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giovedì 10 gennaio 2013

FORMAZIONE E DIMENSIONI AFFETTIVE - RAPPORTO PEDAGOGIA E AFFETTIVITA'




Spadafora G., contributo in F. Cambi (a cura di), NEL CONFLITTO DELLE EMOZIONI. Prospettive pedagogiche, Roma, Armando Editore, 1988, pp. 81- 92.
Uno dei temi centrali della ricerca pedagogica contemporanea è la ricerca della specificità del sapere scientifico nell’ambito delle scienze umane. Che la pedagogia possa essere considerata un caso specifico delle scienze umane è un tema dibattuto nella cultura pedagogica del Novecento e negli ultimi anni nella ricerca pedagogica italiana e anche in una prospettiva complessiva della pedagogia internazionale. In uno studio di alcuni anni fa (Spadafora, 1992) sostenevo che il problema della specificità della pedagogia dovesse essere considerato strettamente connesso ad un’ipotesi di fondo che fa della pedagogia una scienza umana con alcune sue particolarità, in quanto l’educazione, oggetto centrale della ricerca pedagogica, è sempre stata inevitabilmente limitata, ridotta nell’ambito di altri saperi, in particolare nella dimensione filosofica, politica, psicologica e sociologica.

Secondo questa impostazione di pensiero la caratteristica della pedagogia rispetto, ad esempio, alla psicologia o alla stessa sociologia è la sua “identità negativa” per cui quando il filosofo come nel caso della riflessione gentiliana e deweyana (Gentile, 1982 [1913], Dewey, 1992-[1916]) o in modo ancora più specifico della “philosophy of education” anglosassone si occupa di tematiche educative, in effetti non approfondisce gli aspetti educativi e quindi pedagogici, ma analizza problemi filosofici o quando, parimenti, lo psicologo si occupa di tematiche educative difficilmente riesce a distinguere il senso della tematica educativa da quella psicologica o sociologica e anzi il più delle volte il sapere pedagogico, sapere di “natura mista”, teorico-pratico non è quasi mai distinto dalla dimensione degli altri saperi.
Questa situazione particolare del sapere pedagogico emerge in modo
molto chiaro anche nella stessa ricerca contemporanea che ha cercato di pro pone alcune dimensioni ricostruttive del sapere pedagogico ribadendone la condizione di specificità (Cambi, 1986, Colicchi, 1993, Granese, 1993). Nel dibattito culturale degli ultimi decenni, volendo schematizzare gli orientamenti emersi, si sono approfonditi quattro sentieri di ricerca per una fondazione critica del sapere pedagogico.
Si è sviluppata in modo molto differenziato una riflessione filosofica sui valori e sui legami tra l’educazione e la classificazione dei valori, che ha sempre trovato nei vari approcci di filosofia dell’educazione uno dei suoi punti di riferimento più specifici. In particolare, nella riflessione analitica anglosassone della “philosophy of education”, che considera la riflessione analitica del linguaggio pedagogico uno dei suoi temi fondamentali, l’educazione rappresenta uno dei tanti oggetti della riflessione filosofica, per cui non si pone un problema di specificità del sapere pedagogico ma l’educazione è un aspetto della riflessione filosofica, un semplice oggetto di indagine al pari della politica, del linguaggio, dell’etica ecc.
Un’altra via di fondazione della pedagogia è fornita da un approccio che potremmo definire sistemico e cioè un approccio che considera la pedagogia un articolato fascio di discorsi filosofici, politici, pratici, scientifici che non si sintetizzano dialetticamente attraverso le connessioni espresse, ma che rientrano nella trama concettuale di una complessità di rapporti che rimanda da una dimensione all’altra, senza mai trovare una sintesi significativa, secondo la concezione sistemica che più volte è stata richiamata dall’analisi di Luhmann, anche in una prospettiva pedagogica.
Un approccio più recente e che non ha ancora radicalmente sviluppato le sue prospettive di ricerca è quello che potremmo definire sintetico, per certi versi già proposto dal “paradigma delle scienze dell’educazione” con le metafore dell’ingegneria e della medicina legata alle trasformazioni pratiche che il sapere pedagogico può determinare nell’organizzazione scolastica dell’apprendimento. In questa prospettiva un recente lavoro sulla concezione dell’ ”assoluto pedagogico” di Laporta è uno dei tentativi più organici di cogliere attraverso il concetto di “riduzione empirica” della libertà dell’educando uno degli aspetti più complessi della pedagogia. Questo orientamento si esplica proprio nella possibilità di sintetizzare la pedagogia in una dimensione unitaria, in quanto essa è crocevia di saperi in cui si sintetizzano sia la categoria valoriale che quella descrittiva, anzi si avvale più di altri saperi dei contributi di altri programmi di ricerca (Laporta, 1996).
Un ultimo filone di ricerca — che probabilmente ha avuto in Banfi e nel suo concetto, non pienamente sviluppato di “trascendentalismo dell’educazione” una delle fonti più significative —, è quello che si lega strettamente al tentativo di cogliere in una specificità pedagogica un regolatore in senso “trascendentale critico” della tradizione e dello sviluppo degli altri saperi (Banfi, 1986). In particolare, bisogna rilevare come la ricerca di uno specifico pedagogico sia soprattutto la ricerca delle categorie pedagogiche, come l’apprendimento, la cura, la coltivazione, la crescita, che sono studiate nell’ambito di altri saperi e che hanno però un ruolo fondamentale non “disvelato” pedagogicamente.
Basti pensare alla centralità della crescita e dello sviluppo dal punto di vista filosofico e biologico e, quindi, al ruolo di chiarificazione che queste categorie potrebbero avere dal punto di vista pedagogico in rapporto alla comprensione delle discipline biologiche, psicologiche, ecc. (Massa, 1986, Granese, 1984).
In queste prospettive di ricerca, filosofica, sintetica, sistemica e del rinvenimento di uno specifico pedagogico, rimane il problema di fondo: chiarire il ruolo dell’educazione e, di conseguenza, della pedagogia rispetto agli altri saperi. In effetti anche nell’ipotesi, per altro fondamentale, pur se non pienamente sviluppata da Banfi del “trascendentalismo” dell’educazione, della “curvatura” nei confronti di altre dimensioni concettuali e, in primo luogo, della filosofia, l’oggetto educazione non è chiarito all’interno degli altri saperi epistemologicamente fondati. Il problema centrale è quindi la chiarificazione del concetto di educazione all’interno di contesti disciplinari che hanno sempre assorbito la problematica educativa all’interno della ricerca filosofica, scientifica, politica.
E’ indubbio, però, che la pedagogia, proprio per porsi come sapere specifico sull’educazione, si propone in modo diverso rispetto alla filosofia intesa come riflessione generale sui problemi, rispetto alla ricerca scientifica (per quanto attiene alla tematica educativa nelle dimensioni della psicologia e della sociologia), intesa come capacità di controllo delle prospettive della ricerca educativa e, soprattutto, nei confronti della prassi politica, intesa come azione volta alla trasformazione specifica delle situazioni interpersonali e del sociale.
Ma quello che è l’elemento centrale della distinzione della pedagogia dagli altri saperi e il suo oggetto di indagine e cioè l’educazione. L’educazione costituisce inevitabilmente l’oggetto di riflessione di un sapere, la pedagogia, che riflette in maniera complessiva sull’oggetto educazione e, nel contempo, determina le possibilità di cogliere gli aspetti educativi degli altri saperi e delle altre pratiche.
La fondazione del sapere pedagogico, quindi, si basa sull’accettazione che l’educazione non solo è l’oggetto di identificazione specifico della pedagogia rispetto alle altre scienze umane, che è stato storicamente negato all’interno di altri contesti disciplinari, ma è anche l’ipotesi da cui partire per fondare una pedagogia critica.
La pedagogia, in quanto teoria iuxta propria principia, non può autocomprendersi che nella considerazione della struttura ambivalente dell’ educazione. L’educazione può caratterizzarsi come una struttura concettuale autosufficiente di cui la pedagogia è il momento di riflessione, ma questa autosufficienza non la esclude dai rapporti con altre dimensioni della conoscenza.
Anzi è proprio da queste connessioni che nascono inevitabilmente per la particolarità del suo oggetto di studio, l’educazione (con la filosofia, con la psicologia, con la sociologia, con la biologia), le prospettive di senso che la pedagogia può conferire anche agli altri saperi. E’ quindi nell’ambivalente struttura di fondazione che si può cogliere la dimensione problematica del sapere pedagogico, indipendente in quanto riflessione sull’educazione, ma nello stesso tempo fondamentale per costruire secondo una prospettiva pedagogica le dimensioni educative della filosofia, della psicologia, della sociologia, dell’etica e della prassi politica.
Le prospettive di senso della ricerca pedagogica non possono essere alimentate che da una radicale teorizzazione sulla sua struttura ambivalente, costitutiva e regolativa, che riflette sull’educazione nella sua globalità, ma nello stesso tempo orienta le prospettive di ricerca nell’individuazione e nella regolazione delle categorie pedagogiche dello sviluppo, della coltivazione e della cura che inevitabilmente ineriscono alla dimensione costitutiva di altri saperi.
Le due categorie che potrebbero chiarire il problema di una fondazione della pedagogia come sapere iuxta propria principia sono quelle della formazione e dell’intersoggettività, categorie in cui il significato della pedagogia come sapere “progettuale” può essere definito nella sua complessità e in particolar modo nell’apertura di senso che queste problematiche possono determinare nei confronti del concetto di affettività, che può essere considerato come un luogo indistinto di complessità relazionali in cui le dimensioni della processualità del soggetto in formazione e dell’intersoggettività trovano un momento di notevole riflessione critica. Comprendere, sia pure sotto forma di ipotesi preliminare, la relazione tra pedagogia e affettività risulta, come già si comincia ad approfondire nell’ambito del dibattito pedagogico contemporaneo (Cambi, 1996) un problema determinante per comprendere il significato fondante della pedagogia come sapere specifico, costitutivo e regolativo al tempo stesso. Il rapporto pedagogia/affettività, in quanto fondante non può che essere ricercato se non in alcuni nodi centrali della ricerca filosofica e epistemologica contemporanea.

1. Formazione, pedagogia, affettività
Il problema della formazione della soggettività ha sicuramente nel rapporto con la filosofia contemporanea uno dei punti centrali di intersezione, basti considerare il ruolo che il tema della Bildung ha nel dibattito ermeneutico, che addirittura, a parere di alcuni critici americani e anglosassoni, presenta il grande limite di avere privilegiato la dimensione formativa a quella gnoseologica. In effetti la caratteristica fondamentale della formazione intesa come Bildung è l’acquisizione per stadi della soggettività, acquisizione che esprime un continuo processo di svolgimento della soggettività. Questo aspetto della formazione come acquisizione di stadi successivi è chiarito in due momenti particolarmente significativi delle vicende della filosofia idealistica e neoidealistica e cioè nella Fenomenologia dello spirito hegeliana e nella riflessione sul processo formativo di Gentile che, in quanto neohegeliano e, addirittura, “riformatore” della dialettica hegeliana, trova nella riflessione pedagogica uno dei momenti significativi per chiarire il senso del concetto di formazione.
Il significato della Fenomenologia dello spirito hegeliana è fondamentale in quanto esprime, attraverso la sua “duplicità di impianto” un percorso formativo del soggetto in rapporto al travaglio delle figure filosofiche e storiche che sono strettamente connesse a questo processo di formazione. E stato già messo in rilievo come ci sia una forte presenza pedagogica nell’opera hegeliana tanto da essere definita un “poema pedagogico” e altrove ho analizzato lo sviluppo delle figure della Fenomenologia dello spirito in rapporto alloro significato pedagogico (Spadafora, 1994).
Quello che si può evidenziare, prendendo spunto dall’opera hegeliana, è che il concetto di formazione si presenta come una “interiorizzazione” che accoglie e sviluppa al suo interno le varie figure dello sviluppo del soggetto nei confronti del vero, ed esprime uno sviluppo travagliato di acquisizioni successive che si realizzano nella dimensione dell’ assolutezza. Vi sono due concetti del lessico hegeliano della Fenomenologia, Erinnerung e Wahrnehrnung, che dimostrano come la soggettività, per l’idealista Hegel, non rappresenti una figura chiara e distinta ma una complessa trama di dimensioni che sviluppandosi mostrano una soggettività estremamente complessa. L’Erinnerung è un insieme di “memoria e interiorizzazione”, laddove la Wahrnehmung, figura su cui molti autori hanno profondamente riflettuto si presenta come il rapporto del soggetto tra «forza, intelletto, fenomeno e mondo sovrasensibile» (Gadamer, 1974).
In altri termini, lo sviluppo del soggetto esprime una processualità complessa, rappresentata dallo sviluppo sussistente tra interno e esterno, tra coscienza e apparenza e che sfocia inevitabilmente nel problema dell’autocoscienza. E in questa figura, come è noto, che attraverso il rapporto “pedagogico” signoria-servitù, autorità-libertà, il soggetto può dare forma alla sua esistenza, superando le scissioni e le contraddizioni. E in questa prospettiva la figura della “coscienza infelice” è sicuramente tra le più significative, se non la più significativa nell’ambito delle figure della Fenomenologia.
In questi brevi e molto schematici richiami, vi è da rilevare come la caratteristica che emerge con chiarezza da alcuni luoghi della Fenomenologia è la centralità del processo di formazione come svolgimento progressivo e cumulativo dell’attività spirituale che ascende dal particolare all’assolutezza del concetto, per cui la formazione è una processualità in continuo sviluppo che coinvolge la coscienza e l’apparenza, il sentimento e la ragione nel raggiungimento di una Versòhnung, di una conciliazione che trova nell’organicità la possibilità della conciliazione tra il soggetto e la storia.
In questa prospettiva di ricerca si può senz’altro affermare che la formazione per l’idealista Hegel ha un profondo legame sia con il problema dello sviluppo come accumulazione progressiva di stadi, sia con la ricerca della conciliazione tra ragione e sentimento.
Dove questa concezione della formazione diventa chiaramente espressa come pedagogica è nella riflessione gentiliana del Sommario di pedagogia, riflessione che Gentile nella prima parte intitola espressamente L’uomo, dopo avere giustificato la necessaria “risoluzione” della pedagogia nella filosofia (Spadafora, 1996).
Il confronto serrato tra la filosofia e la pedagogia attraverso una riflessione anche su aspetti della psicologia così come era trattata nell’epoca (significativo ad esempio è il cap. VII dal titolo La percezione, l’inconsciente e la misura dei fatti psichici) permette a Gentile di misurare la “concretezza” della sua filosofia dell’Atto nella pedagogia che, intanto può risolversi nella filosofia, in quanto è “scienza della formazione dello spirito”. La riflessione gentiliana ha in comune con la matrice hegeliana della Fenomenologia la considerazione che la formazione è una riflessione sullo sviluppo del soggetto per stadi acquisitivi e che ha, — e questo è sicuramente un elemento ulteriore rispetto alla concezione hegeliana —, nella struttura del discorso pedagogico una sua significativa e esplicita chiarificazione. I nodi hegeliani e gentiliani fondano, per così dire, una concezione della formazione organica e determinata dallo sviluppo di stadi progressivi della soggettività.
Questo “paradigma”, filosoficamente, è già posto in discussione dalla riflessione di Nietzsche, della Seconda considerazione inattuale, in cui il filosofo tedesco mette in rilievo l’importanza dell’emergere problematico, Entstehung, della vita in relazione al flusso della storia, e ha alcuni sviluppi e nodi significativi nella riflessione di Dewey e dell’ermeneutica contemporanea, in particolare nella versione gadameriana.
Nella riflessione di Dewey, ad esempio, assistiamo alla problematicità della filosofia come formazione e al legame di questi aspetti alle dimensioni estetiche e dell’immaginazione”. Basti pensare alla sua riflessione nel caratterizzare il rapporto tra esperienza e natura, tra esperienza e estetica, tra ragione e sentimento, tra ragione e senso “religioso”, rapporto incerto, rischioso e problematico, che assume la dimensione di una vera e propria transazione e cioè di un rapporto di reciprocità biunivoca tra il soggetto e l’oggetto. Lo stesso problema è affrontato in modo raffinato nel tentativo gadameriano nelle prime formulazioni di Verità e metodo, di cogliere proprio nel “trascendimento estetico” del soggetto, trascendimento che implica uno stretto rapporto con i sensi e le emozioni le dimensioni della soggettività (Gadamer, 1974). Tanto è vero che nella fondazione della “teoria ermeneutica” il filosofo marburghese si intrattiene con grande interesse sulle metafore di “gioco” e di giocatore e soprattutto sul concetto di Verwandiung e cioè di “trasmutazione in forma” che significa “l’autonomo modo di essere di ciò che abbiamo chiamato forma” (Gadamer, 1974).
La formazione non è espressione dell’ appartenenza al nucleo concettuale originario ma è strettamente connessa con le contestualizzazioni di senso della soggettività. Il significato complessivo di questa riflessione sul concetto di formazione è, dunque, la rilevazione che esso è profondamente mutato in quanto da una prospettiva organica, come era stata quella progettata nella Fenomenologia dello spirito hegeliana e portata all’estremo compimento pedagogico da Giovanni Gentile si è passati, nelle prospettive della filosofia contemporanea, ad una dimensione problematica e complessa che già si intravede nella critica nietzschiana al concetto di storia e che ha sicuramente, nella riflessione deweyana e in quella gadameriana, uno degli elementi di maggiore chiarificazione.
Il concetto di formazione non è più espressione di una progressiva accumulazione di stadi progressivi ma esprime uno sviluppo problematico e non progressivo della soggettività. Questa problematicità ha proprio nel mondo del “trascendimento estetico”, e della tensione affettiva uno dei momenti centrali di riferimento, centrali in quanto riesce a cogliere quell’ulteriorità di senso che deve essere compresa per poter determinare il cambiamento del soggetto.
Si può senz’altro affermare che il significato pedagogico del rapporto soggettività/eticità risiede proprio nella complessiva dimensione affettiva, anzi il luogo della pedagogia come momento di riflessione ha la sua specifica fondazione nelle strutture fenomenologiche del mondo dell’ immaginazione e dell’ affettività, ma in una dimensione di maggiore problematicità rispetto alla riflessione freudiana sull’inconscio (Gaston, 1987).
La pedagogia, quindi, deve riflettere e, eventualmente intervenire su categorie quali l’apprendimento, la coltivazione, la cura, e quindi deve riflettere e agire di conseguenza sulla relazione affettiva. Ma per riflettere ulteriormente su questa necessaria apertura di senso della pedagogia della categoria dell’ affettività è utile focalizzare alcuni punti della relazione intersoggettiva così come sono esemplificati in alcuni momenti significativi della filosofia contemporanea.

2. Intersoggettività, pedagogia, e affettività. Un’ipotesi provvisoria
Se il problema della formazione è uno dei nodi della ricerca sulle dimensioni della pedagogia e dell’affettività, il momento che chiarisce ulteriore- mente questa relazione fondamentale è fornito dal concetto di intersoggettività. Come è abbastanza noto, il problema dell’intersoggettività è stato affrontato in modo radicale dal punto di vista filosofico dalla corrente fenomenologica husserliana. Dal punto di vista pedagogico il problema della relazionalità, per altro più proposto che sviluppato in modo approfondito, non è stato affrontato con chiarezza. E risultato più tranquillizzante analizzare infatti, e di conseguenza, intervenire nell’ambito della relazione educativa, in particolare, nelle dinamiche dell’insegnamento-apprendimento affidandosi alle dimensioni della didattica di orientamento cognitivista, trascurando invece che proprio Piaget orientato ad una riflessione biologica e psicologica per stadi evolutivi della conoscenza ammetteva il suo non coinvolgimento nella problematica didattica (Piaget, 1965, Aebli, 1980). Per cogliere il significato pedagogico della relazione intersoggettiva e la centralità della dimensione affettiva in questo contesto, fondamentali ci sembrano, ancora una volta, il contributo pedagogico gentiliano e “attivistico” ed alcuni riferimenti pedagogici che possono essere dedotti dalle prospettive ermeneutiche.
L’intersoggettività. secondo una prospettiva idealistica e, in questo caso è ancora la riflessione di Gentile ad essere centrale, si basa principalmente sul fatto che la comunicazione educativa è un problema strettamente connesso all’ intersoggettività relazionale. Basti pensare alla riflessione sul concetto di “sintesi a priori” nel rapporto educatore-educando così come viene sviluppata dalla riflessione gentiliana (Gentile, 1982 [1913]) e già criticata dalla sua prima formulazione.
Gentile parla di una “risoluzione della dualità nell’atto educativo” che pone un problema centrale nella riflessione pedagogica del resto considerata centrale per colmare il vuoto che sul problema dell’intersoggettività dal punto di vista filosofico era stato rilevato dallo stesso filosofo.
Il problema teoretico che emerge dalla relazione educativa secondo l’interpretazione gentiliana è che necessariamente una relazione educativa si costituisce quando l’educando “assorbe” nella sua soggettività i valori spirituali e, di conseguenza, anche affettivi dell’educatore. In altri termini, l’equilibrio dell’apprendimento che sostanzialmente è fenomeno intersoggetti - vo, cioè si fonda sulla dimensione intersoggettiva, si basa sulla fusione spirituale, che secondo una terminologia più moderna si configura fenomeno- logicamente come una condivisione empatica, una Einfuhlung di cognizioni e di tensioni affettive tra i due soggetti per cui se non vi è l’empatia intersoggettiva è inevitabile che la risoluzione della dualità in una intersoggettività più ampia non avviene.
Un altro nodo fondamentale del rapporto intersoggettivo secondo la prospettiva gentiliana è il rapporto libertà-autorità che nella relazione maestro- allievo è fondato proprio sul rapporto educativo. E’ la condizione cristiana dell’amore come donazione soggettiva che fa rivelare a Gentile il senso dell’unione tra due soggetti.
Quindi, al di là della discussione se la concezione della relazione intersoggettiva in Gentile sia una monade senza finestre o il risultato più significativo di una formazione concretamente determinata del soggetto, è indubbio, sia pure in una prospettiva idealistica che la tensione affettiva, l’amore idealisticamente inteso, fonda la relazione educativa. Molti aspetti dell’attivismo improntato ad una riflessione pedagogica e didattica “serena” nei confronti del mondo dell’infanzia, sicuramente hanno nella concezione idealistica della intersoggettività uno dei momenti centrali di riferimento. E indubbio, quindi, che dal punto di vista pedagogico la relazione educativa è connessa alla dimensione affettiva, rinforzando la tesi di una correlazione tra affettività e pedagogia determinante per cogliere le stesse prospettive di senso della riflessione pedagogica e della conseguente azione educativa.
La stessa problematica dell’intersoggettività è ancora più evidente se rapportata al grande interesse che l’ermeneutica, sia nella riflessione gadameriana che in quella di Habermas e di Apel, ha mostrato per la relazione intersoggettiva.
In effetti, il problema posto dall’ermeneutica, e in modo molto più esplicito dall’ultimo Gadamer, si collega al fatto che nella relazione intersoggettiva il concetto di interpretazione, di “disoccultamento di ciò che è occultato” riaffiora in modo significativo.
Anzi, il problema dell’interpretazione come “teoria ermeneutica” dell’evento, gioca il suo ruolo determinante di “decostruzione” di senso e di “orientamento” di valore nel rapporto comunicativo tra persone, rapporto linguistico e valoriale, che vuole sfuggire all’armonia e alla “consonanza psicologica” tra individui come era stato riaffermato dall’ermeneutica di ispirazione romantica (Betti, 1990) e vuole, invece, costruire una concezione che si basa anche sulla problematicità del rapporto tra persone, sulla considerazione che un rapporto interpretativo tra persone deve essere considerato un evento problematico linguistico e affettivo che regola il rapporto tra soggetti.
Le dimensioni della intersoggettività non possono quindi che alimentare questo percorso fenomenologico-ermeneutico che nella pratica psicanalitica ha trovato alcuni orientamenti tra i più stimolanti e che però deve portare a compimento il complesso rapporto interpretativo tra soggetti, già intravisto da A. Freud basato sulla relazione affettiva (A. Freud, 1972[1945]). Anche in questo caso, come è stato rilevato a proposito del concetto di formazione, è nel passaggio da una dimensione organica a una dimensione problematica che si coglie la centralità della relazione affettiva e pedagogica per comprendere il senso e le prospettive della intersoggettività.
Volendo riassumere, considerando il carattere ipotetico-progettuale del presente scritto, vi è da rilevare come sia il concetto di formazione, sia il concetto di intersoggettività, così come sono stati rappresentati in alcuni momenti della riflessione filosofica contemporanea dimostrano inequivocabilmente come la problematica pedagogica sia la condizione di interpretazione di queste categorie.
E indubbio che il concetto di formazione e di intersoggettività rappresentino categorie che implicitamente o esplicitamente possono essere definite pedagogiche, proprio per il carattere tensionale, problematico, tra le ragioni della soggettività e le dimensioni valoriali a cui la soggettività individuale o intersoggettiva tende.
Ma proprio in questa tensionalità critica che emerge sia dalla formazione che dalla intersoggettività ritroviamo il significato profondo del rapporto pedagogia-affettività. In effetti, se la pedagogia è un sapere specifico che riflette sull’educazione e ha una valenza sia costitutiva che regolativa, cioè fenomenologicamente autosufficiente in quanto riflessione sull’educazione, e allo stesso tempo regolativa nei confronti dei saperi e delle pratiche con cui inevitabilmente si confronta la dimensione educativa, la tensione affettiva deve essere considerata uno dei luoghi privilegiati in cui si realizza la riflessione pedagogica e nello stesso tempo si ipotizza l’azione educativa.
In questa prospettiva il pedagogista deve sforzarsi di cogliere i rapporti tra la formazione personale e intersoggettiva e le dimensioni dell’affettività come problemi specificamente pedagogici e di conseguenza può tentare di teorizzare una didattica della relazionalità che oltrepassi, “togliendo e conservando” le proposte della didattica cognitivista, e inserendole in una più ampia prospettiva pedagogica che tenga conto del ruolo fondante dell’affettività. L’educatore e l’insegnante, d’altronde, non possono che prendere atto di uno specifico coinvolgimento nell’azione educativa tenendo conto che essa è determinata da questo costante rapporto tra dimensione pedagogica e problematica affettiva e solo in questa direzione la sua preparazione cultura le e professionale può ottenere significativi risultati.

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