CONOSCENZA, COMPETENZA, FORMAZIONE E MEDIA
di Giuseppina D’Auria
Appare
sempre più evidente il ruolo che i media esercitano nella percezione della
realtà, nella costituzione di atteggiamenti e valori, nella formazione nel suo
insieme: è nei media che si modellano e si sviluppano le immagini del reale,
del sé, le appartenenze culturali.
I media
mettono in crisi le nostre abitudini di pensiero, la nostra concezione del
mondo, provocano nella struttura dei linguaggi e nel rapporto con il reale una
rottura totale con quanto fino ad oggi ha costituito i nostri punti di
riferimento abituali.
Nella
tecnologia dell'educazione i nuovi media digitali sono entrati da tempo
risultando per essa strumenti di straordinario sviluppo poiché sollecitano la
nascita di nuovi spazi cognitivi e valorizzano molteplici forme comunicative
che includono testi scritti e testi orali, immagini fisse e in movimento, suoni
e musica, gesti e altre forme non verbali di comunicazione.
Tuttavia
oggi si avverte la tendenza a restringere l'accezione di tale termine alla
comunicazione mediata da uno schermo, sia esso quello di un televisore come
quello di un computer.
La forma
assunta dalla multimedialità è allora di tipo ipertestuale, giungendo così a
modalità comunicative che vengono definite ipermediali e che integrano
ipertestualità e multimedialità.
Da non
sottovalutare il rapporto esistente tra formazione e multimedia applicati, con
particolare riferimento alla formazione a distanza che nasce e si fonda
sull'informatica e sulla sua utilizzazione per la formazione lavorativa ma,
soprattutto, come si effettua la costruzione di un multimedia e quali sono le
caratteristiche che esso deve possedere per essere ritenuto efficace.
Ovviamente
parlando di formazione a distanza è necessario distinguerla e dalla formazione
- on line, specificando che esistono similitudini e differenze fra le due
modalità, e sulle innovazioni che la seconda ha introdotto nel vecchio modo di
concepire l'apprendimento che da cronotopico,
grazie all'intervento dei multimedia, diventa multimodale, annulla le distanze spazio - temporali offrendo a
tutti l'opportunità di seguire un corso e apprenderne i contenuti.
Uno degli
strumenti più utilizzati dalla formazione - on line, è l'ipertesto: le sue
caratteristiche, le sue funzioni e il suo utilizzo, hanno permesso, insieme
agli altri strumenti della formazione multimediale, lo spostamento
dell'attenzione dalle applicazioni "system
- based" ad altre denominate "user
- based" o per meglio specificare dal "computer tutor" al "computer
tool".
Il primo
-computer tutor- viene visto come un
sostituto dell'insegnante, che ha il controllo del processo di apprendimento,
propone quesiti e valuta l'adeguatezza delle risposte; il secondo - computer tool- rinuncia a controllare le
risposte diventando un utensile per l'espressione e l'organizzazione personale
della conoscenza, agendo da amplificatore cognitivo.
Quindi si
passa da una concezione dei media (il personal
computer) impersonale ad una concezione degli stessi come amplificatori
della conoscenza, caratteristica per cui questi vengono applicati sempre più
nei contesti formativi, diventando elementi di trasformazione delle modalità di
formazione.
Ecco
quindi l'input alla base dell'interesse
per i media e la loro applicazione in ambito formativo, riportato nelle
argomentazioni qui di seguito, che partendo dal rapporto tra informazione e
formazione giungono all'analisi piuttosto dettagliata del ruolo dei media nella
formazione, in particolare del personal computer, della formazione on - line e
di conseguenza di uno degli strumenti di formazione on - line, quale quello
dell'ipertesto, a cui si è data particolare importanza, poiché con esso è stato
creato il progetto di un percorso di formazione a distanza per docenti sulla
"Educazione alla cooperazione nella
scuola". I processi educativi
sono coinvolti dalle innovazioni tecnologiche già esistenti e di largo uso tra
cui l'informatica, anche se è da verificare quanto ci sia di vero nell'intenzione
della scuola di prestare attenzione allo sviluppo tecnologico, quello
informatico in particolare di cui ci si chiede se sia effettivamente in grado
di fornire risposte alle esigenze formative dei docenti.
D'altra
parte ai docenti e agli allievi si chiede oggi di possedere una certa alfabetizzazione informatica che non
consiste solo nell'imparare le nuove tecniche, bensì nella conoscenza di nuovi
paradigmi di strutturazione della realtà[1]. L'informatica
è,infatti, presente oggi, nei programmi d'insegnamento della scuola, che va
puntualizzando i propri obiettivi e rinnovando le proprie metodologie.
In questa
prospettiva l'informatica può a buon diritto essere considerata fonte di
rinnovamento, poiché consente, attraversare le discipline con il suo nuovo
linguaggio, e di evidenziarne le nuove strutture e i nuovi modelli.
L'informatica
ha portato la tecnologia al centro della vita dell'uomo; infatti, aumenta la
complessità dei sistemi sociali che devono fare i conti con l'informatica,
complessità che per essere gestita richiede nuove competenze aumentando la
vulnerabilità dei soggetti e dei gruppi sociali meno qualificati e delle
strutture ad essi collegate.
Certo è
che la nostra è la civiltà dell'informazione; con questo non si vuole
promuovere a qualunque costo l'impiego
dell'informatica nell'educazione didattica, poiché se il computer viene
impiegato come un giocattolo per nascondere i veri problemi della scuola, le
sue carenze, i suoi insuccessi, il suo impiego sarà catastrofico. Invece se
viene utilizzato come strumento di ausilio per docenti e alunni, facendo
riflettere i primi sul loro ruolo e tramite (tra computer e alunni), potrà
avere un utilizzo vantaggioso.
L'informatica,
infatti, sarà sempre più presente in tutte le discipline come metodo e
strumento d'analisi e interpretazione dei dati che permetterà di analizzare i
problemi in modo diverso che nel passato.
Tutte le
discipline saranno toccate dall'informatica la cui introduzione nel campo
dell'educazione didattica porterà a sviluppare la logica, la coerenza e la
creatività, comprendendone la funzione e non soltanto imparando ad utilizzare
il computer che è solo uno degli strumenti d'espressione dell'informatica
stessa.
Da quanto
fin qui detto, si evince la necessità di dare un'educazione al pensiero
informatico impostando un insegnamento sui principi e utilizzando linguaggi di
programmazione o metodi didattici idonei allo scopo.
"Uno degli obiettivi di ogni
formazione è quello di permettere a ciascuno, in ogni momento, di far la somma
delle sue conoscenze, affinare le proprie ipotesi, analizzare i propri processi
e sormontare le proprie difficoltà"[2]
Entriamo
così nel campo dell'euristica, intesa come metodo di scelta, e del suo
apprendimento.
Nella
vita di tutti i giorni, noi facciamo costantemente appello, senza saperlo,
all'euristica.
Un
esempio può essere quando per tradurre o capire un testo, si tiene conto del
contesto e si sceglie un dato senso di una data parola, piuttosto che un altro,
in funzione d'ipotesi, piste.
Si
sceglie un'euristica piuttosto che un'altra, una pista piuttosto che un'altra,
in funzione sia della situazione sia della propria esperienza personale.
Grazie al loro ruolo centrale ed
all'estensione delle loro funzioni le scienze e le tecnologie della conoscenza
hanno saputo creare un nuovo legame tra uomo e natura, società e cultura,
produzione e rappresentazione[3].
Il potere di queste tecnologie va molto al di là dello stesso dominio
tecnologico; i loro strumenti operativi sono infatti i mezzi dell'informatica,
dell'elettronica e delle telecomunicazioni, ma le loro radici affondano nello
sviluppo della conoscenza umana. In tal senso le nuove tecnologie appaiono
legate contemporaneamente all'universo della produzione ed a quello della
comunicazione; i loro mezzi di espressione sono la macchina, il linguaggio e il
pensiero.
La società postindustriale è sempre meno
caratterizzata dai processi di produzione e di distribuzione di oggetti
materiali e sempre più dalla diffusione degli strumenti e delle tecnologie
della conoscenza. Essa appare essenzialmente rivolta alla produzione di oggetti
immateriali, simbolici capaci a loro volta di modificare l'universo dei
bisogni, dei valori, degli orientamenti culturali che determinano l'azione
umana. Ed è proprio all'interno di questa prospettiva che l'uomo ed il suo
sapere si pongono al centro della società postindustriale.
Il sapere è oggi il principale fattore di
creazione della ricchezza e questo costituisce un evento né inatteso né
recente. Al contrario rappresenta l'ultimo anello di un lungo processo
evolutivo. "In realtà - scrive
Antonio Pilati[4]
- …l'impiego intensivo della conoscenza
come fattore produttivo non è una prerogativa esclusiva del novecento o del
secondo dopoguerra: dall'esperienza pratica dei cacciatori preagricoli alle
technai degli artigiani greci sino ai segreti tramandati nei mestieri
medievali, il sapere - tecnico, organizzativo, previsionale - ha sempre svolto
una funzione di primo piano nella trasformazione della natura".
Il problema è capire per quali ragioni in
alcuni momenti il peso della conoscenza è più incisivo. L'idea di un sistema
produttivo fondato sui due perni della potenza cognitiva e della rapidità di
connessione è oggi messa in pratica con clamore dalla Net Economy, ma almeno da un terzo di secolo era delineata da
sociologi ed esperti di organizzazione che ne intravedevano sintomi incipienti
in alcuni segmenti delle economie avanzate. "È lungo l'elenco di autori
che da un lato identificano quale cardine dell'assetto sociale o economico
qualche elemento legato alla costellazione cognitiva e dall'altro assumono tale
fatto come una novità eclatante, una cesura drastica tra il passato che non lo
contiene ed il futuro che lo vedrà completamente sviluppato (il presente ha in
genere uno statuto ambiguo, di annuncio o di indizio).
In una prospettiva generale ciò che appare
sempre più vitale e decisivo è la possibilità di applicare le capacità
intellettuali alla ricerca, alla scoperta, all'invenzione e alla diffusione di
soluzioni. I modelli organizzativi emergenti tendono infatti a privilegiare
soluzioni che, da un lato, aiutino a fronteggiare l'instabilità dell'ambiente,
la frammentazione dei mercati, la moltiplicazione dei soggetti e, dall'altro,
siano in grado di sfruttare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie.
In questo contesto, scrive Lipari[5]
matura anche l'esigenza di riorganizzare le attività ed i luoghi della
formazione secondo una rinnovata logica dell'apprendimento. Si tenta di
superare una nozione di adattamento meccanico dell'individuo all'organizzazione
per approdare ad approcci centrati sull'esperienza concreta che gli attori
contribuiscono a realizzare. In questo senso la conoscenza e la competenza
tendono a configurarsi come situated
knowledge, cioè come risultato delle occasioni di learning by doing che consentono l'affinamento e la messa in
pratica di capacità intuitive.
La donna e l'uomo, scrive Varchetta,
"ritornano" al centro degli eventi di coscienza, conoscenza e
apprendimento, così come dentro il corso effettivo della loro vita …L'apprendimento
lungo questa prospettiva diviene così motore e territorio della nostra
identità, trasformandosi dall'apprendimento "in cui siamo", teatro di
una soggettualità passiva e
"esposta" all'ambiente, all'apprendimento "che noi siamo",
con un soggetto capace di condizionare e guidare la propria relazione con il
mondo"[6].
I temi dell'apprendimento organizzativo e,
più in particolare, quelli legati alle competenze, alle conoscenze tacite, alle
comunità di pratiche, al valore delle forme intuitive del sapere diventano così
motivi dominanti del rinnovamento della cultura e delle pratiche formative.
L'apprendere (letteralmente afferrare e far proprio un oggetto in un contesto
relazionale), come osserva Lipari, diventa il concetto cruciale a partire dal
quale non solo si rivaluta la dimensione soggettiva di chi partecipa a un
evento rendendosi protagonista di una dinamica in cui agiscono altri soggetti,
ma mette anche in luce la rilevanza dell'interazione, dello scambio, del
dialogo, dell'apprendere insieme.
Queste riflessioni sono connesse al fatto che
non si può conoscere da soli. Se
conoscere …è imparare dalla realtà, si può imparare dalla realtà solo
interrogandosi sul senso dei fatti e solo aprendosi a una dimensione
intersoggettiva della conoscenza. In questo senso si collabora insieme ad altri
e ad altre a costruire un significato comune, condiviso del significato del
lavoro. Conoscere è necessariamente scambiare con gli altri. Coevoluzione è il
processo con il quale specie interdipendenti tendono a evolvere generando nuove
capacità[7].
Se
infatti la competenza è riferita a un individuo, indipendentemente dal contesto
in cui utilizzarla, essa non è altro che un attributo del soggetto che la
possiede… Se invece la competenza è riferita agli individui e a ciò che fanno
in contesti di azione organizzata, il problema della delimitazione del concetto
assume altra rilevanza e complessità[8].
In questo caso l'intreccio tra
dimensioni relazionali multiple che coinvolgono nello stesso tempo, gli
individui, le regole e le procedure, i valori ed i linguaggi, "genera un
campo cognitivo e di esperienze la cui specificità (e per molti versi unicità)
da un lato …modifica e accresce le conoscenze e le esperienze degli individui,
dall'altro alimenta il sapere collettivo dei gruppi e dello stesso ambiente
organizzativo di contenuti il cui valore è vitale per la sopravvivenza e lo
sviluppo dell'organizzazione[9].
A partire da queste considerazioni, l'ottica
delle competenze esercita importanti conseguenze sul versante di una prospettiva
generale sul lavoro e sulla formazione. Si tratta come scrive Claudia
Montedoro, di dare corpo ad una
prospettiva concreta e praticabile di apprendimento lungo tutto l'arco della
vita (lifelong learning), che si pone con sempre maggior vigore come esigenza
propria delle organizzazioni produttive, della vita economica e sociale, delle
stesse istituzioni formative e degli individui. Dalla esigenza
"semplice" di apprendere per lavorare con competenza, la visuale si
amplia fino a ricomprendere in sé il rendere possibile, nella società della
conoscenza disegnata dall'emergere della learning economy, il perseguimento di
una realizzazione piena di sé da parte di chiunque, affermando il diritto
all'apprendimento come esigenza centrale dei soggetti individuali e sociali,
chiave di accesso ad una cittadinanza piena nel mondo contemporaneo[10].
La centralità della conoscenza, secondo
Giuseppe Varchetta, ha importato nell’esperienza organizzativa problematiche di
stile, di modalità distintive, un particolare modo di sentire e agire
l’organizzazione. L’organizzazione
attraverso il metodo delle competenze invita a costruire professionalità
composite, lontane dalla grigia, perpetua, inossidabile prevedibilità della
posizione di ruolo dell’organizzazione tayloristica. Non si tratta di
vaghezza e di imprecisione quanto di una apertura concreta alla integrazione
interfunzionale, alla trasversalità, alla possibilità di costruire reti di
professionalità articolata.
La
vita delle donne e degli uomini è da sempre una “frase infinita”.
L’esperienza di lavoro dell’organizzazione taylorista aveva per i più creato
per così dire una frattura, due mondi: le ore del non lavoro collocate dentro
una “frase infinita” e le ore del
lavoro sovente immerse in cesure, in coazioni a ripetere, senza spazio per
l’ascolto e l’inatteso di forme indefinite e, come tali, da narrare. Il metodo
delle competenze … può ora rompere questo confine tra il tempo del non lavoro e
quello del lavoro, superando quella distanza che probabilmente per la nostra quotidianità
è stata la più grande tragedia della modernità. Noi veniamo così restituiti,
lungo la traccia dell’enigma contenuto nelle competenze, ad una possibile sola
pulsione, capace di con-fondere non lavoro e lavoro e restituirci alfine ad un
nostro possibile infinito[11].
[1] Lariccia G., Tecnologia,
conoscenza, educazione: una risposta umana alla sfida della complessità
Informatica,
in Innovazioni tecnologiche e educazione,
Fondazione Cin., Atti del Convegno internazionale, 1983, p. 295.
[2] Schwartz E., L'Informatica
e l'educazione, in rapporto alla CEE,
Roma, Armando Editore, 1985, pp. 47-49.
[3]
Busino, G., Du naturel et de l’artificiel dans les
sciences sociales, in Cahiers
Vilfredo Pareto: Revue Européenne des sciences sociales, XXXI, n. 41,1991,
pp. 65 - 80.
[4]
Pilati A. Prefazione a Th. Davenport
e L. Prusak., Il sapere al lavoro, Milano, Etas, 2000, pp. VII - XII.
[5]
Lipari D., Logiche di azione formativa
nelle organizzazioni, Milano, Guerini e associati, 2002, pp. 123 - 124.
[6]
Varchetta G., Tracce per una formazione
ri-unificata, in A. Fontana (a cura di). Lavorare con la conoscenza, Milano, Guerini e associati, 2001, pp. 134 -135.
[7] Varchetta G. Il metodo delle competenze.
Postfazione a G. L. Cepollaro (a cura di), Sapere pratico, Milano,
Guerini & Associati, 2001, p. 315.
[8]
Lipari D., op. cit., p. 124.
[9]
Ibidem.
[10]
Montedoro C., Introduzione a C.
Montedoro (a cura di). Le dimensioni
metacurricolari dell'agire formativo, Milano, Angeli, 2002, pp. 11 - 12.
[11]
6 Varchetta G., Il metodo delle competenze. Postfazione a G. L. Cepollaro (a cura
di), op. cit., p. 316.
Nessun commento:
Posta un commento