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domenica 20 settembre 2015

LA BIOETICA: SCIENZA, FILOSOFIA, AGIRE COMUNE.

articolo di Giuseppina D’Auria

Il volume “I diritti della Persona nella prospettiva Bioetica e Giuridica”, scritto da Mons. Sgreccia, fornisce gli strumenti per comprendere lo scenario entro cui si sviluppa la sensibilità bioetica e istruire il discorso bioetico in tutta l'estensione delle sue dimensioni: quelle biomediche ed ecologiche come quelle etico-normative e antropologiche. Obiettivo di fondo di questa discussione critica è la costruzione di un modello di bioetica adeguato a supportare la deliberazione etica in una società pluralistica, con esplicito riferimento a un livello etico fondamentale basato sul principio del rispetto della dignità umana e a un livello etico-applicativo mirato a concretizzare questo principio nelle situazioni nuove aperte dal progresso biomedico.
Questo argomento di studio, quale nostro lavoro di recensione, s’immerge nell’attualità, in “media res”. Abbiamo motivo di augurarci che questi nuovi livelli di conoscenza possano creare ulteriori spazi di reciproca comprensione tra tutti coloro che, per sensibilità personale e professionale, vogliano “riscoprire le radici etiche di ogni costruzione normativa che intenda redimere e indicare i percorsi strutturali che sorreggono l’edificio legale della società contemporanea e della stessa civiltà moderna”.
Ci è sembrato opportuno, consultare gli Atti del Convegno sulla bioetica, tenutosi a Roma nel settembre 2000. Dagli autorevoli interventi sono emerse tutte le scottanti problematiche della società in trasformazione, coinvolta nei processi di globalizzazione e stravolta nei suoi più intimi valori etici.
Ci proponiamo di tracciare, seguendo il filo rosso della produzione giuridica mondiale, attraverso un ripensamento sempre più radicale dell’universalità dei valori morali, una nuova concezione laica e cristiana della centralità dei fondamenti etici della tradizione in tema di Diritti dell’Uomo del terzo millennio.
Portandoci su uno dei gangli del problema relativi al parametro di legalità costituzionale e grundnorm dell’ordinamento giuridico, abbiamo cercato di individuare i diritti inviolabili in ogni democrazia costituzionale, con particolare attenzione all’Ordinamento giuridico Comunitario.
Naturalmente non poteva non seguire una parte dedicata alla Metafisica dei diritti della Persona umana.
Una trattazione particolare abbiamo dedicato al fondamento dei diritti umani in generale e, in special modo nella prospettiva della Costituzione Europea e delle “super politiche Comunitarie”.
A tal fine, abbiamo cercato di tracciare, sulla scorta di diversi studi, il profilo dello stato della bioetica nelle Università del mondo, di individuare e sottolineare i valori umani e professionali, concludendo con “la svolta pedagogica attuale”, elaborata dalle Istituzioni e percepita dai cittadini, entro una visione della Paideia occidentale moderna Si può comprendere l’importanza di quest’ultima in una società, qual è quella in cui viviamo, contrassegnata proprio dalla comunicazione, dall’apparire, dal senso della visibilità e dello “spettacolo”, dalla tecnologizzazione di ogni campo dello scibile umano, al mero servizio delle leggi del mercato mondiale.
La funzione di termometro è garantita dalle numerose e diverse correnti di pensiero, in materia di bioetica, nell’insegnamento universitario mondiale: sono state esplorate, in particolare, le weltanshaung Europea e Africana.
Ci siamo, poi, occupati della bioetica in relazione al pensiero religioso, con puntuale  riguardo alla religione islamica.
Concludono la nostra recensione alcune rapide ed essenziali considerazioni in materia di politica, globalizzazione, ecologia, vuoti etici, formazione e aperture alla speranza, completate da una ampia e specializzata bibliografia.
La tutela dei diritti fondamentali della Persona[1], secondo l’attuale orientamento comunitario e la redigenda Carta europea dei diritti, pongono il cittadino europeo al centro di un sistema di tutela basati sui Trattati internazionali.
Tali diritti inviolabili, limiti di ogni potere costituito, e valori supremi di tutti gli ordinamenti costituzionali, hanno efficacia erga omnes, con una serie di ricadute e incidenze sulla nozione di Persona quale essere, valore e senso ontologico e assiologico, nei rapporti concreti dell’esperienza giuridica e politica.
Nel sistema comunitario coesistono diversi ordini di valori fondamentali: quello comunitario e quelli nazionali. Naturalmente le norme comunitarie vanno ad incidere sugli ordinamenti statali. Un esempio ne sono le costituzioni che, nate all’indomani delle grandi tragedie subite dagli Stati ad ex regime totalitario, si sono poste come patti fondamentali sui valori orientativi e unificanti gli orientamenti giuridici.
L’ordinamento giuridico europeo è un concentrato di cultura giuridica: gli stessi orientamenti giuridici nazionali vivono all’interno e all’esterno del contesto culturale comunitario e, di questo, possiedono forza normativa e cultura durevole, rinnovatrici del diritto comunitario positivo.
Diverse posizioni si fronteggiano sulla Costituzione europea. Una giurisprudenza comunitaria afferma l’esistenza di una Carta costituzionale di base idealmente costituita dai diritti fondamentali risultanti dalle tradizioni comuni degli Stati membri, ed espressamente richiamati dal Trattato di Maastricht, integrato da una Carta dei diritti. Altra parte della dottrina sostiene che l’U.E. vive di cessioni di sovranità da parte dei singoli stati e quindi non può essere un Soggetto autonomo.
I termini della questione, secondo Calabrò[2], sono da inquadrare in una prospettiva di Teoria generale del diritto.
Per chiarezza di esposizione ricordiamo che, nella prima fase del costituzionalismo moderno, la Costituzione era intesa come una legge superiore, presupponente un “potere già dato e fondato sulle fonti di legittimazione” (legge divina, tradizione e diritto naturale), con funzione di “vincolo e limite rispetto ad un potere che aveva una sua autonoma fonte di legittimazione”. Nello stato di diritto materiale, la Costituzione muta la sua essenza poiché limita il potere democratico e, al tempo stesso, lo legittima.
Secondo Kelsen[3], la validità della norma è il segno della sua giuridicità e contrassegna la legittimità di quel potere che si esercita attraverso le norme; quindi, se la validità della norma è data dalla sua appartenenza all’ordinamento, è inevitabile porre a capo di esso una norma suprema, fonte di legittimazione suprema e di validità. Seguendo tale via, la norma fondamentale va sottoposta alla dialettica della legalità/legittimità, caratterizzante l’ordinamento giuridico costituzionale. Il locus della instaurazione di un nuovo ordinamento risolve il problema della legittimazione e presiede alla produzione delle norme giuridiche attraverso l’idea di ordine.
L’ordinamento costituzionale viene instaurato in vista di un fine e, pertanto, ha carattere strumentale; è l’ordinarsi di una società di persone attorno fini e principi generali e fondamentali. 
La prospettiva emersa dall’intervento di Calabrò, nel Convegno romano, è una soluzione di sostanza giuridica che non rinunci a cogliere la realtà sottostante il diritto, ovvero l’origine del potere legittimante la Costituzione come l’intero ordinamento giuridico.
Concludendo, il concetto di ordine quale locus artificialis presuppone il processo dell’ordinarsi in vista di un fine, quello dell’esercizio sociale e collettivo dei diritti fondamentali della Persona umana nella sua unità ontologica.
Coccopalmerio individua il problema della considerazione dei diritti umani[4] come l’ordine dell’essere o come ordine del gioco, in diversa soluzione a seconda dei tempi storici. Ordine dell’essere significa che nulla si può dire sui diritti umani se non si è fatta luce sulla natura dell’anima e sul posto che essa occupa nel mondo e nella storia del pensiero classico. Per il pensiero moderno conta l’ordine del gioco.
Il pensiero post-moderno si occupa di costruire la macchina sociale, alla cui base sono le regole del gioco o norme di funzionamento. Essenzialmente due super-norme garantiscono l’esistenza della società a condizione che vi siano norme di comportamento e che, poste queste norme di funzionamento, occorre  eseguirle. In caso contrario vige il caos, l’anarchia.
Tali regole del gioco sono frutto di un atto di volontà individuale e pubblico; sono lo strumento dello stare (forzatamente) in comunione, basato su un atto d’imperio. La prima regola del gioco è la maggioranza, che ha ragione ed è la ragione. La seconda regola del gioco è il rispetto della minoranza, atto di discrezione della maggioranza. La terza regola del gioco è l’alternanza, nel governo della comunità sociale,  della maggioranza alla minoranza e viceversa. Tale alternanza è meramente espressione di rapporti numerici e non di valori morali, è l’esercizio dell’arbitrio.
Alla base dei diritti umani sono i protocolli istituzionali, ovvero “atti di decisione sovrana con cui vengono istituite le regole del gioco, dell’ordine sociale, contro l’individualismo umano e l’alto rischio di conflittualismo generalizzato”[5].
Nello Stato ciascuno può godere del proprio limitato diritto, viene protetto dalla forza comune, ha la sicurezza dei frutti della propria attività. Lo Stato è garante del dominio della ragione, della pace, della sicurezza, della ricchezza, della decenza, della socievolezza… I diritti della Persona esistono per ordine del volere sovrano dello Stato.
Bobbio, nel parlare dei diritti della persona, individua una problematica di fondo: la politica deve occuparsi di proteggere tali diritti, proprio come la filosofia si preoccupa di giustificarli.

A seconda del contesto - la classicità o la modernità – i diritti della Persona e il suo ordine morale e politico hanno significati e contenuti diversi: la giustificazione l’una, la decisione l’altra. La religione impone una collaborazione in nome di valori comuni attraverso il ritorno ad una auto-educazione del genere umano, universale nello spazio, specificata nei contenuti, positivizzata nelle legislazioni nazionali.

 La Dichiarazione dei diritti umani nasce nel 1948 con l’obiettivo di tracciare  una linea divisoria con il periodo storico precedente, facendo in modo che il problema della protezione dei diritti fosse, finalmente,  una questione di responsabilità della comunità internazionale.. La mancanza di accordo reale sui concetti che consentono di fondarli, rende impossibile un consenso sulla loro portate e sui contenuti. Per cui la loro salvaguardia e il loro rispetto da parte degli Stati sarà diverso a seconda della interpretazione concettuale che se ne darà. La pietra miliare storica della concezione dei diritti umani  è la Dichiarazione Universale.
La carenza di un fondamento comune ai diritti umani è dovuta all’ambiguità sul concetto di persona e al dubbio rispetto alla condizione dell’uomo e alla sua proiezione teleologica. La persona è il fondamento della libertà che, a sua volta, trova il suo fondamento nell’essere ontologico. L’ottica dei diritti umani mette fine al vincolo essere-persona-libertà e vuole troncare una tradizione storica per pensare la libertà come liberazione da ogni responsabilità intesa come capacità di risposta verso gli altri. Si vorrebbe concepire la libertà come fine in sé, bandendo l’idea di una inclinazione necessaria e naturale al bene da parte dell’uomo e dimenticando che è presupposto della responsabilità non sua condizione e/o causa. Si fa sorgere la dignità della persona[6] da un consenso o patto tra gli individui, da un mero assenso dottrinale che, spogliato del concetto di persona al quale è necessariamente unito, è carente di significato.
L’uomo è riconosciuto soggetto cosciente della propria essenza ed esistenza: egli è padrone dei propri atti e della sua dignità, essenziale e comune al genere umano. Il fine ultimo è lo sviluppo integrale della persona e dal principio della personalità si evince la conquista della ragione che sa determinare i propri fini.
Se spogliato di finalità, l’uomo finisce per essere uno strumento, l’uguaglianza è una parità nell’avvilimento della condizione umana e la libertà non è veramente tale, poiché non risiede nel riconoscimento del bene. Dove non c’è conoscenza non c’è libertà né possibilità di formulare una scelta razionale. Quindi il vero fondamento della dignità umana è da individuare negli ingredienti metafisici della persona ossia  nella libertà e nella razionalità dalle quali si deducono i diritti, i  doveri e  le responsabilità. L’assenza di doveri ha per risultato l’assenza di un ordine morale e di un vero ambito sociale, di conseguenza, secondo Giovanni Paolo II, “non si dovrebbe trattare dei diritti dell’uomo senza tenere conto dei suoi doveri correlati che traducono con precisione la sua stessa responsabilità e il suo rispetto dei diritti degli altri e della comunità”, espressi nelle leggi naturale e umana. La dottrina concernente i diritti umani si è basata sulla negazione della natura e di Dio come Autore della stessa. Mentre i diritti naturali soggettivi sono, paradossalmente, la negazione dei diritti dell’uomo, l’espressione di un ordine naturale oggettivo  permette il raggiungimento di diritti-doveri che sono anche comuni e oggettivi, permette il funzionamento della società e la necessaria articolazione fra i distinti membri della società. Nella concezione abituale, la coscienza è vista come punto di non incontro,che serve a giustificare misure disuguali per bandire principi distinti e anche opposti per negare l’esistenza di una verità oggettiva e del valore essenziale di essere persona. Non esistendo una verità valida per tutti la coscienza, frutto dell’arbitrarietà e del decisionismo, si trasforma nella possibilità di agire senza assumersi le responsabilità che derivano dalle proprie azioni. In ultima analisi la coscienza avrebbe la capacità di creare diritti ma non di imporre dei doveri. A causa di ciò ci troviamo dinanzi ad un nuovo concetto di libertà che si appoggia sull’esercizio dell’arbitrarietà, basato sull’errore e non sulla conoscenza della verità. Si può alla fine segnalare che i diritti umani si fondano in una stretta natura dell’uomo e implicano un’impostura nel proclamarsi universali e, allo stesso tempo, possono essere usati a favore di alcuni e contro altri. In definitiva diritti soggettivi forgiati dall’individualismo moderno sono la nozione astratta dell’uomo. Se vogliamo stabilire una dottrina dei diritti umani dovremmo superare l’individualismo, che è stato l’artefice della dottrina sull’argomento; offrire una visione completa e complessiva dell’uomo, una visione del significato unitario e essenziale della vita umana dello statuto ontologico sul quale è costituita la persona; fondare i diritti sui loro corrispettivi doveri; presentare una vere base antropologica ed etica dei diritti umani che vengono proclamati base morale senza la quale l’edificio dei diritti umani è una costruzione che manca di stabilità e no può apparire come una verità universale. Quindi, parlare di diritti universalmente intesi, ci impone di agire nella verità e di scoprire i frutti della verità e non sottomettere la verità alle proprie velleità, congiunture e interessi.
La attuale bozza della Carta U.E. dei diritti fondamentali (e quindi nella prospettiva dell’ordinamento comunitario[7], nell’evoluzione e nel suo graduale allontanamento dalle finalità di una comunità economica europeo dello stesso) presuppone il processo di costituzionalizzazione avviato già da tempo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia fino al riconoscimento, col trattato di Maastricht dei diritti fondamentali della persona quali principi generali di quello ordinamento giuridico. E’ con tale trattato, ratificato dagli stati membri nel 1993, che prende avvio quel processo di costituzionalizzazione dei diritti dell’uomo a livello comunitario, il cui riconoscimento ere opera della giurisprudenza della corte di giustizia delle comunità europee,  stimolata a ciò in tempi ormai remoti da alcune prese di posizione delle corti costituzionali italiana e tedesca.
Con riferimento all’Europa e ai paesi partner dell’Unione, la presenza di valori “comuni” presenti in tali carte costituzionali europee vengono a rappresentare un parametro di riferimento necessario nel complessivo dibattito sui diritti fondamentali e nella prospettiva di una Carta europea dei diritti fondamentali in fase di redazione. Ora si è in presenza di una nuova fase  caratterizzata dalle emergenze legate a due importanti rivoluzioni della nostra epoca, quella multimediale, della globalizzazione e quella biotecnologia.
La risposta complessa e univoca  nella direzione della salvaguardia della identità della persona risulta comprensibile solo in ordine a talune questioni rientranti nell’ambito della bioetica. Si propone da tempo una nuova figura di uomo da contrapporre al “business man” senza altre finalità che quella del profitto ed in sostanza una rifondazione del sistema attraverso una vera e propria rivoluzione morale. Parlare di diritti fondamentali a livello europeo significa individuare diritti e principi generali che affondano le loro radici in quella dimensione non economica dell’uomo che fronteggia in particolare, sul piano della produzione e del mercato, il diritto dell’impresa e taluni valori più radicali che attengono alla persona in sé e per sé considerata nell’ambito di un complessivo sistema vivente. Alcune opzioni e scelte di fondo non possono essere pretermesse poiché esse sole possono impedire che alcuni diritti fondamentali, attinenti alle libertà di impresa e di ricerca scientifica, possano essere sacrificati in nome della genericità, latitudine e ambiguità della loro formulazione giuridica.
Il sistema normativo delle “super politiche” costituisce la sede di principi generali, dallo sviluppo sostenibile  a quello di precauzione e protezione dei consumatori,  che costituiscono momento essenziale di riferimento nella ridefinizione delle cosiddette politiche economiche tradizionali. L’approccio rivolto a dare un’anima più profonda  alle superpolitiche muove dalla persona concepita nella sua libertà. Infatti la legalità non è solo conformazione alle regole giuridiche ma è anche momento di esaltazione dei rapporti sociali e interpersonali che presuppongono il rispetto sostanziale della dignità dell’essere persona. Le opzioni di fondo costituiscono le nuove frontiere dell’Europa che si vuole costruire e di cui la Carta in gestazione dovrebbe costituire il punto di riferimento obbligato della ricognizione di talune libertà, strumentali alla mercificazione dei  risultati della ricerca. La tutela fondamentale dei diritti fondamentali- della vita e dell’integrità della persona, passa attraverso la tutela giurisdizionale ed è parte preliminare e  preventiva alla costruzione di un sistema giuridico che vuole porre a fondamento dell’ordinamento i diritti della persona umana. In sostanza manca il coraggio di fronteggiare il potere economico delle multinazionali e di fare chiare scelte su un progetto europeo che costituisca un modello di sviluppo rispondente alla cultura di un’Europa che ha bisogno di attingere a modelli di sviluppo d’oltreoceano. Il complessivo problema di una vita etica allo sviluppo riguarda la libertà di impresa di cui, nella bozza della Dichiarazione, mancano i confini e  i limiti che il sistema delle superpolitiche indica chiaramente nella tutela dello sviluppo sostenibile, nella tutela della dignità e degli interessi e diritti dei consumatori.
Il potere politico sembra venga colonizzato da quello economico per ciò che concerne la formulazione, a livello internazionale, di una generica libertà di impresa  e di ricerca scientifica. La concezione di Giuseppe Capograssi, secondo cui la scienza deve servire alla conservazione della vita, venendo ammantata dal bisogno insopprimibile dell’uomo di conoscere e legittimata dalle possibili applicazioni per finalità terapeutiche, oggi viene stravolta rivelando la preminenza del potere d’impresa. Non c’è da stupirsi che in Europa, anche ai massimi livelli istituzionali, il rapporto tra libertà e natura  sia impostato in modo da rinnegare  i diritti fondamentali della sicurezza alimentare, con relativa ed evidente tendenza a legittimare forme di Stato e di governo della società più che a riconoscere l’esistenza e il valore della persona. Ancora una volta è in gioco la libertà dell’uomo nel suo rapporto etico con la vita della terra e dei suoi esseri viventi.
Una Giurisprudenza economica stenta a decollare nella concezione europea, con molteplici implicazioni per la biodiversità, l’ambiente e la sicurezza alimentare dei consumatori.
La storia della bioetica si può dividere teoricamente in due fasi: il principialismo e la esperienza morale. Nella Bioetica mondiale è in atto un mutamento di paradigma; si passa dalla bioetica dei principi a quella del caring, del prendersi cura[8].
Per ciò che concerne il paradigma dei principi, esso è basato sulla logica deduttiva e sull’etica del dovere. Si domanda cosa si deve fare di fronte alle perplessità morali provocate degli interrogativi sollevati dalle scienze biomediche e una volta individuati i principi li applica, usando la logica deduttiva, ai casi particolari, costringendo a priori la complessità e l’imprevedibilità delle situazioni umane sotto la legislazione di principi morali astratti. Ciò comporta una sproporzione tra le azioni e situazioni umane inedite e la fissità dei principi a causa della necessità di una diversa valutazione in cui è necessaria la saggezza pratica, l’inventiva e la capacità critica per mediare la norma. Tra princìpi e casi operano il giudizio e il confronto continuo tra la teoria e le intuizioni morali contestuali e situazionali.
L’attenzione alla situazione, al vissuto, alla soggettività sta producendo un mutamento nei paradigmi della bioetica fino a determinarne uno nuovo, induttivo, basato sull’esperienza. L’interrogativo che si pone è su cosa stia succedendo e sul tipo di relazioni che vogliamo instaurare con gli altri, cercando di interpretare  i comportamenti morali, le percezioni e le esperienze. La filosofia morale della virtù teorizzata da McIntyre teorizza sul tipo di persone che dovremmo diventare e non su ciò che dovremmo fare, attraverso la formazione del carattere e la pratica delle virtù. L’etica è intesa come l’acquisizione di abitudini e comportamenti di qualità umana, trasformandosi da teoria astratta e generale della modernità a filosofia che ritorna al particolare, la cui casistica si basa sull’esperienza di paradigmi simili e sullo sviluppo di massime ricavate da tali similitudini, ricavate per analogia.
Tuttora la casistica ha pessima fama, per il cattivo uso che se ne è fatto, a causa della tendenza a mettere in dubbio la validità dei principi oltre che ad adattarli alle private inclinazioni e tornaconti anziché applicarli alle situazioni concrete. Per Kant il buon senso è la facoltà di giudicare affinata dall’esperienza, e per Cartesio è la facoltà di aggiustare per successivi tentativi l’equilibrio dei valori che vogliamo vedere rispettati in una determinata situazione.  Secondo Thomas, anche se si ammettesse che l’unica legge morale universale è quella del rispetto delle persone, “resterebbero da trovare gli intermediari e le formulazioni che consentono di colmare la distanza le posizioni di principio dai casi concreti”. L’invenzione nel cuore dell’azione è indispensabile nella bioetica poiché è, secondo Kant, “un esercizio che insegna come deve essere cercata la verità”.

Il paradigma esperienziale prende in seria considerazione la specificità delle voci morali del prendersi cura delle c.d. categorie protette, ossia donne, anziani, disabili, malati incurabili, medici e genitori dei pazienti. Sviluppa l’etica del prendersi cura, della solidarietà attraverso una visione empatica e relazionale dei comportamenti morali. Le implicazioni sono tendenti a correggere il predominio di un orientamento esclusivamente razionalista. Il punto di partenza è fornito dall’apertura empatica all’esperienza, alla persona e all’ascolto di tutte le voci che esprimono genuine sofferenze e standard morali in situazioni particolari, consentendo di scoprire la domanda alla quale le teorie morali devono rispondere.

Sgreccia teorizza la considerazione dell’esperienza morale come incompleta se non si riferisce all’oggettività della verità e del bene e alla soggettività del comportamento. Tra i principi e le virtù si instaura un rapporto di reciprocità poiché il riconoscimento e l’attuazione del dovere è possibile se si è virtuosi e se si rispettano, si riconoscono e si applicano nella prassi gli obblighi morali. Privitera sostiene che “la sopravvivenza della bioetica dipende dal suo sapersi trasformare in problema e in progetto culturale, ossia in processo di sensibilizzazione bioetica della cultura”. Quindi il compito principale della bioetica consiste nel cogliere i punti nevralgici dei processi culturali e promuovere la sensibilizzazione bioetica della cultura nelle istituzioni educative prima di formulare un giudizio morale sulle varie opzioni. Si auspica che la bioetica diventi paideia, cultura formativa.

Nell’attuale fase di sviluppo della bioetica diventa sempre più decisivo rispondere alla domanda etica più radicale, quella che si chiede come mai esistano le persone buone e come esse siano in assoluto possibili. Il superamento del paradigma principialista e l’affermazione di quello dell’esperienza morale e delle virtù del caring,  spinge la cultura tutta  ad interrogarsi circa la possibilità di individuare gli itinerari educativi più idonei.

La qualità educativa inciderà sempre più sul livello morale della nostra civiltà e sulle scelte etico-politiche nella bioetica. A seguito della sua tendenza a ridurre il problema del bene comune a quello della giustizia e la vita morale dell’individuo al conseguimento della propria autonomia, la bioetica ha la bioetica ha lasciato uno spazio vuoto sul piano morale. Inoltre ha eluso la collocazione culturale della moralità a causa della continua ricerca dei principi generali. Al fine di sviluppare una bioetica culturale e comunitaria occorre una svolta educativa e formativa che potrebbe inaugurare una nuova fase della storia della bioetica. Tale svolta è rappresentata dalla pedagogia attuale  che apre l’insegnamento della bioetica nell’ambito universitario italiano. Anche la costituzione di comitati etici, a causa di carenza di esperti in bioetica, apre un ampio versante alla formazione  della figura professionale del bioetico.

La pedabioetica si occupa di educare l’uomo virtuoso, capace di consegnare ai posteri la qualità-verità dell’essere umano; vuole educare i giovani e gli uomini ad una migliore qualità della vita, a star bene con sé, con gli altri e col mondo e promuovere una coltura della qualità della vita anche nella comunità civile e non solo nelle scuole e università. Di qui si può intuire qual è la più importante frontiera della bioetica: rendere possibile l’uomo virtuoso, educato e formato nei suoi habitus, che non fa troppa fatica a giudicare il bene, a fare il bene ed a saper dare qualità alla vita perché si è lasciato qualificare dalla vita[9].Il progetto educativo-formativo e culturale della Bioetica deve ispirarsi pedagogicamente ai principi fondamentali dell’educazione. La pedabioetica deve educare “la mente, il cuore e la mano” secondo le indicazioni di Pestalozzi, secondo un itinerario cognitivo, psicomotorio e psicoaffettivo. Tutto il progetto deve fondarsi su un’etica della formazione come metodologia e principi che devono ispirare la programmazione e la metodologia educativa e l’acquisizione di competenze pedagogiche dei formatori.

Affinché le relazioni umane possano essere morali devono essere simmetriche e reciproche. Il senso di tale reciprocità  non è oggettivo, né convenzionale, né sistemico ma oggettivo e ontologico. Per essere etica la relazione deve essere sempre animata dalla reciprocità, promuovendo e rispettando l’altro come pari. Oltre alla giustizia anche la solidarietà deve essere ispirata alla reciprocità che, secondo il pensatore greco Yannaras, comporta la pienezza di vita.  L’etica di ognuno è basata sulla propria cosmovisione, che contribuisce a chiarire le diverse valutazioni etiche e le diverse politiche. Spesso le posizioni antagoniste in bioetica non riguardano tanto l’etica quanto l’ontologia. Le gestalt antagoniste applicano in modo differente i precetti etici fondamentali perché li riferiscono ad entità diverse.

La pedabioetica deve aiutare l’educando a costruirsi ed a formarsi una adeguata visione della realtà e dei rapporti con il mondo. Secondo le acquisizioni più aggiornate della scienza e della epistemologia  contemporanea, la ontologia non ci rivela le cose in sé ma reti o campi di relazioni di cui le cose sono partecipanti. Tale è l’approccio sistemico o ecologico detto anche gestaltico secondo il quale tutto è relazionato, interdipendente e interconnesso. Quindi comprendere qualcosa significa coglierla nel suo complesso di relazioni contestuali attraverso una ontologia relazionale che stabilisca un nuovo rapporto tra il tutto e le parti. L’essere si manifesta come essere per, inter-essere con ogni altra cosa. Tutto ciò che è riceve esistenza e non può essere inteso adeguatamente nel suo senso se non nel sistema di relazioni che lo costituisce e lo fa essere quello che è. Proprio tale interdipendenza tra le cose e l’inter-esistenza tra gli uomini è il fondamento dell’etica.

L’educazione deve attivare processi di identificazione attraverso l’espansione del Se[10], poiché comprendendo il legame che ci unisce agli altri esseri e identificandoci con loro aumenta la nostra coscienza. L’incapacità di identificarci conduce all’indifferenza. I molteplici Io si sviluppano fino a diventare dei Sé sempre più grandi, proporzionali all’ampiezza dei nostri processi di identificazione.

L’educazione alla bioetica passa proprio attraverso i processi di allargamento e approfondimento della coscienza  e dei processi di identificazione. Elias ha osservato che l’immagine dell’uomo prevalente è quella dell’homo clausus, poiché nelle nostre società gli uomini pensano per lo più a sé stessi come ad esseri indipendenti e isolati a cui si contrappone il mondo esterno e gli altri uomini. L’homo clausus preferisce addossarsi la solitudine della scelta personale e legarsi con le catene dello schiavo felice attraverso il sogno di un’utopia che lo liberi dall’onere di dover giudicare da solo. Tale ethos produce solitudine e isolamento. Elias considera vano “cercare un senso nella vita di un individuo indipendentemente dal significato che tale vita ha per altri uomini.

Ogni uomo ha bisogno di sentire che è importante agli occhi altrui poiché il riconoscimento sociale è fondamentale per scoprire e valorizzare l’identità personale. Occorre una cultura più empatica e partecipativa tendente a collegare l’uomo all’ambiente e ad aiutarlo a convivere con ciò che lo circonda. Presupposto dell’etica è l’esperienza dell’approssimazione, dell’avvicinamento all’altro, del superamento di un rapporto con la differenza dell’altro chiuso nell’errore[11]. La dilatazione e l’arricchimento della nostra sensibilità devono aiutarci a mettere in dubbio che il mondo così come appare a me coincida con l’essenza del mondo. Questo presuppone una nostra capacità di riconoscerci nell’altro, di sentirci a lui uguale pur nella differenza. L’approssimazione sviluppa anche la compassione che consiste nell’ “avere un’esperienza con” e permette che qualcosa succeda a se stessi contemporaneamente all’esperienza di qualcun altro.

Occorre ripensare il libero arbitrio e alla volontà di potere occorre sostituire la “volontà di empatia”. Nell’impostazione empatica il libero arbitrio viene misurato dal grado di partecipazione e di condivisione comunitaria. La mente empatica fa proprio questo perché appartenere diventa più importante che possedere. L’umanità dell’etica è costituita dal posto che occupa l’alterità, l’essere nella nostra responsabilità. La pedabioetica deve ispirare una forte esigenza critica nei confronti di tutti i tentativi teoretici e pratici di deificare l’uomo, la vita e l’essere, intesi come res, come eventi.  L’essere non è puro oggetto da dominare ma secondo la filosofia heideggeriana è evento. Occorre prendere maggior consapevolezza della distinzione tra azioni ed eventi, tra atti nel potere dell’uomo ed eventi che sfuggono al suo potere e che avvengono al di fuori della volontà umana.

Nella cultura bioetica occorre una conoscenza della conoscenza, una metaconoscenza e per la formazione alla bioetica si apprende nei tre ambiti del saper conoscere, del saper fare e del saper essere.  Occorre comprendere la circolarità interdipendente dei problemi. Il carattere applicativo della bioetica esige che accanto a momenti teorici e generali si analizzino casi concreti. Il pensiero deve contestualizzarsi al fine di elaborare e raggiungere una conoscenza pertinente, cos’ come ha insegnato Gadamer, con la contestualizzazione dell’universale nella situazione particolare. Il corrispettivo morale del pensiero contestualizzato è l’epieikeia, che serve a correggere l’astrattezza della legge e della norma, affermando sempre il primato della persona rispetto alla norma e alla situazione.

La razionalità di cui l’uomo ha bisogno per fare le proprie scelte è la ragionevolezza, che nasce dal confluire della vita della ragione con le ragioni della vita. La ragionevolezza si colloca nella realtà vissuta  e integrale della conoscenza; si avverte, quindi, la necessità di una bioetica ragionevole. La pedabioetica deve sviluppare nell’educando il ragionamento morale[12], ma soprattutto educarlo alla euprassia, al corretto apprendimento di comportamenti morali che portano alla creazione delle virtù.

Un problema importante nell’educazione morale è quello delle abitudini familiari e scolastiche. Una abitudine non è semplicemente, secondo la teoria comportamentista, una risposta ad un certo tipo di stimolo né una passiva ripetizione dell’atteggiamento ma bensì è una costanza delle nostre azioni attraverso le quali si costruiscono e si esplicano le nostre opzioni fondamentali, le virtù. Diventa prioritario l’atteggiamento liofilo nella comunità educativa per la promozione educativo-formativa delle virtù.

Come ha insegnato Freud, le soluzioni che l’uomo dà ai problemi quotidiani della sua esistenza risultano essere,nelle loro intenzionali conseguenze, soluzioni di vita o di morte. Il connotato degli istinti biofili o necrofili è fortemente antropologico. Fromm fa notare che la tendenza contro la vita, la necrofilia, considerata nei suoi aspetti più gravi, è “la patologia più acuta e la radice della distruttività e dell’inumanità più guaste[13]”. Sempre Fromm fa notare che nei fenomeni della vita ciò che importa ai fini del comportamento dell’uomo “non è la completa presenza o assenza  di uno dei due comportamenti ma quale inclinazione sia più forte”[14]. Oggi esiste la tendenza a ridurre l’essere umano alla sua utilizzabilità, reificandolo nella vita sociale, facendo da ciò scaturire l’atteggiamento necrofilo dell’uomo nell’odierna civiltà tecnologica; conta più la memoria dell’esperienza, l’avere più che l’essere, portando un approccio alla vita sempre meno immediato e sempre più meccanico.

Al contrario la vita biofila è deve caratterizzare tulle le età della vita umana e della comunità educativa, poiché la condizione più importante è che si sviluppi l’amore contagioso per la vita. L’educatore deve essere una personalità biofila; chi è pessimista, annoiato e scettico, per la sua antivitalità è un necrofilo, portato a distruggere e a vendicarsi della vita sbocciante del Tu, anziché darle senso avvalorandola e promuovendola, anche attraverso la propria gioia di vivere. La vita viene accettata e amata dall’educando soprattutto attraverso l’intervento educativo che permette la scoperta del valore dell’esistenza e, tale consapevolezza, è comunicata dalla presenza premurosa e paziente di chi lo ama. Nel messaggio educativo è importante trasmettere il senso della fiducia e della speranza per una vita che c’è, anche se non la capiamo o non la vogliamo, poiché ci ha chiamati desiderandoci, nonostante le colpe e i condizionamenti; l’educatore sarà il maestro di positività, apertura e sviluppo verso ogni forma di esistenza. Tra l’altro, per evitare che l’uomo venga privato ed espropriato della sua salute,  attraverso la medicalizzazione della vita, la salute stessa deve essere una virtù.

Secondo Addison “la medicina è il sostituto dell’esercizio della temperanza” e, volendo richiamarci ai precetti morali, le virtù si ravvisano nell’esercizio della prudenza, della temperanza, nella forza d’animo- Piaget ha insegnato che all’autonomia si arriva attraverso l’eteronomia-, nella giustizia e fortezza, poiché nell’educazione e nella vita spirituale si ha solo ciò che si conquista. L’avere tutto e subito, senza alcuno sforzo è un gravissimo errore educativo, che non consente di apprezzare il valore della conquista e dell’attesa. Bisogna inoltre infondere nell’animo degli educandi il piacere e la prontezza nell’aiutare gli altri, vincendo l’egoismo, impedimento fondamentale della vita morale, che porta a considerare il proprio benessere senza curarsi degli altri, indifferenti del bene comune.

Comenio ci ricorda che la disciplina deve essere esercitata contro chi sbaglia, per evitare che l’errore si ripeta, esercitandola con semplicità e sincerità, evitando l’odio, l’ira e le altre emozioni, in modo che chi viene punito si renda conto che la pena disciplinare è rivolta al suo bene  e che è consigliata dall’affetto di chi è responsabile della sua educazione. La disciplina deve tendere a formare  e rinforzare “una tempra degli affetti”[15]. Solo uomini giusti, forti e solidali potranno essere portatori di una vera cultura bioetica, capace di creare una nuova qualità della vita.

Secondo Russo la Bioetica europea[16] è troppo analitica, basata su fondamenti epistemologici, sistemi di pensiero e impostazioni sistematiche, poiché nata e sviluppata in un contesto fortemente filosofico e teologico. 

L’impostazione procedurale, sociologica e giuridica,  ha avuto scarso impatto in Europa. Il dibattito sui problemi è stato secondario rispetto al dibattito sui fondamenti etici della bioetica, intesa come l’apertura alle nuove frontiere della biomedicina, mentre scarsa o assente è stata la attenzione globale alla vita, all’ecologia e agli habitat naturali, ecc., per non parlare di alcuni settori più sociali della vita quali la pena di morte, la cremazione, gli sports estremi, ecc.

La bioetica europea non ha avuto percorsi diversi da quella statunitense, è medicalizzata e dominata dalla produttività scientifica e farmaceutica; inevitabilmente il confronto è stato tra possibilità biotecnologiche e limiti dell’etica. Si è trovata epistemologicamente unificata in quanto studio sistematico e visione d’insieme di una medicina inserita nel contesto del modello antropocentrico; è fondata eticamente dall’argomentare che ha avuto la meglio sull’approccio clinico dei casi.

Possiamo individuare alcune prospettive di lettura antropologica molto attente alla dignità ontologica della persona umana, contrarie alla natura etica della persona o ai cambiamenti evolutivi della storia, considerando l’etica un processo evolutivo simile a quello scientifico per cui la vita umana e sociale è chiamata ad adeguarsi alle trasformazioni biotecnologiche, dovendo confrontarsi con forti pressioni e condizionamenti da parte dell’economia. Russo sostiene che “la bioetica europea ha bisogno di essere liberata dall’egemonia e dall’efficientismo biomedico a servizio dell’industria”[17].

Alcuni studiosi, tra cui Kelly, McCormick e Reich, hanno individuato all’origine della bioetica un movimento di reazione al riduzionismo e al disumanizzante avanzamento tecnico della scienza moderna, con conseguente approdo al processo di Norimberga e agli interventi di Papa Pio XII. Fu proprio Pio XII a chiedere ad Agostino Gemelli di istituire una facoltà di Medicina  e Chirurgia a Roma, con una forte connotazione etica degli studi.

La prima apparizione del termine bioetica risale al 1973 in un saggio pubblicato da Torchio sulla rivista Natura, con forti connotazioni potteriane e preoccupazioni per le alterazioni degli ecosistemi e degli equilibri biologici.

Il primo centro di bioetica in Europa fu istituito in Spagna a Barcellona, presso la Facoltà di Teologia. Presto il dibattito bioetica si diffuse in Francia e a Roma. Sulla impostazione di pensiero che questo centro introduce e porta avanti in tutta Europa una bioetica concentrata sulle biotecnologie in medicina. Con Diego Garcia, in Spagna, la bioetica è stata studiata secondo tre approcci: quello storico, quello filosofico e quello della teoria della medicina.

A Londra, nel 1975, viene costituito l’Institute of medical ethics, con una corrente di pensiero chiaramente utilitarista. Nel 1977 nasce il Linacre Center, composto in massima parte da docenti dell’area biomedica, legale e filosofica-teologica. L’impostazione di pensiero è propriamente cattolica e contribuisce a livello di consulenze governative. Nel 1991 nasce il Nuffield Council on Bioethics, con un forte lavoro interdisciplinare che ha portato ad una serie di lavori nei campi della genetica, degli xenotrapianti, dei disordini mentali, ecc. l’impostazione di pensiero è laica.

Negli anni ottanta sono sorti i centri di studio di Lille, Lione e Parigi e il noto Comitè Consultatif National d’Etique, si affermano le iniziative del Centro Sevres di Parigi, concentrando la ricerca nei campi della sperimentazione e della procreazione assistita e della genetica, dell’astenzione delle terapie e delle cure palliative. L’impostazione di pensiero è espressamente cristiana. In Belgio, nel 1983 nasce il Centre d’èdudies bioethiques che promuove la bioetica come disciplina accademica con l’intento di conciliare nella pratica medica scienza e coscienza. Nel 1987 con il Protocollo di Bochum nasce il Centro di etica medica dell’università di Buchum che ha prodotto una considerevole attività nel campo dell’etica medica e del settore biotecnologico. L’impostazione di pensiero si articola  su quattro punti metodologici: l’identificazione dei dati medico-scientifici attraverso una adeguata diagnostica, l’identificazione dei dati medico-etici a partire dalla salute e dal benessere del paziente e dall’autodecisione del paziente e dalla responsabilità del medico, dalle possibili opzioni per il trattamento del caso e questioni supplementari per la valutazione etica. Centro studio di simili impostazioni metodologiche ma di tendenza cattolica-protestante è quello di Tubinga, nato nel 1985, e la cui prospettiva di fondo è che nei problemi sollevati dalle nuove frontiere della medicina e della scienza non è possibile offrire il parere o la risposta di una sola area scientifica; la comunicazione e lo scambio di informazioni sono essenziali per costituire un parere comune.

In Olanda nel 1987 presso l’università di Utrecht è stato istituito il Center for Bioethichs and Health Law, con il compito del coordinamento di tutta l’attività bioetica dell’università. La ricerca si è concentrata sulla sperimentazione umana e animale, sull’eutanasia, sulla fanatica e sulle tecnologie riproduttive, ecc. La corrente di pensiero è da loro stessi chiamata “modello operativo a rete”, secondo cui il giudizio morale e particolare può essere giustificato solo quando si raggiunge un equilibrium tra fatti moralmente rilevanti, intuizioni e principi morali. Nel 1992 sorge in Europa, con sede a Strasburgo, il Comitato Direttivo della Bioetica, organizzazione intergovernativa del consiglio d’Europa. Lo scopo principale è quello di permettere agli Stati di disporre di testi organicamente rispondenti alle sfide delle scienze biomendiche. Tale centro si pone sulla linea di pensiero di proporre il riconoscimento dei diritti dell’uomo, l’affermazione della libertà della scienza, la partecipazione di tutti i gruppi sociali interessati ad una politica comune e la libera circolazione delle informazioni.

In italia il primo centro di bioetica avviene nel 1985 a Roma presso l’Università Cattolica, con una Cattedra di Bioetica affidata al Prof. Sgreccia. Il Centro si prefigge un costante riferimento ai criteri di scientificità propri della visione cattolica della vita e della fedeltà al magistero della Chiesa, e vede la bioetica aperta alla metafisica in una sorta di personalismo ontologico. Tale personalismo ontologico è una concezione generale della vita e dell’etica che pone l’uomo come realtà positiva e centrale della bioetica, come facoltà di discernimento tra ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è eticamente lecito.

Sulla scia del pensiero sgrecciana altri centri hanno dinamicamente strutturato la bioetica italiana. Sulla corrente di pensiero alternativa, nel 1983 nasce il Centro Politeia, per la ricerca e la formazione in politica e in etica. A Genova, nel 1984 nasce il Centro di bioetica, apportando una dimensione di pensiero nuovo  con approccio etologico ed ecologico che concepisce la nuova disciplina come etica applicata al  Bio-Realm. Accanto alla bioetica medica esistono una bioetica animalistica, detta della biocultura, e una bioetica ambientale. La Società italiana di bioetica, sorta nel 1987 a Firenze presso la Cattedra di antropologia, vede la bioetica in senso potteriano con accentuazione darwiniana dell’evoluzione della specie animale e di quella umana, cioè bioetica globale e non focalizzata solo sui problemi delle biotecnologie in medicina.      Mori  ha affermato che, per i laici, è assolutamente necessario focalizzare il dibattito sulla bioetica perché i c.d. periodi critici in cui dominano i dubbi e le incertezze durano poco. Inoltre va tenuto presente che se l’interesse per la giustificazione fosse frustrato, la società umana tornerebbe alle intuizioni tradizionali. Il dibattito europeo in questi ultimi 30 anni è stato improntato al semplice confronto aperto a tutti  e volontà di capire le ragioni dell’altro. La bioetica si è manifestata come un luogo d’incontro  e di confronto per il dialogo e la tolleranza. 

Secondo Simporè[18] l’insegnamento della bioetica nelle università del continente africano è molto debole anche se ciò non significa che questi popoli vivano senza principi etici. “L’Africa da molti decenni è teatro di guerre fratricide  che decimano la popolazione e distruggono le ricchezze naturali e culturali”[19]. Il tribalismo, il razzismo, il fondamentalismo e l’integralismo religioso, la sete di potere e di denaro hanno rafforzato i regimi totalitari provocando questi conflitti. Le strutture d’insegnamento tradizionale Africano sull’etica della vita sono individuabili nei campi di iniziazione, nei canti del griot e cura dei malati e nei diritti della vita. Per ciò che concerne i riti d’iniziazione, essi esistono in quasi tutti i paesi dell’Africa Nera. “In Guinea, durante le iniziazioni, i capi del campo formano umanamente, intellettualmente e socialmente gli uomini e le donne responsabili del domani[20]”.

Secondo Mara nel centro Africa l’iniziazione è spesso legata alla circoncisione dei maschi e l’escissione delle femmine. Durante questa iniziazione questi giovani devono dimostrare la loro maturità, la loro resistenza fisica e la loro competenza attraverso diverse prove. Sono istruiti sulla storia dei loro antenati e della loro famiglia, apprendono i miti e le leggende sulla creazione del mondo e lo sviluppo della vita sulla terra imparando a comportarsi bene nella società. In questi racconti ci sono molti insegnamenti sull’etica della vita. Presso alcune popolazioni della Nigeria i gobbi, gli albini e gli atipici sociali sono considerati come delle persone protette da Dio.
In una cultura orale i canti del griot, del cantastorie, ha funzione fondamentale per l’educazione e la formazione. E’ la memoria del popolo  ed il maestro per eccellenza di tutta la società. Con il suo tam-tam egli parla e con la sua chitarra lancia enigmi; incoraggia sempre ad essere figli del clan osservando scrupolosamente i costumi ed essendo sempre pronti a dare la propria vita per difendere gli interessi della tribù.
Per  sdrammatizzare la morte e sostenere un vecchio agonizzante una donna si distacca dal gruppo e prendendo il paziente tra le braccia lo assista fino all’agonia, dandogli da mangiare e da bere, esattamente come si fa per la circoncisione e per il parto, cantando le glorie degli antenati, come fosse una nenia che lo aiuta a raggiungere in compagnia la propria fine.  
Per ciò che riguarda i diritti della vita, testimoniati nel continente africano attraverso le società ben strutturate e gerarchizzate con capi, imperatori e loro vassalli, l’antropologia stessa  della vita e della morte di questi regni ci insegna che la vita umana è sacra e che per conseguenza deve essere rispettata, protetta e curata attraverso il rispetto dei diritti e dei doveri dell’uomo nelle sue diverse società.

I diritti dell’uomo in Africa sono vissuti tra violenze politiche, assassini, cruenti colpi di stato, torture e genocidi, attraverso coalizioni tra poteri politici, giustizia e legislazioni. La Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dell’Organizzazione dell’unità africana, riunita a Banjul nel 1981, ha stabilito una convenzione intitolata Carta Africana dei diritti dell’Uomo e dei Popoli, che afferma la libertà, al giustizia e la dignità come oggettività essenziali per la realizzazione delle aspirazioni legittime dei popoli africani.

Il punto di vista di alcuni docenti universitari africani sui problemi della bioetica  è di estrema importanza per la comprensione del pensiero sull’etica della vita che, pur variando da una persona all’altra, ha un comune filo conduttore: la sete di pace e unità, di stabilità e di maturità politica, di giustizia ed etica nella sua politica e azione sociale.

Circa l’aborto, il Rettore dell’Università di Ouagadougou, solleva problematiche di etica e diritto. L’aborto è uno dei primi problemi sollevati in bioetica. Il diritto alla vita è diversamente inteso  e protetto a livello internazionale e rivive nella questione giuridica dell’embrione. Secondo il Prof. Sawadogo “ogni interruzione volontaria di gravidanza costituisce la negazione al diritto alla vita o, almeno, una negazione della vita”[21]. Anche per Monique Ilboudo, giurista, il principio della dignità della persona umana è definito come un principio secondo cui “ un essere umano deve essere trattato come un fine a se stesso”[22]; per riconoscere alla persona umana la dignità  che le compete “è necessario interdire i trattamenti degradanti e l’avvilimento dell’uomo”. Ciò porta a postulare la questione dei diritti fondamentali universali anche se essi, nella realtà, variano a seconda delle specificità culturali, quali segni della nostra comune appartenenza  alla condizione umana. Secondo lei ciò che gli uomini hanno in comune sono la vita, la libertà e il diritto di essere e agire umanamente.

Per un approccio socio-antropologico del diritto alla vita nelle società dell’Africa Nera, il Prof. Nyamba evoca il trattato storico di Kurukan Fuga del 1235. All’indomani di una grande battaglia fu convocata una grande riunione con lo scopo di gettare le basi per un nuovo ordine politico, sociale, culturale ed economico. Sotto forma di precetti giuridici orali fu elaborato un trattato  allo scopo di preservare  e difendere la vita individuale e collettiva  danneggiata dalla guerra, stigmatizzando la protezione dell’ambiente naturale, gettando un ponte tra la vita dell’esistenza globale detta soffio e quella degli esseri umani detta yonre, il naso.

Il Vescovo della diocesi di Bobo, Sanon, scrive in merito alla cultura africana  e la sessualità che gli organi sessuali sono le porte della vita e che bisogna considerare e rispettare come sacri il proprio corpo e il proprio partner. Vi è un legame fondamentale tra le credenze e i comportamenti che legano sessualità, matrimonio, famiglia, amore, vita e procreazione.

Per Daniel Ilboudo, decano della facoltà di medicina tema fondamentale della bioetica è la fase terminale della vita, in cui il paziente domanda al suo medico altre cose al di là della salute quali il benessere sociale e morale, molto di più di ciò che la ipocrita medicina ha per oggetto di dargli. Sono i doloro morali che non si alleviano facilmente e devono essere oggetto di modalità di accompagnamento ben precise quali sostegno morale e fisico, quale elevata forma di solidarietà umana. Morire con dignità significa sentirsi accettati dalla comunità dei vivi.
La riflessione bioetica rappresenta una occasione di riscatto e di recupero dei valori dell’Islam proprio nel campo dell’etica in cui la religione islamica[23] rivendica il primato su ogni altra religione e cultura. Le caratteristiche del dibattito sulla  bioetica concernono il contesto, la prevalenza degli studi su singoli temi della bioetica a scapito di analisi sullo statuto,  sulle metodologie e sulle distinzioni rispetto ad altre discipline, della bioetica islamica e i tentativi di lettura critica.
L’Islam, che comprende il 90% dei musulmani del mondo, non possiede una gerarchia religiosa né una autorità suprema a parte quella riconosciuta ai principi e alle norme presenti nella Svaria. Quando le Sacre Fonti non guidano esplicitamente i fedeli dinanzi a nuovi problemi, costoro possono rivolgersi ai dottori della Legge islamica e chiedere delle interpretazioni delle Fonti attraverso l’emissione di Fatata o opinioni giuridiche. Nelle controversie tra dottori le divergenze vengono risolte solo con il passare del tempo o con la opinione prevalente che esprime il consenso dell’intera comunità. Attualmente al fine di formulare posizioni rappresentative  della comunità su nuovi problemi ci si affida ai responsi di congressi  e conferenze pan-islamiche, il cui valore è prevalentemente quello di una fatwa, opinioni giuridica contestabile da altri soggetti giuridici. L’influenza dei giuristi risulta prevalentemente limitata alla sfera morale mentre quella giuridica è materia dei governi, i quali possono ignorare i pareri dei giureconsulti. La riflessione bioetica nei paesi musulmani viene orientata da principi e criteri tratti dal diritto musulmano e dall’etica medica. I criteri e principi fondamentali sono la sacralità della persona umana, il principio giuridico di necessità, il principio medico del male minore e il principio del beneficio pubblico.
Per l’Islam la vita è un dono divino da tutelare dall’inizio e sul quale l’uomo non ha piena disponibilità. Tuttavia la difesa della vita e l’integrità della persona non sono valori assoluti in quanto la pena di morte, la pena del taglione e la fustigazione sono comminate dal Corano e dalla Sharia per determinati reati. La tutela della vita della comunità islamica prevale su quella del singolo o sulla sua integrità fisica. Il Codice Islamico di Etica Medica stilato in Kuwait nel 1981 afferma che la vita umana non deve essere mai tolta volontariamente se non nei casi previsti dalla Sharia.
Il principio giuridico della necessità rende lecito ciò che altrimenti sarebbe vietato, mentre il principio medico del male minore riguarda l’obbligo di non danneggiare o ferire il paziente se non per un superiore fine terapeutico qualora l’intervento si renda inevitabile. Il principio del beneficio pubblico antepone l’interesse della comunità a quello dell’individuo, con importanti risvolti in ambito biomedico, non ancora approfonditamente rilevati.
Circa la contraccezione sono indicate delle pratiche permesse ma contemporaneamente biasimevoli perché il comportamento più adatto ad un credente è il matrimonio e la filiazione. Attualmente la maggior parte dei giuristi sembra tollerare la contraccezione se esiste il consenso della moglie e se gli strumenti contraccettivi non causano danni a chi li utilizza né sugli eventuali figli.
Viene sostanzialmente rifiutato l’intervento legislativo dello Stato qualora intenda imporre un limite massimo di figli alle famiglie. A ciò si aggiunge il timore che il controllo demografico sia stato elaborato in Occidente e imposto tramite pressioni economiche  ai governi musulmani, proprio perché la componente fondamentalista propende per un aumento della popolazione quale arma anti-occidentale facendo leva sul Corano. Essendo dono di Dio i figli hanno diritto di crescere in condizioni dignitose, in caso contrario è preferibile limitarne il numero.
Circa il pericolo Aids i giureconsulti islamici insistono sulla prevenzione fatta non attraverso l’uso di contraccettivi ma attraverso il ricorso alla castità prematrimoniale e alla fedeltà matrimoniale.
Le posizioni circa l’aborto sono più rigide e il problema consiste nello stabilire quando comincia la vita umana. L’interpretazione storicamente più diffusa fa coincidere la “creazione nuova”del brano cranico con l’infusione dell’anima al centoventesimo giorno dalla fecondazione; ne consegue che la vita di ogni creatura umana si articola in due periodi, uno privo dell’anima e l’altro animato. Storicamente i dottori della legge accettano l’aborto terapeutico affermando che la Svaria salva la madre in base a tre principi: ella è vita già sviluppata e fonte di vita, in base al principio dell’albero e del ramo e sul principio del male minore. Il significato di aborto terapeutico è flessibile in quanto può riferirsi all’interruzione della gravidanza per salvare la vita materna, può includere il solo desiderio di tutelare la salute della donna o evitare la nascita di un feto con gravi handicap. Tutte le scuole giuridiche concordano nel tenere in vita una donna gravida condannata a morte per gravi reati al fine di portare a conclusione lo svezzamento. Altra scuola di pensiero, quella del Comitato delle Fatawa,  dichiara che l’aborto è assolutamente illecito anche in caso di stupro o di adulterio, tranne quando la vita della madre è in pericolo, tuttavia, molti giuristi musulmani, tollerano l’aborto praticato nel periodo prima dell’infusione dell’anima.  
Per ciò che concerne la procreazione artificiale la situazione in Islam è complicata poiché, pur non essendo obbligatoria, la procreazione è una delle finalità fondamentali del matrimonio, inoltre il Corano vieta l’adozione, ritenuta un inganno nei riguardi del bambino circa i suoi legami genetici ed ereditari. La sessualità è lecita esclusivamente tra coniugi mentre gli stati scoraggiano, senza proibirla, la poligamia. Ogni rapporto sessuale extraconiugale viene condannato dalla Sharia e, in quest’ottica, vengono solo accettate le tecniche di fecondazione artificiale omologa sia in vivo che in vitro, purché la tecnica non sia lesiva per la donna. La crioconservazione di ovuli fecondati in eccesso sembra lecita a condizione che il gamete appartenga alla coppia e possa essere trasferito nella moglie da cui proviene solo finché è valido il matrimonio, che termina con la morta dello sposo o con il divorzio. Nel 1991 si è tenuta la prima Conferenza Internazionale sulla bioetica della procreazione umana nel mondo islamico al Cairo. Il documento conclusivo di dichiara favorevole all’utilizzo di embrioni crioconservati e fa divieto di ricerche a fini commerciali o comunque non mirate alla salute dell’embrione o della madre.
Le interpretazioni dei dottori della legge circa i trapianti d’organo si inseriscono tra due estremi: i fautori della pratica del trapianto  fanno riferimento a più principi, quello della necessità, il principio del minore tra due mali e il principio del beneficio pubblico. La donazione è considerata un dovere sociale verso la comunità senza distinzione di religione tra donatore e ricevente. Nonostante ciò parecchi giuristi conservano la preferenza per uno scambio di organi tra musulmani per rafforzare la nazione islamica. Resiste una minoranza di religiosi contraria al trapianto in genere ma soprattutto da cadavere: questo orientamento  è sostenuto dalla concezione teologica che vede il Creatore come unico proprietario del corpo umano di cui l’uomo non può disporre neppure per il bene del prossimo.
Il problema della definizione della morte e dei criteri per determinarla è tuttora aperto. Per i sanitari musulmani il criterio sempre più diffuso è quello della morte di tutte le funzioni della neocorteccia e del tronco nonostante i criteri di morte cerebrale espresso dai giurisperiti della Lega islamica riunitasi alla Mecca nel 1987. L’Arabia Saudita rifiuta il consenso presunto del defunto se non è attestato dalla donor card, in quanto la donazione di un organo è un evento tanto importante da necessitare del consenso esplicito e responsabile del donatore.
Circa la clonazione umanai giudizi sono diversificati. Alcuni giuristi la ritengono non vietata dalle Fonti Sacre dell’Islam. Per altri la clonazione può essere la prova della resurrezione dei corpi alla fine dei tempi oppure della nascita di Cristo senza contatto carnale. Per altri ancora è impossibile clonare l’uomo perché la scienza non è in grado di clonarne l’anima e tale pratica è immorale e satanica.
Uno sceicco egiziano,  Quaradawi, è interessato alle conseguenze sociali e familiari della clonazione e, su queste basi, esprime un giudizio negativo in quanto la famiglia e il matrimonio rischiano di diventare inutili, la varietà tra gli esseri umani viene compromessa e non è più segno distintivo della creazione divina e, a causa dell’effetto fotocopia, il partner potrebbe non riconoscere più il partner originale. Secondo lo sceicco il ricorso alla clonazione rimane tollerabile se tutela la salute  del feto o per sconfiggere alcune patologie ereditarie. L’introduzione di un gene sano in cellule somatiche è approvata dall’Islam se effettuata con finalità terapeutiche. La chiusura verso qualsiasi utilizzo della clonazione e della ingegneria genetica è netta. La manipolazione genetica è permessa solo nell’ambito della microbiologia, della batteriologia, della botanica e della zoologia solo nei casi di interesse collettivo approvati dalla Sharia. 
Esiste una notevole preoccupazione da parte di alcuni stati musulmani di diventare terra di sperimentazione e di diffusione delle tecniche di clonazione praticate da organizzazioni straniere.
Sgreccia chiude gli interventi del Convegno sui Diritti della Persona nella prospettiva bioetica e giuridica facendosi interprete di una attesa e di una speranza di tutta la cultura mondiale[24]: l’individuazione e la conoscenza dei principi, dei valori e delle norme fondamentali, di validità concreta e universale, necessarie e condivise per cui la vita umana possa continuare ed essere rispettata di fronte alle varie modalità con cui la scienza, la tecnologia e l’azione dell’uomo possano intervenire su di essa.
Sgreccia si chiede il perché di tutto questo parlare di bioetica se non si va verso proposte e fatti concreti e fa una riflessione sulla politica e sulle legislazioni, poiché solo attraverso il biodiritto si può ottenere il consenso e l’apporto della legge  per rendere efficace la disciplina bioetica.
Nei Parlamenti le leggi sulla difesa della vita nascente o sul rispetto del morente hanno tutte avuto formulazioni permissive, per un vago concetto di libertà e per aumentare consensi politici, dove in un gioco tra minoranze e maggioranze, le Costituzioni risultano gracili e inefficaci nella tutela dei diritti inalienabili della persona e i problemi etici vengono ridotti a questioni private, a causa dell’impostazione delle nostre democrazie a carattere procedurale. Tale impostazione non è una  garanzia per i valori e, al momento, non presuppone sempre la inalterabilità costituzionale dei diritti della persona.
Ancora Sgreccia fa richiamo al vuoto etico delle correnti di bioetica più diffuse ossia “il contrattualismo, il liberalismo etico e l’utilitarismo che portano a giustificare il fatto compiuto, il profitto, l’interesse soggettivo rappresentando la negazione di una morale dei valori oggettivi”[25]. La speranza è che la manipolazione dei concetti, quali ad esempio quelli di pre-embrione o di terapia applicato ad azioni che non sono terapeutiche, non continui nel tradimento dell’intelligenza e della verità. Sul piano etico “occorre ristabilire la dignità della persona attraverso il personalismo ontologico”[26], poiché essa vale per ciò che è nella profondità della sua essenza e della sua dignità spirituale e non per la “qualità di vita” intesa in senso funzionalistico.
Per Sgreccia, solo a patto che ci sia una ripresa filosofica realista e personalista, la bioetica potrà evitare il vuoto e la delusione. La scienza deve avere un profilo che ricerchi la pienezza dell’uomo e il rispetto della dignità del bene di tutti e solo la presenza di una bioetica fondata veritativamente può impedire il paradosso attuale: mentre si parla di bioetica  si constata l’abbandono e la vanificazione dei valori fondanti la vita dell’intera umanità; sul piano giuridico “è necessaria la tutela e la promozione dei diritti al di sopra di ogni contrattazione o compromesso”[27].
Nel 2000, anno giubilare, i temi dell’amnistia e dell’indulto sono tornati violentemente alla ribalta nel programma politico oltre che nella coscienza pubblica anche a seguito dell’intervento sul tema di Papa Giovanni Paolo II[28].
I segni di clemenza delle Autorità, dimostrabili attraverso la riduzione delle pene, e il rispetto per la dignità umana, restituito ai detenuti attraverso la revisione del sistema carcerario e del diritto penale, sono stato oggetto del messaggio del Sommo Pontefice per il Giubileo nelle carceri.
Circa la nozione di amnistia e indulto è necessaria una breve introduzione, a causa dei profondi significati giuridici e morali relativi all’applicazione dei suddetti Istituti.
Una legge costituzionale del 1992 ha sottratto gli istituto al potere esecutivo a causa dell’abuso che se ne è fatto negli anni precedenti, attribuendone la concessione alle Camere.
L’amnistia è un provvedimento generale con cui lo Stato rinuncia all’applicazione della pena per determinati reati e si distingue in amnistia propria, quando viene proclamata prima che sia esaurito l’accertamento giurisdizionale del reato, e amnistia impropria quando interviene dopo la sentenza irrevocabile di condanna: ha effetto sui reati commessi fino alla data stabilita per la sua decorrenza dalla legge che la concede.
Del pari, l’indulto è un provvedimento di carattere generale ma opera solo esclusivamente sulla pena principale che viene condonata o commutata in altra pena, di diversa specie, consentita dalla legge. La sua efficacia è relativa ai reati commessi al giorno precedente alla data del decreto[29].
Per ciò che riguarda il sistema giudiziario l’amnistia potrebbe essere una “valvola di sfogo” per il suo equilibrio; ciò che  fondamentalmente preme dirimere è il dibattito tra la funzione sociale della pena e la sua funzione penale. Secondo alcuni, entrambi gli istituti, poiché sottraggono senso e credibilità alle regole il cui rispetto diventa opzionale e non fondamento della convivenza civile, potrebbero costruire un circolo vizioso di illegalità diffusa; secondo altri potrebbero essere validi strumenti per il reinserimento del detenuto.  
Il nostro legislatore è vincolato, da un principio etico, nell’impostare l’esecuzione delle pene, dall’articolo 27 della Costituzione; esse non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Le Scuole moderne di diritto penale, a partire dal 1700, affrontano il problema della scelta delle pene e delle modalità della loro applicazione.
La Scuola classica nasce nell’ambito di un movimento garantista che porterà all’affermazione del principio secondo cui nessuno può essere punito se non per un fatto espressamente previsto dalla legge come reato e con pene dalla stessa stabilite. Sotto la spinta dei vari movimenti di pensiero relativi alla scuola classica nasce l’idea di penitenziario e il conseguente problema del trattamento dei detenuti.
La Scuola positivista fiorisce in Italia verso la fine dell’ottocento e i suoi più illustri rappresentanti sono Lombroso, Ferri e Garofalo. Essa afferma che vi è un assoluto determinismo nell’azione delittuosa per cui la pena, a scopo terapeutico, si prefigge la difesa della società attraverso il trattamento curativo del delinquente. Si pone il problema del trattamento penitenziario e l’esecuzione della pena non potrebbe assumere altro significato se non quello della vendetta della comunità nei confronti del trasgressore delle regole.
La Scuola sociologica considera il delitto un prodotto sociale e quindi normale poiché affonda le sue radici nella comunità; il controllo del crimine dipende essenzialmente dai mutamenti della società. Il delitto, deplorevole, è un fenomeno inevitabile in quanto parte di tutte le società sane.
La Scuola radicale manifesta la tendenza ad escludere la validità della legge penale e dei sistemi sanzionatori ad essa collegati, poiché i tentativi di repressione sono autodistruttivi e potrebbero aumentare le devianze.
Il fine ultimo del trattamento rieducativi del condannato è quello di procedere ad una osservazione che permetta l’individuazione della natura dei soggetti e dei caratteri dei possibili interventi rieducativi quali il disadattamento, l’antisocialità e la delinquenza. Ci si auspica di porre in essere trattamenti rieducativi con il fine di modificare socialmente ed eticamente la personalità del detenuto, rimuovendo le cause del comportamento criminoso e dotando il soggetto della capacità di adeguarsi all’etica giuridico-sociale per un congruo reinserimento nella società[30].
La attuale situazione nelle carceri italiane è preoccupante a causa del timore che possa sfuggire dal controllo degli operatori. Si lamentano enormi disagi che, legati al degrado morale, economico, logistico, sanitario e sociale, portano a disattendere l’articolo 27 della Costituzione repubblicana. L’amnistia e l’indulto determinerebbero una diminuzione numericamente significativa  della popolazione carceraria con la conseguenza di un notevole vantaggio economico oltre che un aumento della vivibilità sia per i detenuti che per gli operatori. Il rischio è che molti detenuti, messi in libertà a seguito del provvedimento, potrebbero tornare a commettere reati con grave pregiudizio economico e sociale per l’intera collettività.
Alcune valutazioni etico-giuridiche circa l’applicazione  e la concessione degli istituti giuridici dell’amnistia e dell’indulto sono necessarie anche ai fini del discorso sulla  bioetica. Nasce l’esigenza del biodiritto al fine di poter valutare con cognizioni di causa i diritti fondamentali, i valori irrinunciabili di cui l’essere umano è titolare, attraverso la valutazione degli aspetti giuridici-pratici e dell’aspetto etico del problema, sollevato dalla richiesta di concessione dei provvedimenti di amnistia e indulto. In conclusione ci si auspica che tali e tanto discussi provvedimenti non si trasformino in strumenti d’emergenza, intrisi di colori politici. Il dibattito dovrebbe essere finalizzato alla tutela dei diritti e della dignità delle persone recluse e delle loro vittime, alla tutela del potere statale e delle migliori scelte di politica giudiziaria e penitenziaria e ad interventi riabilitativi per la persona e la tutela dei diritti della comunità.
Le frontiere attuali della bioetica[31] possono venire identificate in almeno sette punti: esse sono la difesa dell’ecosistema, il coinvolgimento della ricerca pubblica, la questione delle moratorie da infliggere per le sperimentazioni indiscriminate, la sconfitta delle malattie infettive incurabili, l’accantonamento dei metodi di ricerca discutibili sul piano etico, la regolazione chiara e condivisa delle politiche demografiche e non ultimo il problema dell’aumento della povertà ai limiti della sopravvivenza. Si va configurando una Global Bioethics.
In merito alla brevettabilità e difesa dell’ecosistema si stanno muovendo alcuni passi verso una elaborazione legislativa in cui le biotecnologie sono le priorità di tutti i documenti di programmazione economica europei.
La causa di questa rielaborazione è dovuta anche ad una presunta inadeguatezza della base giuridica della Direttiva europea n. 44,  del maggio 1998 sulla brevettabilità delle innovazioni biotecnologiche, e della presunta violazione del principio di sussidiarietà della certezza del diritto internazionale europeo e dei brevetti da parte della stessa Direttiva. Appare opportuna una attenta valutazione che direttamente riguardi la ricerca e la sperimentazione scientifica, pubblica e privata, per la valutazione delle conseguenze pratiche e le valenze effettive sul piano bioetica.
Il rigore scientifico e l’etica della ricerca sono intimamente interconnessi e interdipendenti; l’U.E. ha indicato la necessità di creare un organismo scientifico che sia responsabile dell’applicazione di una procedura trasparente e attendibile per la valutazione degli organismi geneticamente modificati. Per ciò che concerne la brevettabilità di un gene umano persistono delle ambiguità circa le stesse definizioni di “materiale biologico” e “procedimento microbiologico”[32].

LINEE COMUNI DELLA COMPLESSIVA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE EUROPEA IN TEMA DI DIRITTO ALLA VITA DEL CONCEPITO E INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA[33]

Lo statuto giuridico dell’embrione umano è uno degli argomenti più controversi sia per la bioetica che per il biodiritto[34].
Tutti i maggiori organi nazionali e sovranazionali si sono attivati per riflettere giuridicamente in tema di fecondazione artificiale umana e di manipolazione genetica.
La giurisprudenza costituzionale europea, prestando attenzione ai diritti della persona studiati sulla base delle decisioni  di otto paesi dell’Unione, trai quali Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Austria, Polonia e Ungheria, sembra essere una comune e complessiva realtà, anche se registra notevoli differenze  e reciproche influenze. Gli elementi comuni ravvisati sono tre: la tendenziale preferenza per il regime di “indicazioni” rispetto al principio di autodeterminazione della donna, la mancanza di negazione dell’umanità del concepito e la riflessione costituzionale europea.
Le giurisprudenze europee sono tolleranti nei confronti della legalizzazione dell’aborto su indicazioni  ma non della libertà di decisione della donna di interrompere liberamente la gravidanza.
In nessuna decisione europea si sostiene che il concepito non è un essere umano[35]. Anche la Convenzione sui diritti del bambino quando si riferisce al bambino in fase prenatale lo indica come titolare di un vero e proprio diritto alla vita.
L’inquietitudine delle giurisprudenze europee nasce dal dilemma tra il salvare le decisioni parlamentari e il non voler rinunciare ai principi di dignità umana e di uguaglianza che costituiscono l’aspetto più alto e moderno della cultura giuridica. La massima difesa del diritto alla vita è consegnata nelle mani della razionalità giuridica della giurisprudenza costituzionale europea.
Vico ci fa opportunamente rilevare che  “si è aperta e continua a dilatarsi l’età dei diritti[36] il cui requisito fondamentale sta nel fatto che l’uomo afferma di non essere un puro dato e riconosce che un infinito cammino di senso si realizza in lui.., comportando apertura agli altri, partecipazione e modalità nuove di responsabilizzare se stesso e gli altri intorno al problema vita”.
E’ molto evidente l’intensificarsi del rapporto bioetica- scienze dell’educazione, soprattutto per ciò che concerne l’attenzione alla formazione bioetica degli operatori sanitari e delle loro coscienze, che non può prescindere dal privilegiare i diritti umani.  Molte delle tematiche affrontate dalla bioetica nascono nell’ambito della biomedicina e, quindi, i primi ad essere interpellati nei loro doveri e responsabilità sono i ricercatori, gli scienziati, i medici e gli operatori sanitari in genere. La bioetica si pone come momento chiarificatore, unificatore e integrativo della professione sanitaria, perché spinge verso al chiarezza etica circa il comportamento professionale da assumere, perché è il punto di incontro unificatore di varie specialità in medicina e perché guarda alla realtà in prospettiva ontologica e assiologica.
La sfida comune  ai diritti umani e alla bioetica è quella di tutelare l’inviolabilità della dignità di ciascun essere umano, sul territorio della vita che inizia, che soffre, che muore venendo manipolata, selezionata, usata, emarginata.
Il principio dell’alleanza terapeutica ha portato alla considerazione del paziente come soggetto attivo della propria vicenda diagnostica-terapeutica, come eloquente forma di una autentica cultura della vita in cui scienza e tecnica, sganciate dalla riflessione etico-filosofica e dalle ricadute educative e culturali, siano in grado di indicare da sole una “nuova cultura della vita”[37]che abbia da attingere nella persona, quale portatrice di valori e diritti, la sorgente alla quale attingere orientamenti, obiettivi e traguardi.
Alle Scienze dell’Educazione va il compito di informare, educare e formare gli educandi nelle loro coscienze, comportamenti e scelte rispettose della persona mentre non sono da trascurare le interdisciplinarietà relative ai documenti giuridici internazionali che hanno ricaduta sulle professioni sanitarie.
Clemente, alla luce delle interpretazioni date in materia di Sociologia della salute[38], ha esaminato gli atti relativi al processo di formulazione dell’art. 32 della Costituzione italiana durante le assemblee della Costituente[39]. Il diritto alla salute, collocato nel Titolo “Rapporti etico-sociali”, è stato  recepito nella sua pienezza di diritto fondamentale da tutti gli schieramenti politici, con le loro diverse culture solidaristiche cristiano-cattolica, comunista e socialista, come elemento unificatore “nell’atto di costruire una casa nella quale tutti devono ritrovarsi ad abitare insieme”. La tutela della salute  implica, anche per sinteticità costituzionale la prevenzione della malattia.
Nella Roma antica una norma sintetica citava: salus pubblica suprema lex. La questione è umana e medica, “troppo ampia e pericolosa e delicata per essere trattazione della Costituzione”.., .. così come “il rapporto tra medico e ammalato, sia per carattere tecnico che per sua stretta colleganza all’organizzazione sanitaria, dovrebbe essere rinviata ai compiti legislativi dello Stato”[40]
Il timore, di alcuni membri della Costituente, che lo Stato Italiano si avvii verso una struttura decentrata regionalistica dove, in assenza di un organo centrale coordinatore e autonomo che disciplini  la complessa e delicata materia sanitaria in via normativa, il principio unitario dell’indirizzo sanitario potrebbe subire le influenze negative di un decentramento amministrativo e di un decentramento normativo, pericoloso per la tutela di un principio-base essenziale per la tutela della salute pubblica.
Emerge l’importanza del rapporto tra medico e ammalato, per il rispetto della volontà di scelta del malato e della libertà di esercizio professionale del medico, tuttora dibattuto tema in materia di bioetica, biodiritto e biomedicina che “imponeva, al tempo della Costituente, “il dovere di avere il coraggio consapevole e mediato di mirare ad un ordinamento nuovo.. attraverso l’eliminazione di tutte le disparità e le disuguaglianze fra i cittadini”[41]. L’orientamento  degli emendamenti e dei discorsi Parlamentari mirava ad individuare, assieme al diritto del cittadino anche il suo dovere di collaborare con la collettività promuovendo tutti i mezzi e le iniziative necessarie  per tutelare la sua stessa salute, poiché un individuo malato o minorato nelle sua capacità fisiche e intellettuali, indubbiamente non è più un uomo libero. Inoltre “nessuno”, secondo il testo dell’art. 32-secondo comma, “può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun casi violare i limiti imposti dal rispetto della personalità umana”.
A tal punto “sarebbe necessario individuare dei punti di contatto, di discontinuità e di corrispondenza con il dibattito interno alla sociologia”[42] della organizzazione sanitaria, per tracciare un excursus storico-legislativo del sistema sanitario che ci permetta di comprendere il tipo e il grado di influenze delle teorie micro e macro sistemiche in sociologia e delle diverse culture bio-mediche.
Il paradigma bio-medico ad impianto meccanicistico-scientista è l’approccio dominante nel sapere medico-sanitario. E’ definito “modello meccanico poiché considera il corpo umano una macchina..”; è detto “scientista perché afferma che la malattia va trattata come se fosse indipendente dal comportamento sociale, così come le deviazioni comportamentali, la cui origine sarebbe solo di natura somatica, anche se disturbata[43]”. Tale approccio ha avuto come implicazioni principali il trascurare gli aspetti psicologici, ambientale e sociali della malattia, ignorando l’autocoscienza, la capacità di autoriflessione e l’autonoma capacità di decidere ciò che si ritiene importante nella vita.
Il modello sociale in medicina  si sviluppa a seguito di bonifiche di malattie diffusive nelle campagne, nelle fabbriche, negli insediamenti popolari urbani derivanti da habitat insalubri e povertà. La medicina epidemiologica ha accertato numerose correlazioni statistiche tra la speranza media di vita alla nascita e alcune situazioni sociali e psico-ambientali. Lo status sociale, il livello di istruzione, il livello di fiducia e autostima, la marginalità e i traumi da rottura di relazioni umane primarie sono le principali variabili considerate dagli studi di medicina sociale.
Il modello neo-scientista è quello attualmente più criticato e utilizzato dalle scienze naturali e artificiali, le importanti scoperte scientifiche della biologia della fisica e della matematica sono strettamente correlate alle scienze dell’artificiale quali la bio-fisica e l’ingegneria molecolare. Lo scopo comune è quello di indagare e proporre soluzioni medico-scientifiche in ambiti bio-etici e medici quali ad esempio la chirurgia dei trapianti d’organo, la chirurgia protesica artificiale, la mappatura del genoma umano e le ricerche sulle terapie geniche.
Partendo dal dibattito della Costituente circa l’art. 32 della Costituzione, dalle impostazioni culturali biomediche e dalle teorie sociologiche sulla salute si rendono evidenti delle conclusioni generali in materia di salute sociale. La tutela della salute è un diritto fondamentale del singolo ma riveste importanza generale per la società, è un principio da tutelare in quanto funzione più importante dello Stato e suprema Lex della Repubblica. Sostenitori di tali verità sono stato Emile Durkheim e Talcott Parsons nelle loro riflessioni sociologiche, macro-sistemiche sulla società e i suoi processi, considerando gli attori sociali e la società stessa come direttamente proporzionali nelle loro interazioni, individuando correlazioni positive in cui gli atti sociali sono organizzati in sistemi sociali di riferimento. Parsons, ne Il Sistema sociale, affronta il problema della salute con riferimento ai pre-requisiti funzionali del sistema sociale. Per Durkheim, ne Le Regole del Metodo sociologico, la salute di un popolo è effetto dell’integrazione sociale ad opera di una cultura vivente entro l’intero corpo sociale. 
Nella tutela della salute è implicita anche la prevenzione, di cui ogni individuo ne ha oltre che diritto soggettivo anche dovere giuridico, al fine di rispettare la stessa collettività che ha interessi di controllo sociale della malattia anche in termini economici.
Per le teorie micro-sistemiche in sociologia un importante considerazione è da fare in merito alla teoria dell’agire sociale di Max Weber. Come applicazione del suo insegnamento alla sociologia sanitaria è necessario partire dal consiglio di bilanciamento tra le due  azioni sociali (di tipo tradizionale o razionali e di tipo affettivamente orientate), al fine di riconoscere i limiti di azioni a dominanza solo valoriale-intenzionale e azioni solo a dominanza razionale-strumentale. Per le teorie microsistemiche il problema salute pubblica viene analizzato attraverso la comprensione dei fenomeni sociali privilegiando gli aspetti soggettivi e intersoggettivi. Anche Goffmann, ne La vita quotidiana come rappresentazione, analizza la vita quotidiana di relazioni sociali all’interno di standards secondo i quali gli attori sociali e i loro prodotti verranno giudicati più o meno aderenti a ruoli predefiniti. E “l’armonizzazione tra ruoli a carattere personale non è sempre fattibile, poiché è possibile arrivare a situazioni in cui la forza costrittiva, nella fattispecie delle istituzioni sanitarie per malati mentali,arrivino a schiacciare istituzionalmente la variabile persona, per esaltare e regolare solo il ruolo dell’infermo mentale”[44].
Con Achille Ardigò si è arrivati all’orientamento metodologico compositivo che ha preso coscienza della non piena comprensibilità dei fenomeni sociali nelle società complesse attraverso singole teorie esclusivizzanti di micro o macro analisi sociologica.
Circa l’uguaglianza fra tutti i cittadini e il diritto all’assistenza sanitaria citato nell’art. 3 della Costituzione italiana, la riflessione attuale e che la salute viene trattata come un bene meramente economico in un contesto, quello dell’aziendalizzazione del sistema sanitario, regolato da leggi simili a quelle del libero mercato; quindi c’è il pericolo che qualcuno venga leso nel suo diritto sociale-costituzionale e fondamentale alla salute e quindi anche nella sua libertà di cittadino. L’importanza della comuncazione empatica alla base del rapporto terapeutico è un altro tema fondamentale della biomedicina, chiamata doverosamente a dare il suo contributo con modelli sociali, centrati sul piano del dialogo nel rapporto tra operatori sanitari e pazienti non dimenticando la cruciale importanza delle relazioni umane che legano i soggetti al contesto  famigliare e sociale.
Hans Jonas[45], partendo da un punto di vista analogo a quello di Potter, prende in considerazione il potere della tecnologia in quanto minaccia per il futuro e la sopravvivenza dell’umanità. Privitera ci parla della vita e dei comportamenti umani che, “direttamente o indirettamente si ripercuotono, oggo o nel futuro, sulla vita, intesa come fatto biologico o come valore dell’antropos”[46]. La bioetica si propone di scoprire nel meccanismo della vita quel minimo comune denominatore che si realizza in tutti i viventi e che li separa da tutti i viventi; essa non è caratterizzata solo dalla “riflessione sulla vita dell’uomo e sulla salvaguardia dell’umanità ma anche da uno sguardo ampliato alla biosfera, cioè ad ogni intervento scientifico dell’uomo sulla vita in genere”[47]. Jonas prende in considerazione l’accresciuto potere della tecnologia esaminandone le eventuali minacce per la sopravvivenza dell’umanità, muovendo da una analisi simile e quella di Potter.
L’umanità ha il diritto-dovere di sopravvivere e, a tal fine, occorre che venga fondata una nuova etica del futuro basata sull’esame delle conseguenze, sulle generazioni future, degli interventi umani sulla biosfera.
In Organismo e libertà Jonas  esamina la riformulazione dell’ontologia a partire dal ricambio metabolico e/o organico dell’evoluzione anomale, in gradi fisici e psichici sempre più elevati fino a giungere all’uomo. A tal merito Ricoeur ha parlato di una vera e propria filosofia della biologia, elaborata in chiave antidarwiniana e antiriduzionista, attraverso la quale si elabora un percorso dell’organismo verso la libertà e la vita afferma categoricamente se stessa. Si recupera la nozione di fine che rivela una gerarchia tra tutti gli esseri viventi, in cui ci sono ovunque tracce di intenzionalità e interiorità. Jonas invita a comprendere il meno evoluto -l’ameba- alla luce del più evoluto -l’uomo- permettendo alla filosofia della vita[48] di spaziare dall’organismo alla mente. “Se dovessimo usare il linguaggio dell’ontologia, potremmo dire che, partendo da quanto afferma Jonas gli organismi sono entità il cui essere è il loro fare. Il che significa che essi esistono solo in virtù di quello che fanno e questo nel senso più radicale”[49].
La vita animale introduce ulteriori differenziazioni di questa iniziale forma di libertà, attraverso le modalità della percezione, dell’emotività  e della motilità. Tra animale e uomini ci sono differenze non solo sul piano della libertà, della razionalità e della metafisica, ma anche la teleologia del mondo animale è diversa da quella dell’uomo, poiché l’animale persegue il suo scopo in modo lineare, orizzontale mentre l’uomo ha la possibilità di prefiggersi degli scopi e di sceglierne, liberamente e coscientemente, uno tra tanti in quanto responsabile della scelta che compie di fronte a sé e agli altri esseri.
Jonas afferma che “ogni scopo è un bene in sé ed è bene che ogni essere vivente raggiunga il proprio a condizione che ci sia la vita, scopo superiore di tutti gli scopi”[50]. Con ciò vuole dimostrare che la natura custodisce i valori in quanto custode degli scopi e che il finalismo della natura risulta essere l’unico fondamento di una nuova etica del futuro. Per Jonas non si può fare etica se l’essere è concepito in senso svalutativo e ateleologico. Il dover essere che l’uomo è chiamato liberamente a realizzare è già insito nell’essere e, in forza dell’appartenenza dell’uomo all’essere, ciò che è bene per questo lo è anche per il primo”[51]. Secondo l’interpretazione di Jonas da parte di Furiosi “è più che mai urgente una formulazione di un’etica del futuro che sappia giustificare razionalmente e oggettivamente regole, indicazioni condivisibili da tutti ma che sappia anche distaccarsi dall’etica tradizionale, ormai insufficiente a rispondere alle problematiche dell’uomo contemporaneo”[52]. Partendo da un ontologia dell’essere Jonas gli riconosce valore e senso. Da ciò nascono degli imperativi fondamentali dell’etica della responsabilità per l’uomo contemporaneo: l’umanità deve esistere e deve essere così, assicurando la qualità della vita attraverso il rispetto dell’integrale realizzazione di ogni vivente nella sua condizione di vulnerabilità e precarietà.
La responsabilità umana spazia dall’ambiente alla salute, dall’economia alla politica ed è fondamentale analizzare varie problematiche etiche emergenti dall’impiego delle biotecnologie alla luce delle scelte politico-governative e dei rapporti tra potere economico e progresso scientifico. L’etica di Jonas è ontocentrica poiché mette al centro di tutta la speculazione l’essere nelle sue diversità e indica nell’euristica della paura una terza via per l’agire dell’uomo. Alla paura viene attribuita una valenza pedagogica poiché ha la capacità di mobilitare l’attenzione al carattere irreversibile e cumulativo della tecnica, impedendo “il tutto per tutto nelle faccende dell’umanità”[53], poiché solo chi vede nell’essere un valore primario da rispettare accetta la rinuncia al potere incontrollato per fini utilitaristici.
Il traguardo della responsabilità è l’aprirsi a favore di una dimensione che la trascende rendendola possibile.
La Società Internazionale di Bioetica (SIBI)[54] ha esaminato la bioetica come conseguenza della necessità di assicurare il rispetto della dignità dell’uomo, minacciato o aiutato dai risultati della ricerca scientifica. A seguito della mappatura del genoma umano, delle manipolazioni genetiche e della terapia genica si sono raggiunte delle conoscenza che avranno la possibilità concreta di intervenire in malattie gravi e sulla stessa durata della vita.
Una dichiarazione del Comitato scientifico del CIBI afferma che le bioscienze e le nuove tecnologie devono seguire al benessere del genere umano, sviluppandosi in tutti i paesi, per consentire una pace mondiale ed evitare le guerre nel rispetto e nella conservazione della natura. La bioetica è una attività scientifica pluridisciplinare che ha il compito di armonizzare scienza, tecnologia nell’applicazione dei principi e dei valori etici delle convenzioni e dichiarazioni internazionali, producendo conoscenze obiettive senza esplicarne le finalità.
Il termine bioetica fu coniato nel 1971 da Potter unendo la radice bio che simboleggia i fatti biologici e il suffisso etica che simboleggia i valori etici creando una nuova scienza della sopravvivenza che avrebbe dovuto combattere i pericoli creati dal progresso scientifico nei confronti dell’umanità. Reich, definendo la bioetica come “lo studio sistematico della condotta umana nel campo delle scienze della vita  e della salute esaminata alla luce dei valori e dei principi morali”[55], ha ulteriormente ampliato la definizione.
In molti paesi manca l’insegnamento della Bioetica a livello universitario ad eccezione per le facoltà di medicina sotto forma di deontologia del medico, e nelle facoltà di biologia e filosofia. Non vengono divulgate sufficientemente le informazioni generali concernenti le scoperte scientifiche, i problemi delle biotecnologie e della verità in ordine alla sicurezza dell’uso delle medesime. Gerin si riferisce alla Convenzione di Montreal sulle biotecnologie e al Protocollo di Cartagena, in cui sono state stabilite delle norme relative all’emanazione di documenti speciali di trasporto e di uso che contengono le indicazioni necessarie che evitino danni a causa del prodotto modificato geneticamente ivi inserito.
Vi sono correnti diverse che riguardano l’innocuità del prodotto o il pericolo dell’uso dei prodotti biotecnologici. In merito alla brevettabilità del genoma umano si spiega che non è brevettabile poiché il genoma è una parte del corpo umano, patrimonio dell’umanità.
Si è anche parlato di autonomia e di rispetto della singola persona, della sua identità e specificità, mentre vengono riconfermati i principi del consenso informato  e del migliore trattamento medico possibile, che riguarda  l’accordo tra medico e paziente  in ordine al trattamento da usare nel singolo caso.
Per ciò che concerne la riproduzione umana assistita molti stati europei hanno già delle leggi che ammettono la riproduzione in vitro. L’orientamento comune della Commissione delle Comunità Europee è quella di limitare le tecniche di riproduzione assistita ai casi di sterilità della coppia quando manchi qualsiasi altra terapia che garantire la discendenza nelle famiglie che non sono in grado di procreare. Vi è negazione della clonazione umana e necessità di pervenire il prima possibile alla definizione dello status dell’embrione[56], poiché si tratta della tutela della persona in fieri, ancora non nata, che non ha modo di difendersi se non esiste una convenzione che la tuteli. Non è consentito il commercio di organi umani e vi è la necessità di analisi cliniche prima di pervenire ad una possibile attuazione degli xenotrapianti.
Attualmente è di primaria importanza la necessità di pervenire ad una comune indicazione del significato di dignità umana, analizzando e approfondendo le differenti concezioni etiche e culturali nell’ambito della ricerca sull’uomo evitando confusioni tra scoperte e invenzioni.
La letteratura viene intesa da Giardina e da Mele come esperienza di vita[57], la strada più completa per la conoscenza di noi stessi. Può essere una “misura della coscienza e della memoria del nostro spirito e, assieme,  ricerca metafisica e trascendente, poiché il valore dell’opera resiste allo scorrere del tempo, veicolando ideali morali al di fuori delle contingenze umane”[58]. A tal fine “la letteratura è sicuramente un valido strumento d’indagine conoscitiva che, attraverso il confronto con altre discipline può incamminarsi verso un terreno comune a tutte: la valorizzazione della vita umana”[59]. Calvino rafforza questa tesi nelle sue Lezioni Americane definendo alcuni valori, qualità e specificità della letteratura per recuperare i valori in declino della civiltà contemporanea.
La letteratura, in quanto esperienza morale, propone diverse soluzioni ai problemi dell’agire umano, etico e religioso. E’ in questo contesto che avviene l’incontro fra la letteratura e la bioetica, che adotta il senso del limite, da apprendere cognitivamente e da vivere nella vita attraverso la conflittualità del mondo psichico e la interiorità della persona. L’educazione alla bioetica avviene attraverso lo studio e la definizione dell’agire morale e della vita etica.
L’esperienza di vita viene trasmessa al lettore attraverso l’empatia che il testo suggerisce creando una sorta di comunione affettiva in seguito al processo di identificazione. In tal senso la “letteratura è una forza attrattiva, rivelatrice, comunicativa, persuasiva del cuore e della ragione ed è in grado di condurre l’uomo verso il ragionamento etico”[60] e può facilitare la riflessione teorico-morale, afferrando il lettore e immergendolo nel flusso di un’altra vita creando l’illusione di averla vissuta. Tale coinvolgimento è di fondamentale importanza in materia di Bioetica.
Reich evidenzia il modo in cui i testi letterari accedano all’etica medica evidenziandola e chiarificandola attraverso l’empatia suscitata nel medico o la focalizzazione di un caso clinico. La letteratura porta ad “umanizzare la medicina ed i pazienti accorciando le distanze tra gli uomini”, attraverso l’uso di “termini più familiari e umani che ci offrono sollievo di fronte alla soffocante neutralità del linguaggio scientifico”, ricordandoci che “la scienza è parte di una cultura più ampia”[61].
La bioetica personalista, ontologicamente fondata, si rivolge alla persona nella sua totalità di corpo e spirito e nel suo racchiudere tutto il valore dell’umanità e tutto il senso dell’universo. Esempio letterario ne è l’Antigone di Sofocle da cui emergono i valori etici a seguito di un conflitto interiore tra legge divina e umana. L’arte si sofferma alla comunicazione di valori e sensazioni estetiche e la scienza bioetica va oltre gli elementi descrittivi e quantitativi per recuperare la Verità che tutto trascende contribuendo al saper essere dell’agente morale: ecco il punto di incontro tra la letteratura e la bioetica. L’uso della letteratura nell’insegnamento della bioetica è utile per recuperare l’aspetto umano della medicina e i tradizionali valori umanistici dell’ars medica, troppe volte trascurati a favore di un determinismo stretto. Il sensibilizzare l’attenzione agli aspetti umani della morte e del morire produce empatia, “partecipazione affettiva, sincera e immediata alla sofferenza, ai problemi e alle preoccupazioni dell’altro, visto non come un paziente o un caso clinico ma come una persona”[62]. Il medico deve saper comunicare e non semplicemente informare: il paziente deve poter sentire la sua compartecipazione emotiva e deve sentirsi aiutato nella sua disperata ricerca di senso. Anche lo studente che affronta le tematiche della bioetica può esserne aiutato nella comprensione dall’uso del testo letterario per cogliere le analogie con la vita reale, per le immagini e le sensazioni che sa creare nello sviluppare una consapevolezza della condizione umana. Concludendo si può affermare che, se la medicina è l’arte del saper fare, la bioetica, che si avvale della capacità letteraria dell’empatia, è l’arte del saper essere.
Ne il Principio Responsabilità Hans Jonas[63] afferma che le nostre azioni di oggi sono responsabili di coloro che ancora non esistono, fondando un’etica per le generazioni future che “sia disposta a sacrificare qualcosa del presente per salvare il futuro dell’uomo sulla terra”.  La scienza è diventata lo strumento per stabilire il dominio sulla natura non umana, per sfruttarla e assoggettarla all’uomo; si rende necessaria una riflessione sulla compatibilità etico-sociale  degli interventi tecnologici, in mancanza di condivisa moralità  e argomentazioni al riguardo, che non siano soltanto descrittivi ma che tengano conto delle partecipatività insite nella natura e nell’umanità.
All’orizzonte antropocentrico deve essere contrapposta “un’etica che non è più limitata dalla reciprocità e dalla contemporaneità dell’obbligazione” e che quindi sia “capace di fare del futuro dell’umanità l’oggetto di preoccupazione prevalente”, richiedendo anche un “nuovo genere di umiltà” dell’uomo dovuta “all’enorme grandezza del suo potere”[64]. E’ opportuno ricercare non solo il bene dell’uomo ma anche il bene delle cose extraumane limitando il politeismo etico delle società contemporanee. La Bioetica si pone come quella disciplina che attua un “momento di scelta etica all’interno di realtà sociali divise per valori”[65].
“Il mutamento quantitativo dell’azione umana porta in realtà ad un mutamento qualitativo dell’azione che ha per oggetto il mondo intero nella sua globalità e la permanenza della vita umana sulla terra”[66]. “La tecnica ha finito con il rendere oggetto il suo stesso autore”[67]; ha prodotto uno squilibrio esistenziale della natura e, se ha dato all’uomo il senso dell’onnipotenza, ha anche sottolineato la limitatezza della conoscenza e l’incapacità di dominare cognitivamente e responsabilmente il potere acquistato.
Parafrasando Agazzi, “non è moralmente legittimo tutto ciò che è tecnicamente fattibile”. La nuova etica di cui parla Jonas è caratterizzata da una responsabilità per l’esistenza o responsabilità del prendersi cura, simile a quella che hanno i genitori verso i figli. Secondo Wolf solo “l’utilitarismo riconosce esplicitamente il problema delle generazioni future”[68].
Il notissimo dettato kantiano “agisci in modo da considerare l’umanità sempre come fine e mai come mezzo” può essere riletto attraverso l’ottica ontologica di Jonas come “agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di una autentica vita umana sulla terra”[69]. Il nostro dovere verso le presenti e le future generazioni  nasce dal rapporto costitutivo che lega la coscienza all’essere, al rispetto della natura umana quale bene indisponibile da tutelare; è una sorta di testamento spirituale dell’uomo di oggi per l’uomo del domani.

LA FONDAZIONE PERSONALISTICA DELLA BIOETICA[70]

“I mutamenti culturali sempre più veloci, la mondializzazione, le nuove biotecnologie, le scoperte di una scienza sempre[71] più insofferente a qualsiasi limite, caratterizzano la nostra epoca e si susseguono a ritmi incalzanti e senza ormeggi etici”[72]. Attualmente l’uomo può intervenire sia sulla vita nascente che su quella morente non accettando più la natura come destino immodificabile ma interpretandola come insieme di possibilità. L’arma essenziale per frenare la deriva del nostro futuro è l’etica del limite che Spinsanti individua nell’”incontro tra bioetica e personalismo”. Assistiamo al primato della ragione strumentale sulla saggezza pratica e la attuale importanza della bioetica trova sua ragion d’essere nella coniugazione tra poter fare e dover fare. Dalla tecnica fine a se stessa sta emergendo la nuova realtà del post-umano, popolato da inquietanti forme di vita. L’alternativa di scelta che l’uomo ha oggigiorno è bipolare: tecnica fine a se stessa, soddisfattrice dei bisogni consumistici o progetto di vita che vede l’uomo al centro del Creato con un senso e un valore dell’esistenza. “La bioetica è quella parte della filosofia morale che considera la liceità.. degli interventi sulla vita dell’uomo e, particolarmente di quegli interventi connessi con la pratica e lo sviluppo  delle scienze mediche e biologiche. L’antropologia personalistica non può essere ideologica: la persona umana rimane una grandezza che trascende, nel mistero della sua libertà e responsabilità, anche lo sforzo di autocomprensione e rimane il fine, e non il mezzo, dell’agire etico”[73]. Secondo Sgreccia le dimensioni scientifica, antropologica e giuridico-antropologica compongono il triangolo che configura il giudizio etico. La fondamentazione della bioetica in quanto scienza, attraverso la definizione di concetti comuni a persone provenienti da diverse esperienze culturali, è un tema di enorme importanza, almeno attraverso l’enunciazione dei tre principi laici di autonomia, beneficenza e giustizia dell’agire morale.

IL PROBLEMA “ANZIANI” NELLA PROSPETTIVA “BIOETICA”[74]

Le statistiche mondiali sull’aumento della vita media della popolazione registrano un aumento del fenomeno dell’invecchiamento[75] che non ha precedenti per la sua estensione e velocità, con altrettante conseguenze socio-politiche e di responsabilità per i Governi. Le trasformazioni sociali della famiglia hanno provocato l’impoverimento e l’emarginazione dell’anziano, in quanto depositario di un sapere non più spendibile in senso pedagogico all’interno del nucleo familiare, ormai frantumato dai cambiamenti tecnologici in atto.
La medicina ha creato la geriatria per far fronte alle esigenze assistenziali di una larga fetta della popolazione mondiale. Essa si occupa della ricerca e del raggiungimento di una buona qualità della vita intesa come la conservazione dei principali parametri biologici ma anche delle motivazioni, interessi, creatività e spiritualità, necessarie alla pienezza dell’esistenza umana. Sarebbe auspicabile che a tutto ciò si accompagnasse una corretta educazione all’invecchiamento capace di contrastare il processo di distacco dall’ambiente e la perdita degli interessi vitali.
Per misurare la qualità della vita degli anziani sono state predisposte delle scale di misura che riguardano lo stato fisico e la capacità funzionale, lo stato psicologico e il senso del benessere, le interazioni sociali e i fattori economici ed i fattori etici-valoriali globali. L’elemento utilitaristico, di tale visione della qualità della vita, si inserisce quale valutazione del recupero della produttività e dei costi economici che l’anziano comporta alla società, e viene rafforzato dal principio di autonomia per cui, solo il paziente, può decidere sul proseguimento o la cessazione delle cure, sull’eutanasia o sul suicidio. In tale visione utilitaristica l’anziano non avrebbe più l’obbligo di difendere e conservare la vita in quanto privo del quoziente minimo prefissato di “qualità della vita”, unico fondamento della norma etica. Per fortuna la nostra civiltà considera ogni essere umano persona sempre ed in ogni condizione e si propone di difendere tale personalismo ontologico da ogni attentato dell’utilitarismo scientifico-tecnologico.
Anche il diritto è tenuto ad aggiornarsi, per essere sempre attuale, a seguito degli interventi dell’uomo sulla vita umana resi possibili dalle nuove acquisizioni delle scienze e della tecnologia biomedica, oltre che per essere garanzia di liceità e legittimità delle stesse procedure. Da qui l’accentuarsi delle attenzione del diritto per la bioetica fino alla necessità di teorizzare una nuova disciplina giuridica: il biodiritto. Esso esprime il tentativo di dare pubblica rilevanza a molte gravi problematiche di bionormazione e di biolegislazione oltre che l’esigenza di una riflessione sistematica e coerente  circa i criteri necessari alla costruzione del pensiero biogiuridico, sviluppandone i confini e i contenuti, raccogliendo al sfida delle novità e scavando a fondo per portare  alla luce il senso ultimo del Diritto nell’ambito dei diritti umani.
Il Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo cita: “il riconoscimento della dignità inerente ad ogni membro della famiglia umana e dei suoi uguali ed inalienabili diritti, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Quindi il diritto che si occupa di bioetica è chiamato ad essere se stesso nella fedeltà ai suoi compiti e alla sua natura di tutela dell’essere umano nelle situazioni estreme.  Due principi etico-giuridici fondamentali, quelli di autodeterminazione  e di responsabilità nel prendersi cura, emergono nella letteratura biogiuridica e nelle proposte di leggi in tema di bioetica. “Il principio di responsabilità  nei confronti della cura fa emergere la interdipendenza reciproca e la solidarietà umana del tessuto sociale mentre il principio di autodeterminazione mira ad assolutizzare l’elemento di soggettività dell’individuo”[76].
La donna è pari dell’uomo in quanto a dignità e diritti fondamentali ma alcune tematiche del biodiritto la riguardano in senso stretto: la riproduzione assistita, l’aborto, la sterilizzazione.  Etica e diritto non possono e non devono prescindere dalle differenze sessuali, esigono di essere declinati secondo il sesso e, nella forma più estrema, sono legati alla specificità etniche, ambientali e culturali dei soggetti sessuati”[77]. Le peculiari modalità d’esistenza, diverse per tipologie di educazione e di formazione che vengono offerte alla donna o all’esperienza che ella fa dell’accudimento del bambino, la rendono comunque e sempre capace di empatizzare con un altro essere umano, di entrare in sintonia profonda con lui e quindi di prendersene cura. E’ l’alterità  connaturata alla donna, diversa per ethos, predisposizione spirituale e inclinazione stabile dell’animo nei confronti dell’essere, a rendere la stessa soggetto di un biodiritto declinato al femminile, che segue un’etica relazionale più che soggettiva. La globalizzazione è un processo ambivalente: è positiva perché senza dubbio promuove lo sviluppo dell’unione tra i popoli, è negativa perché potrebbe comportare l’egemonia di alcuni popoli su altri oppure l’eventuale livellamento delle differenze etniche e culturali. La globalizzazione per essere etica dovrebbe giungere ad un’unità mondiale nel rispetto delle reciproche diversità.
Il legame[78] tra la bioetica e la globalizzazione si pone a diversi livelli. A livello di oggetto materiale comune delle tematiche ecologiche o ambientali oppure a livello di effetti causali capaci di contribuire alla strutturazione di alcune realtà politiche in ambito biomedico (es. le politiche sanitarie). A livello di oggetto formale il legame tra globalizzazione e bioetica si esprime nell’identità ontologica e culturale della persona umana.
Il background antropologico influisce sulle modificazioni della riflessione bioetica, così come tutti i popoli della terra sono uniti dalla globalizzazione fondata spiritualmente nella dignità della razza umana. L’obiettivo comune da raggiungere è la dignità della persona, mentre attualmente la globalizzazione riguarda soltanto aspetti dell’economia, delle telecomunicazioni, della politica, del lavoro, dell’alimentazione, della cultura anche se si sta espandendo a tutti gli aspetti umani del vivere, “influenzando notevolmente la vita dei singoli individui, le loro scelte e i loro modi di vivere”[79].
Gallino sostiene che la globalizzazione dovrebbe teoricamente favorire la crescita economica, la riduzione della disoccupazione e l’aumento della produttività, in un contesto di interdipendenza delle società di tutto il mondo. Mentre, in realtà, i dati statistici mondiali dimostrano inequivocabilmente che “l’economia planetaria sta dividendosi in due blocchi ben delineati, geograficamente trasversali, contrapposti e sempre più distanti caratterizzati rispettivamente da una minoranza sempre più ricca economicamente, che detta le regole della vita sociale, culturale e finanziaria, e una massa di individui che subisce i dettami dell’altro blocco, non avendo il potere  di negoziare o di influenzare le scelte ed i valori in gioco”[80].
Rifkin ha illustrato un ulteriore esempio di “effetti perversi” della globalizzazione in materia di biotecnologie, a proposito del nostro modo di comprendere e interagire con l’ambiente in cui viviamo a seguito della genetica: i geni stanno prendendo il posto delle materie prime dell’era industriale. La genetica viene utilizzata per la creazione di nuovi prodotti agricoli, farmaceutici, materiali da costruzione e nuove forme di energia. Rifkin sostiene la negatività degli effetti globalizzanti delle biotecnologie in quanto esse rappresentano delle possibilità di monopolio a causa delle strumento giuridico della brevettazione. Vi è una sostanziale rottura con il passato poiché  prima del 1987 non veniva ritenuto oggetto di brevetto alcun elemento che fosse comunque presente in natura e non inventato  ma soltanto scoperto. A seguire da suindicata data il Patent and Trademark Office statunitense ha decretato che le componenti di creature viventi sono brevettabili e possono venire considerate proprietà intellettuali di chiunque ne descriva per primo le funzioni, ne isoli per primo le proprietà indicandone le applicazioni commerciali.
Una categoria della globalizzazione ambientale, quella biotecnologica, è particolarmente preoccupante per i rischi intrinseci e immediati, ossia per la salute dei consumatori, originati dall’economia e da specifiche circostanze socio-politiche. 
Anche i brevetti farmaceutici hanno grande peso sulle vite di milioni di esseri umani a causa del fatto che è vietato produrre un farmaco o acquistarlo dall’estero senza autorizzazione del titolare del brevetto, che ne conserva il diritto per venti anni. E’ altresì vietato l’uso di farmaci copia  non autorizzati. In tal modo i paesi poveri del mondo  non hanno “accesso a cure essenziali ed efficaci a causa dei prezzi proibitivi dei nuovi farmaci sotto brevetto”, della “mancanza di progetti di ricerca che abbiano come obiettivo le malattie dei poveri”, ormai debellate in tutti i paesi industrializzati, e “a causa dell’abbandono della produzione dei farmaci efficaci per la mancanza di compratori che garantiscano un adeguato profitto all’industria produttrice”[81].
Una globalizzazione democratica richiede il passaggio ad una cultura della solidarietà, intesa come struttura etica che dovrebbe sottendere ad un concetto di progresso lento ma migliore in termini di fruibilità e partecipazione di tutti a scapito della attuale situazione governata dalla morale dei costi-benefici.
La bioetica globale dovrebbe occuparsi della considerazione dei temi dell’ecologia, dell’ambiente e del territorio, in parole semplici delle biodiversità dell’ambiente antropizzato[82].
I temi ambientali sono di vastissima portata e di immediato interesse e riguardano l’eredità economica primaria che si lascia alle generazioni future in termini di fruizione e consumo delle risorse naturali del pianeta, sotto forma di energie e materie prime, e la gestione appropriata,  attraverso la produzione e lo smaltimento eco-compatibili, dei rifiuti pericolosi.
L’ambiente antropizzato si configura come la mentalizzazione del territorio, secondo esigenze antropologiche-culturali, in riferimento alle esigenze di preservazione e rispetto dei valori di vita e salute. L’ecologia è un tema di profondità antropologica ed etica così ampia da non poter venire trascurato dalla speculazione bioetica globale.
Mele e Maglietta distinguono diversi modelli di ecologia relativi ad elaborazioni antropologiche di riferimento. L’approccio di fondo è di tipo scientifico, ed i modelli individuati sono “l’ecologia ambientale, l’ecologia sociale, l’ecologia profonda, l’ecologia umanitaria o integrale o dell’ambiente globale.  L’ecologia ambientale sottolinea il dato biologico-chimico-fisico degli equilibri che prendono forma nell’ambiente attraverso strumenti e metodi di analisi, mappe e modelli matematici, simulazioni, coefficienti, indici, indicatori per la valutazione del rischio o impatto ambientale, diventa una eco-filosofia. L’ecologia sociale individua il problema ecologico nel tipo di società presente sul pianeta, estendendo l’analisi alla politica e all’economia, influenzatici dei processi di modificazione degli equilibri ambientali. L’ecologia profonda si caratterizza per il rifiuto dell’immagine dell’uomo nell’ambiente a favore dell’immagine relazionale a tutto campo, dove gli organismi sono nodi della rete biosferica. Si caratterizza per l’egualitarismo biosferico ossia per l’uguale diritto a vivere e realizzarsi pienamente da parte dell’ambiente; per i principi di diversità e simbiosi, per la lotta contro l’inquinamento e l’esaurimento delle risorse e per la complessità degli ecosistemi che esaltano l’ignoranza umana circa le relazioni biosferiche e le relative interferenze.
All’ecologia umanistica dell’ambiente globale fanno capo considerazioni etico-antropologiche che richiamano l’antropologia filosofica, il personalismo e la religione.
La bioetica deve porsi al servizio della prospettiva ecologica per offrire in chiave multidisciplinare  i suoi fondamenti, sviluppi e metodi”[83]. La chirurgia dei trapianti[84] viene definita come “sicura ed insostituibile opportunità terapeutica capace di risolvere positivamente oggettive situazioni di pericolo e di danno per la vita o per la validità individuale, non altrimenti e non altrettanto efficacemente trattabili”[85].
“Oltre a migliorare le qualità della vita in termini di funzionalità organica, i trapianti d’organo hanno risvolti psicologici e sociali non indifferenti: tolgono la dipendenza da apparecchiature strumentali riducendo la spesa pubblica e permettendo ai soggetti di ricoprire le loro attività lavorative, il loro ruolo sociale, acquisendo sicurezza interiore e vita autonoma”[86]. I sentimenti nei confronti della donazione sono molteplici e offrono una lettura socio-psicologica della indifferenza, della speranza o della paura rimossa. La carenza di sensibilità verso la donazione e la conseguente reticenza sono state forzate del nostro legislatore attraverso la nuova legge  sui trapianti n. 91 del 1999. I punti salienti dell’attuale normativa in merito sono l’informazione della cittadinanza, il consenso alla donazione e il riassestamento organizzativo dei centri di coordinamento e prelievo degli organi. Lo scopo dei trapianti è assolutamente terapeutico ed esclude ogni tipo di sperimentazione fine a se stessa. L’informazione è il presupposto principale per dare la facoltà di libera decisione attraverso la sua intenzionalità e autodeterminazione. Il Ministero della Sanità promuove vere e proprie campagne di informazione volte a sensibilizzare il cittadino sull’importanza della donazione di organi e tessuti a scopo di trapianto. Le competenze impegnate in tale fase informativa sono quelle sanitarie, giuridiche e filosofiche. La legge introduce in merito il concetto di silenzio-assenso informato e ha previsto la distribuzione di una card che rappresenta un mini-testamento biologico, circa la singola disponibilità alla donazione degli organi post mortem. Il solo lascito di una dichiarazione scritta  in cui si nega esplicitamente il proprio assenso pone la legge nell’impossibilità di permettere l’espianto.
I principi etici in materia di trapianto sono la tutela della vita umana e lo scopo di migliorarla in caso si trovi in situazioni di malattia inguaribile. Naturalmente la vita del donatore e del ricevente sono valori fondanti e rappresentano un bene indisponibile. La legge vieta il guadagno economico e sociale del donatore, se vivente, o della sua famiglia e rifiuta l’agire degli operatori sanitari per puro bisogno di successo o di avanzamento di carriera.
Il trapianto è accettabile a condizione che risulti terapeutico e che venga eseguito attraverso una buona pratica clinica rispettando il corpo e l’identità del donatore e del ricevente, deve mirare a massimizzare i benefici e minimizzare i danni e gli errori, e il suo fine è il dono e la solidarietà, configurandosi come atto gratuito, volontario, responsabile e disinteressato nel pieno rispetto della decisionalità del donatore.  La donazione si configura come una scelta pienamente consapevole ed ha connotato di oblazione, di dono giuridico e morale.







ETICA E DIRITTO NELLA TUTELA DELLA PERSONE CON DISAGIO MENTALE: IL CONSENSO INFORMATO ALLA RICERCA[87]

La ricerca sperimentale[88] viene giustificata in prima analisi dall’interesse del soggetto partecipante, in secondo luogo per una esigenza interna della medicina, di tipo conoscitivo.
Il consenso informato alla ricerca si pone come istanza etica fondamentale poiché testimonia il rispetto dell’altro, considerato persona e non ridotto a semplice mezzo sul quale agisce la sperimentazione e testimonia la condivisione degli obiettivi dello studio da parte del paziente. Il Codice di Norimberga del 1946 considera essenziale il consenso volontario del soggetto umano, mentre la Dichiarazione di Helsinki prevede la possibilità del consenso sostitutivo solo per la ricerca terapeutica. Secondo la Raccomandazione del Consiglio deI Ministri d’Europa, “una persona legalmente incapace non può essere sottoposta a ricerca medica senza che ci si aspetti di produrre un diretto e significativo beneficio alla sua salute”. La Direttiva CIOMS n. 6 del 1993, relativa alle ricerche condotte su persone affette da disturbi mentali o comportamentali prevede che, prima di iniziare il ricercatore debba assicurare che tali persone non saranno impiegate in ricerche che possano essere condotte ugualmente bene su persone nel pieno possesso delle loro facoltà mentali; lo scopo è  quello di ottenere conoscenze attinenti  alle particolari necessità sanitarie delle persone affette da disturbi mentali o comportamentali ed il consenso dei soggetti è ottenuto in base alle sue capacità. Nelle norme europee di Buona Pratica Clinica recepite in Italia nel 1997 e nel 1998, si prevede la possibilità di condurre studi su soggetti non in grado di esprimere consenso attraverso il consenso del proprio rappresentante legale. Secondo Portei sarebbe necessaria una bozza di linee guida per l’utilizzo in ricerche di persone con demenza, distinte anzitutto per grado di disabilità in fase iniziale e fase medio-grave; altra distinzione riguarda la ricerca terapeutica e quella a scopi non terapeutici dove, in entrambi i casi vi è un rapporto rischio-beneficio che sia a favore del beneficio; tali valutazioni sarebbero di spettanza dei comitati etici nazionali.
IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE NELL’ERA DELLE BIOTECNOLOGIE[89]

Il cambiamento culturale coinvolge tutti gli ambienti; anche in quello sanitario muta la concezione del rapporto medico-paziente. Per Scalise la “virtù essenziale del medico è la filantropia, la dedizione quasi religiosa all’uomo, che si traduce in sentimenti di simpatia, benevolenza e umanità”[90]. Il nuovo Codice di Deontologia Medica del 1998 sancisce il rispetto della dignità del cittadino malato attraverso il principio dell’autonomia per cui il paziente, escluse le situazione di emergenza e di incapacità, non può e non deve delegare nessuna decisione ai medici, così da mantenere sempre sotto controllo la sua salute. La nostra tradizione mediterranea è basata su quello che Entralgo chiama modello di amicizia medica, che impronta la relazione medico-paziente come una amicizia, una alleanza terapeutica nella quale il medico è capace di compassione ed empatia.
L’idea della neutralità delle scelte è stata smentita dai fatti storici, come il fallimento in senso antilibertario di modelli di vita legati a diverse tipologie ideologiche e alla drammatica proliferazione delle sette religiose, dimostrazione pratica che nessuna chiusura possa essere di per sé fruttuosa. La recente riflessione bioetica in tali contesti ha dimostrato che il procedimento procedurale rimane fondamentale per delimitare il rispetto del singolo e le necessità dei più..”[91]. L’universalizzazione dei valori morali e il relativismo normativo confermano che ogni decisione umana è impoverita dall’assenza di un fondamento etico, così come cita Lévi-Strauss: “dietro la società vi è lo spirito umano, ma dietro di esso vi è il cervello”[92]. “Per Durkeim i fatti sociali  consistono in modi di agire, pensare e di sentire, esterni all’individuo e dotati di un potere di coercizione per il quale gli s’impongono. E’ l’applicazione in campo giuridico delle posizioni espresse da Hengelhardt nel versante etico. L’idea che le questioni morali sia da considerare irrisolvibile e conduca ad un’accettazione minimale delle parti o ad una sorta di statalizzazione etica, non elimina la questione essenziale: è la stessa capacità umana un valore in sé”[93].
“La questione che l’uomo possa costruire la sua scienza, la sua morale e la sua stessa società su una fredda applicazione di postulati è l’ultima chimera offerta da un pensiero che non osa più definirsi debole o forte, un’etica che non è capace di guardare al di là della prima facie duty”[94]. I postulati della vita umana si sono storicizzati in evidenze e le credenze hanno trovato una analisi razionale nella contingenza spazio-temporale come sintesi tra intuizionismo e formalismo valoriale.
L’unica strada percorribile per una nuova assiologia dei valori è il discernere una strategia che faccia di ogni sistema un valore da considerare per ampliare le ragioni del proprio. Bellino  indica nella diversità dei valori  la concezione di culture, tradizioni, sistemi politici e socio-economici così eterogenei da essere incommensurabili, mentre sono modi di applicare e attuare comuni valori di fondo. La conclusione di Sinno è che il pluralismo etico è uno stato di libera necessità, il riconoscimento che l’ascolto di più note conduce ad un’armonia.
La legge sul silenzio-assenso introduce l’ambiguità e il compromesso di una norma al servizio della legittima coercizione sociale. Il trapianto terapeutico per l’opinione di Sinopoli resta una terapia d’emergenza e sperimentale, troppo costosa e non applicabile, per peculiarità e specificità, a tutta la popolazione, ma capace di salvare la vita o di prolungarla sempre e solo in una minoranza di casi, compatibili e selezionati, persino quando gli organi dovessero abbondare o essere prelevati per disposizione di legge, come potrebbe avvenire in molte situazioni nei prossimi anni[95].  Il supporto della Bioetica al diritto nella presente situazione di rapida affermazione del progresso tecnologico nella medicina e nella genetica umana, trova essenza di riflessione e di attenta prassi nelle decisioni non ignare dei pericoli dell’esasperazione tecnologica, di falsa indipendenza della scienza e libertà assoluta rispetto all’identità dell’uomo.
Soldini lamenta le numerose prospettive della bioetica, strettamente correlate alle teorie sottostanti e auspica un “personalismo ontologico[96], proprio della cultura occidentale in qualità di fondamento per una bioetica europea forte, che si poggi sopra una tradizione filosofica di tipo sostanzialista e realista, fondata sulla persona piuttosto che sull’individuo, nel tentativo di non lasciare intentata la globale dignità di ciascuno e di tutti nello stesso tempo”[97].
Dalle problematiche culturali recenti emergono i diritti di terza generazione (habitat sano, qualità della vita, ecc.) e quelli di seconda generazione, non ancora risolti (economico-sociali).  Soldini è convinto che l’identità della bioetica debba essere unicamente singolare e non plurale, dal momento che non può essere che una la verità alla quale dobbiamo tendere, consapevoli che dal punto di vista teorico possono coesistere versioni diversificate di bioetica in relazione alla visione etica di fondo alla quale si fa riferimento. Possono cambiare le vie, i metodi, la percorribilità ma la verità non può mutare.
Il mondo contemporaneo ha bisogno di un pensiero forte e di certezze e che solo il superamento dell’individuo con la concezione dell’essere umano come persona, come uni-totalità somato-psichica-spirituale, un valore di per sé anche a livello psichico e spirituale.
C’è bisogno di una nuova formazione delle coscienze dei medici del XXI secolo, un ritorno alla formazione umanistica e filosofica oltre che una forte preparazione scientifica.
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[1] Calabrò G. P. (Università degli Studi della Calabria), La tutela dei diritti della persona: parametro di legalità costituzionale e grundnorm dell’ordinamento giuridico, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p.15.
[2] Calabrò G. P. (Università degli Studi della Calabria), La tutela dei diritti della persona: parametro di legalità costituzionale e grundnorm dell’ordinamento giuridico, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 19.
[3] Kelsen H., Teoria generale del diritto e dello stato, trad. it., Milano, 1974, p. 117.
[4] Coccopalmerio D. (Università degli Studi di Trieste), La metafisica dei diritti della persona umana, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 25. 
[5] Coccopalmerio D. (Università degli Studi di Trieste), La metafisica dei diritti della persona umana, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 31.
[6]  Martìnez Sicluna y Sepulveda C. (Università Complutense di Madrid), Il fondamento dei diritti umani, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 35.

[7] E. Capizzano, I diritti della persona nel sistema delle “super politiche” comunitarie, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 75.
[8]F. Bellino, La storia della bioetica e la svolta pedagogica attuale,  in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 103.

[9] Comitato nazionale per la Bioetica, Bioetica e formazione nel sistema sanitario, Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma, 7/11/1991, p. 16.
[10] G. Di Cristofaro Longo, Identità e cultura. Per una antropologia della reciprocità, Roma, 1993.
[11] F. Cassano, Approssimazione. Esercizi di esperienza dell’altro, Bologna, 1989, p. 7.
[12] J. Piaget, il giudizio morale nel fanciullo, trad. it.. Firenze, 1980.
[13] E. Fromm, Anatomia della distruttività umana, trad. it., Milano, 1975, pp. 428-447.
[14] E. Fromm, Psicoanalisi dell’amore. Necrofilia e biofilia nell’uomo, trad. it. Roma, 1973, p. 51.
[15] Comenio, Grande didattica, trad. it., Firenze, 1993, p. 443.
[16] G. Russo, Bioetica e correnti di pensiero in Europa,  in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 157.
[17] G. Russo, Bioetica e correnti di pensiero in Europa, in Sgreccia-Calabrò (a cura di), I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Atti del Convegno, Roma, 2000, p. 160.
[18] J. Simporé, Correnti di pensiero in bioetica nell’insegnamento universitario in Africa,  in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 171.
[19] Giovanni Paolo II, La Chiesa in Africa, esortazione apostolica.
[20] L. Camara, L’enfant noir, Paris, 1953, pp. 145-146.
[21] M. Filiga Sawadogo, Avortement, éthique et droit al Congresso nazionale di Bioetica, Manufacture des arts graphiques, Ouagadougou, 1999, p. 100.
[22] Definizione del dizionario Le petit Robert.
[23] D. Atightchi, Bioetica e religione islamica,  in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 183.

[24]E. Sgreccia, Bioetica: speranza delusa?, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p.209.
[25] E. Sgreccia, Bioetica: speranza delusa? in Sgreccia-Calabrò (a cura di), i diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Atti del convegno, Roma, 2000, p. 212.
[26] Ibidem, p. 213.
[27] Ibid., p. 214.
[28] U. Accettella, Amnistia e indulto: aspetti giuridici e bioetica, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p.217.
[29] Antolisei-Conti, Istituzioni di diritto penale, Giuffrè, Milano, 2000.
[30] Mangoni, Il trattamento penitenziario, Quaderni CSM, Roma, 1985, p. 216.
[31] R. Azzaro Pulvirenti, Dove va la bioetica, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 227.

[32] D. Matassino, Benefici, Rischi e Informazione, Conferenza Internazionale “Biotecnologie e Società del XX secolo”, Genova, 1999.
[33]M. Casini, Linee comuni della complessiva giurisprudenza costituzionale europea in tema di diritto alla vita del concepito e interruzione volontaria di gravidanza,  in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 239.
[34][34]M. Casini, Linee comuni della complessiva giurisprudenza costituzionale europea in tema di diritto alla vita del concepito e interruzione volontaria di gravidanza,  in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 239.
[35] C. Casini, Prospettive di riforma dell’attuale legislazione sull’aborto: significato e prospettive, in “La Famiglia”, a. XXIII, n. 137, sett.-ott. 1989, p. 5.
[36] G. Vico, Bioetica ed educazione, Atti del Seminario di studio su “Bioetica ed educazione” del gennaio 2000, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, ed. Vita e Pensiero, 2000, p. 23.
[37] C. Casini, Deontologia medica e mistero della vita, in Orizzonte Medico, n. 5-6, sett.-ott. 1997, pp. 39-41.
[38][38] C. Clemente, La tutela della salute nell’art. 32 della Costituzione. Analisi sociologica, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 265.
[39] A. Moro, Discorsi Parlamentari 1947-1963- Vol. I- Camera dei Deputati- Assemblea Costituente sui principi fondamentali- Seduta del 13 marzo 1947, p. 2.
[40] A. Moro, Discorsi Parlamentari, op. cit.
[41] Ibidem.
[42] C. Clemente, La tutela della salute nell’art. 32 della Costituzione, in Sgreccia-Calabrò (a cura di), I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Atti del Convegno, Roma, 2000, p. 266.
[43] F. Capra, Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, Feltrinelli, Milano, 1984, pp. 104-136.
[44] E. Goffmann, La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1969, pp. 176-177.
[45][45] M. L. Furiosi, Hans Jonas ed il suo contributo alla fondazione bioetica, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 279.
[46] Privitera, Bioetica e antropologia filosofica, in Sgreccia-Mele-Miranda (a cura di), Le radici della bioetica, vol. I, Vita e pensiero, Milano, 1998, p. 78.  
[47] Potter, Global Bioethics. Building on the Leopold Legaci East Lasing, 1988.
[48] Jonas, The Phenomenon of Life. Toward a Philosophical Biology, New York, Harper and Row, 1996.
[49] Furiosi, Hans Jonas e il suo contributo alla fondazione bioetica, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 281.


[50] Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, trad. it. di P. Ribaudo,  Torino, Einaudi, 1991, p. 76.
[51] Furiosi, Hans Jonas ed il suo contributo alla fondazione bioetica, cit., p. 284.
[52] Ibidem, p. 285.
[53] Jonas, Il principio di responsabilità, cit., p. 48.
[54] Gerin, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 291.

[55] Reich, Enciclopedia of bioethics, 1978, p. 19.
[56] Unesco, Dichiarazione universale sul genoma umano, art. 11.
[57]Giardina – Mele, La letteratura è luogo privilegiato di insegnamento della bioetica come esperienza di vita, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 301.
[58] Bo, Letteratura come vita, Principato, Milano, 1994.
[59] Giardina – Mele, La letteratura è luogo privilegiato di insegnamento della bioetica come esperienza di vita, cit., p. 302.

[60] Giardina-Mele, op. cit., p. 305.
[61] Trautmann Banks, Literature as a clinical capacity: commentary on “the Quasimodo complex”, The Journal of Clinical Ethics, 1990.
[62] Jonas, Sull’orlo dell’abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura, trad. it., Torino, 2000.
[63]Helzel, Il diritto di esistere delle generazioni future: alcune riflessioni su Hans Jonas, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 315.
[64] Jonas, Il principio responsabilità, op. cit., p. 10.
[65] Dalla Torre, Le frontiere della vita. Etica, Bioetica, e Diritto, Roma, 1997, p.135.
[66] Helzel, op. cit., p.318.
[67] Melina, Corso di bioetica, Casale Monferrato, 1996, p. 38.
[68] Wolf, I problemi ecologici  sono problemi morali?, in Rodotà  (a cura di ), Questioni di bioetica, Roma, 1993, p. 218.
[69] Jonas, Il principio responsabilità, op. cit., p. 16.
[70] Indelicato, La fondazione personalistica della bioetica, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 339.
[71] Indelicato, La fondazione personalistica della bioetica, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 339.

[72] Indelicato, La fondazione personalistica della bioetica, op. cit., pp. 338-339.
[73] Sgreccia, Bioetica. Manuale per medici e biologi, Milano, 1986, pp. 17-43.
[74] Loderserto, Il problema “anziani” nella prospettiva “bioetica”, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 351.
[75] Loderserto, Il problema “anziani” nella prospettiva “bioetica”, in Sgreccia – Calabrò, I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 351.
[76] Mele-Casini, Principi giuridici in una prospettiva  del biodiritto declinato al femminile, op. cit., p. 361.
[77] Ibidem, p. 362.
[78] Mele-Torlone, E’ possibile una prospettiva convergente fra globalizzazione e bioetica?, in Sgreccia – Calabrò, (a cura di) I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 370.
[79] Mele-Torlone, op. cit., p. 372.
[80] Ibidem, p. 373.
[81] Mele-Torlone, op. cit., p. 380.
[82] Miglietta-Mele, L’interesse pe l’ecologia nella formazione della bioetica generale: modelli antropologici di riferimento, in Sgreccia – Calabrò, (a cura di) I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 385.

[83] Maglietta- mele, op. cit., pp. 388-390.
[84][84] Pilotto, Trapianti d’organo: una scelta consapevole, in Sgreccia – Calabrò, (a cura di) I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 393.

[85] CNB, Donazione d’organo a fini di trapianto, Roma, 1991.
[86] Pilotto, Trapianti d’organo: una scelta consapevole, op. cit., p. 394.
[87] Portei, Etica e diritto nella tutela della persone con disagio mentale: il consenso informato alla ricerca, in Sgreccia – Calabrò, (a cura di) I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 407.
[88] [88] Portei, Etica e diritto nella tutela della persone con disagio mentale: il consenso informato alla ricerca, in Sgreccia – Calabrò, (a cura di) I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 407.

[89] Scalise, Il rapporto medico-paziente nell’era delle biotecnologie, in Sgreccia – Calabrò, (a cura di) I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 413.
[90] Scalise, Il rapporto medico-paziente nell’era delle biotecnologie, op. cit., p. 414.
[91] Sinno, Il pluralismo etico: stato o necessità?,op. cit., p. 418.
[92] Remoti-Lévi-Strauss, Struttura e storia, Torino, 1971.
[93] Sinno, Il pluralismo etico: stato o necessità?,op. cit., p. 419.
[94] Ibidem, p. 420.
[95] Sinopoli, Etica del trapianto d’organo e diritti d’organo,  in Sgreccia – Calabrò, (a cura di) I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 425.
[96][96] Soldini, Per una bioetica europea: dall’individuo alla persona. la proposta del personalismo alla persona, in Sgreccia – Calabrò, (a cura di) I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Roma, Atti del Convegno, settembre 2000, p. 429. 
[97] Soldini, Per una bioetica europea: dall’individuo alla persona. la proposta del personalismo alla persona, op. cit., p.430.

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