Nel periodo dai tre ai sei anni
circa, le abilità sociali dei bambini si arricchiscono grazie alle maggiori
occasioni di contatto con i coetanei e con adulti al di fuori della famiglia:
l’ingresso alla scuola materna rappresenta per il bambino/a una importante
esperienza sociale allargata.
Il bambino entra a far parte in
modo stabile di un gruppo di coetanei, con i quali ha l’opportunità di compiere
nuove esperienze di gioco, ma la convivenza gli pone nuove sfide: capire il
punto di vista dell’altro e adattarvisi almeno in parte, collaborare con i
compagni e frenare gli impulsi aggressivi, imparare a difendersi quando
occorre.
I rapporti con i coetanei
contribuiscono in modo sostanziale allo sviluppo delle competenze sociali e la
mediazione dell’adulto è necessaria per far sì che il bambino si adegui alle
nuove regole di comportamento.
E’ importante tenere presente che
l’aggregazione dei bambini nelle istituzioni educative può portare alla nascita
di frequenti litigi e tensioni che sono da considerare tuttavia normali.
Il bambino ha, in effetti, il
diritto a vivere il conflitto o il litigio perché ciò rappresenta per lui una
specifica forma di apprendimento per l’acquisizione di regole sociali: è nel
conflitto, infatti, che il bambino scopre il senso del limite, ovvero la
presenza degli altri, siano essi adulti o coetanei. In questo contesto
relazionale, il bambino impara ad arginare il proprio egocentrismo, a
controllare i propri impulsi aggressivi e a riconoscere la resistenza
dell’altro.
Insomma, nel conflitto il bambino
vive un’esplorazione personale come vera area di crescita formativa.
Le ricerche condotte negli ultimi
anni hanno dimostrato che il bambino in età prescolare è desideroso di contatti
con l’altro ed è in grado di sviluppare rapporti significativi con i coetanei e
con gli adulti di riferimento e di mettere in pratica una infinità di strategie
per favorire e mantenere questi rapporti.
Inoltre, varie ricerche hanno
individuato nei bambini la capacità di comportarsi con modalità “empatiche”, in
modo collaborativo e cooperativo, e non ultimo la capacità di risolvere in
maniera positiva un conflitto.
Questi aspetti sono definiti come
comportamenti “prosociali”, dove alla radice di questi atti c’è la comprensione
dell’altro e la conseguente e adeguata
reazione emotiva.
I bambini e le bambine spendono
una considerevole dose di saggezza per riuscire a risolvere le eventuali
situazioni conflittuali, confrontandosi tra loro e negoziando soluzioni
accettabili sul piano interpersonale:
tuttavia, sia pure in un limitato
numero di casi, i conflitti possono sfociare in aggressioni fi siche o verbali.
Per evitare che questo accada, è
necessario che il bambino riconosca e comprenda le emozioni che entrano in
campo (rabbia, aggressività, competizione, paura ecc.) ed è quindi opportuno
sostenerlo nel riconoscimento, nella comprensione e nella gestione di tali
emozioni.
Spesso nel conflitto la rabbia
prende il sopravvento sul bambino che, trovandosi davanti a tale esperienza
emotiva disarmato ed impotente, è portato a trasformarla in taluni casi in
aggressività e/o violenza. Questa “impotenza” è alla base del disagio che egli
prova nell’affrontare una relazione
conflittuale, nel sentirsi pervaso dalla propria condizione
emotiva che non conosce o non
riconosce e che pertanto lo spaventa.
La rabbia è un sentimento che ogni
individuo prova e deve provare:
come tutte le condizioni emotive è
positiva ed è possibile esprimerla senza violenza, senza danneggiare se stessi
o il prossimo. La rabbia repressa, invece, può diventare esplosiva e dannosa in
quanto può trasformarsi in violenza e/o sopruso verso l’altro.
I bambini, anche se piccoli,
possono imparare quale limite devono imporre ai loro comportamenti per il
proprio bene e l’altrui sicurezza, ma è necessario educarli a gestire queste
emozioni trovando delle modalità di espressione che risultino efficaci e non
distruttive.
L’educazione a questa emozione,
intesa come il suo reale riconoscimento, è quindi necessaria per prevenire
future disfunzioni relazionali sin dall’età prescolare.
• Dietro alla rabbia del bambino
possono nascondersi sensazioni di sofferenza, paura e impotenza. La
comprensione da parte dell’adulto diventa fondamentale perché per il bambino è
essenziale sapere di essere “riconosciuto” e compreso dall’adulto (empatia
adulto/ bambino). In questo modo egli si sente valorizzato e ciò lo aiuta a sviluppare
un sano concetto di sé.
• La comunicazione con il bambino
deve essere tale da fornirgli un vocabolario adatto a parlare delle proprie
emozioni e delle occasioni per poterle esprimere.
• Aiutare il bambino ad esprimere
senza paura le proprie emozioni, ad esempio iniziare la conversazione dicendo
“Sembra proprio che tu sia arrabbiato. Me ne vuoi parlare?”. Questo aiuta il
bambino a trovare delle parole per esprimere ciò che sente e quindi scaricare
la tensione.
• Aiutare il bambino a riflettere
e a capire quando si sente arrabbiato, perché e cosa vorrebbe fare è un buon
inizio per prendere dimestichezza con le proprie emozioni.
• Evitare di rispondere alla
rabbia dei bambini con aggressività; questo non farebbe altro che esasperarli.
• Dare regole chiare, precise e
motivate aiuta il bambino a fargli capire la regola e perché va osservata (ad
esempio aiutandolo a capire la reazione dell’altro).
• Far capire ai bambini che
comprendiamo le loro emozioni: “Si vede che sei molto arrabbiato”.
• Un buon ascolto aiuta a far
sbollire la rabbia ed accresce l’autostima dei bambini.
• I bambini imparano di più da ciò
che gli adulti fanno che da quello che dicono. Sarebbe opportuno che ogni
adulto valutasse la propria modalità di risoluzione dei conflitti.
Si può davvero concludere che i
bambini, in età prescolare, dovrebbero aver già acquisito delle strategie che
permettano loro di risolvere le situazioni di conflitto e che lascino spazio
all’ascolto dell’altro (controproposte, mediazione, compromesso) piuttosto che
utilizzare
delle soluzioni che producono
rottura dei rapporti o soluzioni violente.
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