Spadafora G., contributo in F. Cambi (a cura di), NEL CONFLITTO DELLE EMOZIONI. Prospettive
pedagogiche, Roma, Armando Editore, 1988, pp. 81- 92.
Uno
dei temi centrali della ricerca pedagogica contemporanea è la ricerca della
specificità del sapere scientifico nell’ambito delle scienze umane. Che la
pedagogia possa essere considerata un caso specifico delle scienze umane è un
tema dibattuto nella cultura pedagogica del Novecento e negli ultimi anni nella
ricerca pedagogica italiana e anche in una prospettiva complessiva della
pedagogia internazionale. In uno studio di alcuni anni fa (Spadafora, 1992)
sostenevo che il problema della specificità della pedagogia dovesse essere
considerato strettamente connesso ad un’ipotesi di fondo che fa della pedagogia
una scienza umana con alcune sue particolarità, in quanto l’educazione, oggetto
centrale della ricerca pedagogica, è sempre stata inevitabilmente limitata,
ridotta nell’ambito di altri saperi, in particolare nella dimensione
filosofica, politica, psicologica e sociologica.
Secondo
questa impostazione di pensiero la caratteristica della pedagogia rispetto, ad
esempio, alla psicologia o alla stessa sociologia è la sua “identità negativa”
per cui quando il filosofo come nel caso della riflessione gentiliana e
deweyana (Gentile, 1982 [1913], Dewey, 1992-[1916]) o in modo ancora più
specifico della “philosophy of education” anglosassone si occupa di tematiche educative,
in effetti non approfondisce gli aspetti educativi e quindi pedagogici, ma
analizza problemi filosofici o quando, parimenti, lo psicologo si occupa di
tematiche educative difficilmente riesce a distinguere il senso della tematica
educativa da quella psicologica o sociologica e anzi il più delle volte il
sapere pedagogico, sapere di “natura mista”, teorico-pratico non è quasi mai
distinto dalla dimensione degli altri saperi.
Questa
situazione particolare del sapere pedagogico emerge in modo
molto
chiaro anche nella stessa ricerca contemporanea che ha cercato di pro pone
alcune dimensioni ricostruttive del sapere pedagogico ribadendone la condizione
di specificità (Cambi, 1986, Colicchi, 1993, Granese, 1993). Nel dibattito
culturale degli ultimi decenni, volendo schematizzare gli orientamenti emersi,
si sono approfonditi quattro sentieri di ricerca per una fondazione critica del
sapere pedagogico.
Si
è sviluppata in modo molto differenziato una riflessione filosofica sui valori
e sui legami tra l’educazione e la classificazione dei valori, che ha sempre
trovato nei vari approcci di filosofia dell’educazione uno dei suoi punti di
riferimento più specifici. In particolare, nella riflessione analitica
anglosassone della “philosophy of education”, che considera la riflessione
analitica del linguaggio pedagogico uno dei suoi temi fondamentali,
l’educazione rappresenta uno dei tanti oggetti della riflessione filosofica,
per cui non si pone un problema di specificità del sapere pedagogico ma
l’educazione è un aspetto della riflessione filosofica, un semplice oggetto di
indagine al pari della politica, del linguaggio, dell’etica ecc.
Un’altra
via di fondazione della pedagogia è fornita da un approccio che potremmo
definire sistemico e cioè un approccio che considera la pedagogia un articolato
fascio di discorsi filosofici, politici, pratici, scientifici che non si
sintetizzano dialetticamente attraverso le connessioni espresse, ma che
rientrano nella trama concettuale di una complessità di rapporti che rimanda da
una dimensione all’altra, senza mai trovare una sintesi significativa, secondo
la concezione sistemica che più volte è stata richiamata dall’analisi di
Luhmann, anche in una prospettiva pedagogica.
Un
approccio più recente e che non ha ancora radicalmente sviluppato le sue
prospettive di ricerca è quello che potremmo definire sintetico, per certi
versi già proposto dal “paradigma delle scienze dell’educazione” con le
metafore dell’ingegneria e della medicina legata alle trasformazioni pratiche
che il sapere pedagogico può determinare nell’organizzazione scolastica
dell’apprendimento. In questa prospettiva un recente lavoro sulla concezione
dell’ ”assoluto pedagogico” di Laporta è uno dei tentativi più organici di
cogliere attraverso il concetto di “riduzione empirica” della libertà
dell’educando uno degli aspetti più complessi della pedagogia. Questo
orientamento si esplica proprio nella possibilità di sintetizzare la pedagogia
in una dimensione unitaria, in quanto essa è crocevia di saperi in cui si sintetizzano
sia la categoria valoriale che quella descrittiva, anzi si avvale più di altri
saperi dei contributi di altri programmi di ricerca (Laporta, 1996).
Un
ultimo filone di ricerca — che probabilmente ha avuto in Banfi e nel suo
concetto, non pienamente sviluppato di “trascendentalismo dell’educazione” una
delle fonti più significative —, è quello che si lega strettamente al tentativo
di cogliere in una specificità pedagogica un regolatore in senso
“trascendentale critico” della tradizione e dello sviluppo degli altri saperi
(Banfi, 1986). In particolare, bisogna rilevare come la ricerca di uno
specifico pedagogico sia soprattutto la ricerca delle categorie pedagogiche,
come l’apprendimento, la cura, la coltivazione, la crescita, che sono studiate
nell’ambito di altri saperi e che hanno però un ruolo fondamentale non
“disvelato” pedagogicamente.
Basti
pensare alla centralità della crescita e dello sviluppo dal punto di vista
filosofico e biologico e, quindi, al ruolo di chiarificazione che queste categorie
potrebbero avere dal punto di vista pedagogico in rapporto alla comprensione
delle discipline biologiche, psicologiche, ecc. (Massa, 1986, Granese, 1984).
In
queste prospettive di ricerca, filosofica, sintetica, sistemica e del
rinvenimento di uno specifico pedagogico, rimane il problema di fondo: chiarire
il ruolo dell’educazione e, di conseguenza, della pedagogia rispetto agli altri
saperi. In effetti anche nell’ipotesi, per altro fondamentale, pur se non
pienamente sviluppata da Banfi del “trascendentalismo” dell’educazione, della
“curvatura” nei confronti di altre dimensioni concettuali e, in primo luogo,
della filosofia, l’oggetto educazione non è chiarito all’interno degli altri
saperi epistemologicamente fondati. Il problema centrale è quindi la chiarificazione
del concetto di educazione all’interno di contesti disciplinari che hanno
sempre assorbito la problematica educativa all’interno della ricerca
filosofica, scientifica, politica.
E’
indubbio, però, che la pedagogia, proprio per porsi come sapere specifico
sull’educazione, si propone in modo diverso rispetto alla filosofia intesa come
riflessione generale sui problemi, rispetto alla ricerca scientifica (per
quanto attiene alla tematica educativa nelle dimensioni della psicologia e
della sociologia), intesa come capacità di controllo delle prospettive della
ricerca educativa e, soprattutto, nei confronti della prassi politica, intesa
come azione volta alla trasformazione specifica delle situazioni interpersonali
e del sociale.
Ma
quello che è l’elemento centrale della distinzione della pedagogia dagli altri
saperi e il suo oggetto di indagine e cioè l’educazione. L’educazione
costituisce inevitabilmente l’oggetto di riflessione di un sapere, la
pedagogia, che riflette in maniera complessiva sull’oggetto educazione e, nel
contempo, determina le possibilità di cogliere gli aspetti educativi degli
altri saperi e delle altre pratiche.
La
fondazione del sapere pedagogico, quindi, si basa sull’accettazione che
l’educazione non solo è l’oggetto di identificazione specifico della pedagogia
rispetto alle altre scienze umane, che è stato storicamente negato all’interno
di altri contesti disciplinari, ma è anche l’ipotesi da cui partire per fondare
una pedagogia critica.
La
pedagogia, in quanto teoria iuxta propria
principia, non può autocomprendersi che nella considerazione della
struttura ambivalente dell’ educazione. L’educazione può caratterizzarsi come
una struttura concettuale autosufficiente di cui la pedagogia è il momento di
riflessione, ma questa autosufficienza non la esclude dai rapporti con altre
dimensioni della conoscenza.
Anzi
è proprio da queste connessioni che nascono inevitabilmente per la
particolarità del suo oggetto di studio, l’educazione (con la filosofia, con la
psicologia, con la sociologia, con la biologia), le prospettive di senso che la
pedagogia può conferire anche agli altri saperi. E’ quindi nell’ambivalente
struttura di fondazione che si può cogliere la dimensione problematica del
sapere pedagogico, indipendente in quanto riflessione sull’educazione, ma nello
stesso tempo fondamentale per costruire secondo una prospettiva pedagogica le
dimensioni educative della filosofia, della psicologia, della sociologia,
dell’etica e della prassi politica.
Le
prospettive di senso della ricerca pedagogica non possono essere alimentate che
da una radicale teorizzazione sulla sua struttura ambivalente, costitutiva e
regolativa, che riflette sull’educazione nella sua globalità, ma nello stesso
tempo orienta le prospettive di ricerca nell’individuazione e nella regolazione
delle categorie pedagogiche dello sviluppo, della coltivazione e della cura che
inevitabilmente ineriscono alla dimensione costitutiva di altri saperi.
Le
due categorie che potrebbero chiarire il problema di una fondazione della
pedagogia come sapere iuxta propria principia sono quelle della formazione e
dell’intersoggettività, categorie in cui il significato della pedagogia come
sapere “progettuale” può essere definito nella sua complessità e in particolar
modo nell’apertura di senso che queste problematiche possono determinare nei
confronti del concetto di affettività, che può essere considerato come un luogo
indistinto di complessità relazionali in cui le dimensioni della processualità
del soggetto in formazione e dell’intersoggettività trovano un momento di
notevole riflessione critica. Comprendere, sia pure sotto forma di ipotesi
preliminare, la relazione tra pedagogia e affettività risulta, come già si
comincia ad approfondire nell’ambito del dibattito pedagogico contemporaneo
(Cambi, 1996) un problema determinante per comprendere il significato fondante
della pedagogia come sapere specifico, costitutivo e regolativo al tempo
stesso. Il rapporto pedagogia/affettività, in quanto fondante non può che
essere ricercato se non in alcuni nodi centrali della ricerca filosofica e
epistemologica contemporanea.
1.
Formazione, pedagogia, affettività
Il
problema della formazione della soggettività ha sicuramente nel rapporto con la
filosofia contemporanea uno dei punti centrali di intersezione, basti
considerare il ruolo che il tema della Bildung ha nel dibattito ermeneutico,
che addirittura, a parere di alcuni critici americani e anglosassoni, presenta
il grande limite di avere privilegiato la dimensione formativa a quella
gnoseologica. In effetti la caratteristica fondamentale della formazione intesa
come Bildung è l’acquisizione per stadi della soggettività, acquisizione che
esprime un continuo processo di svolgimento della soggettività. Questo aspetto
della formazione come acquisizione di stadi successivi è chiarito in due
momenti particolarmente significativi delle vicende della filosofia idealistica
e neoidealistica e cioè nella Fenomenologia dello spirito hegeliana e nella
riflessione sul processo formativo di Gentile che, in quanto neohegeliano e,
addirittura, “riformatore” della dialettica hegeliana, trova nella riflessione
pedagogica uno dei momenti significativi per chiarire il senso del concetto di
formazione.
Il
significato della Fenomenologia dello spirito hegeliana è fondamentale in
quanto esprime, attraverso la sua “duplicità di impianto” un percorso formativo
del soggetto in rapporto al travaglio delle figure filosofiche e storiche che
sono strettamente connesse a questo processo di formazione. E stato già messo
in rilievo come ci sia una forte presenza pedagogica nell’opera hegeliana tanto
da essere definita un “poema pedagogico” e altrove ho analizzato lo sviluppo
delle figure della Fenomenologia dello spirito in rapporto alloro significato
pedagogico (Spadafora, 1994).
Quello
che si può evidenziare, prendendo spunto dall’opera hegeliana, è che il
concetto di formazione si presenta come una “interiorizzazione” che accoglie e
sviluppa al suo interno le varie figure dello sviluppo del soggetto nei
confronti del vero, ed esprime uno sviluppo travagliato di acquisizioni
successive che si realizzano nella dimensione dell’ assolutezza. Vi sono due
concetti del lessico hegeliano della Fenomenologia, Erinnerung e Wahrnehrnung,
che dimostrano come la soggettività, per l’idealista Hegel, non rappresenti una
figura chiara e distinta ma una complessa trama di dimensioni che sviluppandosi
mostrano una soggettività estremamente complessa. L’Erinnerung è un insieme di
“memoria e interiorizzazione”, laddove la Wahrnehmung, figura su cui molti
autori hanno profondamente riflettuto si presenta come il rapporto del soggetto
tra «forza, intelletto, fenomeno e mondo sovrasensibile» (Gadamer, 1974).
In
altri termini, lo sviluppo del soggetto esprime una processualità complessa,
rappresentata dallo sviluppo sussistente tra interno e esterno, tra coscienza e
apparenza e che sfocia inevitabilmente nel problema dell’autocoscienza. E in
questa figura, come è noto, che attraverso il rapporto “pedagogico”
signoria-servitù, autorità-libertà, il soggetto può dare forma alla sua
esistenza, superando le scissioni e le contraddizioni. E in questa prospettiva
la figura della “coscienza infelice” è sicuramente tra le più significative, se
non la più significativa nell’ambito delle figure della Fenomenologia.
In
questi brevi e molto schematici richiami, vi è da rilevare come la
caratteristica che emerge con chiarezza da alcuni luoghi della Fenomenologia è
la centralità del processo di formazione come svolgimento progressivo e
cumulativo dell’attività spirituale che ascende dal particolare all’assolutezza
del concetto, per cui la formazione è una processualità in continuo sviluppo
che coinvolge la coscienza e l’apparenza, il sentimento e la ragione nel
raggiungimento di una Versòhnung, di
una conciliazione che trova nell’organicità la possibilità della conciliazione
tra il soggetto e la storia.
In
questa prospettiva di ricerca si può senz’altro affermare che la formazione per
l’idealista Hegel ha un profondo legame sia con il problema dello sviluppo come
accumulazione progressiva di stadi, sia con la ricerca della conciliazione tra
ragione e sentimento.
Dove
questa concezione della formazione diventa chiaramente espressa come pedagogica
è nella riflessione gentiliana del Sommario di pedagogia, riflessione che Gentile
nella prima parte intitola espressamente L’uomo,
dopo avere giustificato la necessaria “risoluzione” della pedagogia nella
filosofia (Spadafora, 1996).
Il
confronto serrato tra la filosofia e la pedagogia attraverso una riflessione
anche su aspetti della psicologia così come era trattata nell’epoca
(significativo ad esempio è il cap. VII dal titolo La percezione, l’inconsciente
e la misura dei fatti psichici) permette a Gentile di misurare la “concretezza”
della sua filosofia dell’Atto nella pedagogia che, intanto può risolversi nella
filosofia, in quanto è “scienza della formazione dello spirito”. La riflessione
gentiliana ha in comune con la matrice hegeliana della Fenomenologia la
considerazione che la formazione è una riflessione sullo sviluppo del soggetto
per stadi acquisitivi e che ha, — e questo è sicuramente un elemento ulteriore
rispetto alla concezione hegeliana —, nella struttura del discorso pedagogico
una sua significativa e esplicita chiarificazione. I nodi hegeliani e
gentiliani fondano, per così dire, una concezione della formazione organica e
determinata dallo sviluppo di stadi progressivi della soggettività.
Questo
“paradigma”, filosoficamente, è già posto in discussione dalla riflessione di
Nietzsche, della Seconda considerazione inattuale, in cui il filosofo tedesco
mette in rilievo l’importanza dell’emergere problematico, Entstehung, della vita in relazione al flusso della storia, e ha
alcuni sviluppi e nodi significativi nella riflessione di Dewey e
dell’ermeneutica contemporanea, in particolare nella versione gadameriana.
Nella
riflessione di Dewey, ad esempio, assistiamo alla problematicità della
filosofia come formazione e al legame di questi aspetti alle dimensioni estetiche
e dell’immaginazione”. Basti pensare alla sua riflessione nel caratterizzare il
rapporto tra esperienza e natura, tra esperienza e estetica, tra ragione e
sentimento, tra ragione e senso “religioso”, rapporto incerto, rischioso e
problematico, che assume la dimensione di una vera e propria transazione e cioè
di un rapporto di reciprocità biunivoca tra il soggetto e l’oggetto. Lo stesso
problema è affrontato in modo raffinato nel tentativo gadameriano nelle prime
formulazioni di Verità e metodo, di cogliere proprio nel “trascendimento
estetico” del soggetto, trascendimento che implica uno stretto rapporto con i
sensi e le emozioni le dimensioni della soggettività (Gadamer, 1974). Tanto è
vero che nella fondazione della “teoria ermeneutica” il filosofo marburghese si
intrattiene con grande interesse sulle metafore di “gioco” e di giocatore e
soprattutto sul concetto di Verwandiung
e cioè di “trasmutazione in forma” che significa “l’autonomo modo di essere di
ciò che abbiamo chiamato forma” (Gadamer, 1974).
La
formazione non è espressione dell’ appartenenza al nucleo concettuale
originario ma è strettamente connessa con le contestualizzazioni di senso della
soggettività. Il significato complessivo di questa riflessione sul concetto di
formazione è, dunque, la rilevazione che esso è profondamente mutato in quanto
da una prospettiva organica, come era stata quella progettata nella
Fenomenologia dello spirito hegeliana e portata all’estremo compimento
pedagogico da Giovanni Gentile si è passati, nelle prospettive della filosofia
contemporanea, ad una dimensione problematica e complessa che già si intravede
nella critica nietzschiana al concetto di storia e che ha sicuramente, nella
riflessione deweyana e in quella gadameriana, uno degli elementi di maggiore
chiarificazione.
Il
concetto di formazione non è più espressione di una progressiva accumulazione
di stadi progressivi ma esprime uno sviluppo problematico e non progressivo
della soggettività. Questa problematicità ha proprio nel mondo del
“trascendimento estetico”, e della tensione affettiva uno dei momenti
centrali di riferimento, centrali in quanto riesce a cogliere quell’ulteriorità
di senso che deve essere compresa per poter determinare il cambiamento del
soggetto.
Si
può senz’altro affermare che il significato pedagogico del rapporto soggettività/eticità
risiede proprio nella complessiva dimensione affettiva, anzi il luogo della
pedagogia come momento di riflessione ha la sua specifica fondazione nelle
strutture fenomenologiche del mondo dell’ immaginazione e dell’ affettività, ma
in una dimensione di maggiore problematicità rispetto alla riflessione
freudiana sull’inconscio (Gaston, 1987).
La
pedagogia, quindi, deve riflettere e, eventualmente intervenire su categorie
quali l’apprendimento, la coltivazione, la cura, e quindi deve riflettere e
agire di conseguenza sulla relazione affettiva. Ma per riflettere ulteriormente
su questa necessaria apertura di senso della pedagogia della categoria dell’
affettività è utile focalizzare alcuni punti della relazione intersoggettiva
così come sono esemplificati in alcuni momenti significativi della filosofia
contemporanea.
2.
Intersoggettività, pedagogia, e affettività. Un’ipotesi provvisoria
Se
il problema della formazione è uno dei nodi della ricerca sulle dimensioni
della pedagogia e dell’affettività, il momento che chiarisce ulteriore- mente
questa relazione fondamentale è fornito dal concetto di intersoggettività. Come
è abbastanza noto, il problema dell’intersoggettività è stato affrontato in
modo radicale dal punto di vista filosofico dalla corrente fenomenologica husserliana.
Dal punto di vista pedagogico il problema della relazionalità, per altro più
proposto che sviluppato in modo approfondito, non è stato affrontato con
chiarezza. E risultato più tranquillizzante analizzare infatti, e di
conseguenza, intervenire nell’ambito della relazione educativa, in particolare,
nelle dinamiche dell’insegnamento-apprendimento affidandosi alle dimensioni
della didattica di orientamento cognitivista, trascurando invece che proprio
Piaget orientato ad una riflessione biologica e psicologica per stadi evolutivi
della conoscenza ammetteva il suo non coinvolgimento nella problematica
didattica (Piaget, 1965, Aebli, 1980). Per cogliere il significato pedagogico
della relazione intersoggettiva e la centralità della dimensione affettiva in
questo contesto, fondamentali ci sembrano, ancora una volta, il contributo
pedagogico gentiliano e “attivistico” ed alcuni riferimenti pedagogici che
possono essere dedotti dalle prospettive ermeneutiche.
L’intersoggettività.
secondo una prospettiva idealistica e, in questo caso è ancora la riflessione
di Gentile ad essere centrale, si basa principalmente sul fatto che la
comunicazione educativa è un problema strettamente connesso all’
intersoggettività relazionale. Basti pensare alla riflessione sul concetto di
“sintesi a priori” nel rapporto educatore-educando così come viene sviluppata
dalla riflessione gentiliana (Gentile, 1982 [1913]) e già criticata dalla sua
prima formulazione.
Gentile
parla di una “risoluzione della dualità nell’atto educativo” che pone un
problema centrale nella riflessione pedagogica del resto considerata centrale
per colmare il vuoto che sul problema dell’intersoggettività dal punto di vista
filosofico era stato rilevato dallo stesso filosofo.
Il
problema teoretico che emerge dalla relazione educativa secondo
l’interpretazione gentiliana è che necessariamente una relazione educativa si
costituisce quando l’educando “assorbe” nella sua soggettività i valori
spirituali e, di conseguenza, anche affettivi dell’educatore. In altri termini,
l’equilibrio dell’apprendimento che sostanzialmente è fenomeno intersoggetti -
vo, cioè si fonda sulla dimensione intersoggettiva, si basa sulla fusione
spirituale, che secondo una terminologia più moderna si configura fenomeno-
logicamente come una condivisione empatica, una Einfuhlung di cognizioni e di tensioni affettive tra i due soggetti
per cui se non vi è l’empatia intersoggettiva è inevitabile che la risoluzione
della dualità in una intersoggettività più ampia non avviene.
Un
altro nodo fondamentale del rapporto intersoggettivo secondo la prospettiva
gentiliana è il rapporto libertà-autorità che nella relazione maestro- allievo
è fondato proprio sul rapporto educativo. E’ la condizione cristiana dell’amore
come donazione soggettiva che fa rivelare a Gentile il senso dell’unione tra
due soggetti.
Quindi,
al di là della discussione se la concezione della relazione intersoggettiva in
Gentile sia una monade senza finestre o il risultato più significativo di una
formazione concretamente determinata del soggetto, è indubbio, sia pure in una
prospettiva idealistica che la tensione affettiva, l’amore idealisticamente
inteso, fonda la relazione educativa. Molti aspetti dell’attivismo improntato
ad una riflessione pedagogica e didattica “serena” nei confronti del mondo
dell’infanzia, sicuramente hanno nella concezione idealistica della
intersoggettività uno dei momenti centrali di riferimento. E indubbio, quindi,
che dal punto di vista pedagogico la relazione educativa è connessa alla
dimensione affettiva, rinforzando la tesi di una correlazione tra affettività e
pedagogia determinante per cogliere le stesse prospettive di senso della
riflessione pedagogica e della conseguente azione educativa.
La
stessa problematica dell’intersoggettività è ancora più evidente se rapportata
al grande interesse che l’ermeneutica, sia nella riflessione gadameriana che in
quella di Habermas e di Apel, ha mostrato per la relazione intersoggettiva.
In
effetti, il problema posto dall’ermeneutica, e in modo molto più esplicito dall’ultimo
Gadamer, si collega al fatto che nella relazione intersoggettiva il concetto di
interpretazione, di “disoccultamento di ciò che è occultato” riaffiora in modo
significativo.
Anzi,
il problema dell’interpretazione come “teoria ermeneutica” dell’evento, gioca
il suo ruolo determinante di “decostruzione” di senso e di “orientamento” di
valore nel rapporto comunicativo tra persone, rapporto linguistico e valoriale,
che vuole sfuggire all’armonia e alla “consonanza psicologica” tra individui
come era stato riaffermato dall’ermeneutica di ispirazione romantica (Betti,
1990) e vuole, invece, costruire una concezione che si basa anche sulla
problematicità del rapporto tra persone, sulla considerazione che un rapporto
interpretativo tra persone deve essere considerato un evento problematico
linguistico e affettivo che regola il rapporto tra soggetti.
Le
dimensioni della intersoggettività non possono quindi che alimentare questo
percorso fenomenologico-ermeneutico che nella pratica psicanalitica ha trovato
alcuni orientamenti tra i più stimolanti e che però deve portare a compimento
il complesso rapporto interpretativo tra soggetti, già intravisto da A. Freud
basato sulla relazione affettiva (A. Freud, 1972[1945]). Anche in questo caso,
come è stato rilevato a proposito del concetto di formazione, è nel passaggio
da una dimensione organica a una dimensione problematica che si coglie la
centralità della relazione affettiva e pedagogica per comprendere il senso e le
prospettive della intersoggettività.
Volendo
riassumere, considerando il carattere ipotetico-progettuale del presente
scritto, vi è da rilevare come sia il concetto di formazione, sia il concetto
di intersoggettività, così come sono stati rappresentati in alcuni momenti
della riflessione filosofica contemporanea dimostrano inequivocabilmente come
la problematica pedagogica sia la condizione di interpretazione di queste
categorie.
E
indubbio che il concetto di formazione e di intersoggettività rappresentino
categorie che implicitamente o esplicitamente possono essere definite
pedagogiche, proprio per il carattere tensionale, problematico, tra le ragioni
della soggettività e le dimensioni valoriali a cui la soggettività individuale
o intersoggettiva tende.
Ma
proprio in questa tensionalità critica che emerge sia dalla formazione che
dalla intersoggettività ritroviamo il significato profondo del rapporto
pedagogia-affettività. In effetti, se la pedagogia è un sapere specifico che
riflette sull’educazione e ha una valenza sia costitutiva che regolativa, cioè
fenomenologicamente autosufficiente in quanto riflessione sull’educazione, e
allo stesso tempo regolativa nei confronti dei saperi e delle pratiche con cui
inevitabilmente si confronta la dimensione educativa, la tensione affettiva
deve essere considerata uno dei luoghi privilegiati in cui si realizza la
riflessione pedagogica e nello stesso tempo si ipotizza l’azione educativa.
In
questa prospettiva il pedagogista deve sforzarsi di cogliere i rapporti tra la
formazione personale e intersoggettiva e le dimensioni dell’affettività come
problemi specificamente pedagogici e di conseguenza può tentare di teorizzare
una didattica della relazionalità che oltrepassi, “togliendo e conservando” le
proposte della didattica cognitivista, e inserendole in una più ampia
prospettiva pedagogica che tenga conto del ruolo fondante dell’affettività.
L’educatore e l’insegnante, d’altronde, non possono che prendere atto di uno
specifico coinvolgimento nell’azione educativa tenendo conto che essa è
determinata da questo costante rapporto tra dimensione pedagogica e
problematica affettiva e solo in questa direzione la sua preparazione cultura
le e professionale può ottenere significativi risultati.
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