comunque quella sul campo: aver condiviso determinate situazioni di disagio ed avere una cultura affine sono elementi essenziali per la creazione di un rapporto di fiducia.
Deve avere una buona cultura di base, approfondendo materie quali:
- antropologia culturale;
– sociologia;
– psicologia;
– conoscenza del fenomeno migratorio e della multiculturalità;

Inoltre il mediatore deve possedere un’ottima capacità di relazionarsi con gli altri e in particolare:
- buone doti comunicative;
– capacità di gestione e di risoluzione di conflitti;
– disponibilità e capacità di lavorare in équipe;
– conoscenza e utilizzo delle tecniche del colloquio individuale e di gruppo, dell’accoglienza, dell’ascolto attivo, della comunicazione e dell’interpretariato.

La formazione indispensabile resta comunque quella sul campo. L’aver condiviso determinate situazioni di disagio e di emergenza, avere una cultura affine è essenziale per creare un rapporto di fiducia che spesso è determinato dall’appartenenza allo stesso gruppo culturale.

Formazione

In alcune Regioni sono stati istituiti corsi di laurea ad hoc e corsi di formazione di II livello, generalmente post-diploma, che rilasciano la qualifica di Mediatore culturale.

Carriera

Si perviene a questa carica intorno ai 40-45 anni, dopo aver maturato esperienze significative nella medesima azienda o in aziende diverse, nel ruolo ad esempio di Responsabile del marketing operativo.

Situazione di Lavoro

Molto spesso donna, il Mediatore culturale lavora prevalentemente con contratti di collaborazione come libero professionista o nell’ambito di cooperative sociali, svolgendo incarichi per conto della pubblica amministrazione, soprattutto negli uffici stranieri della Pubblica Sicurezza, oppure nel servizio di prima accoglienza di scuole, ospedali, carceri e tribunali.

La recente introduzione di questa figura nel nostro Paese e l’ampiezza dei campi d’intervento non permettono un’indicazione, anche di massima, dei livelli retributivi.

Tendenze Occupazionali

In Italia il fenomeno migratorio ha assunto ormai un carattere strutturale. Nonostante ciò, l’utilizzo dei Mediatori culturali è stato finora piuttosto episodico, disorganizzato e limitato al centro-nord, benché il loro impiego si renda necessario in tutto il territorio nazionale.

È facile pertanto ipotizzare che si tratti di una figura che avrà buone possibilità occupazionali, come già è avvenuto in altri Paesi Europei.

Figure Professionali Prossime

L’Interprete linguistico, l’Operatore di strada e l’Operatore dell’informazione nei servizi sociali sono le figure professionali che più si avvicinano a quella del Mediatore.


Secondo Emergency i principali compiti e responsabilità del mediatore culturale sono:
  1. accoglienza ai pazienti e/o agli utenti dei servizi socio-sanitari;
  2. mediazione linguistica e culturale nella compilazione della cartella clinica;
  3. mediazione linguistica e culturale prima e durante la visita medica;
  4. concorda con il medico (se presente) e l'infermiere la presentazione dell'iter terapeutico ed eventuali attività di educazione igienico-sanitaria;
  5. accompagnamento dei pazienti che richiedono trattamento in struttura ospedaliera (SSN) e facilitazione delle procedure di ammissione ed eventuale ricovero;
  6. attività di orientamento socio-sanitario: creazione di percorsi individuali che mirano alla integrazione nel territorio, consulenza sulle norme e i diritti relativi alla tutela della salute o al soggiorno, collaborazione con i servizi territoriali pubblici e del privato sociale (anagrafe sanitaria, anagrafe comunale, servizi dedicati alle persone migranti, questure, prefetture...);
  7. corretto utilizzo del sistema gestionale informatizzato (raccolta dati clinici dei pazienti ed elaborazioni statistiche) al corretto uso del quale è rivolta una specifica attività formativa;
  8. se necessario, contribuisce alla gestione di alcuni aspetti amministrativi o logistici del progetto (cash-flow, budget control, acquisti, trasporti...);
  9. su richiesta del Coordinatore, partecipa a sopralluoghi di valutazione in altri siti di possibile intervento.           http://www.emergency.it/lavoracon/mediatore-culturale.html

PERCHE' RIVOLGERSI AL PEDAGOGISTA? Attività proposte dallo Studio D'Auria















STUDIO DI CONSULENZA  E PROGETTAZIONE 
SOCIO PEDAGOGICA 

Le attività dello Studio della dott.ssa Giuseppina D’Auria: 


· Recupero scolastico a seguito di DSA (disturbi specifici dell'apprendimento, problematiche psico-fisico-relazionali, bullismo). 

Consulenza, sostegno e supporto nelle difficoltà di apprendimento, BES, attività di tutoring, mentoring e orientamento scolastico.

Intervento pedagogico specialistico e qualificato con bambini e ragazzi interessati da problematiche di autismo.

. Metodologie, tecniche di valutazione e progettazione pedagogica. 


· Consulenze socio pedagogiche ad Enti pubblici o privati. 


· Elaborazione di progetti su bandi pubblici. 


· Consulenze e colloqui di coppia, con la famiglia (supporto tecnico nel complesso lavoro educativo). 


· Relazioni peritali scritte d'Ufficio o di Parte; Certificazioni rilasciate per fini privati. 


· Supervisioni ed interventi individuali o di gruppo.  Incontri di formazione e aggiornamento.


· Sostegno scolastico pomeridiano rivolto a bambini di scuola primaria e ragazzi di scuola secondari di primo e secondo grado. 


· Guida alla compilazione del curriculum, orientamento formativo e lavorativo (bilancio delle competenze). 


· Test, Questionari, Ricerche bibliografiche ed Elaborazioni per Tesi di Laurea


· Mediazione culturale.


NaturalMente&Corpo: L'ALTRO COME PROSSIMO: DALLA RELAZIONE-LEGAME ALLA...

NaturalMente&Corpo: L'ALTRO COME PROSSIMO: DALLA RELAZIONE-LEGAME ALLA...: Le figure dell'Alterità come limite, concorrente, origine e destino si concretizzano all'interno di uno scenario che è la relazione...

martedì 9 settembre 2014

(FORMAZIONE ALL’) ORIENTAMENTO: RIFLESSIONI

di Giuseppina D’Auria
gdauria@hotmail.com     

Svolgere una professione, o gestire un ruolo sociale e immateriale, è un lavoro. Il concetto di lavoro è associato a quello di fatica, sforzo, energia che viene spesa e deve essere reintegrata attraverso una qualche forma di compenso. Ma esso è legato, anche, all'idea di competenza, cioè di capacità prestazionale finalizzata. Le scienze umane si sono, da sempre, molto occupate del lavoro materiale e hanno, invece, investito poco nello studio del lavoro immateriale. Da una parte, il lavoro immateriale creativo, intellettuale ed espressivo (l'arte in genere) è sempre stato visto più come hobby, in quanto poco associato alla fatica fisica, che come lavoro; dall'altra, il lavoro sociale è stato considerato più una missione che un lavoro, a causa delle basse competenze a esso associate. Il Secolo XX è stato il secolo dello sviluppo del lavoro immateriale di massa. Sono aumentati, in modo progressivo, gli addetti e i fruitori e, parallelamente, questo lavoro è andato sempre più legandosi al compenso ed alle competenze. Il Secolo XXI segna il sorpasso del lavoro immateriale su quello materiale. I lavoratori dell'immateriale prevalgono numericamente. Il mercato dell'immateriale supera quello dei beni materiali. I compensi e le competenze legate all'immateriale distaccano di parecchie lunghezze quelle del settore materiale. Addirittura, in molti casi, la situazione è rovesciata: il lavoro materiale è diventato per molti un hobby, legato a livelli modesti di competenza; mentre alcuni ruoli sociali, da sempre legati alla sfera non lavorativa (pensiamo al genitore, al cittadino, al volontario ecc.), sono diventati un lavoro caratterizzato da un alto grado di fatica e dalla necessità di sempre maggiori competenze. Per certi versi possiamo dire che anche essere consumatore, fruitore, cliente, utente è diventato un lavoro, che richiede fatica e competenze. Oggi i lavoratori dell'immateriale si trovano al centro della rivoluzione della luce. Siamo in presenza di un'ondata storica che vede il pianeta centrarsi sulle idee, le immagini, le persone più che sui campi, le miniere, i pozzi di petrolio: i lavoratori dell'immateriale da sempre privilegiano quelle su queste e, dunque, si trovano nella condizione di essere l'avanguardia della trasformazione. Proponiamo le seguenti riflessioni per rispondere ad una esigenza che in questa fase riteniamo importante, quella del “fare ordine” ed anche perché costituiscono l’orizzonte comune degli interventi di orientamento realizzati nelle varie attività progettuali, rappresentando una base condivisa circa concetti ed impianto delle azioni di orientamento.
La modalità stessa con cui queste riflessioni vengono presentate, volutamente non concettose, utilizzando talvolta un linguaggio evocativo e metaforico, consente di considerarle indicazioni di massima, un canovaccio da confrontare con gli interventi sviluppati e da sviluppare.
Si riportano di seguito le tre grandi categorie che caratterizzano l’orientamento in rapporto a specifici centri di interesse, legati a diversi fasi di transizione.
Esse devono inserirsi in un approccio di tipo globale e continuo (lifelong guidance), le differenze riguardano il centro d’interesse e la misura in cui si occupano di:
·                  orientamento scolastico in relazione alle scelte nel campo degli studi;
·                  orientamento professionale in relazione alle scelte professionali e all’inserimento nel mondo del lavoro;
·                  orientamento personale e sociale in relazione agli aspetti personali e sociali (difficoltà relazionali e comportamentali, di rapporto ambientale, ecc.).
I servizi (intesi come complesso di azioni tese al soddisfacimento dell’utente) offerti nell’ambito dei diversi approcci sopra citati possono ulteriormente articolarsi secondo la classica triripartizione: informazione, Formazione e Consulenza.
L’Informazione è vocata a fornire indicazioni utili per il proseguimento degli studi o per la scelta professionale attraverso guide, pubblicazioni, banche dati, mass media.
La Formazione ha lo scopo di aumentare - attraverso percorsi modulari di orientamento - la conoscenza di sé, sostenere e rafforzare l'individuo nelle fasi di transizione (empowerment).
La Consulenza si propone di aiutare - attraverso colloqui individuali o per piccoli gruppi - a fare il punto su di sé, sulla propria situazione formativa o lavorativa e a predisporre un progetto professionale.
L’area dell’informazione concerne il servizio di accoglienza, che si realizza attraverso un primo colloquio, finalizzato a introdurre l’utente ai servizi offerti dalla struttura ed a pervenire ad una prima definizione del quadro dei suoi bisogni.
Con il termine servizi/prodotti di informazione si indica l’insieme strutturato di azioni e mezzi attraverso i quali gli utenti accedono e fruiscono di indicazioni utili al proprio processo di orientamento. Fra questi alcune specifiche articolazioni sono le Guide, pubblicazioni specifiche, banche dati, Sportelli informativi (Consultazione autonoma o guidata) e Organizzazione di incontri pubblici e conferenze con esperti.
L’area della formazione ha attinenza con il servizio di formazione orientativa, che è costituito dalla progettazione ed erogazione di interventi formativi o di momenti strutturati e guidati di inserimento lavorativo, per specifici target di utenza, finalizzati allo sviluppo di capacità cognitive ed abilità legate ai processi di scelta ed alla raccolta ed analisi degli elementi del contesto ambientale di riferimento (es. sistema formativo, mercato del lavoro, professioni, aziende, etc.).
Tale area è il campo di applicazione privilegiato dei centri di formazione professionale, anche se la trasformazione in corso degli stessi come agenzie formative li vede sempre più impegnati - anche nelle aree successivamente descritte di consulenza e di sostegno - all’inserimento lavorativo. In particolare, la loro stretta cooperazione con le imprese - al fine di realizzare stages, come specifici periodi di alternanza nell’ambito di un corso di formazione professionale - li candida come principali promotori delle nuove modalità di tirocini orientativi e formativi.
L’area della consulenza  esplicita il servizio di consulenza orientativa, che si realizza fondamentalmente mediante un colloquio di sostegno orientativo che può essere individuale e/o di gruppo. La finalità è soprattutto esplorativa e i contenuti principali riguardano l’immagine di sé e il potenziale individuale, il rapporto del soggetto con l’esperienza formativa e l’esperienza di lavoro.
Una modalità particolare di consulenza orientativa è costituita dal bilancio di competenze, percorso di consulenza individuale rivolto a destinatari adulti con un bagaglio di esperienze e di competenze professionali e finalizzato alla realizzazione di un progetto professionale in una prospettiva di cambiamento e di sviluppo di carriera.
Tale consulenza si articola in colloqui individuali, laboratori di gruppo e attività di approfondimento personale. Un punto chiave è la valutazione delle competenze acquisite e la messa a punto di un portafoglio di competenze.
Il counselling presenta molti punti di analogia con la consulenza orientativa: lavora su contenuti analoghi, si caratterizza come relazione d’aiuto, prevede una restituzione finale all’utente.
Il counselling può essere condotto solo da esperti con una specifica formazione nell’ambito psicologico, in quanto interviene su aspetti legati alla personalità del soggetto.
I servizi a sostegno dell’inserimento lavorativo sono finalizzati a supportare il soggetto nella ricerca di opportunità di lavoro e di inserimento lavorativo o nella creazione di attività autonoma e si caratterizzano come servizi di confine rispetto all’orientamento e alla formazione. Fra questi possiamo segnalare:
·       Supporto nella ricerca di lavoro
·       Tutoring  per l’inserimento lavorativo
·       Orientamento e consulenza per la creazione di impresa.
Tra soggetti con caratteristiche diverse e in varie fasi della vita, l’orientamento sta assumendo tanta rilevanza per l’aumento e la diffusione che stanno avendo i momenti di passaggio e di transizione tra formazione e lavoro; l’alternanza tra lavoro/ non lavoro, tra lavoro dipendente/lavoro autonomo e la necessità e/o opportunità di cambiare settore economico e livello professionale.
Rispetto alle attività o servizi che un centro svolge, l’orientamento si può configurare come:
-                  servizio autonomo rivolto a raggruppamenti omogenei, a singoli soggetti, o a raggruppamenti diversificati;
-                  modulo autonomo rispetto alla formazione professionalizzante;
-                  modulo trasversale al percorso formativo (iniziale, in itinere, finale);
-                  modulo propedeutico ad un percorso mirato alla creazione d’impresa.
L’attività di orientamento é fondamentalmente una azione a sostegno di una scelta consapevole ed autonoma rispetto ad un personale percorso di formazione/lavoro. 
La consapevolezza é intesa come conoscenza delle condizioni soggettive (conoscenza di sé, dei propri interessi, curiosità, disponibilità, abilità e competenze); delle condizioni oggettive (mercato del lavoro, mappa delle opportunità formative e di lavoro di un determinato territorio e/o una determinata area professionale).
Sarebbe opportuno collocare al centro del processo di orientamento i soggetti; le relazioni di questi tra loro; le relazioni con la comunità ed i contesti di riferimento.
Non esistono per l’attività di orientamento soluzioni precostituite ne é possibile trovarne fuori dalla dinamica relazionale tra Soggetti e Comunità. Il percorso si caratterizza come ricerca della congruenza tra le condizioni oggettive e quelle soggettive e quindi alla fattibilità del percorso professionale di ciascuno.
Bisognerebbe strutturare un percorso a partire da sé, dalla conoscenza delle proprie potenzialità e di come queste possono essere spese in termini professionali, nel mondo, facendo un’analisi e lettura critica degli ambiti e dei contesti di riferimento. Segue l’attivazione del progetto, il ritorno a sé, la verifica della propria motivazione ai diversi ambiti professionali e lavorativi, lo sviluppo/rafforzamento dell’assertività, lo sviluppo/rafforzamento della decisionalità, lo studio di fattibilità sulla soluzione dei problemi e/o delle alternative emerse, l’elaborazione di un progetto (formativo lavorativo professionale).
Il progetto che si propone prevede una serie di step e cosa può essere basato almeno su tre modalità di azione; prevede:
·                  forma del lavoro
·                  area professionale
·                  settore
·                  ruolo
e si basa:
·                  sulla continuità
·                  sul cambiamento misurato
·                  sul cambiamento radicale
Le attività che si possono svolgere nell’ambito di un servizio sono l’accoglienza/prima informazione, l’informazione personalizzata, il colloquio/ consulenza, la progettazione di itinerari individualizzati di formazione/lavoro, la gestione e tutoraggio per stage e la conduzione di gruppi di orientamento (mirati, di breve durata); conduzione attività di bilancio di competenze e self-assement
conduzione di gruppi di “job club”.
I contenuti di massima di un percorso di orientamento possono essere i seguenti:
  • analisi delle proprie competenze, capacità, abilità, desideri e risorse. 
·       per i soggetti adulti e/o soggetti che hanno avuto diverse esperienze di vita e di lavoro,l’analisi si può articolare in un recupero, riconoscimento e valorizzazione di risorse, abilità ed energie ricavabili dalle precedenti esperienze e trasferibili in altri contesti;
·       studio/conoscenza della domanda ed offerta di lavoro in specifici settori economico produttivi;
·       analisi delle diverse aree e profili professionali;
·       acquisizione e/o rafforzamento di alcune competenze trasversali: comunicazione, relazionalità, progettazione, organizzazione e documentazione;
·       acquisizione di tecniche di ricerca del lavoro, redazione di curricula mirati e gestione dei colloqui di lavoro;
·       elaborazione di un piano personale di sviluppo professionale coerente e consapevole.
Gli approcci metodologici auspicabili sono i seguenti. Facendo riferimento alle buone pratiche esperite a livello nazionale ed internazionale, si propongono alcune linee metodologiche di base che potranno venire adattate ai diversi soggetti:
  • attivazione di situazioni ricavate da esperienze concretamente vissute e che, soprattutto per i soggetti femminili, diano rimandi significativi sulle loro risorse;
·       rilevanza all’aspetto relazionale nei gruppi di lavoro per rafforzare una delle competenze di tipo trasversale più importanti;
·       attenzione a ciò che i soggetti femminili pensano e dicono (attenzione al linguaggio, a non incorrere in stereotipi sessisti);
·       approcci di tipo esperienziale in grado - soprattutto per i soggetti più in difficoltà, più deboli - di favorire l’autostima;
·       sviluppo delle capacità di individuare problemi e di realizzare studi di fattibilità per la soluzione degli stessi;
·       approcci operativi che consentano lo sviluppo dell’assertività;
·       utilizzo di metodologie che implichino il coinvolgimento attivo dei soggetti, poiché la sicurezza di sé si rafforza nel provarsi e nel padroneggiare se stessi in situazione;
·       favorire situazioni nuove, in cui si possano sperimentare successi; proporre - nelle testimonianze, nella documentazione e nelle équipe di riferimento - figure femminili autorevoli, per favorire il superamento di stereotipi sessisti nei soggetti maschili (donne sesso debole, uomini sesso forte) e la proposizione di modelli di riferimento positivi per i soggetti femminili.







I CONTRATTI DI LAVORO E IL BADBOSSOLOGY IN AZIENDA. COME SALVARSI DAI “CATTIVI” CAPI!



di Giuseppina D’Auria
gdauria@hotmail.com

Le relazioni fra azienda e lavoratore sono estremamente varie, complesse e regolate da una serie di norme che definiscono le diverse tipologie di contratto fra le parti.
Chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro o chi decide di cambiare posizione lavorativa, si troverà di fronte ad un variegato panorama di contratti di lavoro, alcuni che seguono i vecchi e “tipici” modelli, altri più innovativi, in linea con la eccezionale espansione del “lavoro atipico”.
In questa sede cercheremo di spiegare i punti salienti delle diverse tipologie di contratto, evidenziando la tendenza, oggigiorno presente, verso una progressiva flessibilizzazione del rapporto impresa – lavoratore, conseguenza delle numerose leggi e riforme riguardanti il mercato del lavoro.
A proposito ricordiamo la Legge Finanziaria del 2004 (legge 24 dicembre 2003:), la Legge Finanziaria del 2005 ( Legge 30 dicembre 2004:) e la Legge sulla Competitività (Legge n.80/05 di conversione del D.L.35/05:), che modifica alcuni istituti della Riforma Biagi (Legge 30/03).
L’obbiettivo ultimo di questa serie di riforme è incrementare i tassi di occupazione regolare e migliorare la qualità del lavoro. Per questo motivo si è deciso di intervenire proprio sulle caratteristiche del lavoro atipico, contrastando l’abuso di forme improprie di flessibilità e introducendo nuove tipologie di lavoro modulato e flessibile.
Le forme contrattuali attuali, classificabili in quattro categorie, sono le seguenti.
Il contratto di lavoro subordinato è l’accordo con il quale il lavoratore si impegna a prestare la propria attività lavorativa all’interno dell’organizzazione produttiva del datore di lavoro, tenuto a pagare la retribuzione. Dal contratto scaturiscono obblighi per le due parti: il lavoratore, per esempio,dovrà osservare le direttive impartitagli dal datore per lo svolgimento del lavoro, mentre quest’ultimo dovrà, oltre che pagare la retribuzione, garantire la sicurezza nell’ambiente di lavoro.
Una delle clausole più comuni di questa tipologia di contratto è il patto di prova, la cui durata, generalmente prevista dai contratti collettivi, non può superare per legge i sei mesi, e dovrà essere stipulata in forma scritta prima dell’inizio dei rapporti di lavoro, pena la nullità.
Di seguito le tipologie di contratto di lavoro subordinato:
Apprendistato: rapporto in cui l’imprenditore si impegna a impartire/o far impartire la formazione necessaria affinché il lavoratore possa conseguire la capacità tecnica per diventare qualificato.
Contratto di Inserimento: contratto che sostituisce il precedente “Contratto di Formazione e Lavoro”. Il Contratto di Inserimento lavorativo porta all’inserimento, o al reinserimento, del lavoratore nel mercato del lavoro mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del soggetto a un determinato contesto lavorativo. È un contratto a termine, di durata non inferiore a 9 mesi e non superiore a 18 mesi (nel caso di portatori di handicap può arrivare fino a 36 mesi).
Contratto a Tempo Determinato: il contratto di lavoro a termine può essere stipulato quando vi siano ragioni di ordine tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che richiedono un incremento di manodopera per un periodo di tempo limitato. Si può pensare, ad esempio, ad incrementi di attività dovuti a circostanze eccezionali, alle attività stagionali, alla sostituzione di lavoratori assenti per malattia, ferie, ecc. L’assunzione a termine non è invece ammessa nei seguenti casi: per sostituire lavoratori in sciopero; per le aziende che abbiano effettuato licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti l’assunzione (salvo alcuni casi particolari indicati dalla legge); per le aziende che sono ammesse alla Cassa Integrazione Guadagni; per le aziende non in regola con la normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Lavoro Ripartito (job sharing): il lavoro ripartito, o job sharing, è uno speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori assumono insieme l’adempimento di un’unica ed identica obbligazione lavorativa. I prestatori si impegnano pertanto a coprire la prestazione lavorativa e possono determinare a tal fine discrezionalmente e in qualsiasi momento sostituzioni tra loro; possono modificare consensualmente la collocazione temporale dell’orario di lavoro, anche per sopperire all’impossibilità della prestazione da parte di uno dei due.
Lavoro Intermittente (job on call): il lavoro intermittente è un contratto mediante il quale un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro, che può utilizzare la prestazione lavorativa quando ne ha effettivo bisogno. Questo tipo di contratto può essere instaurato sia a tempo determinato che a tempo indeterminato e, diversamente dal contratto di somministrazione, è stipulato direttamente tra datore di lavoro e lavoratore. Questa tipologia di contratto può essere indirizzata solo a giovani disoccupati con meno di 25 anni e a lavoratori con più di 45 anni “espulsi” dal ciclo produttivo (licenziati o iscritti in lista di mobilità e presso i Centri per l’impiego come disoccupati). I lavoratori che non rientrano in queste categorie possono stipulare questo tipo di contratto solo per prestazioni discontinue e non individuate dai contratti collettivi di lavoro o, in assenza, dal Ministero del Lavoro con apposito decreto ministeriale.
Somministrazione di lavoro: contratto che sostituisce il precedente “Lavoro Interinale”. Con la somministrazione di lavoro si instaura un particolare tipo di contratto di lavoro subordinato che coinvolge tre soggetti: il somministratore, l’utilizzatore e il lavoratore. Il lavoratore è assunto dal somministratore, ma viene inviato a svolgere la propria attività presso l’utilizzatore (c.d. missione). Tra somministratore e utilizzatore viene stipulato un contratto di fornitura di manodopera, che è un normale contratto commerciale.
Part-Time: il contratto di lavoro a tempo parziale prevede un orario inferiore rispetto a quello normale indicato dalla legge o dal contratto collettivo. Si distinguono tre tipologie di lavoro part-time: Orizzontale (riduzione dell’orario normale giornaliero di lavoro); Verticale (attività lavorativa svolta a tempo pieno ma limitatamente a periodi determinati della settimana, mese e anno) e Misto (combinazione dei precedenti).
Lavoro a progetto: il lavoro a progetto sostituisce la precedente accezione di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, regolamentandone sia la forma contrattuale che la finalità. Il contratto di lavoro a progetto deve avere forma scritta e deve indicare: la durata (determinata o determinabile in base al raggiungimento di un determinato obiettivo); il progetto; il programma o la forma di lavoro; l’ammontare del corrispettivo erogato; l’indicazione dei tempi e modi di pagamento; l’indicazione delle modalità di retribuzione di determinati rimborsi o spese; le forme di coordinamento del lavoratore con il committente e le misure di sicurezza adottate nei confronti del lavoratore.
Lavoro occasionale: la collaborazione occasionale è caratterizzato da un duplice requisito: durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente e un compenso non superiore a cinque mila euro nello stesso anno solare e con lo stesso committente.
Il contratto di lavoro parasubordinato si pone al confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, presentando elementi tipici dell’uno e dell’altro.
Questa forma contrattuale non prevede l’instaurarsi di un rapporto di lavoro dipendente, ma è una prestazione lavorativa in cui le modalità di lavoro, la durata ed il relativo compenso sono stabiliti da un contratto stipulato dalle parti.
Tale contratto non obbliga né all’iscrizione ad albi professionali, né l’apertura di una partita IVA ed è applicabile a chiunque: disoccupato, inoccupato o in cerca di altra occupazione (Art.2094 c.c; D.Lgs. 26 maggio 1997; Art.2106 c.c.).
Di seguito le tipologie di lavoro parasubordinato:
Collaborazioni Coordinate Continuative: i collaboratori coordinati e continuativi sono lavoratori che svolgono la loro attività con regole stabilite in un contratto di lavoro individuale nel quale sono fissati la durata, le modalità e il compenso del lavoro. Questo tipo di contratto non prevede automaticamente l’unicità della prestazione, pur potendo prevedere in alcuni casi l’esclusività. Il lavoratore, quindi, può accedere ad altri contratti di collaborazione, a meno che non ci sia un esplicito divieto dettato da una norma precisa del contratto individuale. La collaborazione coordinata e continuativa non obbliga all’apertura di partita Iva.
Lavoro a Progetto: si tratta di nuovo contratto recentemente regolato dal decreto legislativo 276/03 con l’intento teorico di limitare l’uso di quelle collaborazioni coordinate e continuative, che - avvalendosi di un ridotto costo del lavoro - nella sostanza mascherano rapporti di lavoro dipendente. In realtà anche la nuova norma, senza un adeguato intervento della contrattazione collettiva, consente di celare dietro a un contratto a progetto un rapporto di lavoro dipendente a tutti gli effetti.
Collaborazioni occasionali: si tratta di “attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mondo del lavoro, ovvero in procinto di uscirne” (art. 70, comma 1). L’istituto in esame è una novità introdotta dalla legge di riforma del mercato del lavoro. Tale scelta legislativa risponde a due diverse finalità: da un lato, l’intento di tutelare quelle forme di lavoro che, per il loro carattere “secondario” e discontinuo, rischiano di sfuggire alle tutele fornite dalle disposizioni legislative, rimanendo spesso nel mondo del sommerso; dall’altro, l’impegno a favorire l’inserimento di fasce cosiddette “deboli” nel mondo del lavoro.
Possiamo definire “lavoro autonomo” qualsiasi prestazione compiuta senza vincoli di subordinazione; sono attività di lavoro autonomo, per il Codice Civile, sia quelle svolte dagli imprenditori sia quelle svolte dai professionisti, dagli artisti, dai consulenti
Appalto: l’appalto è il contratto con il quale una parte assume con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.
Associazione in Partecipazione :l’associazione in partecipazione è disciplinata dall’art. 2594 c.c. è consiste nell’apporto in capitale o in prestazione lavorativa, che l’associato da ad una impresa in cambio della partecipazione agli utili della stessa.
Va evidenziato che la gestione della società resta interamente nelle mani del titolare anche se la sua gestione dovrà essere improntata in modo tale da non pregiudicare le aspettative dell’associato.
Tale rapporto, pertanto, non origina un rapporto associativo.
Lavoro Accessorio: per prestazioni di lavoro accessorio s’intendono tutte le attività lavorative occasionali rese da soggetti che non hanno ancora fatto ingresso nel mercato del lavoro o che rischiano l’esclusione sociale. La attività non può superare i 30 giorni nel corso dell’anno e non dà luogo a compensi maggiori di 3000 euro complessivi. Nello specifico, possono utilizzare questo contratto, i lavoratori extracomunitari, i pensionati, gli studenti, le casalinghe, i disoccupati da oltre un anno, i disabili e le persone in comunità di recupero rivolgendosi ai servizi per l’impiego delle province nell’ambito territoriale di riferimento.
Lavoro Autonomo Occasionale: questo contratto disciplina l’affidamento di un incarico ad un qualsiasi soggetto (lavoratore dipendente, autonomo, professionista, pensionato, disoccupato, studente, ecc.) per una prestazione di lavoro occasionale, svolta nella piena autonomia, al di fuori della struttura organizzata del committente, libera da vincoli di orario e senza carattere di continuità o ripetitività dell’incarico.
Altre forme di lavoro:
Tirocinio (Stage): contrariamente al contratto di lavoro, l’obiettivo principale del contratto di tirocinio non consiste nella prestazione lavorativa eseguita dietro retribuzione, bensì nella formazione della persona in formazione. Le disposizioni legali del contratto di lavoro si applicano in generale anche al contratto di Tirocinio, ma questo contratto comporta anche altre disposizioni particolari. Il contratto di lavoro dei/delle tirocinanti deve in particolare essere concluso per iscritto e approvato dall’ autorità competente designata dal cantone. In linea di massima il contratto di tirocinio viene concluso per tutta la durata della formazione professionale di base. Trascorso il periodo di prova, il contratto non può più essere disdetto fino al termine della formazione, salvo nel caso in cui la disdetta venga data per cause gravi.
Tirocini Estivi di Orientamento: la legge li definisce come tirocini promossi durante le vacanze estive a favore di un adolescente o di un giovane, regolarmente iscritto a un ciclo di studi (università o qualsiasi istituto scolastico di ogni ordine e grado) con fini orientativi e di addestramento.
Piani di Inserimento Professionale: hanno lo scopo di migliorare la formazione e di facilitare l’inserimento professionale dei giovani nelle aree del mezzogiorno e nelle altre aree depresse. I progetti sono realizzati dal Ministero del lavoro d’intesa con le regioni interessate e prevedono periodi di formazione e di esperienze lavorative presso le imprese.
Al termine il datore di lavoro può assumere il giovane con Contratto di Formazione Lavoro.
Esiste, al di là di ogni discorso sulle tipologie contrattuali, un problema molto serio: quello dei cattivi capi che danneggiano l’azienda
Badbossology: significa letteralmente “proteggere le persone e le aziende dai cattivi capi”. Manager poco educati, aggressivi oltre misura e persecutori nei confronti degli altri possono danneggiare sia la salute del singolo individuo che la redditività dell’azienda. Analizziamo questa nuova patologia lavorativa e vediamo le possibilità di intervento.
Nel mondo del lavoro si sta assistendo ad un fenomeno sempre più specifico dell’estrema flessibilità e mobilità del mercato: “cattivi capi” che gestiscono male i collaboratori e l’azienda. Un esempio della diffusione del fenomeno? Con Google si possono trovare oltre 33mila voci che trattano il problema!
La tendenza è in aumento, come dimostrano gli studi della SDA Bocconi, dove molti manager si trovano a convivere con capi o colleghi impossibili.
In America i ricercatori della Marshall Schoool of Business hanno calcolato che il numero di impiegati maltrattati dai boss almeno una volta alla settimana è passato dal 20% del 1998, al 48% del 2005.
Il rischio di stress eccessivo è serio, poiché, come dice Richard Conniff, autore di uno studio specifico sul tema, un capo sgradevole può provocare l’aumento del cortisolo, l’ormone dello stress, minando lo stato psicofisico del lavoratore.
Secondo le psicoterapiste Katherine Crowley e Kathi Elster, autrici di “Lavorare con te mi sta uccidendo”, ci sono cinque profili di badboss.
Il “ladro di idee” si appropria delle idee altrui, spacciandole per sue, mostrando così ai superiori le sue qualità e negando l’apporto degli altri.
Per “incontentabile”, si intende quel capo che pensa di essere solo lui l’unico bravo in azienda. Gli altri sbagliano e non danno mai il massimo e l’eccellenza negli altri non esiste. Per ogni parola di lode ne segue una dove si evidenzia il limite del proprio collaboratore.
L’egocentrico pensa che l’azienda sia un enorme teatro dove deve essere messo in scena il suo show. Non delega, poiché non reputa gli altri capaci quanto lui. E non sopporta nemmeno le critiche: anche quando sbaglia nega l’errore, inventando scuse anche incredibili!
Per “inamovibile” si intende quel capo che ossequia sempre i superiori e non genera nessun attrito con i colleghi e viene premiato per anzianità e non per le capacità.
Il “seduttore” invece è convinto che la via per il successo passi attraverso il suo fascino. La via più breve è sempre la migliore da seguire e gli errori vanno nascosti e mai svelati.
In Italia il modello di “badboss” più diffuso è l’egocentrico che tratta gli altri come “bimbi scemi”, per usare le parole di Beatrice Bauer, psicologa alla SDA Bocconi.
Il sistema italiano è organizzato principalmente in modo top-down, un modello insostenibile per molti stranieri, dove il peer-to-peer risulta, sopratutto nel sistema anglosassone, vincente.
Siete maltrattati dal capo? Per Crowley e Elster è sufficiente rispondere a cinque domande per capire se siete vittima di un “cattivo capo”: 1) vi sentite spesso manipolati da lui/lei?; 2) relazionarvi con lui non vi fa dormire bene?; 3) per sopportare questa relazione patologica abusate di cibo, alcool o medicinali?; 4) pensate che l’autostima sia calata da quando avete iniziato a lavorare con lui/lei?; 5) avete iniziato a dubitare delle vostre capacità?
Se la risposta è sì alla maggior parte delle domande, almeno quattro su cinque, allora è il caso di pensare di cambiare lavoro, oppure ufficio. Oppure bisogna affrontare il capo, mostrando che siete cattivi almeno quanto lui!
 

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