Translate

domenica 4 febbraio 2018

“La prospettiva interculturale e inclusiva nella costruzione ed attuazione del curricolo”.L'esperienza positiva di una insegnante.

Giuseppina D'Auria - anno 2005.
Questo argomento di studio, quale nostro lavoro di chiusura del corso universitario, s’immerge nell’attualità, in “media res”. Abbiamo motivo di augurarci che questi nuovi livelli di conoscenza possano creare ulteriori spazi di reciproca comprensione tra tutti coloro che, per sensibilità personale e professionale, vogliano “documentarsi circa i percorsi strutturali che sorreggono l’edificio dell’attuale assetto dell’Istruzione in Italia, della società contemporanea e della stessa civiltà moderna”. 
Una lettura socio-pedagogica dei processi sociali e culturali, alla base della definizione della forma sociale dell’inclusione e della multiculturalità, sembra quindi indispensabile nel più generale obiettivo di ricerca costituito dallo spazio sociale dell’istruzione pubblica. La questione sembra spostarsi sempre di più non solo nel rapporto dell’attore sociale con la formazione ma anche con una inclusione/integrazione non ancora pienamente realizzata a cui il soggetto è predisposto, ancora prima della sua nascita. 
La sfida pedagogica da portare avanti è quella di concedere, attraverso un’offerta di formazione completa e articolata su più temi, l’opportunità per i docenti di acquisire e sviluppare nuove competenze per leggere e affrontare la complessità delle sfide che la scuola sempre più multiculturale e plurilingue ha di fronte a se nei prossimi anni. Tale prospettiva costituisce un’ulteriore novità a livello di concettualizzazione, della formazione e dell’istruzione, sia per le strategie didattico - pedagogiche, sia per l’impatto nel sistema sociale e culturale, in quanto gli interventi non potranno più essere a livello di gruppi ma bensì su basi condivise ed estese a tutto il territorio nazionale.
Una visione sociale della pedagogia sembra quindi spostare l’attenzione nella promozione e nella informazione della formazione, sui determinanti sociali, culturali, politici ed economici dell’istruzione in termini di fattori e variabili in relazione fra di loro senza dimenticare che al centro vi è l’individuo. È in questa prospettiva di tipo relazionale che la pedagogia intende guardare alla inclusione sociale e agli aspetti interculturali della formazione, in una realtà post-moderna in cui i valori sembrano spostarsi continuamente verso un individualismo sistemico, una esigenza di efficienza, una moltiplicazione dei ruoli dell’attore sociale. Ci è sembrato opportuno consultare una serie di lavori concernenti la Pedagogia e la Sociologia.  Dagli autorevoli interventi sono emerse tutte le scottanti problematiche della società in trasformazione, coinvolta nei processi di globalizzazione e stravolta nei suoi più intimi valori etici. 
Concludono la nostra Tesina alcune rapide ed essenziali considerazioni in materia di progettazione e attuazione del curricolo con riferimento all’esperienza positiva vissuta in qualità di insegnante.
   Nella nostra scuola la “società multietnica” è ormai una realtà. Quindi l’accoglienza e l’integrazione non possono essere solo dei termini “astratti” ma, nella concretezza, entrambi devono essere visti come “risorsa” e non come “problema”. Attualmente gli alunni stranieri vivono ancora situazioni di disagio nei rapporti con la scuola, con la società, con i coetanei. Tendono a chiudersi nel loro gruppo etnico, limitando i rapporti con gli italiani al solo momento scolastico. Col crescere queste situazioni problematiche sono alimentante da una tendenza assai diffusa tra i giovani all’isolamento, alla non verbalizzazione dei propri pensieri, in definitiva da una difficoltà nella comunicazione, che riguarda anche i ragazzi italiani. Per affrontare il problema dell’integrazione degli alunni provenienti da altri stati, bisogna perseguire linee programmatiche che consentano di vedere l’inserimento degli stranieri come un arricchimento per l’intero Istituto. Compito della scuola quindi è quello di facilitare la pacifica convivenza di culture, usi e costumi diversi. La sola iscrizione non risolve i problemi e non consente di utilizzare al meglio la risorsa “diversità” come effettiva esperienza di apprendimento e di scambio tra tutti gli alunni, italiani e non, se non è supportata da interventi di sostegno all’integrazione.
Essendo la scuola una realtà educativa e partendo dal principio che la “diversità” è arricchimento sia personale che culturale, la scuola intende offrire in particolare a questi alunni, un ambiente ricco di stimoli e prioritariamente favorire l’integrazione attraverso l’apprendimento dello strumento fondamentale di comunicazione che è la lingua italiana. Il fenomeno immigratorio è in continua evoluzione e necessita di costante monitoraggio, al fine di coglierne i mutamenti in atto. L’immigrazione straniera è un fenomeno articolato, in costante crescita ed oggi in piena fase di assestamento e di stabilizzazione. Poiché la stabilità comporta la necessità di favorire il processo di integrazione della popolazione immigrata con la società ricevente, convivenza decisiva e necessaria per lo sviluppo del Paese, la scuola intende prestare particolare attenzione in quanto sede privilegiata di integrazione per le nuove generazioni, luogo di confronto di lingue, culture, religioni e sistemi di valori diversi.
Di particolare importanza risulta la capacità della scuola di facilitare la comunicazione con la famiglia dell’alunno, prestando attenzione anche agli aspetti non verbali, facendo ricorso, ove è possibile a mediatori culturali o ad interpreti, per superare le difficoltà linguistiche e facilitare la comprensione delle scelte educative della scuola.
Ogni persona è di per sé già essere interculturale, portatore di discontinuità, di viaggi fatti o sognati, portatore di storie, di progetti e pezzi di vita; ognuno ha una sua propria lingua che attraversa tutte le sue lingue, ognuno sceglie appartenenze, riferimenti, ed in questa ricchezza e complessità ogni incontro ha la possibilità di essere o diventare un ricco scambio di esperienze e di punti di vista, un momento ispiratore di relazioni e di curiosità.
In quest’ottica diviene centrale anche il lavoro sul punto di vista, sul contatto con le emozioni e con le dinamiche del gruppo, sul conflitto. Una cultura della responsabilità e la gestione costruttiva e nonviolenta dei conflitti suppongono tappe primarie: la valorizzazione di sé e degli altri, la fiducia la ricerca del contatto, la comunicazione e la cooperazione: giocare -e fare - con e non necessariamente contro, riconoscendo il contesto ed attuando un approccio aperto e legato, ancora una volta, alla scelta.
È importante mettersi in gioco, non scendendo a compromessi ma assumendo che esistono altre possibilità oltre a quella (o quelle) proposte dal singolo, che pur riveste un ruolo importante e sul quale vengono spesso riversate aspettative e speranze -al limite della delega - dalle famiglie e dai ragazzi stessi. La scuola deve tornare ad essere – o imparare ad essere- palestra di attività sociali, luogo di educazione, non soltanto luogo deputato ad una pur necessaria attività didattica.
Un punto importante diviene così l’offerta di strumenti che permettano il decentramento, attraverso il riconoscimento dei diversi punti di vista, comportamenti, giudizi e idee, e la successiva decostruzione di aspettative sugli altri che nascono spesso nascoste ma che indirizzano le modalità relazionali e di ascolto, restituendo significato a fatti ed atteggiamenti, e differenziando il comportamento dalla persona. Il decentrarsi stimola criticità, interesse, spinge a mettere in relazione fatti, tempi, luoghi che troppo spesso appaiono non collegati. La scuola veicola interpretazioni assimilate con imprinting duraturi e spesso definitivi, molte affermazioni si radicano in convinzioni non sottoposte a verifica successiva, per esempio che i poemi omerici siano i più antichi, che Marco Polo sia il più grande viaggiatore del Medioevo... Il decentramento permette di prendere coscienza del modo in cui tendenze etnocentriche influenzano il nostro modo di “narrare”, stimola l’analisi critica, fa affiorare stereotipi radicati e meno avvertiti, evidenzia l’attitudine a saldare le “fratture” e le “crepe” interpretative del sistema, preziose opportunità di accesso ad altre chiavi di lettura, ad altre costruzioni di senso (Antonella Fucecchi, Strategie di decentramento).
Si deve stimolare la ricerca, riportarla (o portarla) ad essere l’elemento principe delle relazioni, ridimensionando così le aspettative sul risultato, sulla soluzione: ogni legame, ogni collegamento messo in atto costituisce la vera ricchezza dell’individuo; l’osservazione di questa ricchezza è difficilmente percepibile ad uno sguardo veloce e poco attento, ad uno sguardo che non ha riflettuto sul continuo ricorrere a schemi precostituiti e cornici, gestalt.
Il primo passaggio in chiave interculturale consiste nel lavorare per la creazione di uno spazio e di un tempo dove ogni aspetto della persona, legato al momento specifico, intra ed inter-relazionale, di contesto e di scelta abbia la possibilità di mostrarsi o meno, e possa essere riconosciuto come principalmente riconducibile ad un processo di opzione personale, legata ai fattori che in quel momento la stessa persona decide di porre come i motivatori avanzati e prioritari della propria decisione. In questo spazio ed in questo tempo affiora potente la necessità di uno sguardo plurale, del riconoscimento della presenza di un pluriverso, formato esso stesso da pluriversi. Affiora la necessità di affrontare un cambio di paradigmi, esplicitando e portando in superficie quello che giace un po’ (o un bel po’) a fondo. Il primo passo decostruttivo rispetto agli impliciti, ai presupporti, agli stereotipi è individuarli, portarne la presenza a conoscenza di se stesso.
Il ricorso a metodologie ecologiche, decostruttive prima e successivamente costruttive plurali, il sostegno di un approccio umoristico che si concentri sull’ascolto e sulla relazione in un’ottica cooperativa e non competitiva ci chiama, si rende necessario. Così come dovremo imparare ad analizzare l’ovvio, il sicuro, il certo per aiutarci a scoprire schematizzazioni, categorizzazioni, rigidità cognitive e anche emozionali. Dovremo imparare a interrogarci sulle parole usate, sulle cornici invisibili che contengono (e concorrono alle scelte) ogni azione portata in essere, abbandonare le dicotomie scontate (il giusto e lo sbagliato, ad esempio), domandarci come mai abbiamo già la risposta, chiederci da dove arriva, perché abbiamo proprio quella risposta. Ascoltare le parole dette da me stesso, ricercare il motivo della scelta di una parola rispetto ad altre: le mie parole hanno detto quello che volevo dire? Ho detto davvero solamente quello che ho detto?
Dovremo ragionare sull’apprendimento, su come si apprende, su cosa avviene e cosa concorre a farlo avvenire. L’apprendimento porta al suo interno i legami tra ambiti cognitivi e relazionali: e senza la supremazia di alcuno, ma in costante definizione e ridefinizione di legame. L’apprendimento è un processo costantemente presente, attivo anche in quei momenti apparentemente distanti dall’oggetto stesso dell’apprendimento. Il campo primario di indagine per cambiamenti ampi deve necessariamente essere me stesso, la mia persona, in relazione alle varie relazionalità che mi fanno essere. Devo iniziare a cercare, muovermi dallo stato precedente al sapere di non sapere. I pesci non sanno dell’acqua nella quale nuotano. Ma quei pesci non sanno, al tempo stesso, di non sapere dell’acqua nella quale nuotano. Ecco: la mia situazione decostruttiva di partenza dovrà essere Non sapere di non sapere. È questo è il passo che può spingermi a imparare a farmi domande. Il ragionamento (solamente) razionale non mi porta lontano in questo percorso: ecco allora che devo interrogarmi, venire in contatto con le emozioni, con gli imbarazzi, con lo spaesamento. Allora mi apparirà, seppur ancora offuscato e poco delineato, che quello che definisco normale o addirittura naturale non mi sarà molto normale, e di sicuro non si avvicinerà a niente di naturale. La revisione del curricolo e dei saperi in chiave interculturale presuppone questa serie di passaggi e trasformazioni precedenti relativamente alla metodologia, all’approccio relazionale, di osservazione, di invenzione e costruzione della didattica, e siamo sicuri di non aver esaurito la ricerca in tal senso.
La presa di consapevolezza della presenza e dell’attivazione di queste cornici entro cui si inseriscono i saperi curricolari proposti in classe diviene quindi un fattore che discrimina la buona riuscita di ogni intervento interculturale. I saperi proposti – anche a scuola - non sono mai neutri, veicolano messaggi meta, che stanno sopra, che parlano di me insegnante, di me formatore, di me persona. Le scelte, le parole, le successioni, non sono fattori valorialmente neutri, asettici, ma sono portatori di valori, di sensi esistenziali, sono scelte educative. Certo, i saperi, scelti attraverso certi canoni, contribuiscono a costruire le identità personali, ma il cambiamento di saperi, da solo, risulta di difficoltosa attuazione e presenta comunque una efficacia limitata, se non preceduto e supportato da un cambiamento di metodo. Serve un pensiero circolare, di rete, che tenga di conto della relazione, delle relazionalità, delle connessioni, dei collegamenti: dei nessi.
La presente riflessione ha la finalità di proporsi quale stimolo negli insegnanti per una presa di consapevolezza delle cornici entro cui si inseriscono i saperi curricolari che sono soliti proporre in classe, portando allo scoperto le opzioni epistemologiche che le conformano e che non sono mai valorialmente neutre. L’intreccio tra epistemologie/presupposti del pensiero e valori dovrebbe essere analizzato attraverso una serie di attività volte a evidenziare le rigidità cognitive (ed emotive) che fanno parte di impostazioni di pensiero, acquisite spesso in maniera acritica, e che di fatto non corrispondono più al mutato scenario (sociale, scientifico, culturale …).
In questo senso, è importante capire come può essere impostato con modalità riflessiva e partecipativa un percorso di presa in analisi e revisione dei curricola, non tanto quindi intesi come contenuti disciplinari specifici, ma come schemi culturali di riferimento, adottando modalità di lavoro partecipative e cooperative fra gli insegnati.
Rispetto agli insegnanti, condividiamo e supportiamo una immagine della loro funzione come professionisti specializzati, capaci di innovare e sperimentare anche dentro una situazione di grande difficoltà della scuola pubblica, recuperando il senso che, al di là di difficoltà e crisi strutturali o congiunturali, la scuola rappresenta per i bambini e le bambine (e quindi per l'intera società) uno degli agenti più potenti di formazione dei cittadini del futuro. Una scuola quindi che aiuti a crescere con maggiori capacità di vedere e creare connessioni invece che a creare divisioni, separazioni, chiusure potrebbe essere lo scenario da prospettare agli insegnanti, attraverso intanto un ripensamento degli steccati curricolari e di quanto viene di routine collocato entro essi ..
In generale ed a completamento di quanto già detto, mi sento di affermare, che quando vogliamo contribuire a creare nelle nostre classi un clima sociale sereno e di totale accettazione reciproca, il principale lavoro da farsi è quello, per l'insegnante, dell'autoformazione e della consapevolezza delle proprie dinamiche interne. In questo modo si può esercitare l'"insegnamento per contatto" attraverso il quale il docente si mette in gioco per promuovere il cambiamento, utilizzando il proprio comportamento e trasmettendo il proprio "stile relazionale", che deve essere caratterizzato dall'accettazione totale delle peculiarità e/o diversità di ognuno. Questa modalità, associata alle tecniche dell'Ascolto attivo, del Problem solving e del Rinforzo positivo dei comportamenti prosociali, sortisce ottimi effetti nell'attuazione di un progetto educativo orientato verso un armonioso sviluppo della personalità del bambino, sereno anche nella relazione con il diverso da sé. Infatti rientra nel P.O.F l'elaborazione di un Piano di Gestione delle diversità, che ha tra le sue finalità di "garantire la costruzione all'interno delle scuole, di comunità accoglienti, nelle quali sia possibile interagire nel rispetto delle diversità delle persone" .
È quindi nella predisposizione di una didattica orientata al benessere di tutti, che può aver inizio un sano processo integrativo, inteso non tanto nel senso di rendere "uguali" i "diversi", ma di restituire diritto e dignità di "disuguaglianza "a tutti. Così, il diversamente abile non dovrebbe semplicemente stare in classe accanto agli altri, spettatore delle loro attività, ma dovrebbe far parte del progetto educativo da protagonista,in maniera consona alle sue possibilità operative. Il bambino straniero dovrebbe portare in classe le sue tradizioni linguistiche e socio-culturali e spalancare così l'angusto panorama scolastico sulle parti del mondo altrimenti irraggiungibili. Certo, tutto questo richiede programmazione attenta e organizzazione meticolosa, ma i risultati possono essere davvero molto gratificanti,in termini di partecipazione e adattamento. Crescere nella convivenza civile, rispettosa delle peculiarità e diversità altrui, al di là del semplice buonismo che allontana più che avvicinare, è possibile ed auspicabile fin dalla più tenera età. Sin dalla scuola dell'infanzia i bambini possono imparare a superare la naturale diffidenza che spesso è un vero ostacolo nella relazione col diverso, ma è proprio in questa fase che l'insegnante con il suo atteggiamento di base può e deve trasmettere serena accettazione e rispetto profondo e genuino verso tutti.
L'insegnante stesso potrà avvalersi dell'aiuto di quei bambini naturalmente dotati in competenze sociali, che faranno da tramite con quelli meno aperti e disponibili. Anche fenomeni come il bullismo potranno essere efficacemente prevenuti, favorendo in tutti i modi possibili un clima socio-affettivo nel quale trovino uno spazio naturale di condivisione ed accettazione le "diversità" di ognuno.

Bibliografia e Sitografia
Bozzuffi Vanessa, Psicologia dell’integrazione sociale. La vita della persona con disabilità in una società plurale. Milano, Franco Angeli, 2006.
Brugger-Paggi Edith, Demo Heidrun, Garber Franziska, Ianes Dario, Macchia Vanessa, L’Index per l’inclusione nella pratica. Index für Inklusion in der Praxis, Milano, Franco Angeli, 2013. 
Canevaro Andrea, d’Alonzo Luigi, Ianes Dario, Caldin Roberta, L’integrazione scolastica nella percezione degli insegnanti, Trento, Erickson, 2011.
Canevaro Andrea, Mandato Marianna, L’integrazione e la prospettiva inclusiva, Roma, Monolite, 2004.
Cappai Giovanni Michele (a cura di), Percorsi per l’integrazione, Milano, Franco Angeli, 2003.
Ianes Dario, Bisogni Educativi Speciali e inclusione, Trento, Erickson, 2005.
Ianes Dario, Demo Heidrun, Zambotti Francesco, Gli insegnanti e l’integrazione Trento, Erickson, 2010.
Ianes Dario con la collaborazione di Demo Heidrun, Educare all’affettività Trento, Erickson, 2007.
Ianes Dario e Macchia Vanessa, La didattica per i Bisogni Educativi Speciali, Trento, Erickson, 2008.
Mantovani G. - Spagnolli A., Metodi qualitativi in psicologia, Bologna, Il Mulino, 2003. 
UDICOM - Comitato scientifico indicazioni per Piano Gestioni delle Diversità - BOZZA rev.22-09-10.
http://www.volontariato.lazio.it/centrodocumentazione/bibliografieatema/bibliografie_disabilita_e_integrazione.pdf 
http://www.istitutoleonori.gov.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/04/Normativa-inclusione_scolastica1.pdf https://sites.google.com/site/dauriapedagogia/inclusione-sociale-e-aspetti-interculturali 
https://sites.google.com/site/dauriapedagogia/bisogni-educativi-speciali-e-disabilita 
https://sites.google.com/site/dauriapedagogia/educazione-all-affettivita 
https://sites.google.com/site/dauriapedagogia/il-docente-e-i-bisogni-educativi-speciali

Nessun commento:

Posta un commento

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale