Frauenfelder E., contributo in F. Cambi (a cura di), NEL CONFLITTO DELLE EMOZIONI. Prospettive
pedagogiche, Roma, Armando Editore, 1988, pp. 75- 80.
Il problema della forma investe in biologia un
arco di interesse di estrema ampiezza che si delinea assumendo i contorni e le
tratteggiature proprie dei tempi e della storia del pensiero biologico che
passa attraverso un iter particolarmente articolato e, a volte, contraddittorio.
La
sua prima individuazione può essere collocata nella seconda metà del XIX secolo, quando la cellula — come unità
elementare — diviene, per la grande maggioranza dei biologi il punto di
riferimento strutturale ed essenziale per l’interpretazione della forma
organica: viene individuata come il luogo del metabolismo e dello scambio
energetico, costituisce il fondamento dell’attività a diversa specificità e quindi
del comportamento armonico ed integrato: assicura la stessa continuità di vita
attraverso le generazioni; ed infine, comunque descritta, costituisce l’unità
fondamentale della struttura e della funzione organica.
Tuttavia
le cellule non sono uguali, appaiono straordinariamente varie nella forma e
nella distribuzione e, pur essendo responsabili della costituzione fisica dell’organismo,
costituiscono esse stesse strutture singolarmente complesse e diversificate.
Su
questa situazione di fondo gli studi biologici sulla forma si focalizzano in
tre linee di ricerca:
- nella direzione di un metodo descrittivo (la spiegazione storica non più sufficiente a comprendere lo sviluppo individuale viene sostituita dall’ analisi dei fattori causali, indagati grazie soprattutto all’uso delle tecniche e dei principi esplicativi fisici e chimici fino a questo momento trascurati dai morfologi);
- nella direzione di un metodo analitico (la cellula viene vista come unità strutturale e funzionale autoperpetuantesi, comune a tutte le cose viventi);
- nella direzione di un metodo relazionale (la forma nasce dalla relazione tra gli esseri viventi ed il loro ambiente).
Nel
primo caso vengono indagate le strutture come appaiono costitutive dei corpi
vegetali ed animali e viene, dunque, studiata la forma organica ed i mezzi
attraverso i quali essa ha origine.
Nel
secondo caso l’attenzione della ricerca viene concentrata sui processi vitali
che si manifestano in modo diverso nelle creature viventi e, dunque,
sull’intimo funzionamento che sottende le forme.
Un
terzo orizzonte di ricerca si localizza invece, sulla relazione tra gli esseri
viventi ed il loro ambiente in trasformazione.
Forma
organica, funzione e trasformazione divengono, così, gli «osservatori» sulla
forma ed il problema morfologico assume, negli ambiti della ricerca biologica,
un più definito spessore concettuale individuabile in varie prospettive
(evoluzionistica, tassonomica, connessionista).
Tuttavia,
quale che sia l’orizzonte teorico di riferimento, emerge con chiarezza che
l’estrema complessità che caratterizza i livelli di vita superiori li distingue
da quelli inferiori proiettandoli in un più stretto ed incisivo rapporto con
l’elemento esterno.
Se
è vero, quindi, che la fonte delle differenze va rintracciata nell’informazione
genetica contenuta nel DNA, ciò non significa, tuttavia, che la “forma” di un
organismo sia interamente ricavabile da essa. Il concetto di formazione si
lega, infatti, imprescindibilmente a quello di differenziazione: ma la
differenziazione ha la sua origine nel processo adattivo ed il processo
adattivo presuppone l’esterno: è allora legittimo ipotizzare che il processo di
adattamento sia identificabile con quello di formazione.
In
tal senso il concetto di forma-formazione acquista spazi e problematiche di
grande interesse per il disegno di corrette architetture formative: il concetto
di adattamento implica, infatti, un mondo preesistente che pone problemi la cui
soluzione consiste nell’adattarvisi; ma implica anche che gli organismi non
sperimentino l’ambiente passivamente, sebbene creino e definiscano l’ambiente
in cui vivono.
La
chiave biologica garantisce, quindi, l’elemento culturale come elemento
costituito della forma e del soggetto che si forma, ed è proprio attraverso
l’analisi del “meccanismo” biologico che è possibile difendere l’incidenza
dell’elemento culturale nello sviluppo e nella crescita della specie e
dell’uomo.
L’ambiente
esterno è, infatti, percepito da strutture profonde altamente specializzate
attraverso le quali gli stimoli e le sollecitazioni pervengono ad una struttura
centrale (il cervello negli organismi superiori), per essere trattate,
selezionate ed immagazzinate affinché energia ed informazioni siano utilizzate
per specifiche finalità.
La
formazione si identifica, quindi, con un dinamico processo di crescita e, ciò
che soprattutto interessa l’indagine pedagogica, si evidenzia come “formazione
del pensiero”. Il pensiero, infatti, è meccanismo biologico, potenzialità
genetica, ma è anche puntuale stimolazione ambientale che condiziona e
concretizza in particolari direzioni tali potenzialità.
La
percezione ambientale diventa, così, un’esperienza soggettiva che permette
all’esser vivente di filtrare la massa delle informazioni e renderle
utilizzabili nel rapporto ambiente-organismo, quindi, questo è in grado di costruire
una propria realtà, una sorta di rappresentazione del mondo esterno costruita
dalla “sua” struttura cervello.
Di
conseguenza, comunque un organismo esplori il suo mondo esterno, l’energia e le
informazioni che ne ricava riflettono la realtà che è specificamente legata al
suo modo di rispondere alle modificate situazioni ambientali. in questa
prospettiva, analizzando il problema da un punto di vista ontogenetico, assume
particolare interesse la struttura apprenditiva di base che consiste nella
formazione di collegamenti anatomici tra cellule cerebrali ancora in sviluppo;
si tratta di un insieme di cellule prodotte esclusivamente dalle prime
apparenze percettive (intensità della luce, rumori nello spazio, ecc.) che
danno, in tal modo, al cervello una prima riproduzione codificata del
l’ambiente esterno, senza la quale, probabilmente, sarebbe impossibile mettersi
in contatto con tutto ciò che è intorno a noi.
Vi
è, dunque, un primo codice di raccordo tra noi e l’esterno, l’hardware, per così dire, che si
organizza nei primi mesi di vita fissando in qualche modo le forme dei nostri
processi mentali. La struttura di base, d’altra parte, finisce col condizionare
anche i singoli canali percettivi, che variano ovviamente da soggetto a
soggetto, e, conseguentemente, le sensazioni a questi collegate. Ciò dimostra
chiaramente che uno sviluppo efficiente è condizionato dall’ambiente esterno le
informazioni che s’innestano successivamente sulla struttura di base, infatti,
non vengono più connesse anatomicamente, ma vengono registrate ed integrate
modificando ed arricchendo l‘hardware
stesso.
Vi
è, dunque, uno stretto rapporto fra processi apprenditivi e processi di
sviluppo ed è possibile ipotizzare che un processo educativo può indurre,
attraverso specifiche stimolazioni, processi di formazione intenzionalmente
determinati.
In
questo contesto l’apprendimento viene inteso come attitudine originaria propria
della specie e l’educazione come un processo di trasmissione intenzionale
collegato a problemi di carattere etico-filosofico; l’educazione è dunque
termine che racchiude in sé il criterio che venga realizzato qualcosa che ha
valore e che ha, comunque, implicazioni normative; l’apprendimento, invece,
viene inteso come caratterizzato da un’istintività bio-psico-fisiologica che
prescinde da tali implicazioni.
Appare,
tuttavia, abbastanza chiaramente, che un processo di apprendimento di tipo
istintuale, avulso da un contesto sociale storico, si presenta quasi
impossibile; si può, cioè, sostenere che l’apprendimento risulta sempre
strettamente collegato ad una serie di stimoli che, intenzionalmente o non
intenzionalmente, ne condizionano, tuttavia, l’organizzazione. L’apprendimento
è, dunque, condizione fondamentale al processo educativo, che a sua volta si
configura come l’ambito in cui il processo apprenditivo si arricchisce di
caratteristiche specificamente umane. Quindi, pur riconoscendo al processo
apprenditivo una carica istintuale e naturale di particolare ampiezza. questa
stessa viene immancabilmente condizionata da strutture culturali specifiche.
La
stessa attività cognitiva individuale, quindi, è il risultato di una dinamica
più ampia che ha origine nelle relazioni sociali: «Attraverso la conversione di
gesti e la costruzione coordinata di un universo di azioni e di significati
condivisi, il bambino elabora i propri strumenti cognitivi nel corso delle
interazioni con gli altri e successivamente queste abilità diventano strumenti
che il bambino padroneggia a livello individuale ed impiega in modo autonomo»
(F. Carugati, 1986, p. 130). Questa concezione, ad un tempo costruttiva ed
interazionista, riformula l’idea già analizzata, comune a Mead ed a Vygotsky, e
in un certo modo anche a Piaget, che lo sviluppo del pensiero è il risultato
dell’attività concreta dell’individuo nel proprio ambiente; e l’ambiente è qui
inteso come “spazio di vita” in senso leviniano e, soprattutto, come insieme di
significati sociali condivisi alla maniera di Moscovici.
In
termini funzionali, dunque, anche l’adattamento differenziato alle stesse
sollecitazioni, e quindi il variare delle forme di apprendimento, è
presumibilmente regolato dalla capacità di produrre i singoli moduli e da come
questi si integrano costantemente nel sistema già costituito. In tal modo la
caratteristica della plasticità, che risulta proporzionale ai tempi di sviluppo
ma che viene sollecitata e modulata dai processi apprenditivi, costituisce il
tramite necessario fra possibilità di sviluppo e capacità apprenditiva e,
viceversa, fra possibilità apprenditiva e potenzialità di sviluppo, ponendosi
così come disponibilità a concretizzazioni educative.
La
messa a fuoco di un processo di formazione che si concretizza in processi di
differenziazione che ne costituiscono l’essenza e le specificità induce,
infatti, a disegnare progetti educativi in analogia al comportamento biologico,
soprattutto legati al rispetto delle differenze e delle diversità. Tuttavia
tale differenziazione richiede, per strutturarsi correttamente, procedure
corrette e la correttezza di esse è strettamente dipendente dalla conoscenza dei
meccanismi che le determinano e delle strategie che le identificano.
Possiamo
affermare, pertanto, che l’approccio bio-pedagogico consente di affrontare il
tema della forma/formazione attraverso tre prospettive metodologiche: 1) metodo
descrittivo; 2) metodo analitico; 3) metodo relazionale. Questi modelli — pur
con la loro diversità — segnalano che l’estrema complessità che caratterizza i
livelli di vita superiori li distingue da quelli inferiori proiettandoli in un
rapporto più stretto ed incisivo con l’elemento esterno. Quindi, la fonte delle
differenze va rintracciata nell’informazione genetica di base, ma la forma di
un organismo non è interamente ricavabile da esso. Il concetto di formazione si
lega, quindi, a quello di differenziazione che, a sua volta, ha origine nel
processo adattivo: il concetto di adattamento implica un mondo preesistente che
pone problemi la cui soluzione sta nell’adattarvisi.
La
chiave biologica garantisce l’elemento culturale come elemento costitutivo
della forma e del soggetto che viene a formarsi. L’ambiente esterno è percepito
da strutture profonde altamente specializzate che utilizzano stimoli trattati,
selezionati e immagazzinati da una struttura centrale. La percezione degli
stimoli ambientali diviene un’esperienza soggettiva che permette all’essere
vivente di filtrare la massa delle informazioni e renderle utilizzabili. In
questa prospettiva assume particolare rilievo la struttura apprenditiva di
base, ovvero l’insieme di cellule prodotte esclusivamente dalle apparenze percettive,
che danno al cervello una prima codificazione dell’ambiente esterno. Inoltre,
la struttura di base condiziona i singoli canali percettivi. In definitiva,
quindi, se l’apprendimento corrisponde ad una attitudine originaria propria
della specie e l’educazione ad un processo intenzionale collegato a
problematiche etico-politiche, allora la formazione si concretizza attraverso
processi di differenziazione: processi formativi legati al rispetto delle
differenze e delle diversità.
Bibliografia
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