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martedì 14 maggio 2013

Famiglia “in crisi” e salute “a rischio”: uno sguardo sociologico sul contemporaneo




La famiglia è rappresentata da un gruppo di persone direttamente legate da rapporti di parentela, all’interno del quale gli adulti hanno la responsabilità di occuparsi dell’allevamento dei più piccoli1. I legami di parentela sono il risultato di rapporti provenienti da ‘matrimoni o da linee di discendenza tra consanguinei e non. In tal senso, la famiglia rappresenta un’ istituzione della società, un gruppo primario la cui funzione fondamentale è consentire la socializzazione, l’apprendimento, la comunicazione e lo scambio dei sentimenti. Per un bambino l’ambiente familiare occupa dunque uno spazio primario per lo sviluppo della propria personalità, non a caso in essa si ritrovano i più importanti agenti di socializzazione primaria.
Talcott Parsons, familista convinto, le ha attribuito il primato assoluto in tale processo, sottolineando come i primi rapporti sociali della vita di un individuo si instaurino proprio al suo interno e come questi momenti siano decisivi per la formazione dell’identità. Distaccandosi da Emile Durkheim, che alla famiglia contrapponeva le corporazioni come nuova istituzione di base, Parsons ne esalta la funzione nel processo di integrazione dell’individuo nella società, che comincia con l’assunzione di ruolo quale “perno connettore” tra i due sistemi, quello personale e quello sociale. Obiettivo principale del pro cesso di socializzazione è proprio di far apprendere tutto ciò che serve per l’assunzione del ruolo sociale.
A tal proposito Pierpaolo Donati precisa che la famiglia non è un gruppo primario come gli altri, ma piuttosto un luogo in cui la relazione è particolare, originale, e segue criteri di differenziazione propria. Il tipo di relazione che ne sta a fondamento corrisponde a esigenze «funzionali e sovra-funzionali non surrogabili da altre relazioni sociali.
Diversamente da altri gruppi primari la famiglia si caratterizza per un modo specifico di vivere la differenza di gender (che implica la sessualità) e le obbligazioni fra generazioni (che implicano la parentela)». In base a queste due dimensioni, essa segue criteri propri di differenziazione che la rendono diversa dagli altri gruppi primari. I fattori che originano la famiglia sono di carattere relazionale e la sua struttura e dimensione non è la risultante di motivazioni individuali o collettive, siano esse psicologiche, economiche, politiche o religiose, ma le sue radici sono da ricercare nei suoi stessi impulsi interni, che non sono per forza riconducibili a motivazioni esterne quali il sentimento, l’utilità o il potere.
Si tratta dunque di un sistema relazionale primordiale che «esiste all’inizio e dall’inizio», poiché essa è all’origine dell’evoluzione della specie umana e al contempo mediatrice dell’ingresso dell’individuo nella società. La sua composita struttura si sostanzia di mediazioni di cui gli individui non sono sempre esplicitamente consapevoli, ma che ritrovano una significatività nelle relazioni interne e nella formazione della personalità di ciascun individuo che ne entra a far parte.
In questo quadro risulta difficile descrivere e schematizzare tutti i processi relazionali che vivono al suo interno e che vi si auto-producono, tuttavia si può affermare che le relazioni familiari possono essere formalizzate e trasformare la famiglia da gruppo sociale primario a istituzione sociale «la cui importanza sta nel rendere esplicite e regolate le mediazioni funzionali e sovra-funzionali che la famiglia realizza fra il singolo individuo e le sfere extrafamiliari, fra gli elementi naturali e quelli culturali, fra le dimensioni private e quelle pubbliche della vita sociale».
Il  ruolo fondamentale che essa ha, rientra nel processo di socializzazione, fondamentale nella vita dell’individuo per la presa di coscienza del proprio ruolo nella società, ma non solo: nella prospettiva relazionale la famiglia acquisisce tra gli altri anche un ruolo determinante nella salute, nella cura delle malattie, nell’igiene, nelle abitudini alimentari, negli stili di vita e nell’educazione alla prevenzione. Questo importante ruolo multifattoriale del rapporto tra salute e famiglia, per lungo tempo è stato sottovalutato sia dalla scienza sia dalle istituzioni sanitarie, isolando il paziente dal proprio contesto storico psicologico, relazionale e sociale.
Escludere la famiglia e il ruolo da essa compiuto nel momento della comprensione del disturbo e della comunicazione con il paziente, può significa anche non comprendere la malattia, lo stato di disagio vissuto, i processi che ne stanno all’origine, se non addirittura sottovalutare le possibilità cura, riabilitazione e prevenzione provenienti dal sistema di reti relazioni interne alla famiglia.
In un momento storico in cui emerge una concezione olistica della salute (di cui peraltro si è già parlato in altri capitoli), la famiglia emerge con tutta sua importanza, quale ambito da valutare nei processi di cura e di trattamento delle malattie e patologie di varia natura. Alla base di questa concezione pone l’idea che la salute sia un fatto globale, di natura processuale e relazionale che chiama in causa tutti gli ambiti dell’esistenza umana nel loro infinito processo di intreccio sociale.
Indubbiamente i legami tra famiglia e salute sono evidenti anche nei fenomeni contemporanei, quali l’incremento dell’obesità nei bambini provenienti da famiglie disagiate sui quali torneremo oltre, o nelle forme di bulimia nervosa, che possono originarsi come reazione a un disagio inscritto negli schemi relazionali della famiglia. Tra gli elementi che predispongono i disturbi alimentari, si fa accenno anche all‘importanza dei fatti familiari, come ad esempio l’esistenza di un rapporto disturbato tra genitore figlio/a o una particolare configurazione della dinamica familiare. Ciò che emerge dalle osservazioni allargate di famiglie con un componente affetto anoressia nervosa, è che esiste una molteplicità di fattori relazionali conflittuali interni alla famiglia, che possono generare tale disturbo.
In ogni caso risulta difficile trovare dei denominatori comuni sempre uguali in situazioni diverse, ciò anche nel rifiuto dell’idea che vi sia una famiglia tipica che favorisca l’insorgenza di malattie, disturbi o patologie di vario genere, anche perché ognuna ha dinamiche proprie di trasmissione di un disturbo «Non soltanto tipi, gradi e proprietà della diffusione variano secondo i tipi e le  proprietà delle strutture familiari, anche come “reti allargate”, ma sono rilevanti anche aspetti qualitativi differenti, a parità di profili strutturali (intesi come le classiche variabili dell’età, sesso, numerosità dei componenti)». In tal senso, dunque, le relazioni familiari possono rappresentare una causa possibili disturbi del comportamento alimentare.

La famiglia quale istituzione sociale può giocare un duplice ruolo nel processo di relazione con la salute da una parte essere un “canale” per la trasmissione delle malattie, dall’altra rappresentare “un aiuto” possibile nella cura e terapia delle stesse.
L’idea di una correlazione diretta e univoca tra famiglia e salute, tra contatti familiari e malattia apre un dibattito assai vasto cha va dalla vicinanza fisica quale elemento di trasmissione di infezioni, virus o stati patologici diversi, fino alla diffusione di concezioni, abitudini e conflitti di vario genere, quali fattori determinanti l’origine di un disturbo. Indubbiamente il problema va trattato su due fronti, il primo di carattere epidemiologico, il secondo prettamente relazionale; vi è comunque la convinzione ormai accertata che esista una suscettibilità differenziale delle famiglie nel diventare motivo diretto o indiretto di malattia. La variabile famiglia di per sé non può comunque essere la sola causa di uno stato di malattia, piuttosto la correlazione con altre variabili che in qualche modo toccano la vita dell’individuo all’interno e all’esterno della struttura familiare.
I censimenti, le indagine e le ricerche in questo senso testimoniano un nesso tra i tassi di morbosità e le situazioni familiari vissute dai pazienti. Nelle famiglie conflittuali, frammentate o in cui è assente una possibilità d’aiuto, sono maggiori le probabilità di insorgenza di un disturbo. Se si combinano situazioni difficoltose o problematiche in famiglia con un’insufficienza di sostegno sanitario, si verifica anche un accrescimento della suscettibilità nei confronti di malattie fisiche, psicologiche e mentali In questo senso la famiglia contribuisce sul piano causale all’insorgenza della malattia, in modo scatenante o collaterale, «ma in taluni casi può essere essa stessa la malattia soggiacente al corso esistenziale delle persone, o comunque il fattore strutturale di amplificazione delle patologie».
Quale canale di trasmissione, il ruolo della famiglia deve comunque essere inteso come un rinforzo che si struttura sulla base del sistema delle risposte che la famiglia fornisce nell’insorgenza della malattia: può contribuire ad aggravarne lo stato di gravità, come influenzare negativamente il processo di cura. Esistono dinamiche familiari, peraltro ancora difficili da spiegare nella loro globalità, che arrivano a situazioni contraddittorie nel trattamento della malattia, manifestandosi attraverso la negazione della stessa, la vergogna dell’essere malati o la considerazione superficiale di uno stato di salute gravemente compromesso. La letteratura psicologica evidenzia come alcuni casi di malattia come ad esempio il diabete, siano negati nella famiglia e il trattamento del malato sia espresso in condizioni nascoste, private; così come nel caso di stati patologici di anoressia o bulimia nervosa ove le madri rifiutano l’ammissione di stati gravi di disturbi del comportamento alimentare, anche di fronte a evidenze tangibili di dimagrimento improvviso e immotivato.
Oltre a rappresentare un canale di trasmissione delle malattie, la fan può comunque rappresentare anche un luogo di cura e terapia, soggetto nella prevenzione e nella riabilitazione di diverse patologie. Determinante nell’educazione alimentare, nell’apprendimento degli stili di vita e di comportamento, nonché nelle abitudini e nelle pratiche d’igiene, la famiglia ha un ruolo da valorizzare nei programmi di cura e di trattamento delle patologie Ancora, preso atto che per il malato la famiglia rappresenta un aspetto da valutare come parte del contesto storico, sociale, culturale e psicologico in cui vive, appare inevitabile un suo coinvolgimento al momento nel trattamento terapeutico. Nei casi di malattie cardiovascolari, di ipertensione arteriosa, di problemi respiratori, le abitudini quotidiane della famiglia sono coinvolte nella prevenzione; nel caso di trattamenti specifici farmacologici o di rientri dall’ospedale dopo interventi chirurgici di rilievo, la famiglia diventa determinante per il rispetto dei programmi di cura; nei casi di incidenti, invalidità problemi di mobilità, le reti familiari acquisiscono un ruolo decisivo programmi di riabilitazione (se si pensa ai soli costi di terapie riabilitative alla gestione quotidiana di chi con costanza deve effettuare ginnastiche o massaggi terapeutici); infine nei casi di riuscita dalla tossicodipendenza o da disturbi del comportamento alimentare, la rete relazionale dell’istituzione familiare, diventa essenziale ai fini del reinserimento sociale.
Nella concezione olistica di salute, e sulla base di una teoria relazionale come espressa da Donati, diventa indispensabile rivalutare il ruolo della famiglia e di "tutta la rete che si muove dentro e attorno”, quale risorsa basilare per la comprensione e il trattamento delle malattie, senza limitarsi a ricercare il problema nei singoli aspetti che possono averlo originato.
Tale prospettiva ha aperto spazi di considerazione nella gestione della malattia a domicilio: una politica che spinge a creare le possibilità domestiche per le terapie nella cura dell’HIV o a dimettere quanto prima i pazienti anziani che nelle strutture sanitarie vivono un’esperienza troppo forte di sradicamento. Sia nei casi di malattie gravi, sia nella cura degli anziani o di bambini ammalati di una delle “malattie dell’infanzia”, la tendenza odierna è di agevolare la terapia nella famiglia, che può diventare attore principale nel trattamento e nella cura. La rete di relazioni presente in essa, agevola così le condizioni per una guarigione più rapida e meno faticosa della malattia, nonché un decorso meno sgradevole. Nel caso dei bambini, la famiglia e soprattutto la madre, rappresentano un universo senza dubbio più umano rispetto all’ospedale. In casi di malattie che si protraggono nel tempo poi, la “domesticità” della cura permette anche la possibilità di mantenere il contatto con la scuola e con la dimensione dell’apprendimento, fattore determinante per la crescita psicosociale.
Seguendo tale prospettiva diventa inevitabile pensare alla famiglia come a un soggetto basilare di prevenzione, di cura e di riabilitazione, proprio per la  sua duplice caratteristica di possibile fonte e possibile cura della malattia.

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