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lunedì 16 luglio 2012

CHI È IL TECNICO DEI SERVIZI SOCIALI?


Profilo professionale. Il percorso post qualifica  ( Diploma di TSS – D.M. 15.04.94 ) consente al diplomato di acquisire competenze per inserirsi con autonome responsabilità in strutture operanti sul territorio con capacità di adeguarsi alle necessità e ai bisogni delle comunità sia permanenti sia occasionali; di programmare, interagendo con altri soggetti pubblici e privati, interventi mirati rispetto a esigenze fondamentali della vita quotidiana e ai momenti di svago; di curarne l'organizzazione e di valutarne l'efficacia; di recepire le nuove istanze del sociale con un approccio tempestivo ai problemi e con la ricerca di soluzioni corrette e la promozione di iniziative adeguate.
Area di professionalizzazione. È di 300 ore annue e consente di acquisire un diploma di qualifica professionale di primo livello.
Durata del ciclo di istruzione: 2 anni Prospettive di lavoro Organizzazioni del privato sociale, servizi territoriali di carattere educativo, assistenziale, servizi a carattere residenziale e semiresidenziale rivolti a minori, disabili, stranieri, anziani … Proseguimento degli studi Tutte le facoltà universitarie, in particolare dell'ambito socio-sanitario.
Profilo
Il tecnico servizi sociali ha una preparazione culturale criticamente consolidata e coerente con la specificità della sua formazione professionale; conosce la complessità dello stato di bisogno delle diverse età e delle diverse situazioni personali; sa avvalersi dei metodi della ricerca, programma gli interventi e ne verifica l’efficacia; si inserisce negli ambiti pubblici e privati del territorio per la rimozione degli stati di bisogno degli utenti; sa scegliere adeguate soluzioni dei problemi del campo giuridico - organizzativo e igienico-sanitario.
cosa si studia
Le materie dei primi tre anni di corso sono quelle dell’operatore servizi sociali. Le materie che caratterizzano il 4° e il 5° anno sono le materie che caratterizzano l’indirizzo sono: psicologia generale ed applicata; diritto ed economia; tecnica amministrativa; cultura medico-sanitaria.
Materie e ore settimanali di insegnamento
Totale ore 30: Area Comune/Area di indirizzo/Area Professionalizzante.

DISCIPLINE E ORE SETTIMANALI DI LEZIONE  TECNICO DEI SERVIZI SOCIALI 
Materie Area comune
Classe 4ª
Classe 5ª
Italiano
4
4
Storia
2
2
Lingua inglese
3
3
Matematica
3
3
Educazione Fisica
2
2
Religione
1
1
Materie Area di indirizzo


Psicologia generale e applicata
5
5
Diritto ed Economia
3
3
Tecnica amministrativa
2
3
Cultura medico-sanitaria
5
4
Chimica
15 ore annue
15 ore annue
Fisica
15 ore annue
20 ore annue
Totale ore
30
30

Tenendo conto della continua evoluzione del mondo del lavoro, in particolare della concorrenza di altre figure professionali che operano nel settore socio-assistenziale e della necessità di superare in modo più agevole la selezione di ingresso attuata dall'Università nell'ambito delle lauree di ambito socio-sanitario, il nostro corso ha introdotto a livello curricolare Chimica e Fisica, in conformità a quanto consentito dalla normativa sull'autonomia didattica degli Istituti che può destinare ad altri insegnamenti il 15% delle ore complessive del corso. Infine, a partire dall'anno scolastico 2005/2006, è stata profondamente rivisitata l'area professionalizzante, con la definizione di due nuove qualifiche professionali.
AREA PROFESSIONALIZZANTE
Figura: Esperto in gestione e organizzazione di    strutture e   servizi aziendali e domiciliari per la prima infanzia
Figura: Operatore gestionale di rete
Lezioni con esperti
310
Lezioni con esperti
310
Stage in strutture aziendali
290
Stage in strutture aziendali
290

Totale ore: 600

Totale ore: 600

L'Area Professionalizzante è progettata dalle singole scuole su finanziamento ministeriale, con approvazione del progetto didattico da parte del Comitato M.I.U.R. e Amministrazione Regionale.    La programmazione di Terza Area prevista per la quarta e la quinta T.S.S., elaborata di concerto tra un Ente di Formazione Professionale ( ENFAP ) e alcuni docenti interni all’istituto, consente agli studenti di acquisire, al termine del biennio finale, il titolo  in oggetto alla programmazione (ad esempio: di Esperto in gestione e organizzazione di strutture e servizi aziendali e domiciliari per la prima infanzia oppure il titolo di Operatore gestionale di rete). È articolata in 155 ore annue destinate allo svolgimento di moduli tecnico pratici e in 145 ore annue impiegate in stage. 
Esempi di programmazione di figure professionali in uscita:

Figura: Operatore gestionale di rete
Figura: Esperto in gestione e organizzazione di strutture e servizi aziendali e domiciliari per la prima infanzia
Descrizione: rappresenta una figura professionale che opera nel contesto di servizi di carattere sociale con mansioni di coordinamento e progettazione dei servizi nell'ottica di un lavoro di rete tra i diversi servizi, operatori e risorse presenti sul territorio.
Descrizione: rappresenta una figura professionale che svolge la sua attività nell'assistenza diretta, di cura e intrattenimento di bambini da zero a tre anni in modo autonomo e/o all'interno di strutture pubbliche e private.
Collocazione lavorativa: si colloca nel contesto di organizzazioni del privato sociale – quali cooperative sociali, associazioni, fondazioni, associazioni di volontariato, enti morali – e nel contesto di servizi di carattere sociale gestiti direttamente dal pubblico, più precisamente nell'ambito dei servizi territoriali di carattere educativo o di servizi territoriali di carattere assistenziale o di servizi di carattere residenziale o semi-residenziale, rivolte a minori, a disabili, stranieri, anziani…
Collocazione lavorativa:asili nido, nidi aziendali, cooperative sociali, servizi domiciliari per l'infanzia, centri di socializzazione per l'infanzia, baby-parking


LA FORMAZIONE.
L’o.s.s. ( ma anche il tecnico socio sanitario) deve possedere:
  1. conoscenze teorico-scientifiche (IL SAPERE) che vengono acquisite attraverso l’apprendimento teorico, ma anche attraverso l’apprendimento pratico, cioè attraverso il tirocinio. Tali conoscenze aiuteranno a comprendere meglio le caratteristiche e i bisogni dell’utente, dal punto di vista sociale, psicologico e relazionale.
  2. attitudine al lavoro sociale e quindi alle relazioni, in modo particolare. Attitudine significa predisposizione naturale, tuttavia essa non basta da sola a fare di una persona un bravo operatore: l’attitudine, attraverso le conoscenze teorico-pratiche, si trasforma in un vero e proprio modo di essere (io posso avere l’attitudine ad ascoltare, ma attraverso le conoscenze teorico-pratiche apprendo, per esempio, che devo rispettare certe regole per farlo in modo obiettivo, per esempio non devo giudicare). L’attitudine, quindi, è IL SAPER ESSERE.
  3. la capacità di mettere in pratica ciò che si è appreso a livello teorico, cioè la competenza pratica, cioè IL SAPER FARE (che si acquisisce col tirocinio).  
Tali elementi fanno sì che un’attività possa dirsi professionale.
La formazione deve avvenire a due livelli:
1.      a livello teorico-culturale: bisogna acquisire una cultura di base e delle conoscenze scientifiche che consentano di leggere in modo critico la realtà, di analizzare i bisogni e i problemi, di cogliere i nessi di causalità tra gli eventi, di sviluppare posizioni propositive in merito ai casi e ai servizi, di progettare gli interventi e sviluppare competenze e capacità relazionali;
2.      a livello pratico: attraverso il tirocinio (o stage) che permette di preparare gli allievi all’esercizio della professione, misurandosi con problematiche prettamente pratiche e mettendo a confronto le acquisizioni teoriche con il lavoro quotidiano.
LA RELAZIONE D’AIUTO.
L’O.S.S.  (ed il T.S.S. ) deve stabilire un corretto approccio alla persona perché solo così potrà veramente aiutare l’utente (che, ricordiamo, è prima di tutto una persona).
Prima di tutto deve avere rispetto per la persona che ha valore di per sé.
Poi deve mettere in atto le sue qualità professionali: accettazione (accettare la persona col suo problema e con le sue caratteristiche, debolezze, limiti, ecc..); autorevolezza (fermezza verso l’utente); comprensione (capire bene tutti i bisogni dell’utente); empatia ( sapersi mettere nei panni dell’altro per comprendere pienamente cosa prova); lealtà e sincerità (l’O.S.S. deve sempre mantenere la parola data e dire la verità); maturità (deve sapersi mettere in discussione); rispetto (deve ricordare che la persona va rispettata sempre e comunque, perché ha valore di per sé).
Queste qualità professionali sono indispensabili per creare una relazione d’aiuto (cioè una relazione che può veramente aiutare l’utente ad affrontare i suoi problemi).
A questo punto i comportamenti dell’operatore determinano un legame emotivo con l’utente che ora si fida di lui: si è creato un rapporto di fiducia (anche perché l’O.S.S. deve rispettare il segreto professionale, cioè non può divulgare ciò che l’utente gli confida, altrimenti potrebbe essere da lui denunciato). E’ fondamentale ricordare che l’utente inizia a collaborare solo quando si è creato un rapporto di fiducia.
Solo a questo punto si può concretamente progettare l’intervento (cioè decidere cosa fare, come fare, ecc..), sempre concordando con l’utente che, non dimentichiamo, è il protagonista del suo intervento d’aiuto.
L’operatore dei servizi sociali (O.S.S.) deve avere un corretto approccio alla persona (utente), al fine di stabilire una RELAZIONE D’AIUTO.

QUALITA’ PROFESSIONALI.
(caratteristiche comportamentali che l’O.S.S. deve avere)
  1. ACCETTAZIONE:
significa accettare l’atro completamente, con tutte le sue caratteristiche, col suo problema, con le sue debolezze, con i suoi limiti, con la sua aggressività e distruttività. Accettare l’altro non significa appoggiarlo nelle sue posizioni (dargli regione) ma comunicare in modo non verbale che non si sta giudicando e si è disposti a partire proprio dal punto in cui si trova.
  1. AUTOREVOLEZZA:
mentre autoritarismo significa imporsi in modo autoritario, cioè non democratico, autorevolezza significa assumere un atteggiamento di fermezza nei confronti della persona che, essendo in una condizione svantaggiata, ha bisogno di apprendere nuovi comportamenti più funzionali e di appoggiarsi all’operatore per sentirsi sicuro. L’operatore può esercitare autorevolezza se si piena consapevolezza della propria professionalità (è certo che, agendo in un certo modo, aiuta l’utente) e se possiede certi requisiti psicologici:
    • Adeguato concetto di sé
    • Conoscenza e consapevolezza del proprio ruolo
    • Capacità di reagire a possibili fallimenti.
     3.  COMPRENSIONE:
significa comprendere alcuni bisogni essenziali dell’utente:
  • Bisogno di essere trattato come una persona, col suo valore e la sua dignità, e non come un “caso”
  • Bisogno di esprimere i propri sentimenti
  • Bisogno di non essere giudicato
  • Bisogno di essere trattato come una persona libera, che ha il diritto di fare le proprie scelte (diritto di autodeterminarsi)
Così la persona si sente compresa e sviluppa un senso di fiducia nell’operatore, elemento indispensabile per attuare l’intervento e per comprendere bene la situazione.
     4.  EMPATIA:
è la capacità di mettersi nei panni dell’altro per comprendere il suo vissuto emotivo e i suoi punti di vista per poi tornare nei nostri panni, cioè nel nostro ruolo di operatori, per sviluppare una visione chiara e oggettiva dei fatti. E’ una qualità essenziale che richiede sensibilità e capacità di ascolto. Ascoltare non vuol dire udire: udire implica la percezione del suono, ascoltare significa comprendere il vissuto emotivo oltre ai fatti narrati e questo richiede la capacità di saper decodificare la comunicazione a tutti i livelli, verbale e non verbale, infatti, se a parole si può mentire più o meno consapevolmente nella gestualità si dice sempre la verità.
      5.  LEALTA’ E SINCERITA’:
significa franchezza nel linguaggio e nell’agire, significa chiarire la situazione e presentarla per quello che è realmente. Significa anche mantenere la parola data. Lealtà e sincerità rendono l’operatore consapevole dei propri limiti e responsabile degli errori connessi.
     6.  MATURITA’:
si riferisce alla capacità di saper gestire il rapporto con l’utente nella sua evoluzione, accettando che possa essere masso in discussione, che possano emergere momenti di conflitto e anche insuccessi. Per un operatore maturo anche l’insuccesso diventa uno stimolo per comprendere meglio i propri limiti e migliorarsi. La maturità si acquisisce con l’esperienza e implica una maggiore capacità di adattamento alla realtà.
     7.  RISPETTO:
è la capacità di riconoscere e accettare l’altro come persona (unica e irripetibile) libera. La persona rispettata sente di avere valore e si impegna per il suo progetto.
Le professioni d’aiuto sono molto stimolanti sul piano umano ma espongono l’operatore a forte stress emotivo, per questo è necessario un atteggiamento professionale che implica la capacità di mettersi nei panni dell’altro ma senza farsi troppo coinvolgere, poiché il rischio sarebbe quello di perdere l’obbiettività.
LE COMPETENZE DELL’OPERATORE SOCIALE.
  1. Competenze pedagogiche:
L’operatore dei servizi sociali deve avere competenze pedagogiche perché è un educatore, quindi deve sapere come affrontare i problemi dell’educazione, quali metodi e quali strumenti è più opportuno usare.
Deve essere in grado di aiutare le persone ad esprimersi, a comprendere la situazione che stanno vivendo, a superare situazioni problematiche facendo emergere le risorse personali, cioè le capacità che ognuno di noi ha dentro di sé.
  1. Competenze psicologiche:
L’operatore dei servizi sociali deve avere competenze psicologiche perché lavora con le persone, quindi deve saper riconoscere le emozioni e i sentimenti.
Deve conoscere le caratteristiche della psicologia dell’individuo in tutte le fasce d’età perché, per esempio, la psicologia di un bambino è diversa da quella dell’anziano.
Deve sapere come le persone si comportano nei gruppi perché lavora spesso con i gruppi (famiglie, gruppi di lavoro, ecc…)
  1. Competenze nel campo dell’animazione:
Animare significa creare le condizioni perché le persone possano esprimere i loro sentimenti, la loro fantasia, la loro creatività attraverso il gioco e attraverso momenti di socializzazione.
Le attività di animazione che può organizzare sono:
  • drammatizzazioni (interpretazioni teatrali) con l’uso di burattini, marionette, mimo;
  • organizzazione di feste
  • organizzazione di gare sportive
  • organizzazione di attività culturali
  • organizzazione di vacanze, ecc …
Le attività di animazione sono importanti perché hanno un grande valore educativo e vanno scelte in base all’età dell’utente.
  1. Competenze di tipo riabilitativo:
Lavorando con bambini, con disabili, con tossicodipendenti, con anziani ecc … l’Operatore svolge spesso interventi di recupero di situazioni di disagio psico-fisico.
Lavorando insieme al medico e allo psicologo, l’operatore organizza attività che servono a migliorare le capacità espressive al fine di superare la condizione di disagio che può essere fisico o psichico, temporaneo o permanente.
Le attività di riabilitazione che può organizzare sono:
·        Lavori manuali (disegnare, ricamare, decorare, ecc ...)
·        Attività che coinvolgono il corpo: danza, ginnastica, ecc …
·        Attività di tipo intellettuale (leggere, scrivere, ecc ...)
Queste attività devono essere organizzate in modo da favorire la socializzazione.
  1. Competenze organizzative e gestionali:
L’Operatore deve anche avere competenze organizzative e gestionali perché deve gestire il servizio in cui lavora e le risorse della comunità.
Per organizzare e gestire bisogna programmare ogni intervento, mai improvvisarlo, e bisogna conoscere bene i bisogni della comunità.
  1. Competenze promozionali:
L’Operatore oltre a occuparsi del servizio in cui lavora deve lavorare anche per creare collegamenti con altri servizi, associazioni, forze sociali per trasmettere e ricevere informazioni per favorire il senso di appartenenza alla comunità.
Per questo organizza dibattiti sulle attività svolte nel servizio, prepara fogli illustrativi da distribuire in altri servizi, partecipa a convegni e manifestazioni, ecc …
  1. Competenze di tipo giuridico:
L’Operatore deve conoscere le leggi, i diritti, deve sapere come fare per ottenere che i diritti siano riconosciuti, per esempio come fare per ottenere la casa popolare per un utente.
VOCABOLARIO PER CONCETTI:
  • autodeterminazione:
determinarsi autonomamente, cioè decidere autonomamente di se stessi.
Nel sociale è il diritto di ogni persona a decidere di sé. L’o.s.s. deve rispettare il diritto di ogni persona (utente) a decidere di sé, cioè deve rispettare il diritto di ogni persona all’autodeterminazione.
  • “relazione d’aiuto”:
è un modo professionale di porsi nei confronti della persona che consente un passaggio da una situazione negativa e problematica a una situazione positiva (superamento del problema).
Nella relazione d’aiuto devono esserci: interazione, accettazione, empatia, rispetto, autorevolezza, sensibilità, capacità d’ascolto ecc ...
  • “approccio alla persona”:
termine tecnico che significa trattare l’utente non come un caso sociale ma come una persona, con le sue caratteristiche, i suoi tempi, i suoi valori ecc…
  • intervento sociale:
insieme di azioni finalizzate ad affrontare e risolvere un problema sociale
  • accettazione:
principio fondamentale nel lavoro sociale e nella relazione d’aiuto.
Indica la capacità dell’oss di non giudicare la persona, accettandola con tutte le sue caratteristiche.
  • empatia:
principio fondamentale nel lavoro sociale e nella relazione d’aiuto.
Indica la capacità di mettersi nei panni dell’altro per comprendere i suoi sentimenti e il suo punto di vista per poi “tornare nei nostri panni” di oss e sviluppare una visione oggettiva e reale dei fatti.
  • autorevolezza:
avere un atteggiamento autoritario vuol dire imporre le proprie idee e decisioni, mentre avere un atteggiamento autorevole vuol dire spiegare le proprie idee, decidere insieme cosa fare in modo democratico ma, quando è opportuno, assumere atteggiamenti fermi e decisi.
L’oss deve porsi in modo non autoritario ma autorevole. 

La figura del Tecnico socio sanitario attiene alla più larga cerchia delle professioni sociali e socio sanitarie.
Le politiche sociali sono state oggetto in questi ultimi anni di un’intensa produzione normativa sia a livello nazionale che locale. A livello nazionale la spinta è avvenuta con la definizione di una nuova architettura istituzionale in materia di politiche sociali, con il varo della Legge 328/2000 e proseguita con le successive modifiche introdotte dalla Riforma del Titolo V della Costituzione. A livello locale, seguendo questa spinta, diverse Regioni hanno promosso leggi organiche di riforma del settore sociale e emanato numerosi provvedimenti relativi a processi di regolazione dei servizi (tra questi i più rilevanti sono stati i processi di accreditamento). L’esito di questi percorsi ha posto in capo alle regioni ed alle Autonomie locali nuovi ed importanti responsabilità in merito alla programmazione, implementazione, monitoraggio e valutazione delle politiche sociali locali.
La stessa Legge Quadro del 2000 ha dato fin da subito particolare rilievo all’ambito delle professioni sociali dedicando alla trattazione di questo tema (e agli aspetti di programmazione di figure professionali del comparto sociale) uno specifico articolo (cfr. art. 12), la cui traduzione operativa è rimasta, però, finora largamente disattesa nella pratica. L’inerzia del confronto e della discussione a livello nazionale ha contribuito a disegnare sistemi regionali con significative differenze (laddove la questione è stata affrontata in maniera organica) e ha prodotto, soprattutto a livello locale, un proliferare di qualifiche non facilmente riconducibili ad unitarietà ed organicità con evidenti problemi di “spendibilità” del titolo formativo acquisito in contesti territoriali diversi da quello di formazione. In questo scenario disomogeneo si sono recentemente tentati percorsi di confronto nella ricerca di basi comuni. Un’importante tappa del percorso di confronto a livello nazionale è sicuramente rappresentata dall’accordo Stato-Regioni sulla figura dell’Operatore Socio Sanitario (OSS), che però, solo parzialmente, come avremo modo di vedere dalle risultanze della ricerca, ha avuto successo nel creare una figura omogenea nei diversi territori..

Sono diverse le occupazioni e le professioni impiegate nel settore dei servizi sociali nelle varie regioni; alcune di queste professioni/occupazioni godono già di un riconoscimento formale mentre altre, pur traendo origini da bisogni concreti della popolazione, non sono ancora state definite in modo omogeneo a livello nazionale. Poiché non era pensabile condurre un’analisi specifica su tutte le figure individuate nelle regioni nella fase preliminare di ricerca, di comune accordo con le regioni aderenti al progetto e con il
coordinamento, si è deciso di concentrare l‘indagine su quattro occupazioni/professioni che, ad oggi, risultano di maggiore interesse per motivi specifici e diversi tra loro.
1. Una prima occupazione, di particolare interesse per l’area socio-assistenziale, per la presenza numerica in tutte le regioni, che ha meritato di essere approfondita è stata quella dell’operatore socio-sanitario (OSS). Il canale formativo che permette di ottenere la qualifica di OSS è quello della formazione professionale regionale; frequentando dei corsi organizzati da enti di formazione e riconosciuti dalla Regione è infatti possibile acquisire le competenze necessarie per poter poi svolgere il lavoro di cura e assistenza in ambito socio-sanitario. Agli OSS, infatti, viene richiesto di acquisire una serie di competenze che permettano loro di svolgere un’attività assistenziale a diversi livelli e in diversi ambiti: dalla cura della persona alla somministrazione di farmaci, dal trasporto dell’utente alla gestione del rapporto con i familiari,… . Al di là degli aspetti numerici, l’interesse verso questa occupazione si motiva perché questa si propone come “figura di base” per la cura e l’assistenza alla persona su cui avviare dei confronti sulle caratteristiche occupazionali in termini di ruolo, funzioni, “vissuto” dell’operatore socio-sanitario nelle regioni aderenti al progetto di ricerca.
2. Di pari interesse, per l’area socio-educativa, è stato lo svolgimento di un approfondimento sulla figura dell’educatore professionale, anche in ragione dei diversi canali formativi che nel tempo ne hanno caratterizzato la relativa formazione sia all’interno delle singole Regioni che fra Regioni. A partire dagli anni
’70, il canale di formazione di questa figura è, infatti, spaziato dalla formazione professionale regionale (post-diploma) per arrivare, successivamente, al conseguimento della relativa qualifica solo attraverso un corso di livello universitario (D.M. 520/1998). Dall’anno accademico 2001-2002 sono avviate due classi di laurea per Educatori professionali:
• La classe di laurea numero 2 “Professioni sanitarie della riabilitazione”, che è l’unica che abilita a lavorare sia in ambito sanitario che sociale.
• La classe di laurea numero 18, ossia “Lauree in Scienze dell’Educazione e della Formazione”. Gli educatori laureati che rientrano in questa area possono lavorare esclusivamente nel settore sociale.
Al di là degli aspetti numerici e delle particolarità che ne hanno caratterizzato (e che tutt’ora caratterizzano) il canale di formazione (che, nel tempo ha creato una sorta di “effetto stratificazione”), l’interesse verso questa occupazione è stato motivato anche per il ruolo fondamentale che riveste in termini di principale “figura” di tipo educativo impegnata nel sistema dei servizi alla persona.
3. Tramite il Documento preparatorio per la Commissione “Istruzione, lavoro, innovazione e ricerca”, la Commissione “Affari comunitari e internazionali” e la Commissione Politiche sociali della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome è stata, di recente, riconosciuta la figura professionale del mediatore interculturale al fine di: “potenziare le misure dirette all’integrazione dei migranti, concepita come inclusione, interazione e scambio e non come coabitazione tra comunità separate, con particolare riguardo ai problemi delle seconde generazioni e delle donne anche attraverso la definizione della figura e delle funzioni dei mediatori culturali”
Il mediatore interculturale viene definito come “un operatore sociale che facilita la comunicazione  tra individuo, famiglia e comunità nell’ambito delle azioni volte a promuovere e  facilitare l’integrazione sociale dei cittadini immigrati. Svolge attività di mediazione e di informazione tra i cittadini immigrati e la società di accoglienza…”. La figura del mediatore interculturale nasce infatti in risposta all’intenso fenomeno migratorio che ha interessato il nostro Paese negli ultimi anni; l’arrivo di soggetti di altre culture e lingue ha infatti posto l’accento sulla necessità di sviluppare politiche di integrazione ed inserimento. I canali formativi che permettono di accedere a tale professione sono quelli della formazione universitaria e della formazione professionale regionale. Per le caratteristiche qui brevemente riportate, la figura sembra emergere come una vera e propria nuova occupazione/professione e questo l’ha resa di particolare interesse per la ricerca.
4. Un fenomeno in continua espansione è infine quello delle assistenti familiari o badanti. Gli stranieri infatti non rappresentano solo dei potenziali utenti dei servizi sociali, ma costituiscono anche un’importante risorsa in termini di offerta nel mercato del lavoro. Non è infatti possibile ignorare la quota di donne straniere che presta attività di assistenza e cura ad anziani e/o persone non autosufficienti presso
il domicilio dell’utente. Spesso le competenze e i compiti svolti delle badanti sono assimilabili a quelli dell’operatore socio-sanitario, ma esse hanno poi esigenze e caratteristiche specifiche che rendono necessaria una riflessione mirata sul tipo di attività svolta (ad esempio: il domicilio presso l’assistito, l’attività di assistenza e cura molto prolungata in termini di carico orario, …). Allo stato attuale questa figura
non viene sempre riconosciuta (anche se in quasi tutte le regioni il problema si sta affrontando) e quindi non sono stati ancora definiti dei percorsi formativi adeguati.
Va comunque sottolineato che in molti territori in modo più o meno organizzato centri di formazione professionale o altri soggetti propongono per queste figure, spesso grazie anche a contributi regionali, corsi di formazione con durata e moduli formativi differenti. La decisione di inserire le badanti nel nostro studio è quindi dettata dall’esigenza di indagare questo fenomeno che ha un peso rilevante nella società (e in particolar modo nel sistema dei servizi sociali, ancorché, perlopiù, nel sistema dell’informalità) ma che non trova ancora un riconoscimento omogeneo a livello nazionale.
Le notizie riportate nel mio lavoro sono state estrapolate dall’ “Indagine sulle Regioni italiane  effettuata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e pubblicate nei “Quaderni della ricerca sociale”. Gli operatori sociali vengono individuati attraverso la preliminare selezione di un campione di servizi, per il quale si sono  utilizzate come variabili di stratificazione l’area di intervento (Minori/Giovani/Famiglia, Anziani, Disabili, Dipendenze, Salute Mentale, Altro) e la tipologia di servizio di impiego (Residenziale, Semi-residenziale, Domiciliare/Territoriale).

Altro tassello fondamentale per una compiuta riflessione sulle professioni sociali è quello delle classificazioni. Esiste una terminologia non equivoca per parlare di occupazioni? Che differenze esistono fra i termini professione e occupazione?
I termini “occupazione” e “professione”, sono spesso considerati sinonimi nel linguaggio comune. I loro significati, tuttavia, pur occupando aree semantiche confinanti, mostrano percorsi pragmatici assai lontani fra loro. Ad esempio, “occupazione” connota attività esercitate in modo stabile (occupare, capere prendere possesso di un posto o un oggetto), mentre il concetto confinante “impiego” ha origini che portano a “implicare, avviluppare”.
Molto complessa è poi la pletora di semantiche segmentarie che stanno dentro a queste aree generali, come ad es. “compito” (da complito, “completo”, portato a termine, oppure forse da computare, calcolare), job (piece of work, in contrasto con continuous labour), funzione (performance, esecuzione), “mansione” (mansion-casa, stanza, forse da “mansionare”, nel senso di essere assegnata), etc.
L’altro concetto chiave nominato nel titolo di questo capitolo, “professione”, mostra una propria autonomia etimologica rispetto al precedente. Esso ha infatti una configurazione complessa, tipica della modernità, pur avendo come proprio antenato il “mestiere” (dal latino ministerium, “servizio”), che è stato tradizionalmente usato per indicare attività di particolare complessità (artigiani, artisti, speziali, medici, etc.). La radice latina professio (dichiarazione) porta verso l’idea che chi svolge queste attività condivida una sorta di condotta morale in quanto parte di un gruppo di persone che fanno la stessa cosa (Harper 2001; Pianigiani 2010). Questa connotazione rispecchia anche l’origine delle professioni.
Pur non essendo chiaro il periodo esatto in cui il termine iniziò ad essere usato, gli orientamenti di studio delle nascenti università nell’Europa medievale erano centrati su tre campi di sapere, costituiti, oltre alla teologia, dal diritto e dalla medicina, vale a dire quelli propri di due delle professioni classiche. Dato che la trasmissione di tali saperi in ambito ecclesiale prescriveva che gli studenti di queste discipline prendessero almeno gli ordini minori, da cui la continuità fra materie di fede e saperi elitari (Carr-Saunders, Wilson 1954).
Ancor più problematico è il rapporto fra i concetti di professione e occupazione una volta che si entri nei linguaggi specialistici delle scienze delle organizzazioni e della sociologia (o della storia delle professioni, i cui studi si sono molto intensificati dagli ultimi decenni del secolo scorso) e questa criticità si amplifica quando li si voglia applicare agli operatori delle attività sociali di aiuto alla persona.

Le possibili ricadute dell’espansione dei servizi sociali e sanitari sulla stratificazione sociale sono sotto gli occhi di tutti: i due tipi professionali  “non-garantiti”, sono costituiti dal lavoro sommerso (nel campo produttivo) e dal lavoro precario e semi-volontario nel campo dei servizi. Quest’ultima categoria è di notevole interesse per la presente ricerca, dato che molte delle occupazioni di cui si parla, specialmente a livello esecutivo, sono riconducibili a situazioni di questo tipo. La loro regolamentazione da parte delle Regioni tocca un delicato problema in cui molti operatori erogatori di prestazioni di benessere si trovano sostanzialmente in una situazione di precariato che tende a cronicizzarsi con il passare del tempo.
Si pensi in particolare alle tutele spesso scarse che, vuoi per motivi di contratto, vuoi per discontinuità di carriera, caratterizzano la condizione di molti operatori di cooperative sociali o di associazioni.
Si tratta di una ricaduta paradossale ma di non poco conto, dato che si riferisce ad operatori che si trovano ad erogare benessere tramite il proprio lavoro nei servizi (specialmente in quelli che fanno parte del privato sociale). Questo lavoro viene spesso a configurarsi come il prolungamento di un’attività filantropica  volontaria associativa, che poco a poco, diviene occupazione. La sua natura contrattuale la espone tuttavia al precariato e all’interruzione del rapporto di lavoro, che per ironia della sorte, dipende (anche) dall’andamento delle convenzioni che questi servizi hanno con il settore della politica locale. Il gioco al ribasso nel valore delle convenzioni richiesto per far fronte ai conti pubblici, non può che prospettare situazioni di notevole preoccupazione.
Anche negli strati superiori di queste occupazioni emergono disagi che stanno oramai diventando cronici. E non si tratta solo di una situazione italiana, se in Gran Bretagna si ha notizia di fondazioni che hanno lo scopo di sostenere questi tipi di occupazioni (in particolare semi-professioni) con pensioni basse e difficili prospettive di vecchiaia, percepite dopo carriere molto discontinue.

Negli ultimi 20 anni è stata varata una serie di provvedimenti legislativi che hanno contribuito a regolare la materia riguardante le occupazioni e le professioni del sociale.
Una parte di questi hanno avuto lo scopo di definire e regolamentare la materia sul versante della domanda di operatori; dall’altra sono stati emanati provvedimenti sulle attribuzioni di competenze circa queste figure (individuazione dei profili, formazione, etc.) fra stato e regioni; dall’altra ancora sono state varate leggi che regolamentano l’offerta, in particolare accademica, attraverso le definizioni dei percorsi e delle classi di laurea. Al momento vi sono tre livelli formativi, ciascuno dei quali corrisponde a dei livelli nel rank delle occupazioni e delle professioni:
1)Il livello regionale di formazione professionale, a cui compete la formazione di operatori che si collocano prevalentemente intorno al livello V della scala NUP-06. La figura più importante che scaturisce da questo livello formativo è quella dell’Operatore socio-sanitario (OSS), formalmente istituito con un accordo sancito dalla Conferenza Stato – Regioni tra il Ministro della Sanità, il Ministro della Solidarietà Sociale, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano in data 22 febbraio 2001. Tale provvedimento è stato poi recepito da ciascuna Regione con propri atti. Il profilo dell’OSS fa confluire, all’interno della stessa figura professionale, mansioni socio-sanitarie e assistenziali.
2) Il livello universitario, al quale compete la formazione, tramite percorsi di laurea triennale o specialistica delle seguenti figure:
- Assistente sociale; figura che ha ricevuto un riconoscimento giuridico solo tramite la riforma universitaria del 1999 (classe di laurea L-6 che verrà codificata in L-39, LS 57 in LM- 87).
- Educatore professionale, il cui riconoscimento come figura professionale è sancito dal DM n. 520/1998 (classe di laurea L-18 in L-19, LS 56 in LM-50, LS 65 in LM 57 e LS 87 in LM- 85).
- Psicologo, il cui ordinamento professionale è definito dalla legge n. 56/1989 (classe di laurea L-34 in L-24 e LS 58 in LM-51).
- Sociologo (classe di laurea L-36 in L-40 e LS 89 in LM-88);
3) Esiste anche un livello intermedio, il Tecnico dei servizi sociali, figura individuata nell’ambito del decreto ministeriale della Pubblica Istruzione del 15/4/1994. Questa figura è prevista svolgere compiti di programmazione di intervento e gestione delle relazioni con utenti e operatori nell’ambito delle strutture sociali del territorio. Fa capo all’istruzione secondaria tramite gli Istituti Professionali di Stato per i Servizi Sociali che conferiscono la qualifica di operatore dei servizi sociali (triennio) ed il diploma di tecnico dei servizi sociali (biennio ulteriore, successivo alla qualifica di operatore). Il possesso di questo diploma non identifica in senso stretto una figura professionale, in quanto né il comparto sociale né il comparto della sanità riconoscono sufficiente questa formazione per permettere il loro inquadramento nei propri servizi.
Di difficile collocazione quanto a base formativa è la figura del Mediatore linguistico-culturale, per il quale esistono dei master presso alcune Università (ad es. Università di Verona) ma che prevalentemente annovera persone di madrelingua che in alcune regione vengono preparate da corsi regionali e in altre in corsi di enti privati o del privato sociale.
Le professioni sociali di rilievo nazionale sono regolamentate dalla normativa statale
L’Assistente Sociale
L’Educatore Professionale
L’Operatore Socio Sanitario
Tecnico dei Servizi Sociali

􀂃 Tecnico dei servizi sociali
La figura del Tecnico dei servizi sociali è stata individuata nell’ambito del Decreto Ministeriale della Pubblica Istruzione del 15/4/1994 e nasce dalla necessità di creare una nuova figura professionale che sia in grado da una parte di conoscere, informare, inviare e dall’altra di programmare, attivare sinergie e gestire relazioni, sia sul fronte degli altri operatori che su quello degli stessi utenti.
􀂃 Figura e profilo
Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione del 15/4/1994
“Programmi ed orari di insegnamento per i corsi post – qualifica degli Istituti professionali di Stato”
Il Tecnico dei servizi Sociali:
− ha competenze per inserirsi con autonome responsabilità in strutture sociali operanti sul territorio con capacità di adeguarsi alle necessità e ai bisogni mutevoli delle comunità sia permanenti sia occasionali;
− è in grado di programmare, interagendo eventualmente con altri soggetti pubblici e privati, interventi mirati in ordine alle esigenze fondamentali della vita quotidiana ed ai momenti di svago, ne cura l’organizzazione e l’attuazione valutandone l’efficacia;
− è capace di recepire le nuove istanze emergenti dal sociale, con approccio tempestivo ai problemi e la ricerca di soluzioni corrette dal punto di vista giuridico, organizzativo, psicologico e igienico sanitario, e di promuovere iniziative adeguate.
􀂃 Ruolo e funzioni
Il tecnico dei servizi sociali:
− deve consolidare le abilità “tecniche” relative alla capacità di saper programmare un intervento in tutte le sue varie fasi:
a) accertamento pre – requisiti di base e/o livelli di partenza e/o analisi delle risorse e dei vincoli presenti nel territorio;
b) definizione degli obiettivi (breve, medio e a lungo termine);
c) metodologie operative (mezzi, strumenti e strategie operative);
d) verifica;
e) valutazione
− deve possedere gli strumenti metodologici per: osservare, esplorare, individuare le esigenze e/o i problemi presenti nel territorio;
− deve possedere gli strumenti metodologici per individuare le risorse e i vincoli presenti nel territorio e/o nella rete sociale;
− proporre strategie operative differenziate per accrescere le risorse presenti nel territorio e diminuirne i vincoli;
− deve possedere le abilità gestionali necessarie al processo di definizione delle regole di relazione tra operatore/utente/struttura/famiglia/rete sociale;
− deve saper valutare l’intervento dal punto di vista giuridico, psicologico, amministrativo e medico – sanitario;
− possedere le conoscenze sul funzionamento dei Servizi Sociali presenti nel territorio.
Il tecnico dei servizi sociali dovrebbe, dunque, da un lato saper programmare un intervento (e più specificatamente saper accertare i pre-requisiti di base o saper individuare le risorse presenti nel territorio), dall’altro, possedere le abilità gestionali nella conduzione dei rapporti sul fronte degli operatori e degli utenti.
􀂃 Competenze
a) Il tecnico dei servizi sociali deve possedere conoscenze e informazioni:
− delle teorie e tecniche del colloquio;
− delle teorie e tecniche di conduzione del gruppo;
− delle tecniche di gestione di risorse umane;
− delle tecniche di osservazione;
− delle metodologie per la costruzione di una scheda di valutazione;
− dei principi di organizzazione;
− degli strumenti e metodologie per la valutazione dei dati;
b) deve possedere capacità operative di:
− interpretazione dei risultati delle osservazioni;
− predisposizione del materiale metodologico – programmatico;
− organizzazione del setting e della struttura dell’incontro;
− analisi e attivazione delle risorse umane;
− suddivisione delle competenze e demarcazione dei confini;
− ipotesi di soluzione ai problemi;
− gestione dell’incontro con nucleo familiare/struttura/rete sociale;
− gestione dell’incontro con gli operatori coinvolti;
c) deve mettere in atto comportamenti relazionali quali:
− pianificare il proprio lavoro;
− fornire sostegno e supporto nella relazione;
− capacità di contatto e di supporto al clima emozionale all’incontro;
− attivare sinergie;
− attitudine al potenziamento delle risorse umane;
− costante capacità di auto – osservazione;
− atteggiamento orientato alla verifica del risultato del proprio lavoro;
− interloquire con le figure professionali coinvolte;
− lavorare in staff e/o èquipe.
􀂃 Contesti operativi
Il tecnico dei servizi sociali svolge la propria attività nei riguardi di soggetti di diversa età (bambini, anziani, portatori di handicap) per promuovere e contribuire allo sviluppo delle potenzialità di crescita personale e/o di inserimento e partecipazione sociale.
Egli si inserisce in maniera articolata in situazioni pubbliche e private, dovunque sorga e si sviluppi un momento di vita comunitaria.
􀂃 Fasi del processo lavorativo del tecnico dei servizi sociali
Il processo lavorativo può essere distinto nelle seguenti fasi:
− presa in carico dei casi problematici;
− analisi della situazione problematica;
− attivazione delle risorse multidisciplinari;
− cooperazione tra le diverse figure professionali;
− definizione di un contesto di fiducia e di sostegno;
− ricerca, proposta e stimolo di più soluzioni alternative ai problemi in questione;
− collaborazione con strutture specialistiche idonee alla risoluzione del caso. 

La tabella di seguito riportata indica le principali leggi nazionali di settore e le figure professionali del sociale previste in ciascun atto normativo (Fonte: elaborazione Isfol su normativa nazionale).

SETTORE
FONTE LEGISLATIVA
FIGURE PROFESSIONALI
Consultorio
L. 405/1975
“Istituzione di Consultori familiari”
“….Personale in possesso di titoli specifici in una delle seguenti discipline: medicina, psicologia, pedagogia, assistenza sociale”.
Infanzia e adolescenza
L. 285/1997
“Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”
Operatori educativi
Tossicodipendenze
DPR 309/1990
“Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanza psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”
SER.T. – Servizio per le Tossicodipendenze
L. 45/1999
“Disposizioni per il fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga e in materia di personale dei servizi per le tossicodipendenze”
Psicologo
Assistente sociale
Educatori professionali e di comunità
Immigrati
L. 40/1998
“Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”
DLgs 286/1998
“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”
L.189/02
“Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo”
Mediatori interculturali
Disabili
L. 104/1992
“Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”
L. 162/1998
“Modifiche alla legge 5 febbraio 1992 n.104 concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave”
L. 68/1999
“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”
Personale in possesso di specifica formazione psico – pedagogica
Centri per la giustizia minorile
DLgs 272/1989
“Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del DPR 448/1988 recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”
Personale di servizio sociale e area pedagogica
Esperti in pedagogia, psicologia, sociologia e criminologia  
Centri di Servizio Sociale per Adulti
L. 354/1975
“Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”
Educatori per adulti
Assistenti sociali  
Poche Regioni hanno, infatti, già affrontato in maniera organica il tema disciplinando in maniera unitaria l’impiego degli operatori nei servizi sociali. Alcuni degli esempi in più avanzato grado di elaborazione sono l’Emilia-Romagna, che ha definito un più generale “Sistema Regionale delle Qualifiche” e un “Sistema Regionale di Formalizzazione e Certificazione delle Competenze”30; la Toscana, che ha intrapreso un percorso simile con la definizione di un generale “Repertorio Regionale delle Figure Professionali (RRFR)31” e di un “Repertorio Regionale dei Profili Professionali”32, le Marche); diverse regioni hanno cominciato a definire a strutturare un sistema (es. Liguria33) mentre alcune sono ancora ai nastri di partenza di questo percorso (come la Basilicata, la Calabria, …).
Anche le Regioni che già si sono adoperate per una revisione complessiva del sistema delle  professioni impiegate nei settore dei servizi sociali sono in realtà ancora lontane dall’aver completato il processo di riforma/riorganizzazione attraverso l’adozione di tutti i relativi regolamenti applicativi che disciplinano i percorsi formativi delle professioni/qualifiche individuate. A puro titolo esemplificativo si può citare l’esempio della Regione Friuli Venezia Giulia che nella legge quadro di recepimento della L. 328/2000 (LR 6/2006) ha disciplinato l’insieme delle professioni che possono operare in ambito sociale, ma non ne ha ancora completata la definizione dei relativi percorsi formativi (cfr. “l’animatore sociale” e/o “l’operatore dell’inserimento lavorativo” o ancora “i percorsi di ri-qualificazione ad Operatore Socio-Sanitario per i tecnici dei servizi sociali formati dall’Istituto Professionale di Stato”).
Questa situazione da work in progress si riscontra anche per la figura dell’Operatore Socio- Sanitario, frutto di un accordo nella Conferenza Stato-Regioni che data ancora 22 febbraio 2001, il cui percorso di introduzione nelle varie regioni è ancora lontano dall’essere pienamente completato in tutte le sue previsioni iniziali e, spesso, nuovamente, con soluzioni differenziali a seconda dei territori. Due esempi: - il primo riguarda la possibilità di definizione di un percorso di formazione complementare in sanità che è stata realizzato, con denominazioni diverse, solo in alcune regioni come, ad esempio, il Friuli Venezia Giulia e Toscana (OSS-C: Operatore Socio- Sanitario con formazione complementare in assistenza sanitaria) e il Veneto (OSS-S: Operatore Socio-Sanitario Specializzato; da notare la diversità di denominazione);
- il secondo esempio riguarda la possibilità di attivazione di altri percorsi di formazione complementare nei cd. “moduli tematici integrativi”, che oltre al corso di qualificazione di base per OSS prevedono moduli di formazione integrativi, mirati a specifiche utenze e specifici contesti operativi, quali utenti anziani, portatori di handicap, utenti psichiatrici,
malati terminali, contesto residenziale, ospedaliero ed ospedalizzazione domiciliare, casa alloggio, RSA, centro diurno, domicilio ecc.. Tali percorsi non stati realizzati finora in nessuna regione.
In alcune regioni si può dire che l’avanzamento del riordino organico della materia sia avanzato, anche se questo avviene con forti diversità da regione e regione. Questa constatazione è, in parte, figlia dell’eterogeneità dei sistemi di welfare regionali. In essa tuttavia un ruolo fondamentale è giocato dalla proliferazione delle più varie figure professionali operanti nel settore sociale che vengono formate attraverso la formazione professionale regionale, specie quando ciò avviene grazie all’uso di fondi comunitari.
Se la creazione di figure originali (nella denominazione e nel profilo) esprime una capacità di ascolto del territorio e di risposta alle esigenze locali, dall’altro lato porta a diversità che possono creare difficoltà di governo del processo di formazione degli operatori e di regolazione dei sistemi di welfare. Ciò può infatti rendere problematico il legame del
sistema delle credenziali regionali a quello dei sistemi sovra-regionali, con ricadute sulla mobilità della forza lavoro del sociale e sulla coerenza delle carriere individuali.
Anche qui proponiamo alcuni esempi:
In alcuni casi si riscontrano percorsi formativi che rispondono a specifiche previsioni normative regionali come nel caso della Regione Friuli Venezia Giulia, per quanto riguarda gli “operatori in possesso di competenze nei processi di assistenza alla persona”; nella Regione Piemonte per quanto riguarda il “mediatore interculturale” e l’“animatore nei servizi all’infanzia”; nella regione Emilia-Romagna, sempre per il “mediatore interculturale”, o l’”animatore-sociale”, formato attraverso la Formazione Professionale  Regionale, con corsi di 300-500 ore in base all’anzianità ed allo stato professionale; il caso della Regione Toscana, dell’”addetto all’assistenza di base”.  In altri casi, le qualifiche fornite dai corsi di formazione professionale a livello regionale presentano denominazioni, che non sono confrontabili all'interno della stessa regione, in quanto non riconducibili a figure/qualifiche definite a livello normativo. Ma soprattutto, non sono spendibili in senso più ampio, sul mercato del lavoro nazionale.
Qualche esempio si può trarre ad es. dal caso della Regione Marche, dove le Province producono periodicamente bandi al fine di raccogliere, per così dire “dal basso”, l’offerta di corsi di formazione professionalizzanti da parte di soggetti accreditati. Ebbene, fra gli ultimi corsi approvati, che sono di durata variabile, si trovano: l’operatore di assistenza per lungodegenti, l’operatore per portatori di handicap, operatore dei servizi territoriali, il tecnico delle problematiche socio-educative etc. etc.
I percorsi di riqualificazione, conseguenti all’introduzione della figura dell’operatore sociosanitario, per ADEST, OTA, Assistenti di Base o altre qualifiche dell’assistenza di base precedentemente definite a livello regionale presentano, a volte, differenze marcate fra le Regioni in termini di monte ore e contenuti didattici.
Alcuni esempi: in Regione Friuli Venezia Giulia, il percorso di riqualificazione in OSS richiede 200 ore integrative per gli operatori in possesso della qualifica di Assistente domiciliare e dei servizi tutelari44 (ADEST)45 o della qualifica di Operatore tecnico addetto all’assistenza (OTA)46; in Regione Emilia-Romagna gli stessi percorsi di riqualificazione per
OTA hanno una durata variabile tra le 140 e le 180 ore a seconda dell’anzianità di servizio;
mentre per l’addetto all’assistenza di base la durata si riduce a 95/10 ore, sempre in ragione dell’anzianità di servizio.
In altre Regioni,, come la Puglia, fino al termine del triennio dalla entrata in vigore del regolamento approvato nel 200847, l’operatore OSS può essere sostituito (“equipollenza”) da figure professionali con qualifiche inferiori (OSA, ADEST, OTA, ausiliario) nelle more del completamento del processo di riqualificazione in atto.
Infine, altro caso significativo, la Regione Piemonte prevede un percorso formativo di 360 ore (di cui 225 ore di teoria, di cui 55 ore di rielaborazione dell'esperienza) per operatori privi di qualifica ma con almeno 2 anni di anzianità di servizio a tempo pieno alla data del 30/01/2004, maturati presso servizi di assistenza domiciliare e nei presidi residenziali o semi-residenziali pubblici o privati.
In modo simile, il percorso di riqualificazione ad OSS del tecnico dei servizi sociali prevede la frequenza di un corso di 600 ore in Friuli Venezia Giulia49 e di 440 ore nelle Marche50. Da questo nasce l’opportunità di prevedere un raccordo nazionale, che senza limitare le necessarie autonomie regionali, riguardi alcuni aspetti di carattere generale (nella stessa logica dei livelli essenziali di assistenza e al pari di quanto già realizzato per l’OSS). Nella direzione del riconoscimento interregionale delle qualifiche acquisite si può inquadrare il riconoscimento operato, ad esempio, dalla Regione Emilia-Romagna attraverso due distinte determine del Responsabile di Servizio (n. 1625 e n. 14813 del 2004) relative all’equipollenza delle qualifiche di operatore socio-sanitario tra Regioni.
Non sempre la regolamentazione degli operatori impegnati nei servizi sociali è definita attraverso un provvedimento unitario e organico.
Molto spesso il quadro finale è il frutto di provvedimenti successivi nel tempo che, in genere, rispondono più alle esigenze di disciplinare i processi di autorizzazione al funzionamento e accreditamento dei servizi, che non alla volontà di introdurre una riforma organica sul versante delle occupazioni/professioni sociali.
In merito all’influenza dei processi di regolazione del sistema dei servizi sulle possibilità di impiego degli operatori, un chiaro esempio è offerto dalla Regione Veneto che di fatto non ha ancora una legge quadro regionale di recepimento della L 328/2000, ma ha nel frattempo attivato una corposa produzione in materia di accreditamento che ha prodotto anche una definizione chiara e precisa delle professionalità che possono operare all’interno dei servizi
socio-sanitari della Regione.
Infine, è chiaro come “la necessità di alcuni interventi stia emergendo”: senza entrare nel merito delle “funzioni” (di cui si tratterà più diffusamente nel prosieguo delle azioni di ricerca) si nota, infatti, particolare fermento attorno ad alcune attività legate soprattutto ai fenomeni migratori che hanno caratterizzato (e ancora stanno caratterizzando) il Paese nel suo complesso negli ultimi anni. In particolar modo sono state sviluppate azioni per l’assistenza prestata a favore di persone non autosufficienti presso il loro domicilio spesso in regime di convivenza, ovvero per le cosiddette “assistenti famigliari” o “badanti”, e, similmente, per i mediatori culturali o interculturali. Anche in questo caso si tratta di un percorso ancora decisamente in fieri e in cui, soprattutto per le cd. “assistenti famigliari” (spesso diversamente definite nelle varie Regioni) alla previsione normativa sulla loro istituzione non è sempre seguita l’effettiva definizione del percorso formativo e/o delle modalità attuative di disciplina (es. creazione di uno specifico albo).
La Regione Calabria sta promuovendo con dei bandi in uscita a breve dei percorsi di formazione per “assistente
domiciliare/badante” della durata di 120 ore, il cui percorso formativo non è, però, stato disciplinato, in assenza di un provvedimento che definisca la figura a livello regionale. Solo alcune regioni hanno all’attivo esperienze più definite su questo fronte come nel caso della Regione Emilia-Romagna che ha definito un modello di percorso formativo52 a sostegno della qualificazione dell’assistenza privata a domicilio di 120 ore che costituisce credito per l’accesso al percorso formativo per OSS (NB: al termine del corso non si acquisisce una qualifica ma una dichiarazione di competenze). Simile l’esperienza della Toscana che ha approvato nel Repertorio regionale il profilo professionale di “Assistente familiare” con rilascio di qualifica di II livello europeo al termine di un percorso di formazione della durata di 220 ore (di cui 80 di stage).
Alla luce delle considerazioni sopra esposte è possibile distinguere gli operatori che sono impiegati nel sistema dei servizi sociali in queste categorie:
• Occupazioni/professioni con una disciplina comune a livello nazionale:
􀂃 assistente sociale
􀂃 educatore professionale
􀂃 psicologo
􀂃 sociologo
􀂃 operatore socio-sanitario
􀂃 tecnico dei servizi sociali
􀂃 Occupazioni/professioni presenti in buona parte del territorio nazionale, anche se potenzialmente variamente definite a livello locale e con denominazioni che possono anche variare a seconda del territorio, con curricula formativi ben definiti e discretamente omogenei:
􀂃 operatore tecnico dell’inserimento lavorativo
􀂃 assistente di base o simili
􀂃 animatore sociale
􀂃 mediatore inter-culturale
􀂃 Occupazioni/professioni in fieri, presenti a macchia di leopardo sul territorio nazionale, con denominazioni che possono anche variare a seconda della dislocazione geografica e curricula formativi di breve durata e non ancora particolarmente strutturati:
􀂃 assistente famigliare (“badante”)

Quanto vale per la definizione delle figure professionali e per i relativi canali di formazione si ripercuote anche a livello di informazioni disponibili sull’occupazione nei servizi sociali.
Praticamente non esiste un vero e proprio sistema informativo su questo: solo alcune Regioni hanno, infatti, un quadro sostanzialmente completo degli operatori impiegati nei servizi sociali e delle relative qualifiche. In alcune realtà la principale fonte informativa è rappresentata dall’Indagine ISTAT sui presidi socio-assistenziali la cui scheda di rilevazione viene talvolta integrata, a livello regionale, con la richiesta di altre informazioni (es. Friuli Venezia Giulia). A ciò si aggiunga che la forte eterogeneità e frammentazione delle qualifiche a livello regionale rende anche difficile esperire dei confronti interregionali, se non per macro-categorie molto generiche. Di qui l’importanza di introdurre un nomenclatore per le professioni/occupazioni sociali. L’analisi dei sistemi delle credenziali (titoli di studio, frequenza a corsi professionali, etc.), ha mostrato che, mentre vi sono delle tendenze alla omogeneizzazione per alcune figure professionali, per altre ci si trova di fronte a forti eterogeneità sia per quanto riguarda le denominazioni che i concetti di operatività che ne sono connessi. Consultando la documentazione normativa raccolta dalle diverse Regioni si potrà vedere come alcune regioni abbiamo preferito espandere la propria proposta formativa/applicativa, proponendo titoli di studio assimilabili o concorrenti rispetto a quelli nazionali, alcune altre regioni, invece, hanno preferito concentrarla su figure tendenzialmente omogenee sia rispetto a quelle presenti nella legislazione sulla definizione dei profili professionali, che rispetto a quelle definite dai canali di formazione (nazionali o regionali a seconda delle figure).
L’interrogativo che ci si porrà ora è se sia possibile pensare ad un nomenclatore che possa, almeno in linea di tendenza, affiancarsi o sostenere un processo di confronto/confrontabilità fra i profili delle occupazioni e delle professioni del sociale espressi dalle realtà regionali.
La conclusione che si può trarre dalle riflessioni effettuate sui diversi modi di vedere le occupazioni e le professioni (classificazioni internazionali, teorie delle classi sociali, teorie delle professioni e teorie delle transazioni) è che esistono delle continuità fra i vari approcci.
Ad esempio si è visto che le classificazioni internazionali fatte proprie da fonti ufficiali nazionali (ISCO-88 e derivati) sono parzialmente raccordabili ai principali modelli di stratificazione offerti dagli studi sulle classi sociali. Ma la constatazione più rilevante che affiora dai ragionamenti visti sopra, riguarda la differenza fra le professioni nel senso di ISCO-88 versione originale e le altre occupazioni. Abbiamo visto che, sia utilizzando le logiche per attributi, che quelle di natura dinamica (professionalizzazione, auto/etero regolazioni del mercato del lavoro), si arriva alla conclusione che il termine “professione” è troppo carico di concettualità e significati specifici per essere utilizzato indifferentemente, come accade oggi, per riferirsi a qualsiasi tipo di occupazione o di attività.
Il discrimine fra le occupazioni che si possono considerare professioni (o semi-professioni) e le altre, passa infatti per differenze di status oggettivo, autonomia decisionale, identificazione nel gruppo, associazionismo professionale riconosciuto e, soprattutto, per un sistema di credenziali (titoli di studio necessari per esercitare l’attività). Pensiamo che sia proprio su questo sistema delle credenziali che si centrerà il dibattito dei prossimi anni e le Regioni troveranno di fronte a sé una gamma molto composita di possibili percorsi alternativi di politica a questo riguardo.
La legislazione più recente usa il termine “professione” con molta più circospezione di quanto non avvenga nel dibattito sugli operatori sociali, mostrando così che il legislatore ha presente il problema. Anche ISFOL (2004)59 evita di parlare di professioni sociali e usa il termine più avveduto, come avviene nella normativa (ad es. legge 328), di “figura professionale del sociale”.
Per finire, sconsigliamo l’uso, molto diffuso in verità anche fra gli addetti ai lavori, del termine “professionalità” per designare gli ambiti applicativo-disciplinari di “professioni” o “occupazioni” (psicologi vs educatori vs assistenti sociali, etc.). La professionalità è una qualità del lavoro e della configurazione lavorativa e/o, alternativamente un requisito delle competenze della persona, che idealmente può assumere livelli variabili di intensità ma che non va confusa né con il concetto di professione, né con quello di figura professionale.
Per soddisfare l’obiettivo progettuale di “acquisire una maggiore conoscenza delle dimensioni occupazionali e delle professionalità impiegate nel settore dei servizi sociali e del loro impiego sul territorio” diventa fondamentale capire quali informazioni siano ad oggi disponibili nelle diverse Regioni con riferimento agli operatori sociali, quali le fonti e la loro accessibilità ed affidabilità, sia in riferimento allo specifico delle professioni, sia, necessariamente, più in
generale sui servizi sociali.
Il punto del percorso di sviluppo del SI ( sistema informativo) sui servizi e interventi sociali in cui si trovano ad oggi le diverse Regioni è assai differenziato sia per quanto attiene all’esistenza sostanziale o meno di un sistema informativo che per le sue caratteristiche, quali i settori oggetto di rilevazione e/o le tipologie di servizi coperti. La situazione attuale delle Regioni aderenti al progetto in materia di Sistemi Informativi può essere così sintetizzata per macro-categorie:
1. presenza di un sistema informativo sui servizi e di un sistema informativo sulle occupazioni in ambito sociale (quest’ultimo anche parziale)
a. Emilia – Romagna
b. Marche
c. Piemonte
d. Friuli Venezia Giulia
2. presenza di un sistema informativo prevalentemente centrato sui servizi (anche se a volte solo parziale, con anche dati sulle occupazioni sociali)
a. Toscana
b. Veneto
c. Puglia
d. Umbria
e. Molise (Osservatorio Regionale sui Fenomeni Sociali (O.R.F.S.)
3. assenza di sistema informativo sui servizi e interventi sociali
a. Basilicata63
b. Calabria
Sono solo alcune le Regioni in cui il sistema informativo ha raggiunto un discreto grado di maturità, anche se diverse altre realtà si sono mosse o si stanno muovendo in questo senso, magari limitatamente a qualche servizio/ territorio. Queste esperienze di successo si basano su anni di lavoro sul tema e, al di là delle soluzioni tecniche e organizzative adottate, condividono alcune caratteristiche fondamentali quali:
a) la definizione chiara e condivisa, anche a livello normativo, della struttura responsabile del sistema informativo per garantire un governo chiaro dei vari flussi informativi e la definizione di un’organizzazione stabile dedicata ad occuparsi del sistema informativo in maniera specifica (cfr. Regione Emilia-Romagna e Molise);
b) l’integrazione con altri enti che effettuano rilevazioni in ambito sociale, in particolare con l’ISTAT (per due delle principali rilevazioni inerenti l’ambito dei servizi sociali: l’’”Indagine sulla spesa sociale dei Comuni” e l’”Indagine sui presidi residenziali socio-assistenziali”) e più recentemente anche con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (per il Sistema Informativo della Non Autosufficienza) (cfr. Regione Marche);
c) l’integrazione con i sistemi informativi degli enti territoriali: si tratta di una caratteristica in uno stadio di sviluppo ancora embrionale ma di fondamentale importanza come dimostra la riflessione che su questo punto stanno sviluppando alcune Regioni (es. Regioni Piemonte, Marche e Friuli Venezia Giulia, in cui è allo studio l’integrazione della cartella sociale informatizzata con gli applicativi amministrativi e contabili degli Enti Gestori del Servizio Sociale dei Comuni, mentre in alcuni territori è già integrata con le cooperative che gestiscono l’appalto per l’erogazione del servizio di assistenza domiciliare). Attraverso questa integrazione, infatti, si riduce il carico di lavoro degli operatori che sono tenuti alla compilazione delle rilevazioni in quanto sono gli stessi SI locali che permettono di ottenere real time le risposte alle esigenze conoscitive di enti terzi, addirittura senza chiedere nulla agli operatori stessi (es. tramite
specifici web services, procedure automatiche di estrazione che periodicamente acquisiscono i dati dai gestionali locali e li trasmettono al livello regionale per assolvere al debito informativo);
d) la definizione di modalità comuni di rilevazioni delle informazioni fra indagini diverse (es. con riferimento al personale, Regione Friuli Venezia Giulia).
CALABRIA
Il Sistema Informativo in ambito sociale non è ancora stato attivato. Per acquisire informazioni sullo stato dei servizi sociali, la Regione Calabria può contare, ad oggi, sulle seguenti fonti:
- l’albo delle strutture autorizzate dalla Regione Calabria;
- il report sul servizio di mediazione interculturale e sul Sistema di protezione per richiedenti asilo e per rifugiati;
- il report sull'Assistenza Domiciliare Integrata e sull'assistenza domiciliare sociale del Piano d'azione obiettivi di servizio 2007-2013.

1 commento:

  1. Buongiorno dottoressa,
    sono una studentessa diplomata a luglio 2015 come tecnico dei servizi socio-sanitari. Come lei ha ben sottolineato le difficoltà di inserimento lavorativo sono davvero molte. In modo particolare mi chiedevo se col mio titolo di studio fosse legale esercitare come oss (molti dei miei compagni hanno trovato lavoro così)o se sia una pratica poco pulita da evitare accuratamente per non trovarsi nei guai successivamente. col mio titolo si può partecipare ai concorsi pubblici? e per quali tipi di lavoro? E' possibile lavorare concretamente in strutture come asili nido, centri per anziani o persone con disabilità? infatti nella mia poca esperienza ho riscontrato molte difficoltà da parte del datore di inquadrare la mia figura professionale a livello contrattuale. Inoltre mi chiedevo se anche in Veneto, dove vivo, c'è la possibilità di fare dei corsi integrativi del mio diploma per diventare oss. (ho già provato a fare il corso oss, che ora è a numero chiuso, ma è davvero difficile entrare). Sono davvero felice di aver trovato una persona cosi ben informata come lei e spero che possa aiutarmi a risolvere questi miei dubbi.
    Un cordiale saluto. Francesca.

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