articolo di Giuseppina D’Auria
Leggendo il saggio di Marie-France
Hirigoyen dal titolo Molestie morali. La
violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, edito da Einaudi nel 2000 e
tradotto da Monica Guerra ci si rende subito conto che ognuno di noi, almeno
per una volta nella vita, ha vissuto la stessa esperienza: è possibile
distruggere qualcuno anche soltanto con le parole, gli sguardi ed i sottintesi; espressioni come violenza perversa o molestia morale si
riferiscono a questo tipo di situazioni. È un saggio appassionato sulla
sottile violenza che lascia segni nel cuore e nella psiche.
È certo che “la perversione e la
malignità serpeggino liberamente, ma soprattutto impunemente, dietro la
facciata della nostra vita quotidiana”; in
Francia è stata istituita una cattedra universitaria in vittimologia e vengono svolte
ricerche e stage di formazione presso
aziende pubbliche e private sulle molestie morali.
Questo
libro affronta un tema di drammatica attualità, che comincia a essere studiato
dagli psicologi e considerato anche dalle organizzazioni del lavoro. Il
"mobbing" è al centro dell'attenzione di molte riviste e giornali.
Con l'apporto di numerose testimonianze, l'autrice analizza le peculiarità dei
rapporti perversi e mette in guardia contro ogni tentativo di banalizzazione.
Che si tratti di una coppia, di una famiglia o degli impiegati di un'azienda,
il processo che porta le vittime nella spirale della depressione, se non al
suicidio, è lo stesso.
Affrontando alla larga il discorso facciamo riferimento alle esigenze ed ai
mutamenti dell’attuale paradigma formativo-lavorativo entro il quale ognuno è
chiamato a re-interpretare le proprie capacità e competenze professionali
ed a mediare le esigenze avanzate dall’innovazione
scientifico-tecnologica con la propria domanda formativa.
Poiché attualmente il lavoro è inteso
come una delle manifestazioni dei molteplici ruoli del soggetto, desideriamo esporre
brevemente delle situazioni devianti
dalla norma in termini di molestie morali e della loro trattazione nel
sistema giuridico italiano. La molestia morale è una violenza che non si
manifesta sul piano fisico ma si esercita attraverso sottintesi,
allusioni, sgarbi che si ripetono fino a diventare ossessivi.
In Italia una donna su cinque
subisce violenze da parte del partner, in Francia una su nove. Le violenze
accertate risultano comunque sempre inferiori a quelle realmente perpetrate, in
ragione dell'omertà, della paura, dell'ignoranza delle vittime.
Troppo spesso del fenomeno si
riscontra soltanto la parte visibile, ossia l'aggressione fisica. Sebbene sia
la prima a essere scoperta e quindi denunciata, questa costituisce solo un
aspetto del problema, la parte emersa dell'iceberg. Tutto ha inizio ben prima
di zuffe e botte; in principio ci sono comportamenti impropri, intimidazioni,
microviolenze che preparano il terreno. Parlando di "donne
picchiate", nascondiamo l'essenza del problema. In realtà, è impossibile
fare una distinzione fra violenza psicologica e violenza fisica perché, quando
un uomo picchia la propria donna, la sua intenzione non è quella di farle un
occhio nero, ma piuttosto mostrarle che è lui a comandare e lei non deve far
altro che comportarsi bene. Lo scopo della violenza è sempre il dominio.
Le molestie morali sono in
agguato ovunque, all’interno del matrimonio e nella vita sociale in genere, nei
rapporti con il partner, i figli, i familiari, gli amici, i conoscenti, al
telefono con uno sconosciuto, nel traffico delle ore di punta, sulla strada per
le vacanze. “Le molestie morali, dice Marie-France Hirigoyen, sono anche e
soprattutto sul lavoro”. “E’ senz’altro vero che ciò che accade a volte sul
lavoro è perverso, ingiusto e immorale, tuttavia il termine molestie morali, quando viene applicato
sul lavoro si rivela, purtroppo, un mero eufemismo.
Ogni uomo interagisce con gli
altri mettendo in gioco se stesso attraverso l’esercizio delle proprie
competenze. La competenza è intesa come “autonoma e responsabile progettualità
esistenziale, rivolta in una pluralità di direzioni, impegnata sul piano
interpersonale e collettivo a stabilire rapporti solidali tesi al
riconoscimento e al rispetto della differenza ed a promuovere, insieme, la
propria e altrui realizzazione”.
Torniamo sull’argomento della formazione, nel caso specifico della formazione
lungo l’arco di vita, con lo scopo di rendere autentico ed efficace un percorso
che si realizza a partire dalla domanda
di formazione secondo i nostri bisogni e progettualità.
Ci opponiamo ad una impostazione
educativa preordinata e preconfezionata,
senza orientamento alle singole progettualità. Avvertiamo l’esigenza di
riqualificare sul piano professionale e aggiungere nuove competenze per
rispondere meglio le richieste e sollecitazioni che ci vengono rivolte dalla
“costante flessibilità dei ruoli”.
Avvertiamo, inoltre, una diffusa
“mania di protagonismo esistenziale” al quale non vogliamo e non possiamo
sottrarci, con presumibili conseguenze e ricadute sul tessuto sociale di
appartenenza. Investire su se stessi è un obiettivo prioritario, che prevede
una progettualità educativa che inizia da lontano, e cioè dall’adolescenza,
secondo un principio didattico e “interattivo” che tenga conto dei principi
della mobilità, della flessibilità, della conversione ma anche dei propri
valori e “desiderata”, rendendo tali percorsi intrecciati consapevolmente e trasversalmente
alle correnti e alle mode dominanti.
Si tratta di costruire il proprio
baricentro in un mare in tempesta, dove flutti e correnti non hanno più le regole cicliche della
natura.
Parliamo di manie di protagonismo esistenziale in quanto, in questo tempo,
nessuno può ritenersi competente definitivamente e compiutamente. L’obiettivo
da raggiungere è il sapere imparare
per “transitare tra diversi saperi con flessibilità cognitiva e disponibilità
al cambiamento”. Ciò comporta l’avere la
consapevolezza dei propri bisogni e prevede la possibilità del cambiamento
esistenziale vissuto come movimento
naturale non destabilizzante. Ciò è una
autentica competenza che permette di organizzare un ventaglio di possibilità
spendibili in direzioni e contesti diversi, quali elementi “vantaggiosi”, che
ci rendono autonomi, e non omologhi transformative
learning, in grado di performance, abilità e capacità mutevoli e
multisfaccettate.
In stretta correlazione con le
competenze professionali, assumono un rilievo sempre maggiore gli aspetti
emotivo-affettivi e relazionali, in considerazione del fatto che, l’organizzazione
sociale del lavoro insiste sul lavoro di gruppo e sulle capacità dei singoli e
dei gruppi di interazione, a tutti i livelli organizzativi, per fronteggiare e
gestire i processi di trasformazione e mutamento.
Vengono premiate le “strategie di
fronteggiamento” nei confronti degli
agenti stressanti esterni e\o interni. A tale scopo, vengono sempre più
utilizzate nella formazione professionale, iniziale, ricorrente, i concetti e
gli scenari relativi alle qualità delle relazioni interpersonali, gli schemi, i
copioni comunicativi e interattivi, messi in gioco nell’espletamento dei ruoli,
l’ascolto attivo, l’analisi
transazionale, i role-playing e tutte
le strategie di derivazione clinica e psicoterapica.
Contrariamente a quanto si pensa
di solito, non dobbiamo e non possiamo evitare lo stress ma possiamo incontrarlo in modo efficace e trarne
vantaggio imparando di più dai suoi meccanismi.
Crediamo di poter essere telegrafici
sulle questioni teoriche che riguardano lo stress occupazionale. L’U.E. ha dato
suggerimenti molto chiari in proposito, sin dal 2002, in occasione della
settimana europea per la prevenzione dello stress occupazionale. I cardini del
fenomeno “stress occupazionale” sono: domanda, controllo, ricompensa. Quando
uno di questi elementi viene attaccato può entrare in crisi tutto il sistema e
ciò può determinare non solo disagio ma anche malattia e morte.
Le conclusioni dell’U.E. sono nel
senso di organizzare il lavoro adattandosi all’uomo e non viceversa; riteniamo
che tali indicazioni oltre a dover essere globalizzate
trovino supporto giuridico in alcuni aspetti della legge 626 del 1994.
In questo lavoro vogliamo
considerare solo gli aspetti del problema legati alle molestie morali, sia
emozionali che strategiche.
Il mobbing, dall’inglese “to mob”
(aggredire, attaccare), viene definito come “terrore psicologico sul posto di
lavoro” e si manifesta con atti e strategie persecutorie nei confronti della
vittima (mobbizzato/a). Secondo l’Unione Europea nei Paesi membri ci sono circa
12 milioni di persone che subiscono intimidazioni sul luogo di lavoro, pari
all’8% della popolazione attiva. In Italia il fenomeno, ancora sottostimato, si
attesta sul 4% di vittime tra la popolazione attiva.
La giurisprudenza italiana sta
mostrando sempre più una maggiore sensibilità verso questo tipo di problemi,
sia attraverso l’emanazione di leggi ad hoc, come la 626/94, sia attraverso le
sentenze che richiamano esplicitamente i danni biologici e psicologici
derivanti da azioni di mobbing sul luogo di lavoro.
Le relazioni fra azienda e
lavoratore sono estremamente varie, complesse e regolate da una serie di norme
che definiscono le diverse tipologie di contratto fra le parti.
Chi entra per la prima volta nel
mercato del lavoro o chi decide di cambiare posizione lavorativa, si troverà di
fronte ad un variegato panorama di contratti di lavoro, alcuni che seguono i
vecchi e “tipici” modelli, altri più innovativi, in linea con la eccezionale
espansione del “lavoro atipico”.
In questa sede cercheremo di spiegare i punti salienti delle diverse tipologie
di contratto, evidenziando la tendenza, oggigiorno presente, verso una
progressiva flessibilizzazione del rapporto impresa – lavoratore, conseguenza
delle numerose leggi e riforme riguardanti il mercato del lavoro. Sarebbe
auspicabile, in ogni luogo di lavoro, l’adozione di un codice che si inserisca all’interno
degli indirizzi legislativi finalizzati a garantire la tutela della salute psico-fisica
e a quelli che richiamano l’adozione di nuove misure e strumenti, in grado di
garantire i fondamentali diritti civili tramite la rimozione degli ostacoli e
dei pregiudizi.
Per tali fini è
importante prevenire e contrastare l’insorgere di azioni lesive della dignità e
dell’iniziativa personale e della massima espressione delle capacità
individuali, sia sul fronte dell’organizzazione del lavoro che su quello delle
singole relazioni interpersonali, per evitare l’instaurarsi di fenomeni di
prevaricazione e di molestia morale, e sensibilizzare a comportamenti che
tutelino e valorizzino il benessere psico-fisico delle persone, come valore
fondamentale della "salute".
Anche per il
raggiungimento degli obiettivi aziendali, sarebbe opportuno prevenire l’instaurarsi
ed il consolidarsi di quei comportamenti che ledono le fondamentali regole del
rispetto e della collaborazione fra le persone, considerato che ciò ha diretta
ricaduta sulla qualità delle prestazioni e delle relazioni.
Per molestia morale sul luogo di lavoro si intende qualunque condotta
impropria che si manifesti attraverso comportamenti, parole, atti, gesti,
scritti capaci di arrecare offesa alla personalità o all’integrità fisica o
psichica di una persona, di metterne in pericolo l’impiego o di degradarne il
clima lavorativo. Fanno parte di questo ambito anche forme di terrorismo
psicologico esercitato sul luogo di lavoro (Mobbing), che hanno come scopo
quello di emarginare una persona fino a rischiare di distruggerla
psicologicamente.
A titolo meramente esemplificativo sono individuate, tra le più diffuse,
le seguenti forme di molestia morale in ambito lavorativo:
·
calunniare o diffamare un lavoratore;
·
negare deliberatamente informazioni relative al lavoro, oppure fornire
informazioni non corrette al riguardo;
·
sabotare o impedire in maniera deliberata l’esecuzione del lavoro;
·
escludere il lavoratore oppure boicottarlo o disprezzarlo;
·
esercitare minacce o avvilire la persona;
·
insultare o assumere atteggiamenti ostili in modo deliberato;
·
emarginare il lavoratore da progetti che potrebbero essere condivisi
con carattere sistematico, duraturo e intenso.
Gli atti vessatori, le critiche ed i maltrattamenti, per avere il
carattere di violenza morale, devono mirare a discriminare, screditare o comunque
danneggiare il lavoratore nella propria carriera, status, potere formale,
potere informale e nella propria integrità di persona.
Effetto di tali
atti vessatori può essere la sottostima sistematica dei risultati o
l’attribuzione di incarichi molto al di sopra o troppo al di sotto delle
proprie possibilità professionali.
Il danno di
natura psichica o fisica provocato dagli atti sopradescritti è di rilevante
gravità quando pregiudica l’autostima del lavoratore/trice, ovvero si traduce
in forme depressive che possono manifestarsi con atteggiamenti apatici,
aggressivi o di isolamento e di demotivazione, oppure con disturbi di natura
psicosomatica.
Costituisce
molestia sessuale ogni atto o comportamento, anche verbale, a connotazione
sessuale o comunque basato sul sesso, che sia indesiderato e che arrechi, di
per sé o per la sua insistenza, offesa alla dignità e libertà della persona che
lo subisce, ovvero sia suscettibile di creare un ambito di lavoro
intimidatorio, ostile e dominante nei suoi confronti.
E’ inoltre da
intendersi molestia sessuale ogni atto o comportamento che, esplicitamente o
implicitamente, influenzi le decisioni dell’Amministrazione riguardanti
l’assunzione, il mantenimento del posto, la formazione professionale, la
carriera, gli orari, gli emolumenti o altro aspetto della vita lavorativa.
Costituiscono
molestie morali e persecuzioni psicologiche, nell’ambito dell’attività
lavorativa, quelle azioni che mirano a danneggiare una lavoratrice o un
lavoratore e che sono svolte con carattere sistematico, duraturo e intenso da
superiori, pari grado, inferiori e datori di lavoro.
E’ inoltre da intendersi molestia morale o psicologica ogni atto o
comportamento che esplicitamente o implicitamente, sia lesivo della integrità e
della dignità della persona o che ne limiti le potenzialità professionali.
Rientrano nella tipologia della
molestia sessuale e/o della discriminazione, comportamenti quali:
a) Richieste esplicite o implicite di prestazioni sessuali o attenzioni a
sfondo sessuale non gradite e ritenute sconvenienti e offensive per chi ne è
oggetto;
b) Minacce, discriminazioni e ricatti, subiti per aver respinto comportamenti a
sfondo sessuale che incidano, direttamente o indirettamente, sulla
costituzione, lo svolgimento o l’estinzione del rapporto di lavoro e la
progressione di carriera;
c) Contatti fisici fastidiosi e indesiderati;
d) Apprezzamenti verbali offensivi sul corpo e sulla sessualità;
e) Gesti o ammiccamenti provocatori e disdicevoli a sfondo sessuale;
f) Esposizione nei luoghi di lavoro di materiale pornografico;
g) Scritti ed espressioni verbali denigratori e offensivi rivolti alla persona
sia per l'appartenenza a un determinato sesso o in ragione della diversità di
espressione della sessualità.
Rientrano nella tipologia delle molestie
morali e delle persecuzioni psicologiche comportamenti quali:
a) Atti vessatori e persecutori;
b) Critiche e maltrattamenti verbali esasperati;
c) Offese alla dignità e umiliazioni;
d) Delegittimazione di immagine, anche di fronte a soggetti esterni all’Ente;
e) Comportamenti mirati a discriminare, screditare o comunque danneggiare la
lavoratrice o il lavoratore nella propria carriera, status, potere formale e
informale, grado di influenza sugli altri;
f) Rimozione da incarichi, esclusione o immotivata emarginazione dalla normale
comunicazione aziendale, sottostima sistematica dei risultati, attribuzione di
compiti inadeguati alle reali possibilità professionali o alla condizione
fisica e di salute.
Al fine di garantire le migliori condizioni
di vita nei luoghi di lavoro e a difesa di norme comportamentali idonee ad
assicurare un clima relazionale nel quale a tutte le persone siano riconosciuti
uguali dignità e rispetto, l’Azienda dovrebbe:
·
Riconoscere che la qualità della prestazione è condizionata sia dalla
professionalità tecnica, etica, deontologica di ogni operatore ed anche dalla
valorizzazione della sua dignità professionale e personale. Pertanto ogni
operatore dovrebbe venire sensibilizzato a tali valori e stimolato a stabilire
buoni rapporti di collaborazione con colleghi e altre figure professionali
adoperandosi a costruire un clima rispettoso delle diverse individualità.
·
Essere impegnata a ostacolare tutti quegli atteggiamenti offensivi che
ledendo i diritti umani, civili, culturali, religiosi, contrastano palesemente
con una società civile e democratica.
·
Attivarsi affinché vengano particolarmente perseguite e superate le
violenze morali e le modalità comunicative di tipo ostile che sono uno degli
aspetti più deleteri del clima lavorativo. Finalità degli interventi preventivi
sarebbe pertanto quella di costruire un clima relazionale dove la gestione
stessa dei conflitti venga realizzata in modo più sano e consapevole.
·
La prevenzione dovrebbe venire attuata
attraverso specifici trainings di formazione
dei dirigenti. Tali interventi formativi sarebbero rivolti alla gestione del
clima relazionale nell’ambito dei singoli settori o servizi e alla
valorizzazione delle risorse umane, nonché alle necessarie modifiche
all’organizzazione del lavoro laddove necessarie a tal fine.
A proposito ricordiamo la Legge Finanziaria del 2004 (legge
24 dicembre 2003:), la Legge Finanziaria del 2005
( Legge
30 dicembre 2004:) e la Legge sulla Competitività
(Legge n.80/05 di
conversione del D.L.35/05:), che
modifica alcuni istituti della Riforma Biagi (Legge
30/03).
L’obbiettivo ultimo di questa serie di riforme è incrementare i tassi di
occupazione regolare e migliorare la qualità del lavoro. Per questo motivo si è
deciso di intervenire proprio sulle caratteristiche del lavoro atipico,
contrastando l’abuso di forme improprie di flessibilità e introducendo nuove
tipologie di lavoro modulato e flessibile.
Le forme contrattuali attuali,
classificabili in quattro categorie, sono le seguenti: 1-Lavoro subordinato, 2- lavoro parasubordinato, 3- lavoro autonomo e 4- altre
forme di lavoro.
Il contratto di lavoro subordinato è l’accordo con il quale il lavoratore
si impegna a prestare la propria attività lavorativa all’interno
dell’organizzazione produttiva del datore di lavoro, tenuto a pagare la
retribuzione. Dal contratto scaturiscono obblighi per le due parti: il
lavoratore, per esempio, dovrà osservare le direttive impartitegli dal datore
per lo svolgimento del lavoro, mentre quest’ultimo dovrà, oltre che pagare la
retribuzione, garantire la sicurezza nell’ambiente di lavoro.
Una delle clausole più comuni di
questa tipologia di contratto è il patto di prova, la cui durata, generalmente
prevista dai contratti collettivi, non può superare per legge i sei mesi, e
dovrà essere stipulata in forma scritta prima dell’inizio dei rapporti di
lavoro, pena la nullità.
Di seguito le tipologie di contratto di lavoro subordinato:
Apprendistato: rapporto in cui
l’imprenditore si impegna a impartire/o far impartire la formazione necessaria
affinché il lavoratore possa conseguire la capacità tecnica per diventare
qualificato. Contratto
di Inserimento: contratto che sostituisce il precedente
“Contratto di Formazione e Lavoro”. Il Contratto di Inserimento lavorativo
porta all’inserimento, o al reinserimento, del lavoratore nel mercato del lavoro
mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali
del soggetto a un determinato contesto lavorativo. È un contratto a termine, di
durata non inferiore a 9 mesi e non superiore a 18 mesi (nel caso di portatori
di handicap può arrivare fino a 36 mesi).
Contratto a Tempo Determinato:
il contratto di lavoro a termine può essere stipulato quando vi siano ragioni
di ordine tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che richiedono un
incremento di manodopera per un periodo di tempo limitato. Si può pensare, ad
esempio, ad incrementi di attività dovuti a circostanze eccezionali, alle
attività stagionali, alla sostituzione di lavoratori assenti per malattia,
ferie, ecc. L’assunzione a termine non è invece ammessa nei seguenti casi: per
sostituire lavoratori in sciopero; per le aziende che abbiano effettuato
licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti l’assunzione (salvo alcuni
casi particolari indicati dalla legge); per le aziende che sono ammesse alla
Cassa Integrazione Guadagni; per le aziende non in regola con la normativa in
materia di sicurezza sul lavoro.
Lavoro Ripartito (job sharing): il lavoro ripartito, o job sharing, è uno speciale contratto di
lavoro mediante il quale due lavoratori assumono insieme l’adempimento di
un’unica ed identica obbligazione lavorativa. I prestatori si impegnano
pertanto a coprire la prestazione lavorativa e possono determinare a tal fine
discrezionalmente e in qualsiasi momento sostituzioni tra loro; possono
modificare consensualmente la collocazione temporale dell’orario di lavoro,
anche per sopperire all’impossibilità della prestazione da parte di uno dei
due.
Lavoro Intermittente (job on call): il lavoro intermittente è un
contratto mediante il quale un lavoratore si mette a disposizione di un datore
di lavoro, che può utilizzare la prestazione lavorativa quando ne ha effettivo
bisogno. Questo tipo di contratto può essere instaurato sia a tempo determinato
che a tempo indeterminato e, diversamente dal contratto di somministrazione, è
stipulato direttamente tra datore di lavoro e lavoratore. Questa tipologia di
contratto può essere indirizzata solo a giovani disoccupati con meno di 25 anni
e a lavoratori con più di 45 anni “espulsi” dal ciclo produttivo (licenziati o
iscritti in lista di mobilità e presso i Centri per l’impiego come
disoccupati). I lavoratori che non rientrano in queste categorie possono
stipulare questo tipo di contratto solo per prestazioni discontinue e non
individuate dai contratti collettivi di lavoro o, in assenza, dal Ministero del
Lavoro con apposito decreto ministeriale.
Somministrazione di lavoro: contratto che sostituisce il
precedente “Lavoro Interinale”. Con la somministrazione di lavoro si instaura
un particolare tipo di contratto di lavoro subordinato che coinvolge tre
soggetti: il somministratore, l’utilizzatore e il lavoratore. Il lavoratore è
assunto dal somministratore, ma viene inviato a svolgere la propria attività
presso l’utilizzatore (c.d. missione). Tra somministratore e utilizzatore viene
stipulato un contratto di fornitura di manodopera, che è un normale contratto
commerciale.
Part-Time: il contratto di
lavoro a tempo parziale prevede un orario inferiore rispetto a quello normale
indicato dalla legge o dal contratto collettivo. Si distinguono tre tipologie
di lavoro part-time: Orizzontale (riduzione dell’orario normale giornaliero di
lavoro); Verticale (attività lavorativa svolta a tempo pieno ma limitatamente a
periodi determinati della settimana, mese e anno) e Misto (combinazione dei
precedenti).
Lavoro a progetto: il lavoro a progetto sostituisce la
precedente accezione di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa,
regolamentandone sia la forma contrattuale che la finalità. Il contratto di
lavoro a progetto deve avere forma scritta e deve indicare: la durata
(determinata o determinabile in base al raggiungimento di un determinato
obiettivo); il progetto; il programma o la forma di lavoro; l’ammontare del
corrispettivo erogato; l’indicazione dei tempi e modi di pagamento; l’indicazione
delle modalità di retribuzione di determinati rimborsi o spese; le forme di
coordinamento del lavoratore con il committente e le misure di sicurezza
adottate nei confronti del lavoratore.
Lavoro occasionale: la
collaborazione occasionale è caratterizzata da un duplice requisito: durata
complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso
committente e un compenso non superiore a cinque mila euro nello stesso anno
solare e con lo stesso committente.
Il contratto di lavoro
parasubordinato si pone al confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo,
presentando elementi tipici dell’uno e dell’altro.
Questa forma contrattuale non prevede l’instaurarsi di un rapporto di lavoro
dipendente, ma è una prestazione lavorativa in cui le modalità di lavoro, la
durata ed il relativo compenso sono stabiliti da un contratto stipulato dalle
parti.
Tale contratto non obbliga né
all’iscrizione ad albi professionali, né l’apertura di una partita IVA ed è
applicabile a chiunque: disoccupato, inoccupato o in cerca di altra occupazione
(art. 2094 c.c.; D.Lgs. 26 maggio 1997; Art. 2106 c.c.).
Di seguito le tipologie di lavoro
parasubordinato:
Collaborazioni Coordinate Continuative:
i collaboratori coordinati e continuativi sono lavoratori che svolgono la loro
attività con regole stabilite in un contratto di lavoro individuale nel quale
sono fissati la durata, le modalità e il compenso del lavoro. Questo tipo di
contratto non prevede automaticamente l’unicità della prestazione, pur potendo
prevedere in alcuni casi l’esclusività. Il lavoratore, quindi, può accedere ad
altri contratti di collaborazione, a meno che non ci sia un esplicito divieto
dettato da una norma precisa del contratto individuale. La collaborazione
coordinata e continuativa non obbliga all’apertura di partita Iva.
Lavoro a Progetto: si tratta
di nuovo contratto recentemente regolato dal decreto legislativo 276/03 con
l’intento teorico di limitare l’uso di quelle collaborazioni coordinate e
continuative, che - avvalendosi di un ridotto costo del lavoro - nella sostanza
mascherano rapporti di lavoro dipendente. In realtà anche la nuova norma, senza
un adeguato intervento della contrattazione collettiva, consente di celare
dietro a un contratto a progetto un rapporto di lavoro dipendente a tutti gli
effetti.
Collaborazioni occasionali:
si tratta di “attività lavorative di natura meramente occasionale rese da
soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel
mondo del lavoro, ovvero in procinto di uscirne” (art. 70, comma 1). L’istituto
in esame è una novità introdotta dalla legge di riforma del mercato del lavoro.
Tale scelta legislativa risponde a due diverse finalità: da un lato, l’intento
di tutelare quelle forme di lavoro che, per il loro carattere “secondario” e
discontinuo, rischiano di sfuggire alle tutele fornite dalle disposizioni
legislative, rimanendo spesso nel mondo del sommerso; dall’altro, l’impegno a
favorire l’inserimento di fasce cosiddette “deboli” nel mondo del lavoro.
· Lavoro autonomo
Possiamo definire “lavoro
autonomo” qualsiasi prestazione compiuta senza vincoli di subordinazione; sono
attività di lavoro autonomo, per il Codice Civile, sia quelle svolte dagli
imprenditori sia quelle svolte dai professionisti, dagli artisti, dai
consulenti
Appalto: l’appalto è il
contratto con il quale una parte assume con organizzazione dei mezzi necessari
e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio
verso un corrispettivo in denaro.
Associazione
in Partecipazione
: l’associazione in partecipazione è disciplinata dall’art. 2594
c.c. è consiste nell’apporto in capitale o in prestazione lavorativa, che
l’associato da ad una impresa in cambio della partecipazione agli utili della
stessa.
Va evidenziato che la gestione
della società resta interamente nelle mani del titolare anche se la sua
gestione dovrà essere improntata in modo tale da non pregiudicare le
aspettative dell’associato.
Tale rapporto, pertanto, non origina un rapporto associativo.
Lavoro Accessorio: per
prestazioni di lavoro accessorio s’intendono tutte le attività lavorative
occasionali rese da soggetti che non hanno ancora fatto ingresso nel mercato
del lavoro o che rischiano l’esclusione sociale. La attività non può superare i
30 giorni nel corso dell’anno e non dà luogo a compensi maggiori di 3000 euro
complessivi. Nello specifico, possono utilizzare questo contratto, i lavoratori
extracomunitari, i pensionati, gli studenti, le casalinghe, i disoccupati da
oltre un anno, i disabili e le persone in comunità di recupero rivolgendosi ai
servizi per l’impiego delle province nell’ambito territoriale di riferimento.
Lavoro
Autonomo Occasionale:
questo contratto disciplina l’affidamento di un incarico ad un qualsiasi
soggetto (lavoratore dipendente, autonomo, professionista, pensionato,
disoccupato, studente, ecc.) per una prestazione di lavoro occasionale, svolta
nella piena autonomia, al di fuori della struttura organizzata del committente,
libera da vincoli di orario e senza carattere di continuità o ripetitività
dell’incarico.
·
Altre forme di lavoro:
Tirocinio (Stage): contrariamente al contratto di
lavoro, l’obiettivo principale del contratto di tirocinio non consiste nella
prestazione lavorativa eseguita dietro retribuzione, bensì nella formazione
della persona in formazione. Le disposizioni legali del contratto di lavoro si
applicano in generale anche al contratto di Tirocinio, ma questo contratto
comporta anche altre disposizioni particolari. Il contratto di lavoro dei/delle
tirocinanti deve in particolare essere concluso per iscritto e approvato dall’autorità
competente. In linea di massima il contratto di tirocinio viene concluso per
tutta la durata della formazione professionale di base. Trascorso il periodo di
prova, il contratto non può più essere disdetto fino al termine della
formazione, salvo nel caso in cui la disdetta venga data per cause gravi.
Tirocini Estivi di Orientamento:
la legge li definisce come tirocini promossi durante le vacanze estive a favore
di un adolescente o di un giovane, regolarmente iscritto a un ciclo di studi
(università o qualsiasi istituto scolastico di ogni ordine e grado) con fini
orientativi e di addestramento.
Piani di Inserimento Professionale:
hanno lo scopo di migliorare la formazione e di facilitare l’inserimento
professionale dei giovani nelle aree del mezzogiorno e nelle altre aree
depresse. I progetti sono realizzati dal Ministero del lavoro d’intesa con le Regioni
interessate e prevedono periodi di formazione e di esperienze lavorative presso
le imprese.
Al termine il datore di lavoro
può assumere il giovane con Contratto di Formazione Lavoro.
“Può succedere che il rapporto
perverso sia l’elemento costitutivo di una coppia, dato che i partner si sono
scelti; non è però il fondamento di un rapporto all’interno di un’azienda”.
Ci si può quindi servire del modello,
manifesto nel caso della coppia, per comprendere certi comportamenti che
vengono alla luce in azienda. La molestia e la violenza sono qui frutto di
perversità. Le grandi perversioni distruttrici sono molto meno frequenti, ma si
tende a banalizzare le piccole perversioni quotidiane.
Nel mondo del lavoro, nelle
università e nelle istituzioni, i comportamenti molesti sono molto più
stereotipati che nella sfera privata. Non per questo risultano meno
distruttivi, anche se le vittime vi restano esposte per meno tempo in quanto
nella maggior parte dei casi scelgono, per sopravvivere di andarsene (congedo
per malattia o dimissioni).
“Contrariamente a quanto i loro
aggressori cercano di far credere, le vittime non sono in partenza persone
colpite da qualche particolare patologia o particolarmente fragili. Al
contrario molto spesso la molestia si instaura quando una vittima reagisce
all’autoritarismo di un capo e rifiuta di lasciarsi asservire. A designarla
come bersaglio è la capacità di resistere all’autorità malgrado le pressioni”.
La molestia è possibile perché
preceduta da una svalutazione della vittima da parte del perverso, accettata e
poi garantita dal gruppo. Essa fornisce una giustificazione a posteriori della
crudeltà esercitata contro la vittima e induce a pensare che abbia meritato
quello che le capita.
“Quando il processo di molestia è
in atto, la vittima viene stigmatizzata: si dice che è una persona con la quale
è difficile convivere, che ha un cattivo carattere o addirittura che è pazza.
Si attribuiscono alla sua personalità le conseguenze del conflitto e si
dimentica quello che era prima o quello che è in un altro contesto”. “Una
persona molestata non può essere al massimo de suo potenziale: è disattenta,
inefficiente e offre il fianco alle critiche sulla qualità del suo lavoro”. Il comportamento di un gruppo non è la somma
dei comportamenti degli individui che lo compongono; il gruppo è una nuova
entità che ha i suoi specifici comportamenti. “Freud ammette la dissoluzione
delle individualità nella massa e vi vede una duplice identificazione:
orizzontale in relazione all’orda e verticale in rapporto al capo”. La
situazione classica è quella del subordinato aggredito da un superiore, molto
più rara è la situazione opposta. L’azienda lascia che un individuo diriga i
suoi subordinati in modo tirannico o perverso perché le fa comodo o non le pare
importante. La tattica utilizzata consiste nell’impedire ad una vittima di
reagire, rifiutando la comunicazione diretta; tutti i tentativi di spiegazione
non hanno altro effetto che vaghi rimproveri e lasciano il posto a tutte le
interpretazioni e a tutti i malintesi. Si mira a squalificare, utilizzando il
registro della comunicazione non verbale oppure non detti, sottintesi,
allusioni destabilizzanti o malevole, osservazioni sgarbate, insinuando, poco a
poco, il dubbio sulle competenze professionali di n lavoratore, rimettendo in
discussione tutto quello che fa. Per annientare l’altro lo si ridicolizza, lo
si umilia, lo si copre di sarcasmi fino a fargli perdere fiducia in sé,
screditandolo, isolandolo privandolo progressivamente di tutte le informazioni,
angariandolo e spingendolo all’errore.
“La molestia sessuale è solo un
gradino più in là rispetto alla molestia sessuale. Riguarda i due sessi, ma la
maggior parte dei casi descritti e denunciati concernono donne aggredite da
uomini, il più delle volte loro superiori gerarchici. Non si tratta di ottenere
favori di natura sessuale, quanto piuttosto di dimostrare il proprio potere, di
considerare la donna come proprio oggetto (sessuale)”.
Il punto di partenza della
molestia è l’abuso di potere. Certe lotte sono impari fin dall’inizio. È ciò
che avviene con un superiore gerarchico o quando un individuo riduce la sua
vittima ad una condizione di impotenza per poi aggredirla in tutta impunità,
senza che si ossa replicare. “Non si deve banalizzare la molestia facendone una
fatalità della nostra società. Non è la conseguenza della crisi economica
attuale, è solo una deriva del lassismo organizzativo”.