Profilo professionale. Il percorso post qualifica ( Diploma di TSS – D.M. 15.04.94 ) consente
al diplomato di acquisire competenze per inserirsi con autonome responsabilità
in strutture operanti sul territorio con capacità di adeguarsi alle necessità e
ai bisogni delle comunità sia permanenti sia occasionali; di programmare,
interagendo con altri soggetti pubblici e privati, interventi mirati rispetto a
esigenze fondamentali della vita quotidiana e ai momenti di svago; di curarne
l'organizzazione e di valutarne l'efficacia; di recepire le nuove istanze del
sociale con un approccio tempestivo ai problemi e con la ricerca di soluzioni
corrette e la promozione di iniziative adeguate.
Area di professionalizzazione. È di 300 ore annue e
consente di acquisire un diploma di qualifica professionale di primo livello.
Durata del ciclo di istruzione: 2 anni Prospettive di
lavoro Organizzazioni del privato sociale, servizi territoriali di carattere
educativo, assistenziale, servizi a carattere residenziale e semiresidenziale
rivolti a minori, disabili, stranieri, anziani … Proseguimento degli studi
Tutte le facoltà universitarie, in particolare dell'ambito socio-sanitario.
Profilo
Il tecnico servizi sociali ha una preparazione
culturale criticamente consolidata e coerente con la specificità della sua
formazione professionale; conosce la complessità dello stato di bisogno delle
diverse età e delle diverse situazioni personali; sa avvalersi dei metodi della
ricerca, programma gli interventi e ne verifica l’efficacia; si inserisce negli
ambiti pubblici e privati del territorio per la rimozione degli stati di
bisogno degli utenti; sa scegliere adeguate soluzioni dei problemi del campo giuridico
- organizzativo e igienico-sanitario.
cosa si studia
Le materie dei primi tre anni di corso sono quelle
dell’operatore servizi sociali. Le materie che caratterizzano il 4° e il 5°
anno sono le materie che caratterizzano l’indirizzo sono: psicologia generale
ed applicata; diritto ed economia; tecnica amministrativa; cultura
medico-sanitaria.
Materie e ore settimanali di insegnamento
Totale ore 30: Area Comune/Area di indirizzo/Area
Professionalizzante.
DISCIPLINE E ORE SETTIMANALI DI LEZIONE TECNICO DEI
SERVIZI SOCIALI
Materie Area comune
|
Classe 4ª
|
Classe 5ª
|
Italiano
|
4
|
4
|
Storia
|
2
|
2
|
Lingua inglese
|
3
|
3
|
Matematica
|
3
|
3
|
Educazione Fisica
|
2
|
2
|
Religione
|
1
|
1
|
Materie Area di indirizzo
|
||
Psicologia generale e applicata
|
5
|
5
|
Diritto ed Economia
|
3
|
3
|
Tecnica amministrativa
|
2
|
3
|
Cultura medico-sanitaria
|
5
|
4
|
Chimica
|
15 ore annue
|
15 ore annue
|
Fisica
|
15 ore annue
|
20 ore annue
|
Totale ore
|
30
|
30
|
Tenendo conto della continua evoluzione del mondo del
lavoro, in particolare della concorrenza di altre figure professionali che
operano nel settore socio-assistenziale e della necessità di superare in modo
più agevole la selezione di ingresso attuata dall'Università nell'ambito delle
lauree di ambito socio-sanitario, il nostro corso ha introdotto a livello
curricolare Chimica e Fisica, in conformità a quanto consentito dalla normativa
sull'autonomia didattica degli Istituti che può destinare ad altri insegnamenti
il 15% delle ore complessive del corso. Infine, a partire dall'anno scolastico
2005/2006, è stata profondamente rivisitata l'area professionalizzante, con la
definizione di due nuove qualifiche professionali.
AREA PROFESSIONALIZZANTE
|
|||
Figura: Esperto in gestione e organizzazione di
strutture e servizi aziendali e domiciliari per
la prima infanzia
|
Figura: Operatore gestionale di rete
|
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Lezioni con esperti
|
310
|
Lezioni con esperti
|
310
|
Stage in strutture aziendali
|
290
|
Stage in strutture aziendali
|
290
|
Totale ore: 600
|
Totale ore: 600
|
L'Area Professionalizzante è progettata dalle singole
scuole su finanziamento ministeriale, con approvazione del progetto didattico
da parte del Comitato M.I.U.R. e Amministrazione Regionale. La programmazione di Terza Area prevista
per la quarta e la quinta T.S.S., elaborata di concerto tra un Ente di
Formazione Professionale ( ENFAP ) e alcuni docenti interni all’istituto,
consente agli studenti di acquisire, al termine del biennio finale, il
titolo in oggetto alla programmazione
(ad esempio: di Esperto in gestione e organizzazione di strutture e servizi
aziendali e domiciliari per la prima infanzia oppure il titolo di Operatore
gestionale di rete). È articolata in 155 ore annue destinate allo svolgimento
di moduli tecnico pratici e in 145 ore annue impiegate in stage.
Esempi di programmazione di figure professionali in
uscita:
Figura: Operatore gestionale di rete
|
Figura: Esperto in gestione e organizzazione di strutture e servizi aziendali
e domiciliari per la prima infanzia
|
Descrizione: rappresenta una figura professionale che opera nel
contesto di servizi di carattere sociale con mansioni di coordinamento e
progettazione dei servizi nell'ottica di un lavoro di rete tra i diversi
servizi, operatori e risorse presenti sul territorio.
|
Descrizione: rappresenta una figura professionale che svolge la
sua attività nell'assistenza diretta, di cura e intrattenimento di bambini da
zero a tre anni in modo autonomo e/o all'interno di strutture pubbliche e
private.
|
Collocazione lavorativa: si colloca nel
contesto di organizzazioni del privato sociale – quali cooperative sociali,
associazioni, fondazioni, associazioni di volontariato, enti morali – e nel
contesto di servizi di carattere sociale gestiti direttamente dal pubblico,
più precisamente nell'ambito dei servizi territoriali di carattere educativo
o di servizi territoriali di carattere assistenziale o di servizi di
carattere residenziale o semi-residenziale, rivolte a minori, a disabili,
stranieri, anziani…
|
Collocazione lavorativa:asili nido, nidi
aziendali, cooperative sociali, servizi domiciliari per l'infanzia, centri di
socializzazione per l'infanzia, baby-parking
|
LA FORMAZIONE.
L’o.s.s. ( ma anche il tecnico socio
sanitario) deve possedere:
- conoscenze teorico-scientifiche (IL SAPERE) che vengono acquisite attraverso l’apprendimento teorico, ma anche attraverso l’apprendimento pratico, cioè attraverso il tirocinio. Tali conoscenze aiuteranno a comprendere meglio le caratteristiche e i bisogni dell’utente, dal punto di vista sociale, psicologico e relazionale.
- attitudine al lavoro sociale e quindi alle relazioni, in modo particolare. Attitudine significa predisposizione naturale, tuttavia essa non basta da sola a fare di una persona un bravo operatore: l’attitudine, attraverso le conoscenze teorico-pratiche, si trasforma in un vero e proprio modo di essere (io posso avere l’attitudine ad ascoltare, ma attraverso le conoscenze teorico-pratiche apprendo, per esempio, che devo rispettare certe regole per farlo in modo obiettivo, per esempio non devo giudicare). L’attitudine, quindi, è IL SAPER ESSERE.
- la capacità di mettere in pratica ciò che si è appreso a livello teorico, cioè la competenza pratica, cioè IL SAPER FARE (che si acquisisce col tirocinio).
Tali elementi fanno sì che un’attività possa dirsi professionale.
La formazione deve avvenire a due
livelli:
1.
a livello teorico-culturale: bisogna
acquisire una cultura di base e delle conoscenze scientifiche che consentano di
leggere in modo critico la realtà, di analizzare i bisogni e i problemi, di
cogliere i nessi di causalità tra gli eventi, di sviluppare posizioni
propositive in merito ai casi e ai servizi, di progettare gli interventi e
sviluppare competenze e capacità relazionali;
2.
a livello pratico: attraverso il
tirocinio (o stage) che permette di preparare gli allievi all’esercizio della
professione, misurandosi con problematiche prettamente pratiche e mettendo a
confronto le acquisizioni teoriche con il lavoro quotidiano.
LA RELAZIONE D’AIUTO.
L’O.S.S. (ed il T.S.S. ) deve stabilire un corretto
approccio alla persona perché solo così potrà veramente aiutare l’utente
(che, ricordiamo, è prima di tutto una persona).
Prima di tutto deve avere rispetto
per la persona che ha valore di per sé.
Poi deve mettere in atto le sue
qualità professionali: accettazione (accettare la persona col suo
problema e con le sue caratteristiche, debolezze, limiti, ecc..); autorevolezza
(fermezza verso l’utente); comprensione (capire bene tutti i bisogni
dell’utente); empatia ( sapersi mettere nei panni dell’altro per
comprendere pienamente cosa prova); lealtà e sincerità (l’O.S.S. deve
sempre mantenere la parola data e dire la verità); maturità (deve
sapersi mettere in discussione); rispetto (deve ricordare che la persona
va rispettata sempre e comunque, perché ha valore di per sé).
Queste qualità professionali sono
indispensabili per creare una relazione d’aiuto (cioè una relazione che
può veramente aiutare l’utente ad affrontare i suoi problemi).
A questo punto i comportamenti
dell’operatore determinano un legame emotivo con l’utente che ora si
fida di lui: si è creato un rapporto di fiducia (anche perché l’O.S.S.
deve rispettare il segreto professionale, cioè non può divulgare ciò che
l’utente gli confida, altrimenti potrebbe essere da lui denunciato). E’
fondamentale ricordare che l’utente inizia a collaborare solo quando si
è creato un rapporto di fiducia.
Solo a questo punto
si può concretamente progettare l’intervento (cioè decidere cosa fare,
come fare, ecc..), sempre concordando con l’utente che,
non dimentichiamo, è il protagonista del suo intervento d’aiuto.
L’operatore dei servizi sociali
(O.S.S.) deve avere un corretto approccio alla persona (utente), al fine di
stabilire una RELAZIONE D’AIUTO.
QUALITA’
PROFESSIONALI.
(caratteristiche
comportamentali che l’O.S.S. deve avere)
- ACCETTAZIONE:
significa accettare l’atro
completamente, con tutte le sue caratteristiche, col suo problema, con le sue
debolezze, con i suoi limiti, con la sua aggressività e distruttività.
Accettare l’altro non significa appoggiarlo nelle sue posizioni (dargli regione)
ma comunicare in modo non verbale che non si sta giudicando e si è disposti a
partire proprio dal punto in cui si trova.
- AUTOREVOLEZZA:
mentre autoritarismo significa imporsi
in modo autoritario, cioè non democratico, autorevolezza significa assumere un
atteggiamento di fermezza nei confronti della persona che, essendo in una
condizione svantaggiata, ha bisogno di apprendere nuovi comportamenti più
funzionali e di appoggiarsi all’operatore per sentirsi sicuro. L’operatore può
esercitare autorevolezza se si piena consapevolezza della propria
professionalità (è certo che, agendo in un certo modo, aiuta l’utente) e se
possiede certi requisiti psicologici:
- Adeguato concetto di sé
- Conoscenza e consapevolezza del proprio ruolo
- Capacità di reagire a possibili fallimenti.
3. COMPRENSIONE:
significa comprendere alcuni bisogni
essenziali dell’utente:
- Bisogno di essere trattato come una persona, col suo valore e la sua dignità, e non come un “caso”
- Bisogno di esprimere i propri sentimenti
- Bisogno di non essere giudicato
- Bisogno di essere trattato come una persona libera, che ha il diritto di fare le proprie scelte (diritto di autodeterminarsi)
Così la persona si sente compresa e
sviluppa un senso di fiducia nell’operatore, elemento indispensabile per
attuare l’intervento e per comprendere bene la situazione.
4. EMPATIA:
è la capacità di mettersi nei panni
dell’altro per comprendere il suo vissuto emotivo e i suoi punti di vista per
poi tornare nei nostri panni, cioè nel nostro ruolo di operatori, per
sviluppare una visione chiara e oggettiva dei fatti. E’ una qualità essenziale
che richiede sensibilità e capacità di ascolto. Ascoltare non vuol dire udire:
udire implica la percezione del suono, ascoltare significa comprendere il
vissuto emotivo oltre ai fatti narrati e questo richiede la capacità di saper
decodificare la comunicazione a tutti i livelli, verbale e non verbale,
infatti, se a parole si può mentire più o meno consapevolmente nella gestualità
si dice sempre la verità.
5. LEALTA’ E SINCERITA’:
significa franchezza nel linguaggio e
nell’agire, significa chiarire la situazione e presentarla per quello che è
realmente. Significa anche mantenere la parola data. Lealtà e sincerità rendono
l’operatore consapevole dei propri limiti e responsabile degli errori connessi.
6. MATURITA’:
si riferisce alla capacità di saper
gestire il rapporto con l’utente nella sua evoluzione, accettando che possa
essere masso in discussione, che possano emergere momenti di conflitto e anche
insuccessi. Per un operatore maturo anche l’insuccesso diventa uno stimolo per
comprendere meglio i propri limiti e migliorarsi. La maturità si acquisisce con
l’esperienza e implica una maggiore capacità di adattamento alla realtà.
7. RISPETTO:
è la capacità di riconoscere e
accettare l’altro come persona (unica e irripetibile) libera. La persona
rispettata sente di avere valore e si impegna per il suo progetto.
Le professioni d’aiuto sono molto
stimolanti sul piano umano ma espongono l’operatore a forte stress emotivo, per
questo è necessario un atteggiamento professionale che implica la capacità di
mettersi nei panni dell’altro ma senza farsi troppo coinvolgere, poiché il
rischio sarebbe quello di perdere l’obbiettività.
LE
COMPETENZE DELL’OPERATORE SOCIALE.
- Competenze pedagogiche:
L’operatore dei servizi sociali deve
avere competenze pedagogiche perché è un educatore, quindi deve sapere come
affrontare i problemi dell’educazione, quali metodi e quali strumenti è più
opportuno usare.
Deve essere in grado di aiutare le
persone ad esprimersi, a comprendere la situazione che stanno vivendo, a
superare situazioni problematiche facendo emergere le risorse personali, cioè
le capacità che ognuno di noi ha dentro di sé.
- Competenze psicologiche:
L’operatore dei servizi sociali deve
avere competenze psicologiche perché lavora con le persone, quindi deve saper
riconoscere le emozioni e i sentimenti.
Deve conoscere le caratteristiche
della psicologia dell’individuo in tutte le fasce d’età perché, per esempio, la
psicologia di un bambino è diversa da quella dell’anziano.
Deve sapere come le persone si
comportano nei gruppi perché lavora spesso con i gruppi (famiglie, gruppi di
lavoro, ecc…)
- Competenze nel campo dell’animazione:
Animare significa creare le condizioni
perché le persone possano esprimere i loro sentimenti, la loro fantasia, la
loro creatività attraverso il gioco e attraverso momenti di socializzazione.
Le attività di animazione che può
organizzare sono:
- drammatizzazioni (interpretazioni teatrali) con l’uso di burattini, marionette, mimo;
- organizzazione di feste
- organizzazione di gare sportive
- organizzazione di attività culturali
- organizzazione di vacanze, ecc …
Le attività di animazione sono
importanti perché hanno un grande valore educativo e vanno scelte in base
all’età dell’utente.
- Competenze di tipo riabilitativo:
Lavorando con bambini, con disabili,
con tossicodipendenti, con anziani ecc … l’Operatore svolge spesso interventi
di recupero di situazioni di disagio psico-fisico.
Lavorando insieme al medico e allo
psicologo, l’operatore organizza attività che servono a migliorare le capacità
espressive al fine di superare la condizione di disagio che può essere fisico o
psichico, temporaneo o permanente.
Le attività di riabilitazione che può
organizzare sono:
·
Lavori manuali (disegnare, ricamare,
decorare, ecc ...)
·
Attività che coinvolgono il corpo:
danza, ginnastica, ecc …
·
Attività di tipo intellettuale
(leggere, scrivere, ecc ...)
Queste attività devono essere
organizzate in modo da favorire la socializzazione.
- Competenze organizzative e gestionali:
L’Operatore deve anche avere
competenze organizzative e gestionali perché deve gestire il servizio in cui
lavora e le risorse della comunità.
Per organizzare e gestire bisogna
programmare ogni intervento, mai improvvisarlo, e bisogna conoscere bene i
bisogni della comunità.
- Competenze promozionali:
L’Operatore oltre a occuparsi del
servizio in cui lavora deve lavorare anche per creare collegamenti con altri
servizi, associazioni, forze sociali per trasmettere e ricevere informazioni
per favorire il senso di appartenenza alla comunità.
Per questo organizza dibattiti sulle
attività svolte nel servizio, prepara fogli illustrativi da distribuire in
altri servizi, partecipa a convegni e manifestazioni, ecc …
- Competenze di tipo giuridico:
L’Operatore deve conoscere le leggi, i
diritti, deve sapere come fare per ottenere che i diritti siano riconosciuti,
per esempio come fare per ottenere la casa popolare per un utente.
VOCABOLARIO
PER CONCETTI:
- autodeterminazione:
determinarsi autonomamente, cioè
decidere autonomamente di se stessi.
Nel sociale è il diritto di ogni
persona a decidere di sé. L’o.s.s. deve rispettare il diritto di ogni persona
(utente) a decidere di sé, cioè deve rispettare il diritto di ogni persona
all’autodeterminazione.
- “relazione d’aiuto”:
è un modo professionale di porsi nei
confronti della persona che consente un passaggio da una situazione negativa e
problematica a una situazione positiva (superamento del problema).
Nella relazione d’aiuto devono
esserci: interazione, accettazione, empatia, rispetto, autorevolezza,
sensibilità, capacità d’ascolto ecc ...
- “approccio alla persona”:
termine tecnico che significa trattare
l’utente non come un caso sociale ma come una persona, con le sue
caratteristiche, i suoi tempi, i suoi valori ecc…
- intervento sociale:
insieme di azioni finalizzate ad
affrontare e risolvere un problema sociale
- accettazione:
principio fondamentale nel lavoro
sociale e nella relazione d’aiuto.
Indica la capacità dell’oss di non
giudicare la persona, accettandola con tutte le sue caratteristiche.
- empatia:
principio fondamentale nel lavoro
sociale e nella relazione d’aiuto.
Indica la capacità di mettersi nei
panni dell’altro per comprendere i suoi sentimenti e il suo punto di vista per
poi “tornare nei nostri panni” di oss e sviluppare una visione oggettiva e
reale dei fatti.
- autorevolezza:
avere un atteggiamento autoritario
vuol dire imporre le proprie idee e decisioni, mentre avere un atteggiamento
autorevole vuol dire spiegare le proprie idee, decidere insieme cosa fare in
modo democratico ma, quando è opportuno, assumere atteggiamenti fermi e
decisi.
L’oss deve porsi in modo non
autoritario ma autorevole.
La figura del Tecnico socio sanitario
attiene alla più larga cerchia delle professioni sociali e socio sanitarie.
Le politiche sociali sono state
oggetto in questi ultimi anni di un’intensa produzione normativa sia a livello
nazionale che locale. A livello nazionale la spinta è avvenuta con la definizione
di una nuova architettura istituzionale in materia di politiche sociali, con il
varo della Legge 328/2000 e proseguita con le successive modifiche introdotte
dalla Riforma del Titolo V della Costituzione. A livello locale, seguendo
questa spinta, diverse Regioni hanno promosso leggi organiche di riforma del
settore sociale e emanato numerosi provvedimenti relativi a processi di regolazione
dei servizi (tra questi i più rilevanti sono stati i processi di accreditamento).
L’esito di questi percorsi ha posto in capo alle regioni ed alle Autonomie locali
nuovi ed importanti responsabilità in merito alla programmazione,
implementazione, monitoraggio e valutazione delle politiche sociali locali.
La stessa Legge Quadro del 2000 ha
dato fin da subito particolare rilievo all’ambito delle professioni sociali
dedicando alla trattazione di questo tema (e agli aspetti di programmazione di
figure professionali del comparto sociale) uno specifico articolo (cfr. art.
12), la cui traduzione operativa è rimasta, però, finora largamente disattesa
nella pratica. L’inerzia del confronto e della discussione a livello nazionale
ha contribuito a disegnare sistemi regionali con significative differenze
(laddove la questione è stata affrontata in maniera organica) e ha prodotto,
soprattutto a livello locale, un proliferare di qualifiche non facilmente
riconducibili ad unitarietà ed organicità con evidenti problemi di “spendibilità”
del titolo formativo acquisito in contesti territoriali diversi da quello di formazione.
In questo scenario disomogeneo si sono recentemente tentati percorsi di confronto
nella ricerca di basi comuni. Un’importante tappa del percorso di confronto a livello
nazionale è sicuramente rappresentata dall’accordo Stato-Regioni sulla figura dell’Operatore
Socio Sanitario (OSS), che però, solo parzialmente, come avremo modo di vedere
dalle risultanze della ricerca, ha avuto successo nel creare una figura
omogenea nei diversi territori..
Sono diverse le occupazioni e le professioni
impiegate nel settore dei servizi sociali nelle varie regioni; alcune di queste professioni/occupazioni
godono già di un riconoscimento formale mentre altre, pur traendo origini da
bisogni concreti della popolazione, non sono ancora state definite in modo
omogeneo a livello nazionale. Poiché non era pensabile condurre un’analisi
specifica su tutte le figure individuate nelle regioni nella fase preliminare
di ricerca, di comune accordo con le regioni aderenti al progetto e con il
coordinamento, si è deciso di
concentrare l‘indagine su quattro occupazioni/professioni che, ad oggi,
risultano di maggiore interesse per motivi specifici e diversi tra loro.
1. Una prima occupazione, di
particolare interesse per l’area socio-assistenziale, per la presenza numerica
in tutte le regioni, che ha meritato di essere approfondita è stata quella dell’operatore socio-sanitario (OSS).
Il canale formativo che permette di ottenere la qualifica di OSS è quello della
formazione professionale regionale; frequentando dei corsi organizzati da enti
di formazione e riconosciuti dalla Regione è infatti possibile acquisire le
competenze necessarie per poter poi svolgere il lavoro di cura e assistenza in
ambito socio-sanitario. Agli OSS, infatti, viene richiesto di acquisire una
serie di competenze che permettano loro di svolgere un’attività assistenziale a
diversi livelli e in diversi ambiti: dalla cura della persona alla
somministrazione di farmaci, dal trasporto dell’utente alla gestione del
rapporto con i familiari,… . Al di là degli aspetti numerici, l’interesse verso
questa occupazione si motiva perché questa si propone come “figura di base” per
la cura e l’assistenza alla persona su cui avviare dei confronti sulle
caratteristiche occupazionali in termini di ruolo, funzioni, “vissuto”
dell’operatore socio-sanitario nelle regioni aderenti al progetto di ricerca.
2. Di pari interesse, per l’area
socio-educativa, è stato lo svolgimento di un approfondimento sulla figura
dell’educatore professionale, anche
in ragione dei diversi canali formativi che nel tempo ne hanno caratterizzato
la relativa formazione sia all’interno delle singole Regioni che fra Regioni. A
partire dagli anni
’70, il canale di formazione di questa
figura è, infatti, spaziato dalla formazione professionale regionale
(post-diploma) per arrivare, successivamente, al conseguimento della relativa
qualifica solo attraverso un corso di livello universitario (D.M. 520/1998).
Dall’anno accademico 2001-2002 sono avviate due classi di laurea per Educatori
professionali:
• La classe di laurea numero 2
“Professioni sanitarie della riabilitazione”, che è l’unica che abilita a
lavorare sia in ambito sanitario che sociale.
• La classe di laurea numero 18, ossia
“Lauree in Scienze dell’Educazione e della Formazione”. Gli educatori laureati
che rientrano in questa area possono lavorare esclusivamente nel settore
sociale.
Al di là degli aspetti numerici e
delle particolarità che ne hanno caratterizzato (e che tutt’ora caratterizzano)
il canale di formazione (che, nel tempo ha creato una sorta di “effetto
stratificazione”), l’interesse verso questa occupazione è stato motivato anche
per il ruolo fondamentale che riveste in termini di principale “figura” di tipo
educativo impegnata nel sistema dei servizi alla persona.
3. Tramite il Documento preparatorio
per la Commissione “Istruzione, lavoro, innovazione e ricerca”, la Commissione
“Affari comunitari e internazionali” e la Commissione Politiche sociali della Conferenza
delle Regioni e delle Province Autonome è stata, di recente, riconosciuta la
figura professionale del mediatore
interculturale al fine di: “potenziare le misure dirette all’integrazione
dei migranti, concepita come inclusione, interazione e scambio e non come
coabitazione tra comunità separate, con particolare riguardo ai problemi delle
seconde generazioni e delle donne anche attraverso la definizione della figura
e delle funzioni dei mediatori culturali”
Il mediatore interculturale viene
definito come “un operatore sociale che facilita la comunicazione tra individuo, famiglia e comunità
nell’ambito delle azioni volte a promuovere e
facilitare l’integrazione sociale dei cittadini immigrati. Svolge
attività di mediazione e di informazione tra i cittadini immigrati e la società
di accoglienza…”. La figura del mediatore interculturale nasce infatti in
risposta all’intenso fenomeno migratorio che ha interessato il nostro Paese
negli ultimi anni; l’arrivo di soggetti di altre culture e lingue ha infatti
posto l’accento sulla necessità di sviluppare politiche di integrazione ed
inserimento. I canali formativi che permettono di accedere a tale professione
sono quelli della formazione universitaria e della formazione professionale
regionale. Per le caratteristiche qui brevemente riportate, la figura sembra
emergere come una vera e propria nuova occupazione/professione e questo l’ha
resa di particolare interesse per la ricerca.
4. Un fenomeno in continua espansione
è infine quello delle assistenti
familiari o badanti. Gli stranieri infatti non rappresentano solo dei
potenziali utenti dei servizi sociali, ma costituiscono anche un’importante
risorsa in termini di offerta nel mercato del lavoro. Non è infatti possibile
ignorare la quota di donne straniere che presta attività di assistenza e cura
ad anziani e/o persone non autosufficienti presso
il domicilio dell’utente. Spesso le
competenze e i compiti svolti delle badanti sono assimilabili a quelli
dell’operatore socio-sanitario, ma esse hanno poi esigenze e caratteristiche
specifiche che rendono necessaria una riflessione mirata sul tipo di attività
svolta (ad esempio: il domicilio presso l’assistito, l’attività di assistenza e
cura molto prolungata in termini di carico orario, …). Allo stato attuale
questa figura
non viene sempre riconosciuta (anche
se in quasi tutte le regioni il problema si sta affrontando) e quindi non sono
stati ancora definiti dei percorsi formativi adeguati.
Va comunque sottolineato che in molti
territori in modo più o meno organizzato centri di formazione professionale o
altri soggetti propongono per queste figure, spesso grazie anche a contributi
regionali, corsi di formazione con durata e moduli formativi differenti. La
decisione di inserire le badanti nel nostro studio è quindi dettata
dall’esigenza di indagare questo fenomeno che ha un peso rilevante nella
società (e in particolar modo nel sistema dei servizi sociali, ancorché,
perlopiù, nel sistema dell’informalità) ma che non trova ancora un
riconoscimento omogeneo a livello nazionale.
Le
notizie riportate nel mio lavoro sono state estrapolate dall’ “Indagine sulle Regioni italiane” effettuata dal Ministero del lavoro e delle
politiche sociali e pubblicate nei “Quaderni della ricerca sociale”. Gli operatori sociali vengono individuati
attraverso la preliminare selezione di un campione di servizi, per il quale si
sono utilizzate come variabili di
stratificazione l’area di intervento (Minori/Giovani/Famiglia, Anziani,
Disabili, Dipendenze, Salute Mentale, Altro) e la tipologia di servizio di
impiego (Residenziale, Semi-residenziale, Domiciliare/Territoriale).
Altro
tassello fondamentale per una compiuta riflessione sulle professioni sociali è
quello delle classificazioni. Esiste
una terminologia non equivoca per parlare di occupazioni? Che differenze
esistono fra i termini professione e occupazione?
I
termini “occupazione” e “professione”, sono spesso considerati sinonimi nel
linguaggio comune. I loro significati, tuttavia, pur occupando aree semantiche
confinanti, mostrano percorsi pragmatici assai lontani fra loro. Ad esempio, “occupazione” connota attività
esercitate in modo stabile (occupare, capere prendere possesso di un posto o un
oggetto), mentre il concetto confinante “impiego” ha origini che portano a
“implicare, avviluppare”.
Molto
complessa è poi la pletora di semantiche segmentarie che stanno dentro a queste
aree generali, come ad es. “compito” (da complito, “completo”, portato a termine,
oppure forse da computare, calcolare), job (piece of work, in contrasto con
continuous labour), funzione (performance, esecuzione), “mansione”
(mansion-casa, stanza, forse da “mansionare”, nel senso di essere assegnata),
etc.
L’altro
concetto chiave nominato nel titolo di questo capitolo, “professione”, mostra una propria autonomia etimologica rispetto al
precedente. Esso ha infatti una configurazione complessa, tipica della
modernità, pur avendo come proprio antenato il “mestiere” (dal latino ministerium,
“servizio”), che è stato tradizionalmente usato per indicare attività di
particolare complessità (artigiani, artisti, speziali, medici, etc.). La radice
latina professio (dichiarazione) porta verso l’idea che chi svolge queste
attività condivida una sorta di condotta morale in quanto parte di un gruppo di
persone che fanno la stessa cosa (Harper 2001; Pianigiani 2010). Questa
connotazione rispecchia anche l’origine delle professioni.
Pur
non essendo chiaro il periodo esatto in cui il termine iniziò ad essere usato,
gli orientamenti di studio delle nascenti università nell’Europa medievale
erano centrati su tre campi di sapere, costituiti, oltre alla teologia, dal
diritto e dalla medicina, vale a dire quelli propri di due delle professioni
classiche. Dato che la trasmissione di tali saperi in ambito ecclesiale
prescriveva che gli studenti di queste discipline prendessero almeno gli ordini
minori, da cui la continuità fra materie di fede e saperi elitari
(Carr-Saunders, Wilson 1954).
Ancor
più problematico è il rapporto fra i concetti di professione e occupazione una
volta che si entri nei linguaggi specialistici delle scienze delle
organizzazioni e della sociologia (o della storia delle professioni, i cui
studi si sono molto intensificati dagli ultimi decenni del secolo scorso) e
questa criticità si amplifica quando li si voglia applicare agli operatori
delle attività sociali di aiuto alla persona.
Le possibili ricadute dell’espansione
dei servizi sociali e sanitari sulla stratificazione sociale sono sotto gli
occhi di tutti: i due tipi professionali “non-garantiti”, sono costituiti dal lavoro
sommerso (nel campo produttivo) e dal lavoro precario e semi-volontario nel
campo dei servizi. Quest’ultima categoria è di notevole interesse per la
presente ricerca, dato che molte delle occupazioni di cui si parla,
specialmente a livello esecutivo, sono riconducibili a situazioni di questo
tipo. La loro regolamentazione da parte delle Regioni tocca un delicato
problema in cui molti operatori erogatori di prestazioni di benessere si
trovano sostanzialmente in una situazione di precariato che tende a
cronicizzarsi con il passare del tempo.
Si pensi in particolare alle tutele
spesso scarse che, vuoi per motivi di contratto, vuoi per discontinuità di
carriera, caratterizzano la condizione di molti operatori di cooperative
sociali o di associazioni.
Si tratta di una ricaduta paradossale
ma di non poco conto, dato che si riferisce ad operatori che si trovano ad
erogare benessere tramite il proprio lavoro nei servizi (specialmente in quelli
che fanno parte del privato sociale). Questo lavoro viene spesso a configurarsi
come il prolungamento di un’attività filantropica volontaria associativa, che poco a poco,
diviene occupazione. La sua natura contrattuale la espone tuttavia al
precariato e all’interruzione del rapporto di lavoro, che per ironia della
sorte, dipende (anche) dall’andamento delle convenzioni che questi servizi
hanno con il settore della politica locale. Il gioco al ribasso nel valore
delle convenzioni richiesto per far fronte ai conti pubblici, non può che prospettare
situazioni di notevole preoccupazione.
Anche negli strati superiori di queste
occupazioni emergono disagi che stanno oramai diventando cronici. E non si
tratta solo di una situazione italiana, se in Gran Bretagna si ha notizia di
fondazioni che hanno lo scopo di sostenere questi tipi di occupazioni (in particolare
semi-professioni) con pensioni basse e difficili prospettive di vecchiaia,
percepite dopo carriere molto discontinue.
Negli ultimi 20 anni è stata varata
una serie di provvedimenti legislativi che hanno contribuito a regolare la
materia riguardante le occupazioni e le professioni del sociale.
Una parte di questi hanno avuto lo
scopo di definire e regolamentare la materia sul versante della domanda di
operatori; dall’altra sono stati emanati provvedimenti sulle attribuzioni di
competenze circa queste figure (individuazione dei profili, formazione, etc.)
fra stato e regioni; dall’altra ancora sono state varate leggi che
regolamentano l’offerta, in particolare accademica, attraverso le definizioni
dei percorsi e delle classi di laurea. Al momento vi sono tre livelli
formativi, ciascuno dei quali corrisponde a dei livelli nel rank delle
occupazioni e delle professioni:
1)Il livello regionale di formazione
professionale, a cui compete la formazione di operatori che si collocano
prevalentemente intorno al livello V della scala NUP-06. La figura più
importante che scaturisce da questo livello formativo è quella dell’Operatore
socio-sanitario (OSS), formalmente istituito con un accordo sancito dalla
Conferenza Stato – Regioni tra il Ministro della Sanità, il Ministro della
Solidarietà Sociale, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano in
data 22 febbraio 2001. Tale provvedimento è stato poi recepito da ciascuna
Regione con propri atti. Il profilo dell’OSS fa confluire, all’interno della
stessa figura professionale, mansioni socio-sanitarie e assistenziali.
2) Il livello universitario, al quale
compete la formazione, tramite percorsi di laurea triennale o specialistica
delle seguenti figure:
- Assistente sociale; figura che ha
ricevuto un riconoscimento giuridico solo tramite la riforma universitaria del
1999 (classe di laurea L-6 che verrà codificata in L-39, LS 57 in LM- 87).
- Educatore professionale, il cui
riconoscimento come figura professionale è sancito dal DM n. 520/1998 (classe
di laurea L-18 in L-19, LS 56 in LM-50, LS 65 in LM 57 e LS 87 in LM- 85).
- Psicologo, il cui ordinamento
professionale è definito dalla legge n. 56/1989 (classe di laurea L-34 in L-24
e LS 58 in LM-51).
- Sociologo (classe di laurea L-36 in
L-40 e LS 89 in LM-88);
3) Esiste anche un livello intermedio,
il Tecnico dei servizi sociali,
figura individuata nell’ambito del decreto ministeriale della Pubblica Istruzione
del 15/4/1994. Questa figura è prevista svolgere compiti di programmazione di
intervento e gestione delle relazioni con utenti e operatori nell’ambito delle
strutture sociali del territorio. Fa capo all’istruzione secondaria tramite gli
Istituti Professionali di Stato per i Servizi Sociali che conferiscono la
qualifica di operatore dei servizi sociali (triennio) ed il diploma di tecnico
dei servizi sociali (biennio ulteriore, successivo alla qualifica di
operatore). Il possesso di questo diploma non identifica in senso stretto una
figura professionale, in quanto né il comparto sociale né il comparto della
sanità riconoscono sufficiente questa formazione per permettere il loro
inquadramento nei propri servizi.
Di difficile collocazione quanto a base
formativa è la figura del Mediatore
linguistico-culturale, per il quale esistono dei master presso alcune
Università (ad es. Università di Verona) ma che prevalentemente annovera
persone di madrelingua che in alcune regione vengono preparate da corsi regionali
e in altre in corsi di enti privati o del privato sociale.
Le
professioni sociali di rilievo nazionale sono regolamentate dalla normativa
statale
L’Assistente Sociale
L’Educatore Professionale
L’Operatore Socio Sanitario
Tecnico dei
Servizi Sociali
Tecnico dei servizi sociali
La figura del Tecnico dei servizi
sociali è stata individuata nell’ambito del Decreto Ministeriale della
Pubblica Istruzione del 15/4/1994 e nasce dalla necessità di creare una
nuova figura professionale che sia in grado da una parte di conoscere,
informare, inviare e dall’altra di programmare, attivare sinergie e gestire
relazioni, sia sul fronte degli altri operatori che su quello degli stessi
utenti.
|
Figura e profilo
Decreto del Ministero della Pubblica
Istruzione del 15/4/1994
“Programmi ed orari di insegnamento
per i corsi post – qualifica degli Istituti professionali di Stato”
Il Tecnico dei servizi Sociali:
− ha competenze per inserirsi con
autonome responsabilità in strutture sociali operanti sul territorio con
capacità di adeguarsi alle necessità e ai bisogni mutevoli delle comunità sia
permanenti sia occasionali;
− è in grado di programmare,
interagendo eventualmente con altri soggetti pubblici e privati, interventi
mirati in ordine alle esigenze fondamentali della vita quotidiana ed ai
momenti di svago, ne cura l’organizzazione e l’attuazione valutandone
l’efficacia;
− è capace di recepire le nuove
istanze emergenti dal sociale, con approccio tempestivo ai problemi e la
ricerca di soluzioni corrette dal punto di vista giuridico, organizzativo,
psicologico e igienico sanitario, e di promuovere iniziative adeguate.
Ruolo e funzioni
Il tecnico dei servizi sociali:
− deve consolidare le abilità
“tecniche” relative alla capacità di saper programmare un intervento in tutte
le sue varie fasi:
a) accertamento pre – requisiti di
base e/o livelli di partenza e/o analisi delle risorse e dei vincoli presenti
nel territorio;
b) definizione degli obiettivi
(breve, medio e a lungo termine);
c) metodologie operative (mezzi,
strumenti e strategie operative);
d) verifica;
e) valutazione
− deve possedere gli strumenti
metodologici per: osservare, esplorare, individuare le esigenze e/o i
problemi presenti nel territorio;
− deve possedere gli strumenti
metodologici per individuare le risorse e i vincoli presenti nel territorio
e/o nella rete sociale;
− proporre strategie operative
differenziate per accrescere le risorse presenti nel territorio e diminuirne
i vincoli;
− deve possedere le abilità
gestionali necessarie al processo di definizione delle regole di relazione
tra operatore/utente/struttura/famiglia/rete sociale;
− deve saper valutare l’intervento
dal punto di vista giuridico, psicologico, amministrativo e medico –
sanitario;
− possedere le conoscenze sul
funzionamento dei Servizi Sociali presenti nel territorio.
Il tecnico dei servizi sociali
dovrebbe, dunque, da un lato saper programmare un intervento (e più
specificatamente saper accertare i pre-requisiti di base o saper individuare
le risorse presenti nel territorio), dall’altro, possedere le abilità
gestionali nella conduzione dei rapporti sul fronte degli operatori e degli
utenti.
Competenze
a) Il tecnico dei servizi sociali
deve possedere conoscenze e informazioni:
− delle teorie e tecniche del
colloquio;
− delle teorie e tecniche di
conduzione del gruppo;
− delle tecniche di gestione di
risorse umane;
− delle tecniche di osservazione;
− delle metodologie per la
costruzione di una scheda di valutazione;
− dei principi di organizzazione;
− degli strumenti e metodologie per
la valutazione dei dati;
b) deve possedere capacità operative
di:
− interpretazione dei risultati
delle osservazioni;
− predisposizione del materiale
metodologico – programmatico;
− organizzazione del setting e della
struttura dell’incontro;
− analisi e attivazione delle
risorse umane;
− suddivisione delle competenze e
demarcazione dei confini;
− ipotesi di soluzione ai problemi;
− gestione dell’incontro con nucleo
familiare/struttura/rete sociale;
− gestione dell’incontro con gli
operatori coinvolti;
c) deve mettere in atto
comportamenti relazionali quali:
− pianificare il proprio lavoro;
− fornire sostegno e supporto nella
relazione;
− capacità di contatto e di supporto
al clima emozionale all’incontro;
− attivare sinergie;
− attitudine al potenziamento delle
risorse umane;
− costante capacità di auto – osservazione;
− atteggiamento orientato alla
verifica del risultato del proprio lavoro;
− interloquire con le figure
professionali coinvolte;
− lavorare in staff e/o èquipe.
|
Contesti operativi
Il tecnico dei servizi sociali
svolge la propria attività nei riguardi di soggetti di diversa età (bambini,
anziani, portatori di handicap) per promuovere e contribuire allo sviluppo
delle potenzialità di crescita personale e/o di inserimento e partecipazione
sociale.
Egli si inserisce in maniera
articolata in situazioni pubbliche e private, dovunque sorga e si sviluppi un
momento di vita comunitaria.
Fasi del processo lavorativo del tecnico dei servizi
sociali
Il processo lavorativo può essere
distinto nelle seguenti fasi:
− presa in carico dei casi
problematici;
− analisi della situazione
problematica;
− attivazione delle risorse
multidisciplinari;
− cooperazione tra le diverse figure
professionali;
− definizione di un contesto di
fiducia e di sostegno;
− ricerca, proposta e stimolo di più
soluzioni alternative ai problemi in questione;
− collaborazione con strutture
specialistiche idonee alla risoluzione del caso.
|
La tabella di seguito riportata indica
le principali leggi nazionali di settore e le figure professionali del sociale
previste in ciascun atto normativo (Fonte: elaborazione Isfol su normativa
nazionale).
SETTORE
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FONTE LEGISLATIVA
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FIGURE PROFESSIONALI
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Consultorio
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L. 405/1975
“Istituzione di Consultori familiari”
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“….Personale in possesso di titoli specifici in una delle
seguenti discipline: medicina, psicologia, pedagogia, assistenza sociale”.
|
Infanzia e adolescenza
|
L. 285/1997
“Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per
l’infanzia e l’adolescenza”
|
Operatori educativi
|
Tossicodipendenze
|
DPR 309/1990
“Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanza psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza”
SER.T. – Servizio per le Tossicodipendenze
L. 45/1999
“Disposizioni per il fondo nazionale di intervento per la lotta
alla droga e in materia di personale dei servizi per le tossicodipendenze”
|
Psicologo
Assistente sociale
Educatori professionali e di comunità
|
Immigrati
|
L. 40/1998
“Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero”
DLgs 286/1998
“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”
L.189/02
“Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo”
|
Mediatori interculturali
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Disabili
|
L. 104/1992
“Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate”
L. 162/1998
“Modifiche alla legge 5 febbraio 1992 n.104 concernenti misure
di sostegno in favore di persone con handicap grave”
L. 68/1999
“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”
|
Personale in possesso di specifica formazione psico – pedagogica
|
Centri per la giustizia minorile
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DLgs 272/1989
“Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del DPR
448/1988 recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati
minorenni”
|
Personale di servizio sociale e area pedagogica
Esperti in pedagogia, psicologia, sociologia e criminologia
|
Centri di Servizio Sociale per Adulti
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L. 354/1975
“Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle
misure privative e limitative della libertà”
|
Educatori per adulti
Assistenti sociali
|
Poche Regioni hanno, infatti, già
affrontato in maniera organica il tema disciplinando in maniera unitaria
l’impiego degli operatori nei servizi sociali. Alcuni degli esempi in più avanzato
grado di elaborazione sono l’Emilia-Romagna, che ha definito un più generale “Sistema
Regionale delle Qualifiche” e un “Sistema Regionale di Formalizzazione e Certificazione
delle Competenze”30; la Toscana, che ha intrapreso un percorso simile con la definizione
di un generale “Repertorio Regionale delle Figure Professionali (RRFR)31” e di un
“Repertorio Regionale dei Profili Professionali”32, le Marche); diverse regioni
hanno cominciato a definire a strutturare un sistema (es. Liguria33) mentre
alcune sono ancora ai nastri di partenza di questo percorso (come la Basilicata,
la Calabria, …).
Anche
le Regioni che già si sono adoperate per una revisione complessiva del sistema
delle professioni impiegate nei settore
dei servizi sociali sono in realtà ancora lontane dall’aver completato il
processo di riforma/riorganizzazione attraverso l’adozione di tutti i relativi regolamenti
applicativi che disciplinano i percorsi formativi delle professioni/qualifiche individuate.
A puro titolo esemplificativo si può citare l’esempio della Regione Friuli Venezia
Giulia che nella legge quadro di recepimento della L. 328/2000 (LR 6/2006) ha disciplinato
l’insieme delle professioni che possono operare in ambito sociale, ma non ne ha
ancora completata la definizione dei relativi percorsi formativi (cfr.
“l’animatore sociale” e/o “l’operatore dell’inserimento lavorativo” o ancora “i
percorsi di ri-qualificazione ad Operatore Socio-Sanitario per i tecnici dei
servizi sociali formati dall’Istituto Professionale di Stato”).
Questa
situazione da work in progress si riscontra anche per la figura dell’Operatore
Socio- Sanitario, frutto di un accordo nella Conferenza Stato-Regioni che data
ancora 22 febbraio 2001, il cui percorso di introduzione nelle varie regioni è
ancora lontano dall’essere pienamente completato in tutte le sue previsioni
iniziali e, spesso, nuovamente, con soluzioni differenziali a seconda dei
territori. Due esempi: - il primo riguarda la possibilità di definizione di un
percorso di formazione complementare in sanità che è stata realizzato, con
denominazioni diverse, solo in alcune regioni come, ad esempio, il Friuli
Venezia Giulia e Toscana (OSS-C: Operatore Socio- Sanitario con formazione
complementare in assistenza sanitaria) e il Veneto (OSS-S: Operatore
Socio-Sanitario Specializzato; da notare la diversità di denominazione);
-
il secondo esempio riguarda la possibilità di attivazione di altri percorsi di
formazione complementare nei cd. “moduli tematici integrativi”, che oltre al
corso di qualificazione di base per OSS prevedono moduli di formazione
integrativi, mirati a specifiche utenze e specifici contesti operativi, quali
utenti anziani, portatori di handicap, utenti psichiatrici,
malati
terminali, contesto residenziale, ospedaliero ed ospedalizzazione domiciliare,
casa alloggio, RSA, centro diurno, domicilio ecc.. Tali percorsi non stati
realizzati finora in nessuna regione.
In
alcune regioni si può dire che l’avanzamento del riordino organico della
materia sia avanzato, anche se questo avviene con forti diversità da regione e
regione. Questa constatazione è, in parte, figlia dell’eterogeneità dei sistemi
di welfare regionali. In essa tuttavia un ruolo fondamentale è giocato dalla
proliferazione delle più varie figure professionali operanti nel settore
sociale che vengono formate attraverso la formazione professionale regionale,
specie quando ciò avviene grazie all’uso di fondi comunitari.
Se
la creazione di figure originali (nella denominazione e nel profilo) esprime
una capacità di ascolto del territorio e di risposta alle esigenze locali,
dall’altro lato porta a diversità che possono creare difficoltà di governo del
processo di formazione degli operatori e di regolazione dei sistemi di welfare.
Ciò può infatti rendere problematico il legame del
sistema
delle credenziali regionali a quello dei sistemi sovra-regionali, con ricadute
sulla mobilità della forza lavoro del sociale e sulla coerenza delle carriere
individuali.
Anche
qui proponiamo alcuni esempi:
In
alcuni casi si riscontrano percorsi formativi che rispondono a specifiche
previsioni normative regionali come nel caso della Regione Friuli Venezia
Giulia, per quanto riguarda gli “operatori in possesso di competenze nei
processi di assistenza alla persona”; nella Regione Piemonte per quanto
riguarda il “mediatore interculturale” e l’“animatore nei servizi
all’infanzia”; nella regione Emilia-Romagna, sempre per il “mediatore
interculturale”, o l’”animatore-sociale”, formato attraverso la Formazione
Professionale Regionale, con corsi di
300-500 ore in base all’anzianità ed allo stato professionale; il caso della
Regione Toscana, dell’”addetto all’assistenza di base”. In altri casi, le qualifiche fornite dai
corsi di formazione professionale a livello regionale presentano denominazioni,
che non sono confrontabili all'interno della stessa regione, in quanto non
riconducibili a figure/qualifiche definite a livello normativo. Ma soprattutto,
non sono spendibili in senso più ampio, sul mercato del lavoro nazionale.
Qualche
esempio si può trarre ad es. dal caso della Regione Marche, dove le Province producono
periodicamente bandi al fine di raccogliere, per così dire “dal basso”,
l’offerta di corsi di formazione professionalizzanti da parte di soggetti
accreditati. Ebbene, fra gli ultimi corsi approvati, che sono di durata
variabile, si trovano: l’operatore di assistenza per lungodegenti, l’operatore
per portatori di handicap, operatore dei servizi territoriali, il tecnico delle
problematiche socio-educative etc. etc.
I
percorsi di riqualificazione, conseguenti all’introduzione della figura
dell’operatore sociosanitario, per ADEST, OTA, Assistenti di Base o altre
qualifiche dell’assistenza di base precedentemente definite a livello regionale
presentano, a volte, differenze marcate fra le Regioni in termini di monte ore
e contenuti didattici.
Alcuni
esempi: in Regione Friuli Venezia Giulia, il percorso di riqualificazione in
OSS richiede 200 ore integrative per gli operatori in possesso della qualifica
di Assistente domiciliare e dei servizi tutelari44 (ADEST)45 o della qualifica
di Operatore tecnico addetto all’assistenza (OTA)46; in Regione Emilia-Romagna
gli stessi percorsi di riqualificazione per
OTA
hanno una durata variabile tra le 140 e le 180 ore a seconda dell’anzianità di
servizio;
mentre
per l’addetto all’assistenza di base la durata si riduce a 95/10 ore, sempre in
ragione dell’anzianità di servizio.
In
altre Regioni,, come la Puglia, fino al termine del triennio dalla entrata in
vigore del regolamento approvato nel 200847, l’operatore OSS può essere
sostituito (“equipollenza”) da figure professionali con qualifiche inferiori
(OSA, ADEST, OTA, ausiliario) nelle more del completamento del processo di
riqualificazione in atto.
Infine,
altro caso significativo, la Regione Piemonte prevede un percorso formativo di
360 ore (di cui 225 ore di teoria, di cui 55 ore di rielaborazione
dell'esperienza) per operatori privi di qualifica ma con almeno 2 anni di
anzianità di servizio a tempo pieno alla data del 30/01/2004, maturati presso
servizi di assistenza domiciliare e nei presidi residenziali o semi-residenziali
pubblici o privati.
In
modo simile, il percorso di riqualificazione ad OSS del tecnico dei servizi
sociali prevede la frequenza di un corso di 600 ore in Friuli Venezia Giulia49
e di 440 ore nelle Marche50. Da questo nasce l’opportunità di prevedere un
raccordo nazionale, che senza limitare le necessarie autonomie regionali,
riguardi alcuni aspetti di carattere generale (nella stessa logica dei livelli
essenziali di assistenza e al pari di quanto già realizzato per l’OSS). Nella direzione
del riconoscimento interregionale delle qualifiche acquisite si può inquadrare
il riconoscimento operato, ad esempio, dalla Regione Emilia-Romagna attraverso
due distinte determine del Responsabile di Servizio (n. 1625 e n. 14813 del
2004) relative all’equipollenza delle qualifiche di operatore socio-sanitario
tra Regioni.
Non
sempre la regolamentazione degli operatori impegnati nei servizi sociali è
definita attraverso un provvedimento unitario e organico.
Molto
spesso il quadro finale è il frutto di provvedimenti successivi nel tempo che, in
genere, rispondono più alle esigenze di disciplinare i processi di
autorizzazione al funzionamento e accreditamento dei servizi, che non alla
volontà di introdurre una riforma organica sul versante delle
occupazioni/professioni sociali.
In
merito all’influenza dei processi di regolazione del sistema dei servizi sulle
possibilità di impiego degli operatori, un chiaro esempio è offerto dalla
Regione Veneto che di fatto non ha ancora una legge quadro regionale di
recepimento della L 328/2000, ma ha nel frattempo attivato una corposa
produzione in materia di accreditamento che ha prodotto anche una definizione
chiara e precisa delle professionalità che possono operare all’interno dei
servizi
socio-sanitari
della Regione.
Infine,
è chiaro come “la necessità di alcuni interventi stia emergendo”: senza entrare
nel merito delle “funzioni” (di cui si tratterà più diffusamente nel prosieguo
delle azioni di ricerca) si nota, infatti, particolare fermento attorno ad
alcune attività legate soprattutto ai fenomeni migratori che hanno
caratterizzato (e ancora stanno caratterizzando) il Paese nel suo complesso
negli ultimi anni. In particolar modo sono state sviluppate azioni per l’assistenza
prestata a favore di persone non autosufficienti presso il loro domicilio
spesso in regime di convivenza, ovvero per le cosiddette “assistenti
famigliari” o “badanti”, e, similmente, per i mediatori culturali o
interculturali. Anche in questo caso si tratta di un percorso ancora
decisamente in fieri e in cui, soprattutto per le cd. “assistenti
famigliari” (spesso diversamente definite nelle varie Regioni) alla previsione
normativa sulla loro istituzione non è sempre seguita l’effettiva definizione
del percorso formativo e/o delle modalità attuative di disciplina (es.
creazione di uno specifico albo).
La
Regione Calabria sta promuovendo con dei bandi in uscita a breve dei percorsi
di formazione per “assistente
domiciliare/badante”
della durata di 120 ore, il cui percorso formativo non è, però, stato disciplinato,
in assenza di un provvedimento che definisca la figura a livello regionale.
Solo alcune regioni hanno all’attivo esperienze più definite su questo fronte
come nel caso della Regione Emilia-Romagna che ha definito un modello di
percorso formativo52 a sostegno della qualificazione dell’assistenza privata a
domicilio di 120 ore che costituisce credito per l’accesso al percorso
formativo per OSS (NB: al termine del corso non si acquisisce una qualifica ma
una dichiarazione di competenze). Simile l’esperienza della Toscana che ha approvato
nel Repertorio regionale il profilo professionale di “Assistente familiare”
con rilascio di qualifica di II livello europeo al termine di un percorso di
formazione della durata di 220 ore (di cui 80 di stage).
Alla
luce delle considerazioni sopra esposte è possibile distinguere gli operatori
che sono impiegati nel sistema dei servizi sociali in queste categorie:
•
Occupazioni/professioni con una disciplina comune a livello nazionale:
assistente sociale
educatore professionale
psicologo
sociologo
operatore socio-sanitario
tecnico dei servizi sociali
Occupazioni/professioni presenti in buona parte del territorio nazionale, anche
se potenzialmente variamente definite a livello locale e con denominazioni che
possono anche variare a seconda del territorio, con curricula formativi ben
definiti e discretamente omogenei:
operatore tecnico dell’inserimento lavorativo
assistente di base o simili
animatore sociale
mediatore inter-culturale
Occupazioni/professioni in fieri, presenti a macchia di leopardo sul
territorio nazionale, con denominazioni che possono anche variare a seconda
della dislocazione geografica e curricula formativi di breve durata e
non ancora particolarmente strutturati:
assistente famigliare (“badante”)
Quanto
vale per la definizione delle figure professionali e per i relativi canali di
formazione si ripercuote anche a livello di informazioni disponibili
sull’occupazione nei servizi sociali.
Praticamente
non esiste un vero e proprio sistema
informativo su questo: solo alcune Regioni hanno, infatti, un quadro
sostanzialmente completo degli operatori impiegati nei servizi sociali e delle
relative qualifiche. In alcune realtà la principale fonte informativa è
rappresentata dall’Indagine ISTAT sui presidi socio-assistenziali la cui scheda
di rilevazione viene talvolta integrata, a livello regionale, con la richiesta
di altre informazioni (es. Friuli Venezia Giulia). A ciò si aggiunga che la
forte eterogeneità e frammentazione delle qualifiche a livello regionale rende
anche difficile esperire dei confronti interregionali, se non per
macro-categorie molto generiche. Di qui l’importanza di introdurre un
nomenclatore per le professioni/occupazioni sociali. L’analisi dei sistemi
delle credenziali (titoli di studio, frequenza a corsi professionali, etc.), ha
mostrato che, mentre vi sono delle tendenze alla omogeneizzazione per alcune
figure professionali, per altre ci si trova di fronte a forti eterogeneità sia
per quanto riguarda le denominazioni che i concetti di operatività che ne sono
connessi. Consultando la documentazione normativa raccolta dalle diverse
Regioni si potrà vedere come alcune regioni abbiamo preferito espandere la
propria proposta formativa/applicativa, proponendo titoli di studio
assimilabili o concorrenti rispetto a quelli nazionali, alcune altre regioni,
invece, hanno preferito concentrarla su figure tendenzialmente omogenee sia
rispetto a quelle presenti nella legislazione sulla definizione dei profili
professionali, che rispetto a quelle definite dai canali di formazione
(nazionali o regionali a seconda delle figure).
L’interrogativo
che ci si porrà ora è se sia possibile pensare ad un nomenclatore che possa, almeno
in linea di tendenza, affiancarsi o sostenere un processo di confronto/confrontabilità
fra i profili delle occupazioni e delle professioni del sociale espressi dalle
realtà regionali.
La
conclusione che si può trarre dalle riflessioni effettuate sui diversi modi di
vedere le occupazioni e le professioni (classificazioni internazionali, teorie
delle classi sociali, teorie delle professioni e teorie delle transazioni) è
che esistono delle continuità fra i vari approcci.
Ad
esempio si è visto che le classificazioni internazionali fatte proprie da fonti
ufficiali nazionali (ISCO-88 e derivati) sono parzialmente raccordabili ai
principali modelli di stratificazione offerti dagli studi sulle classi sociali.
Ma la constatazione più rilevante che affiora dai ragionamenti visti sopra,
riguarda la differenza fra le professioni nel senso di ISCO-88 versione
originale e le altre occupazioni. Abbiamo visto che, sia utilizzando le logiche
per attributi, che quelle di natura dinamica (professionalizzazione, auto/etero
regolazioni del mercato del lavoro), si arriva alla conclusione che il termine “professione”
è troppo carico di concettualità e significati specifici per essere utilizzato
indifferentemente, come accade oggi, per riferirsi a qualsiasi tipo di
occupazione o di attività.
Il
discrimine fra le occupazioni che si possono considerare professioni (o
semi-professioni) e le altre, passa infatti per differenze di status oggettivo,
autonomia decisionale, identificazione nel gruppo, associazionismo
professionale riconosciuto e, soprattutto, per un sistema di credenziali
(titoli di studio necessari per esercitare l’attività). Pensiamo che sia proprio
su questo sistema delle credenziali che si centrerà il dibattito dei prossimi
anni e le Regioni troveranno di fronte a sé una gamma molto composita di
possibili percorsi alternativi di politica a questo riguardo.
La
legislazione più recente usa il termine “professione” con molta più
circospezione di quanto non avvenga nel dibattito sugli operatori sociali, mostrando
così che il legislatore ha presente il problema. Anche ISFOL (2004)59 evita di parlare
di professioni sociali e usa il termine più avveduto, come avviene nella
normativa (ad es. legge 328), di “figura professionale del sociale”.
Per
finire, sconsigliamo l’uso, molto diffuso in verità anche fra gli addetti ai
lavori, del termine “professionalità” per designare gli ambiti
applicativo-disciplinari di “professioni” o “occupazioni” (psicologi vs
educatori vs assistenti sociali, etc.). La professionalità è una qualità del
lavoro e della configurazione lavorativa e/o, alternativamente un requisito delle
competenze della persona, che idealmente può assumere livelli variabili di
intensità ma che non va confusa né con il concetto di professione, né con
quello di figura professionale.
Per
soddisfare l’obiettivo progettuale di “acquisire una maggiore conoscenza
delle dimensioni occupazionali e delle professionalità impiegate nel settore
dei servizi sociali e del loro impiego sul territorio” diventa fondamentale
capire quali informazioni siano ad oggi disponibili nelle diverse Regioni con
riferimento agli operatori sociali, quali le fonti e la loro accessibilità ed affidabilità,
sia in riferimento allo specifico delle professioni, sia, necessariamente, più
in
generale
sui servizi sociali.
Il
punto del percorso di sviluppo del SI ( sistema informativo) sui servizi e
interventi sociali in cui si trovano ad oggi le diverse Regioni è assai
differenziato sia per quanto attiene all’esistenza sostanziale o meno di un
sistema informativo che per le sue caratteristiche, quali i settori oggetto di
rilevazione e/o le tipologie di servizi coperti. La situazione attuale delle
Regioni aderenti al progetto in materia di Sistemi Informativi può essere così
sintetizzata per macro-categorie:
1.
presenza di un sistema informativo sui servizi e di un sistema informativo
sulle occupazioni in ambito sociale (quest’ultimo anche parziale)
a.
Emilia – Romagna
b.
Marche
c.
Piemonte
d.
Friuli Venezia Giulia
2.
presenza di un sistema informativo prevalentemente centrato sui servizi (anche
se a volte solo parziale, con anche dati sulle occupazioni sociali)
a.
Toscana
b.
Veneto
c.
Puglia
d.
Umbria
e.
Molise (Osservatorio Regionale sui Fenomeni Sociali (O.R.F.S.)
3.
assenza di sistema informativo sui servizi e interventi sociali
a.
Basilicata63
b.
Calabria
Sono
solo alcune le Regioni in cui il sistema informativo ha raggiunto un discreto
grado di maturità, anche se diverse altre realtà si sono mosse o si stanno
muovendo in questo senso, magari limitatamente a qualche servizio/ territorio.
Queste esperienze di successo si basano su anni di lavoro sul tema e, al di là
delle soluzioni tecniche e organizzative adottate, condividono alcune
caratteristiche fondamentali quali:
a)
la definizione chiara e condivisa, anche a livello normativo, della struttura responsabile
del sistema informativo per garantire un governo chiaro dei vari flussi informativi
e la definizione di un’organizzazione stabile dedicata ad occuparsi del sistema
informativo in maniera specifica (cfr. Regione Emilia-Romagna e Molise);
b)
l’integrazione con altri enti che effettuano rilevazioni in ambito sociale, in particolare
con l’ISTAT (per due delle principali rilevazioni inerenti l’ambito dei servizi
sociali: l’’”Indagine sulla spesa sociale dei Comuni” e l’”Indagine sui presidi
residenziali socio-assistenziali”) e più recentemente anche con il Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali (per il Sistema Informativo della Non
Autosufficienza) (cfr. Regione Marche);
c)
l’integrazione con i sistemi informativi degli enti territoriali: si tratta di
una caratteristica in uno stadio di sviluppo ancora embrionale ma di
fondamentale importanza come dimostra la riflessione che su questo punto stanno
sviluppando alcune Regioni (es. Regioni Piemonte, Marche e Friuli Venezia
Giulia, in cui è allo studio l’integrazione della cartella sociale
informatizzata con gli applicativi amministrativi e contabili degli Enti
Gestori del Servizio Sociale dei Comuni, mentre in alcuni territori è già
integrata con le cooperative che gestiscono l’appalto per l’erogazione del
servizio di assistenza domiciliare). Attraverso questa integrazione, infatti,
si riduce il carico di lavoro degli operatori che sono tenuti alla compilazione
delle rilevazioni in quanto sono gli stessi SI locali che permettono di
ottenere real time le risposte alle esigenze conoscitive di enti terzi,
addirittura senza chiedere nulla agli operatori stessi (es. tramite
specifici
web services, procedure automatiche di estrazione che periodicamente acquisiscono
i dati dai gestionali locali e li trasmettono al livello regionale per
assolvere al debito informativo);
d)
la definizione di modalità comuni di rilevazioni delle informazioni fra
indagini diverse (es. con riferimento al personale, Regione Friuli Venezia
Giulia).
CALABRIA
Il
Sistema Informativo in ambito sociale non è ancora stato attivato. Per
acquisire informazioni sullo stato dei servizi sociali, la Regione Calabria può
contare, ad oggi, sulle seguenti fonti:
-
l’albo delle strutture autorizzate dalla Regione Calabria;
-
il report sul servizio di mediazione interculturale e sul Sistema di protezione
per richiedenti asilo e per rifugiati;
-
il report sull'Assistenza Domiciliare Integrata e sull'assistenza domiciliare
sociale del Piano d'azione obiettivi di servizio 2007-2013.
Buongiorno dottoressa,
RispondiEliminasono una studentessa diplomata a luglio 2015 come tecnico dei servizi socio-sanitari. Come lei ha ben sottolineato le difficoltà di inserimento lavorativo sono davvero molte. In modo particolare mi chiedevo se col mio titolo di studio fosse legale esercitare come oss (molti dei miei compagni hanno trovato lavoro così)o se sia una pratica poco pulita da evitare accuratamente per non trovarsi nei guai successivamente. col mio titolo si può partecipare ai concorsi pubblici? e per quali tipi di lavoro? E' possibile lavorare concretamente in strutture come asili nido, centri per anziani o persone con disabilità? infatti nella mia poca esperienza ho riscontrato molte difficoltà da parte del datore di inquadrare la mia figura professionale a livello contrattuale. Inoltre mi chiedevo se anche in Veneto, dove vivo, c'è la possibilità di fare dei corsi integrativi del mio diploma per diventare oss. (ho già provato a fare il corso oss, che ora è a numero chiuso, ma è davvero difficile entrare). Sono davvero felice di aver trovato una persona cosi ben informata come lei e spero che possa aiutarmi a risolvere questi miei dubbi.
Un cordiale saluto. Francesca.