Translate

domenica 20 settembre 2015

STRESS OCCUPAZIONALE E MOLESTIE MORALI. INVESTIRE SU SE STESSI, CON O SENZA COMPETENZE, TRA OFFERTA-DOMANDA FORMATIVA E MECATO DEL LAVORO.

articolo di Giuseppina D’Auria

Leggendo il saggio di Marie-France Hirigoyen dal titolo Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, edito da Einaudi nel 2000 e tradotto da Monica Guerra ci si rende subito conto che ognuno di noi, almeno per una volta nella vita, ha vissuto la stessa esperienza: è possibile distruggere qualcuno anche soltanto con le parole, gli sguardi ed i sottintesi; espressioni come violenza perversa o molestia morale si riferiscono a questo tipo di situazioni. È un saggio appassionato sulla sottile violenza che lascia segni nel cuore e nella psiche.
È certo che “la perversione e la malignità serpeggino liberamente, ma soprattutto impunemente, dietro la facciata della nostra vita quotidiana[1]”; in Francia è stata istituita una cattedra universitaria in vittimologia e vengono svolte ricerche e stage di formazione  presso aziende pubbliche e private sulle molestie morali.  
Questo libro affronta un tema di drammatica attualità, che comincia a essere studiato dagli psicologi e considerato anche dalle organizzazioni del lavoro. Il "mobbing" è al centro dell'attenzione di molte riviste e giornali. Con l'apporto di numerose testimonianze, l'autrice analizza le peculiarità dei rapporti perversi e mette in guardia contro ogni tentativo di banalizzazione. Che si tratti di una coppia, di una famiglia o degli impiegati di un'azienda, il processo che porta le vittime nella spirale della depressione, se non al suicidio, è lo stesso.
Affrontando alla larga il discorso facciamo riferimento alle esigenze ed ai mutamenti dell’attuale paradigma formativo-lavorativo entro il quale ognuno è chiamato a re-interpretare le proprie capacità e competenze  professionali  ed a mediare le esigenze avanzate dall’innovazione scientifico-tecnologica con la propria domanda formativa.
Poiché attualmente il lavoro è inteso come una delle manifestazioni dei molteplici ruoli del soggetto, desideriamo esporre brevemente delle situazioni devianti dalla norma in termini di molestie morali e della loro trattazione nel sistema giuridico italiano. La molestia morale è una violenza che non si manifesta  sul piano fisico  ma si esercita attraverso sottintesi, allusioni, sgarbi che si ripetono fino a diventare ossessivi.
In Italia una donna su cinque subisce violenze da parte del partner, in Francia una su nove. Le violenze accertate risultano comunque sempre inferiori a quelle realmente perpetrate, in ragione dell'omertà, della paura, dell'ignoranza delle vittime.
Troppo spesso del fenomeno si riscontra soltanto la parte visibile, ossia l'aggressione fisica. Sebbene sia la prima a essere scoperta e quindi denunciata, questa costituisce solo un aspetto del problema, la parte emersa dell'iceberg. Tutto ha inizio ben prima di zuffe e botte; in principio ci sono comportamenti impropri, intimidazioni, microviolenze che preparano il terreno. Parlando di "donne picchiate", nascondiamo l'essenza del problema. In realtà, è impossibile fare una distinzione fra violenza psicologica e violenza fisica perché, quando un uomo picchia la propria donna, la sua intenzione non è quella di farle un occhio nero, ma piuttosto mostrarle che è lui a comandare e lei non deve far altro che comportarsi bene. Lo scopo della violenza è sempre il dominio.
Le molestie morali sono in agguato ovunque, all’interno del matrimonio e nella vita sociale in genere, nei rapporti con il partner, i figli, i familiari, gli amici, i conoscenti, al telefono con uno sconosciuto, nel traffico delle ore di punta, sulla strada per le vacanze. “Le molestie morali, dice Marie-France Hirigoyen, sono anche e soprattutto sul lavoro”. “E’ senz’altro vero che ciò che accade a volte sul lavoro è perverso, ingiusto e immorale, tuttavia il termine molestie morali, quando viene applicato sul lavoro si rivela, purtroppo, un mero eufemismo.
Ogni uomo interagisce con gli altri mettendo in gioco se stesso attraverso l’esercizio delle proprie competenze. La competenza è intesa come “autonoma e responsabile progettualità esistenziale, rivolta in una pluralità di direzioni, impegnata sul piano interpersonale e collettivo a stabilire rapporti solidali tesi al riconoscimento e al rispetto della differenza ed a promuovere, insieme, la propria e altrui realizzazione[2]”. Torniamo sull’argomento della formazione, nel caso specifico della formazione lungo l’arco di vita, con lo scopo di rendere autentico ed efficace un percorso che si realizza a partire dalla domanda di formazione secondo i nostri bisogni e progettualità.
Ci opponiamo ad una impostazione educativa preordinata e preconfezionata, senza orientamento alle singole progettualità. Avvertiamo l’esigenza di riqualificare sul piano professionale e aggiungere nuove competenze per rispondere meglio le richieste e sollecitazioni che ci vengono rivolte dalla “costante flessibilità dei ruoli”.
Avvertiamo, inoltre, una diffusa “mania di protagonismo esistenziale” al quale non vogliamo e non possiamo sottrarci, con presumibili conseguenze e ricadute sul tessuto sociale di appartenenza. Investire su se stessi è un obiettivo prioritario, che prevede una progettualità educativa che inizia da lontano, e cioè dall’adolescenza, secondo un principio didattico e “interattivo” che tenga conto dei principi della mobilità, della flessibilità, della conversione ma anche dei propri valori e “desiderata”, rendendo tali percorsi intrecciati consapevolmente e trasversalmente alle correnti e alle mode dominanti.
Si tratta di costruire il proprio baricentro in un mare in tempesta, dove flutti e correnti  non hanno più le regole cicliche della natura.
Parliamo di manie di protagonismo esistenziale in quanto, in questo tempo, nessuno può ritenersi competente definitivamente e compiutamente. L’obiettivo da raggiungere è il sapere imparare per “transitare tra diversi saperi con flessibilità cognitiva e disponibilità al cambiamento[3]”. Ciò comporta l’avere la consapevolezza dei propri bisogni e prevede la possibilità del cambiamento esistenziale vissuto come movimento naturale non destabilizzante. Ciò è una autentica competenza che permette di organizzare un ventaglio di possibilità spendibili in direzioni e contesti diversi, quali elementi “vantaggiosi”, che ci rendono autonomi, e non omologhi transformative learning, in grado di performance, abilità e capacità mutevoli e multisfaccettate.
In stretta correlazione con le competenze professionali, assumono un rilievo sempre maggiore gli aspetti emotivo-affettivi e relazionali, in considerazione del fatto che, l’organizzazione sociale del lavoro insiste sul lavoro di gruppo e sulle capacità dei singoli e dei gruppi di interazione, a tutti i livelli organizzativi, per fronteggiare e gestire i processi di trasformazione e mutamento.
Vengono premiate le “strategie di fronteggiamento” nei confronti degli agenti stressanti esterni e\o interni. A tale scopo, vengono sempre più utilizzate nella formazione professionale, iniziale, ricorrente, i concetti e gli scenari relativi alle qualità delle relazioni interpersonali, gli schemi, i copioni comunicativi e interattivi, messi in gioco nell’espletamento dei ruoli, l’ascolto attivo,   l’analisi transazionale, i role-playing e tutte le strategie di derivazione clinica e psicoterapica.
Contrariamente a quanto si pensa di solito, non dobbiamo e non possiamo evitare lo stress ma possiamo incontrarlo in modo efficace e trarne vantaggio imparando di più dai suoi meccanismi[4].
Crediamo di poter essere telegrafici sulle questioni teoriche che riguardano lo stress occupazionale. L’U.E. ha dato suggerimenti molto chiari in proposito, sin dal 2002, in occasione della settimana europea per la prevenzione dello stress occupazionale. I cardini del fenomeno “stress occupazionale” sono: domanda, controllo, ricompensa. Quando uno di questi elementi viene attaccato può entrare in crisi tutto il sistema e ciò può determinare non solo disagio ma anche malattia e morte.
Le conclusioni dell’U.E. sono nel senso di organizzare il lavoro adattandosi all’uomo e non viceversa; riteniamo che tali indicazioni oltre a dover essere globalizzate trovino supporto giuridico in alcuni aspetti della legge 626 del 1994.
In questo lavoro vogliamo considerare solo gli aspetti del problema legati alle molestie morali, sia emozionali che strategiche.
Il mobbing, dall’inglese “to mob” (aggredire, attaccare), viene definito come “terrore psicologico sul posto di lavoro” e si manifesta con atti e strategie persecutorie nei confronti della vittima (mobbizzato/a). Secondo l’Unione Europea nei Paesi membri ci sono circa 12 milioni di persone che subiscono intimidazioni sul luogo di lavoro, pari all’8% della popolazione attiva. In Italia il fenomeno, ancora sottostimato, si attesta sul 4% di vittime tra la popolazione attiva.
La giurisprudenza italiana sta mostrando sempre più una maggiore sensibilità verso questo tipo di problemi, sia attraverso l’emanazione di leggi ad hoc, come la 626/94, sia attraverso le sentenze che richiamano esplicitamente i danni biologici e psicologici derivanti da azioni di mobbing sul luogo di lavoro.
Le relazioni fra azienda e lavoratore sono estremamente varie, complesse e regolate da una serie di norme che definiscono le diverse tipologie di contratto fra le parti.
Chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro o chi decide di cambiare posizione lavorativa, si troverà di fronte ad un variegato panorama di contratti di lavoro, alcuni che seguono i vecchi e “tipici” modelli, altri più innovativi, in linea con la eccezionale espansione del “lavoro atipico”.
In questa sede cercheremo di spiegare i punti salienti delle diverse tipologie di contratto, evidenziando la tendenza, oggigiorno presente, verso una progressiva flessibilizzazione del rapporto impresa – lavoratore, conseguenza delle numerose leggi e riforme riguardanti il mercato del lavoro. Sarebbe auspicabile, in ogni luogo di lavoro, l’adozione di un codice che si inserisca all’interno degli indirizzi legislativi finalizzati a garantire la tutela della salute psico-fisica e a quelli che richiamano l’adozione di nuove misure e strumenti, in grado di garantire i fondamentali diritti civili tramite la rimozione degli ostacoli e dei pregiudizi.
Per tali fini è importante prevenire e contrastare l’insorgere di azioni lesive della dignità e dell’iniziativa personale e della massima espressione delle capacità individuali, sia sul fronte dell’organizzazione del lavoro che su quello delle singole relazioni interpersonali, per evitare l’instaurarsi di fenomeni di prevaricazione e di molestia morale, e sensibilizzare a comportamenti che tutelino e valorizzino il benessere psico-fisico delle persone, come valore fondamentale della "salute".
Anche per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, sarebbe opportuno prevenire l’instaurarsi ed il consolidarsi di quei comportamenti che ledono le fondamentali regole del rispetto e della collaborazione fra le persone, considerato che ciò ha diretta ricaduta sulla qualità delle prestazioni e delle relazioni.
Per molestia morale sul luogo di lavoro si intende qualunque condotta impropria che si manifesti attraverso comportamenti, parole, atti, gesti, scritti capaci di arrecare offesa alla personalità o all’integrità fisica o psichica di una persona, di metterne in pericolo l’impiego o di degradarne il clima lavorativo. Fanno parte di questo ambito anche forme di terrorismo psicologico esercitato sul luogo di lavoro (Mobbing), che hanno come scopo quello di emarginare una persona fino a rischiare di distruggerla psicologicamente.
A titolo meramente esemplificativo sono individuate, tra le più diffuse, le seguenti forme di molestia morale in ambito lavorativo:
·                  calunniare o diffamare un lavoratore;
·                  negare deliberatamente informazioni relative al lavoro, oppure fornire informazioni non corrette al riguardo;
·                  sabotare o impedire in maniera deliberata l’esecuzione del lavoro;
·                  escludere il lavoratore oppure boicottarlo o disprezzarlo;
·                  esercitare minacce o avvilire la persona;
·                  insultare o assumere atteggiamenti ostili in modo deliberato;
·                  emarginare il lavoratore da progetti che potrebbero essere condivisi con carattere sistematico, duraturo e intenso.
Gli atti vessatori, le critiche ed i maltrattamenti, per avere il carattere di violenza morale, devono mirare a discriminare, screditare o comunque danneggiare il lavoratore nella propria carriera, status, potere formale, potere informale e nella propria integrità di persona.
Effetto di tali atti vessatori può essere la sottostima sistematica dei risultati o l’attribuzione di incarichi molto al di sopra o troppo al di sotto delle proprie possibilità professionali.
Il danno di natura psichica o fisica provocato dagli atti sopradescritti è di rilevante gravità quando pregiudica l’autostima del lavoratore/trice, ovvero si traduce in forme depressive che possono manifestarsi con atteggiamenti apatici, aggressivi o di isolamento e di demotivazione, oppure con disturbi di natura psicosomatica.
Costituisce molestia sessuale ogni atto o comportamento, anche verbale, a connotazione sessuale o comunque basato sul sesso, che sia indesiderato e che arrechi, di per sé o per la sua insistenza, offesa alla dignità e libertà della persona che lo subisce, ovvero sia suscettibile di creare un ambito di lavoro intimidatorio, ostile e dominante nei suoi confronti.
E’ inoltre da intendersi molestia sessuale ogni atto o comportamento che, esplicitamente o implicitamente, influenzi le decisioni dell’Amministrazione riguardanti l’assunzione, il mantenimento del posto, la formazione professionale, la carriera, gli orari, gli emolumenti o altro aspetto della vita lavorativa.
Costituiscono molestie morali e persecuzioni psicologiche, nell’ambito dell’attività lavorativa, quelle azioni che mirano a danneggiare una lavoratrice o un lavoratore e che sono svolte con carattere sistematico, duraturo e intenso da superiori, pari grado, inferiori e datori di lavoro.
E’ inoltre da intendersi molestia morale o psicologica ogni atto o comportamento che esplicitamente o implicitamente, sia lesivo della integrità e della dignità della persona o che ne limiti le potenzialità professionali.
Rientrano nella tipologia della molestia sessuale e/o della discriminazione, comportamenti quali:
a) Richieste esplicite o implicite di prestazioni sessuali o attenzioni a sfondo sessuale non gradite e ritenute sconvenienti e offensive per chi ne è oggetto;
b) Minacce, discriminazioni e ricatti, subiti per aver respinto comportamenti a sfondo sessuale che incidano, direttamente o indirettamente, sulla costituzione, lo svolgimento o l’estinzione del rapporto di lavoro e la progressione di carriera;
c) Contatti fisici fastidiosi e indesiderati;
d) Apprezzamenti verbali offensivi sul corpo e sulla sessualità;
e) Gesti o ammiccamenti provocatori e disdicevoli a sfondo sessuale;
f) Esposizione nei luoghi di lavoro di materiale pornografico;
g) Scritti ed espressioni verbali denigratori e offensivi rivolti alla persona sia per l'appartenenza a un determinato sesso o in ragione della diversità di espressione della sessualità.

 Rientrano nella tipologia delle molestie morali e delle persecuzioni psicologiche comportamenti quali:
a) Atti vessatori e persecutori;
b) Critiche e maltrattamenti verbali esasperati;
c) Offese alla dignità e umiliazioni;
d) Delegittimazione di immagine, anche di fronte a soggetti esterni all’Ente;
e) Comportamenti mirati a discriminare, screditare o comunque danneggiare la lavoratrice o il lavoratore nella propria carriera, status, potere formale e informale, grado di influenza sugli altri;
f) Rimozione da incarichi, esclusione o immotivata emarginazione dalla normale comunicazione aziendale, sottostima sistematica dei risultati, attribuzione di compiti inadeguati alle reali possibilità professionali o alla condizione fisica e di salute.  

Al fine di garantire le migliori condizioni di vita nei luoghi di lavoro e a difesa di norme comportamentali idonee ad assicurare un clima relazionale nel quale a tutte le persone siano riconosciuti uguali dignità e rispetto, l’Azienda dovrebbe:
·                  Riconoscere che la qualità della prestazione è condizionata sia dalla professionalità tecnica, etica, deontologica di ogni operatore ed anche dalla valorizzazione della sua dignità professionale e personale. Pertanto ogni operatore dovrebbe venire sensibilizzato a tali valori e stimolato a stabilire buoni rapporti di collaborazione con colleghi e altre figure professionali adoperandosi a costruire un clima rispettoso delle diverse individualità.
·                  Essere impegnata a ostacolare tutti quegli atteggiamenti offensivi che ledendo i diritti umani, civili, culturali, religiosi, contrastano palesemente con una società civile e democratica.
·                  Attivarsi affinché vengano particolarmente perseguite e superate le violenze morali e le modalità comunicative di tipo ostile che sono uno degli aspetti più deleteri del clima lavorativo. Finalità degli interventi preventivi sarebbe pertanto quella di costruire un clima relazionale dove la gestione stessa dei conflitti venga realizzata in modo più sano e consapevole.
·                  La prevenzione dovrebbe venire attuata attraverso specifici trainings di formazione dei dirigenti. Tali interventi formativi sarebbero rivolti alla gestione del clima relazionale nell’ambito dei singoli settori o servizi e alla valorizzazione delle risorse umane, nonché alle necessarie modifiche all’organizzazione del lavoro laddove necessarie a tal fine.
A proposito ricordiamo la Legge Finanziaria del 2004 (legge 24 dicembre 2003:)[5], la Legge Finanziaria del 2005 ( Legge 30 dicembre 2004:)[6] e la Legge sulla Competitività (Legge n.80/05 di conversione del D.L.35/05:)[7], che modifica alcuni istituti della Riforma Biagi (Legge 30/03)[8].
L’obbiettivo ultimo di questa serie di riforme è incrementare i tassi di occupazione regolare e migliorare la qualità del lavoro. Per questo motivo si è deciso di intervenire proprio sulle caratteristiche del lavoro atipico, contrastando l’abuso di forme improprie di flessibilità e introducendo nuove tipologie di lavoro modulato e flessibile.
Le forme contrattuali attuali, classificabili in quattro categorie, sono le seguenti: 1-Lavoro subordinato, 2- lavoro parasubordinato, 3- lavoro autonomo e 4- altre forme di lavoro.
Il contratto di lavoro subordinato è l’accordo con il quale il lavoratore si impegna a prestare la propria attività lavorativa all’interno dell’organizzazione produttiva del datore di lavoro, tenuto a pagare la retribuzione. Dal contratto scaturiscono obblighi per le due parti: il lavoratore, per esempio, dovrà osservare le direttive impartitegli dal datore per lo svolgimento del lavoro, mentre quest’ultimo dovrà, oltre che pagare la retribuzione, garantire la sicurezza nell’ambiente di lavoro.
Una delle clausole più comuni di questa tipologia di contratto è il patto di prova, la cui durata, generalmente prevista dai contratti collettivi, non può superare per legge i sei mesi, e dovrà essere stipulata in forma scritta prima dell’inizio dei rapporti di lavoro, pena la nullità.
Di seguito le tipologie di contratto di lavoro subordinato:
Apprendistato[9]: rapporto in cui l’imprenditore si impegna a impartire/o far impartire la formazione necessaria affinché il lavoratore possa conseguire la capacità tecnica per diventare qualificato. Contratto di Inserimento: contratto che sostituisce il precedente “Contratto di Formazione e Lavoro”. Il Contratto di Inserimento lavorativo porta all’inserimento, o al reinserimento, del lavoratore nel mercato del lavoro mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del soggetto a un determinato contesto lavorativo. È un contratto a termine, di durata non inferiore a 9 mesi e non superiore a 18 mesi (nel caso di portatori di handicap può arrivare fino a 36 mesi).
Contratto a Tempo Determinato: il contratto di lavoro a termine può essere stipulato quando vi siano ragioni di ordine tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che richiedono un incremento di manodopera per un periodo di tempo limitato. Si può pensare, ad esempio, ad incrementi di attività dovuti a circostanze eccezionali, alle attività stagionali, alla sostituzione di lavoratori assenti per malattia, ferie, ecc. L’assunzione a termine non è invece ammessa nei seguenti casi: per sostituire lavoratori in sciopero; per le aziende che abbiano effettuato licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti l’assunzione (salvo alcuni casi particolari indicati dalla legge); per le aziende che sono ammesse alla Cassa Integrazione Guadagni; per le aziende non in regola con la normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Lavoro Ripartito (job sharing): il lavoro ripartito, o job sharing, è uno speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori assumono insieme l’adempimento di un’unica ed identica obbligazione lavorativa. I prestatori si impegnano pertanto a coprire la prestazione lavorativa e possono determinare a tal fine discrezionalmente e in qualsiasi momento sostituzioni tra loro; possono modificare consensualmente la collocazione temporale dell’orario di lavoro, anche per sopperire all’impossibilità della prestazione da parte di uno dei due.
Lavoro Intermittente (job on call): il lavoro intermittente è un contratto mediante il quale un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro, che può utilizzare la prestazione lavorativa quando ne ha effettivo bisogno. Questo tipo di contratto può essere instaurato sia a tempo determinato che a tempo indeterminato e, diversamente dal contratto di somministrazione, è stipulato direttamente tra datore di lavoro e lavoratore. Questa tipologia di contratto può essere indirizzata solo a giovani disoccupati con meno di 25 anni e a lavoratori con più di 45 anni “espulsi” dal ciclo produttivo (licenziati o iscritti in lista di mobilità e presso i Centri per l’impiego come disoccupati). I lavoratori che non rientrano in queste categorie possono stipulare questo tipo di contratto solo per prestazioni discontinue e non individuate dai contratti collettivi di lavoro o, in assenza, dal Ministero del Lavoro con apposito decreto ministeriale.
Somministrazione di lavoro: contratto che sostituisce il precedente “Lavoro Interinale”. Con la somministrazione di lavoro si instaura un particolare tipo di contratto di lavoro subordinato che coinvolge tre soggetti: il somministratore, l’utilizzatore e il lavoratore. Il lavoratore è assunto dal somministratore, ma viene inviato a svolgere la propria attività presso l’utilizzatore (c.d. missione). Tra somministratore e utilizzatore viene stipulato un contratto di fornitura di manodopera, che è un normale contratto commerciale.
Part-Time: il contratto di lavoro a tempo parziale prevede un orario inferiore rispetto a quello normale indicato dalla legge o dal contratto collettivo. Si distinguono tre tipologie di lavoro part-time: Orizzontale (riduzione dell’orario normale giornaliero di lavoro); Verticale (attività lavorativa svolta a tempo pieno ma limitatamente a periodi determinati della settimana, mese e anno) e Misto (combinazione dei precedenti).
Lavoro a progetto: il lavoro a progetto sostituisce la precedente accezione di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, regolamentandone sia la forma contrattuale che la finalità. Il contratto di lavoro a progetto deve avere forma scritta e deve indicare: la durata (determinata o determinabile in base al raggiungimento di un determinato obiettivo); il progetto; il programma o la forma di lavoro; l’ammontare del corrispettivo erogato; l’indicazione dei tempi e modi di pagamento; l’indicazione delle modalità di retribuzione di determinati rimborsi o spese; le forme di coordinamento del lavoratore con il committente e le misure di sicurezza adottate nei confronti del lavoratore.
Lavoro occasionale: la collaborazione occasionale è caratterizzata da un duplice requisito: durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente e un compenso non superiore a cinque mila euro nello stesso anno solare e con lo stesso committente.  
  • Lavoro parasubordinato
Il contratto di lavoro parasubordinato si pone al confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, presentando elementi tipici dell’uno e dell’altro.
Questa forma contrattuale non prevede l’instaurarsi di un rapporto di lavoro dipendente, ma è una prestazione lavorativa in cui le modalità di lavoro, la durata ed il relativo compenso sono stabiliti da un contratto stipulato dalle parti.
Tale contratto non obbliga né all’iscrizione ad albi professionali, né l’apertura di una partita IVA ed è applicabile a chiunque: disoccupato, inoccupato o in cerca di altra occupazione (art. 2094 c.c.; D.Lgs. 26 maggio 1997; Art. 2106 c.c.).
Di seguito le tipologie di lavoro parasubordinato:
Collaborazioni Coordinate Continuative: i collaboratori coordinati e continuativi sono lavoratori che svolgono la loro attività con regole stabilite in un contratto di lavoro individuale nel quale sono fissati la durata, le modalità e il compenso del lavoro. Questo tipo di contratto non prevede automaticamente l’unicità della prestazione, pur potendo prevedere in alcuni casi l’esclusività. Il lavoratore, quindi, può accedere ad altri contratti di collaborazione, a meno che non ci sia un esplicito divieto dettato da una norma precisa del contratto individuale. La collaborazione coordinata e continuativa non obbliga all’apertura di partita Iva.
Lavoro a Progetto: si tratta di nuovo contratto recentemente regolato dal decreto legislativo 276/03 con l’intento teorico di limitare l’uso di quelle collaborazioni coordinate e continuative, che - avvalendosi di un ridotto costo del lavoro - nella sostanza mascherano rapporti di lavoro dipendente. In realtà anche la nuova norma, senza un adeguato intervento della contrattazione collettiva, consente di celare dietro a un contratto a progetto un rapporto di lavoro dipendente a tutti gli effetti.
Collaborazioni occasionali: si tratta di “attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mondo del lavoro, ovvero in procinto di uscirne” (art. 70, comma 1). L’istituto in esame è una novità introdotta dalla legge di riforma del mercato del lavoro. Tale scelta legislativa risponde a due diverse finalità: da un lato, l’intento di tutelare quelle forme di lavoro che, per il loro carattere “secondario” e discontinuo, rischiano di sfuggire alle tutele fornite dalle disposizioni legislative, rimanendo spesso nel mondo del sommerso; dall’altro, l’impegno a favorire l’inserimento di fasce cosiddette “deboli” nel mondo del lavoro.
·       Lavoro autonomo
Possiamo definire “lavoro autonomo” qualsiasi prestazione compiuta senza vincoli di subordinazione; sono attività di lavoro autonomo, per il Codice Civile, sia quelle svolte dagli imprenditori sia quelle svolte dai professionisti, dagli artisti, dai consulenti
Appalto: l’appalto è il contratto con il quale una parte assume con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.
Associazione in Partecipazione[10] : l’associazione in partecipazione è disciplinata dall’art. 2594 c.c. è consiste nell’apporto in capitale o in prestazione lavorativa, che l’associato da ad una impresa in cambio della partecipazione agli utili della stessa.
Va evidenziato che la gestione della società resta interamente nelle mani del titolare anche se la sua gestione dovrà essere improntata in modo tale da non pregiudicare le aspettative dell’associato.
Tale rapporto, pertanto, non origina un rapporto associativo.
Lavoro Accessorio: per prestazioni di lavoro accessorio s’intendono tutte le attività lavorative occasionali rese da soggetti che non hanno ancora fatto ingresso nel mercato del lavoro o che rischiano l’esclusione sociale. La attività non può superare i 30 giorni nel corso dell’anno e non dà luogo a compensi maggiori di 3000 euro complessivi. Nello specifico, possono utilizzare questo contratto, i lavoratori extracomunitari, i pensionati, gli studenti, le casalinghe, i disoccupati da oltre un anno, i disabili e le persone in comunità di recupero rivolgendosi ai servizi per l’impiego delle province nell’ambito territoriale di riferimento.
Lavoro Autonomo Occasionale[11]: questo contratto disciplina l’affidamento di un incarico ad un qualsiasi soggetto (lavoratore dipendente, autonomo, professionista, pensionato, disoccupato, studente, ecc.) per una prestazione di lavoro occasionale, svolta nella piena autonomia, al di fuori della struttura organizzata del committente, libera da vincoli di orario e senza carattere di continuità o ripetitività dell’incarico.
·       Altre forme di lavoro:
Tirocinio (Stage): contrariamente al contratto di lavoro, l’obiettivo principale del contratto di tirocinio non consiste nella prestazione lavorativa eseguita dietro retribuzione, bensì nella formazione della persona in formazione. Le disposizioni legali del contratto di lavoro si applicano in generale anche al contratto di Tirocinio, ma questo contratto comporta anche altre disposizioni particolari. Il contratto di lavoro dei/delle tirocinanti deve in particolare essere concluso per iscritto e approvato dall’autorità competente. In linea di massima il contratto di tirocinio viene concluso per tutta la durata della formazione professionale di base. Trascorso il periodo di prova, il contratto non può più essere disdetto fino al termine della formazione, salvo nel caso in cui la disdetta venga data per cause gravi.
Tirocini Estivi di Orientamento: la legge li definisce come tirocini promossi durante le vacanze estive a favore di un adolescente o di un giovane, regolarmente iscritto a un ciclo di studi (università o qualsiasi istituto scolastico di ogni ordine e grado) con fini orientativi e di addestramento.
Piani di Inserimento Professionale: hanno lo scopo di migliorare la formazione e di facilitare l’inserimento professionale dei giovani nelle aree del mezzogiorno e nelle altre aree depresse. I progetti sono realizzati dal Ministero del lavoro d’intesa con le Regioni interessate e prevedono periodi di formazione e di esperienze lavorative presso le imprese.
Al termine il datore di lavoro può assumere il giovane con Contratto di Formazione Lavoro.
“Può succedere che il rapporto perverso sia l’elemento costitutivo di una coppia, dato che i partner si sono scelti; non è però il fondamento di un rapporto all’interno di un’azienda”[12].
Ci si può quindi servire del modello, manifesto nel caso della coppia, per comprendere certi comportamenti che vengono alla luce in azienda. La molestia e la violenza sono qui frutto di perversità. Le grandi perversioni distruttrici sono molto meno frequenti, ma si tende a banalizzare le piccole perversioni quotidiane.
Nel mondo del lavoro, nelle università e nelle istituzioni, i comportamenti molesti sono molto più stereotipati che nella sfera privata. Non per questo risultano meno distruttivi, anche se le vittime vi restano esposte per meno tempo in quanto nella maggior parte dei casi scelgono, per sopravvivere di andarsene (congedo per malattia o dimissioni).
“Contrariamente a quanto i loro aggressori cercano di far credere, le vittime non sono in partenza persone colpite da qualche particolare patologia o particolarmente fragili. Al contrario molto spesso la molestia si instaura quando una vittima reagisce all’autoritarismo di un capo e rifiuta di lasciarsi asservire. A designarla come bersaglio è la capacità di resistere all’autorità malgrado le pressioni”[13].
La molestia è possibile perché preceduta da una svalutazione della vittima da parte del perverso, accettata e poi garantita dal gruppo. Essa fornisce una giustificazione a posteriori della crudeltà esercitata contro la vittima e induce a pensare che abbia meritato quello che le capita.
“Quando il processo di molestia è in atto, la vittima viene stigmatizzata: si dice che è una persona con la quale è difficile convivere, che ha un cattivo carattere o addirittura che è pazza. Si attribuiscono alla sua personalità le conseguenze del conflitto e si dimentica quello che era prima o quello che è in un altro contesto”. “Una persona molestata non può essere al massimo de suo potenziale: è disattenta, inefficiente e offre il fianco alle critiche sulla qualità del suo lavoro”[14].  Il comportamento di un gruppo non è la somma dei comportamenti degli individui che lo compongono; il gruppo è una nuova entità che ha i suoi specifici comportamenti. “Freud ammette la dissoluzione delle individualità nella massa e vi vede una duplice identificazione: orizzontale in relazione all’orda e verticale in rapporto al capo”[15]. La situazione classica è quella del subordinato aggredito da un superiore, molto più rara è la situazione opposta. L’azienda lascia che un individuo diriga i suoi subordinati in modo tirannico o perverso perché le fa comodo o non le pare importante. La tattica utilizzata consiste nell’impedire ad una vittima di reagire, rifiutando la comunicazione diretta; tutti i tentativi di spiegazione non hanno altro effetto che vaghi rimproveri e lasciano il posto a tutte le interpretazioni e a tutti i malintesi. Si mira a squalificare, utilizzando il registro della comunicazione non verbale oppure non detti, sottintesi, allusioni destabilizzanti o malevole, osservazioni sgarbate, insinuando, poco a poco, il dubbio sulle competenze professionali di n lavoratore, rimettendo in discussione tutto quello che fa. Per annientare l’altro lo si ridicolizza, lo si umilia, lo si copre di sarcasmi fino a fargli perdere fiducia in sé, screditandolo, isolandolo privandolo progressivamente di tutte le informazioni, angariandolo e spingendolo all’errore.
“La molestia sessuale è solo un gradino più in là rispetto alla molestia sessuale. Riguarda i due sessi, ma la maggior parte dei casi descritti e denunciati concernono donne aggredite da uomini, il più delle volte loro superiori gerarchici. Non si tratta di ottenere favori di natura sessuale, quanto piuttosto di dimostrare il proprio potere, di considerare la donna come proprio oggetto (sessuale)”[16].
Il punto di partenza della molestia è l’abuso di potere. Certe lotte sono impari fin dall’inizio. È ciò che avviene con un superiore gerarchico o quando un individuo riduce la sua vittima ad una condizione di impotenza per poi aggredirla in tutta impunità, senza che si ossa replicare. “Non si deve banalizzare la molestia facendone una fatalità della nostra società. Non è la conseguenza della crisi economica attuale, è solo una deriva del lassismo organizzativo”[17].



[1] Hirigoyen M. F., Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2000, p. 235.
[2] Cambi F.- Contini M., Investire in creatività. La formazione professionale nel presente e nel futuro, Roma, Carocci Editore, 1999, p. 53.
[3] Ibidem, p. 58.
[4] Ibidem, p, 191.
[5] www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/finanziaria2004/art.3.html
[6] www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/finanziaria2005/index.html
[7] www.senato.it/parlam/leggi/05080l.htm
[8] www.sportellounico.comune.torino.it/cala/dwd/capire-riforma.pdf
[9] www.provincia.torino.it/sportello-lavoro/file-storage/download/word/Piemonte_apprendistato.professionalizzante.doc
[10] www.inps.it/inform
[11] www.anci.emilia-romagna.it/documenti/npr-09042005.htm
[12] Hirigoyen M. F., Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2000, p. 51.
[13] Ibidem, p. 56.
[14] Ibidem, p. 57.
[15] Ibid., p. 58.
[16] Hirigoyen M. F., Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2000, p. 69.
[17] Hirigoyen M. F., Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2000, p. 93.

Nessun commento:

Posta un commento

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale