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giovedì 10 gennaio 2013

FORMAZIONE E DIMENSIONI AFFETTIVE-Formazione in termini bio-pedagogici



Frauenfelder E., contributo in F. Cambi (a cura di), NEL CONFLITTO DELLE EMOZIONI. Prospettive pedagogiche, Roma, Armando Editore, 1988, pp. 75- 80.
Il  problema della forma investe in biologia un arco di interesse di estrema ampiezza che si delinea assumendo i contorni e le tratteggiature proprie dei tempi e della storia del pensiero biologico che passa attraverso un iter particolarmente articolato e, a volte, contraddittorio.
La sua prima individuazione può essere collocata nella seconda metà del XIX  secolo, quando la cellula — come unità elementare — diviene, per la grande maggioranza dei biologi il punto di riferimento strutturale ed essenziale per l’interpretazione della forma organica: viene individuata come il luogo del metabolismo e dello scambio energetico, costituisce il fondamento dell’attività a diversa specificità e quindi del comportamento armonico ed integrato: assicura la stessa continuità di vita attraverso le generazioni; ed infine, comunque descritta, costituisce l’unità fondamentale della struttura e della funzione organica.
Tuttavia le cellule non sono uguali, appaiono straordinariamente varie nella forma e nella distribuzione e, pur essendo responsabili della costituzione fisica dell’organismo, costituiscono esse stesse strutture singolarmente complesse e diversificate.
Su questa situazione di fondo gli studi biologici sulla forma si focalizzano in tre linee di ricerca:
  • nella direzione di un metodo descrittivo (la spiegazione storica non più sufficiente a comprendere lo sviluppo individuale viene sostituita dall’ analisi dei fattori causali, indagati grazie soprattutto all’uso delle tecniche e dei principi esplicativi fisici e chimici fino a questo momento trascurati dai morfologi);
  • nella direzione di un metodo analitico (la cellula viene vista come unità strutturale e funzionale autoperpetuantesi, comune a tutte le cose viventi);
  • nella direzione di un metodo relazionale (la forma nasce dalla relazione tra gli esseri viventi ed il loro ambiente).
Nel primo caso vengono indagate le strutture come appaiono costitutive dei corpi vegetali ed animali e viene, dunque, studiata la forma organica ed i mezzi attraverso i quali essa ha origine.
Nel secondo caso l’attenzione della ricerca viene concentrata sui processi vitali che si manifestano in modo diverso nelle creature viventi e, dunque, sull’intimo funzionamento che sottende le forme.
Un terzo orizzonte di ricerca si localizza invece, sulla relazione tra gli esseri viventi ed il loro ambiente in trasformazione.
Forma organica, funzione e trasformazione divengono, così, gli «osservatori» sulla forma ed il problema morfologico assume, negli ambiti della ricerca biologica, un più definito spessore concettuale individuabile in varie prospettive (evoluzionistica, tassonomica, connessionista).
Tuttavia, quale che sia l’orizzonte teorico di riferimento, emerge con chiarezza che l’estrema complessità che caratterizza i livelli di vita superiori li distingue da quelli inferiori proiettandoli in un più stretto ed incisivo rapporto con l’elemento esterno.
Se è vero, quindi, che la fonte delle differenze va rintracciata nell’informazione genetica contenuta nel DNA, ciò non significa, tuttavia, che la “forma” di un organismo sia interamente ricavabile da essa. Il concetto di formazione si lega, infatti, imprescindibilmente a quello di differenziazione: ma la differenziazione ha la sua origine nel processo adattivo ed il processo adattivo presuppone l’esterno: è allora legittimo ipotizzare che il processo di adattamento sia identificabile con quello di formazione.
In tal senso il concetto di forma-formazione acquista spazi e problematiche di grande interesse per il disegno di corrette architetture formative: il concetto di adattamento implica, infatti, un mondo preesistente che pone problemi la cui soluzione consiste nell’adattarvisi; ma implica anche che gli organismi non sperimentino l’ambiente passivamente, sebbene creino e definiscano l’ambiente in cui vivono.
La chiave biologica garantisce, quindi, l’elemento culturale come elemento costituito della forma e del soggetto che si forma, ed è proprio attraverso l’analisi del “meccanismo” biologico che è possibile difendere l’incidenza dell’elemento culturale nello sviluppo e nella crescita della specie e dell’uomo.
L’ambiente esterno è, infatti, percepito da strutture profonde altamente specializzate attraverso le quali gli stimoli e le sollecitazioni pervengono ad una struttura centrale (il cervello negli organismi superiori), per essere trattate, selezionate ed immagazzinate affinché energia ed informazioni siano utilizzate per specifiche finalità.
La formazione si identifica, quindi, con un dinamico processo di crescita e, ciò che soprattutto interessa l’indagine pedagogica, si evidenzia come “formazione del pensiero”. Il pensiero, infatti, è meccanismo biologico, potenzialità genetica, ma è anche puntuale stimolazione ambientale che condiziona e concretizza in particolari direzioni tali potenzialità.
La percezione ambientale diventa, così, un’esperienza soggettiva che permette all’esser vivente di filtrare la massa delle informazioni e renderle utilizzabili nel rapporto ambiente-organismo, quindi, questo è in grado di costruire una propria realtà, una sorta di rappresentazione del mondo esterno costruita dalla “sua” struttura cervello.
Di conseguenza, comunque un organismo esplori il suo mondo esterno, l’energia e le informazioni che ne ricava riflettono la realtà che è specificamente legata al suo modo di rispondere alle modificate situazioni ambientali. in questa prospettiva, analizzando il problema da un punto di vista ontogenetico, assume particolare interesse la struttura apprenditiva di base che consiste nella formazione di collegamenti anatomici tra cellule cerebrali ancora in sviluppo; si tratta di un insieme di cellule prodotte esclusivamente dalle prime apparenze percettive (intensità della luce, rumori nello spazio, ecc.) che danno, in tal modo, al cervello una prima riproduzione codificata del l’ambiente esterno, senza la quale, probabilmente, sarebbe impossibile mettersi in contatto con tutto ciò che è intorno a noi.
Vi è, dunque, un primo codice di raccordo tra noi e l’esterno, l’hardware, per così dire, che si organizza nei primi mesi di vita fissando in qualche modo le forme dei nostri processi mentali. La struttura di base, d’altra parte, finisce col condizionare anche i singoli canali percettivi, che variano ovviamente da soggetto a soggetto, e, conseguentemente, le sensazioni a questi collegate. Ciò dimostra chiaramente che uno sviluppo efficiente è condizionato dall’ambiente esterno le informazioni che s’innestano successivamente sulla struttura di base, infatti, non vengono più connesse anatomicamente, ma vengono registrate ed integrate modificando ed arricchendo l‘hardware stesso.
Vi è, dunque, uno stretto rapporto fra processi apprenditivi e processi di sviluppo ed è possibile ipotizzare che un processo educativo può indurre, attraverso specifiche stimolazioni, processi di formazione intenzionalmente determinati.
In questo contesto l’apprendimento viene inteso come attitudine originaria propria della specie e l’educazione come un processo di trasmissione intenzionale collegato a problemi di carattere etico-filosofico; l’educazione è dunque termine che racchiude in sé il criterio che venga realizzato qualcosa che ha valore e che ha, comunque, implicazioni normative; l’apprendimento, invece, viene inteso come caratterizzato da un’istintività bio-psico-fisiologica che prescinde da tali implicazioni.
Appare, tuttavia, abbastanza chiaramente, che un processo di apprendimento di tipo istintuale, avulso da un contesto sociale storico, si presenta quasi impossibile; si può, cioè, sostenere che l’apprendimento risulta sempre strettamente collegato ad una serie di stimoli che, intenzionalmente o non intenzionalmente, ne condizionano, tuttavia, l’organizzazione. L’apprendimento è, dunque, condizione fondamentale al processo educativo, che a sua volta si configura come l’ambito in cui il processo apprenditivo si arricchisce di caratteristiche specificamente umane. Quindi, pur riconoscendo al processo apprenditivo una carica istintuale e naturale di particolare ampiezza. questa stessa viene immancabilmente condizionata da strutture culturali specifiche.
La stessa attività cognitiva individuale, quindi, è il risultato di una dinamica più ampia che ha origine nelle relazioni sociali: «Attraverso la conversione di gesti e la costruzione coordinata di un universo di azioni e di significati condivisi, il bambino elabora i propri strumenti cognitivi nel corso delle interazioni con gli altri e successivamente queste abilità diventano strumenti che il bambino padroneggia a livello individuale ed impiega in modo autonomo» (F. Carugati, 1986, p. 130). Questa concezione, ad un tempo costruttiva ed interazionista, riformula l’idea già analizzata, comune a Mead ed a Vygotsky, e in un certo modo anche a Piaget, che lo sviluppo del pensiero è il risultato dell’attività concreta dell’individuo nel proprio ambiente; e l’ambiente è qui inteso come “spazio di vita” in senso leviniano e, soprattutto, come insieme di significati sociali condivisi alla maniera di Moscovici.
In termini funzionali, dunque, anche l’adattamento differenziato alle stesse sollecitazioni, e quindi il variare delle forme di apprendimento, è presumibilmente regolato dalla capacità di produrre i singoli moduli e da come questi si integrano costantemente nel sistema già costituito. In tal modo la caratteristica della plasticità, che risulta proporzionale ai tempi di sviluppo ma che viene sollecitata e modulata dai processi apprenditivi, costituisce il tramite necessario fra possibilità di sviluppo e capacità apprenditiva e, viceversa, fra possibilità apprenditiva e potenzialità di sviluppo, ponendosi così come disponibilità a concretizzazioni educative.
La messa a fuoco di un processo di formazione che si concretizza in processi di differenziazione che ne costituiscono l’essenza e le specificità induce, infatti, a disegnare progetti educativi in analogia al comportamento biologico, soprattutto legati al rispetto delle differenze e delle diversità. Tuttavia tale differenziazione richiede, per strutturarsi correttamente, procedure corrette e la correttezza di esse è strettamente dipendente dalla conoscenza dei meccanismi che le determinano e delle strategie che le identificano.
Possiamo affermare, pertanto, che l’approccio bio-pedagogico consente di affrontare il tema della forma/formazione attraverso tre prospettive metodologiche: 1) metodo descrittivo; 2) metodo analitico; 3) metodo relazionale. Questi modelli — pur con la loro diversità — segnalano che l’estrema complessità che caratterizza i livelli di vita superiori li distingue da quelli inferiori proiettandoli in un rapporto più stretto ed incisivo con l’elemento esterno. Quindi, la fonte delle differenze va rintracciata nell’informazione genetica di base, ma la forma di un organismo non è interamente ricavabile da esso. Il concetto di formazione si lega, quindi, a quello di differenziazione che, a sua volta, ha origine nel processo adattivo: il concetto di adattamento implica un mondo preesistente che pone problemi la cui soluzione sta nell’adattarvisi.
La chiave biologica garantisce l’elemento culturale come elemento costitutivo della forma e del soggetto che viene a formarsi. L’ambiente esterno è percepito da strutture profonde altamente specializzate che utilizzano stimoli trattati, selezionati e immagazzinati da una struttura centrale. La percezione degli stimoli ambientali diviene un’esperienza soggettiva che permette all’essere vivente di filtrare la massa delle informazioni e renderle utilizzabili. In questa prospettiva assume particolare rilievo la struttura apprenditiva di base, ovvero l’insieme di cellule prodotte esclusivamente dalle apparenze percettive, che danno al cervello una prima codificazione dell’ambiente esterno. Inoltre, la struttura di base condiziona i singoli canali percettivi. In definitiva, quindi, se l’apprendimento corrisponde ad una attitudine originaria propria della specie e l’educazione ad un processo intenzionale collegato a problematiche etico-politiche, allora la formazione si concretizza attraverso processi di differenziazione: processi formativi legati al rispetto delle differenze e delle diversità.

Bibliografia
Allen GE., La biologia contemporanea, Bologna,. Il Mulino, 1985.
Brezinka W., La scienza dell’educazione, Roma, Armando, 1974.
Cambi F., Frauenfelder E. (a cura di), La formazione. Studi di pedagogia critica, Milano, Edizioni Unicopli, 1994.
Carugati F., Dinamiche sociali, divergenze e conflitti, in V. Ugazio (a cura di), La costruzione della conoscenza, Milano, Franco Angeli, 1986.
Ceruti M., il vincolo e la possibilità, Milano, Feltrinelli, 1986.
Frauenfelder E., La prospettiva educativa tra biologia e cultura, Napoli, Liguori, 1983.
Johnson-Laird P.N., Modelli mentali, Bologna, Il Mulino, 1988.
Morin E., La conoscenza della conoscenza, Milano, Feltrinelli, 1989.
Piaget J., L’equilibrazione delle strutture cognitive, Torino, Boringhieri, 1981.
White L., La scienza della cultura, Firenze, Sansoni, 1969.

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