“I
mutamenti culturali sempre più veloci, la mondializzazione, le nuove
biotecnologie, le scoperte di una scienza sempre più insofferente a qualsiasi limite,
caratterizzano la nostra epoca e si susseguono a ritmi incalzanti e senza
ormeggi etici” . Attualmente l’uomo può intervenire sia sulla vita nascente che
su quella morente non accettando più la natura come destino immodificabile ma
interpretandola come insieme di possibilità. L’arma essenziale per frenare la
deriva del nostro futuro è l’etica del limite che Spinsanti individua
nell’”incontro tra bioetica e personalismo”. Assistiamo al primato della
ragione strumentale sulla saggezza pratica e la attuale importanza della
bioetica trova sua ragion d’essere nella coniugazione tra poter fare e dover
fare. Dalla tecnica fine a se stessa sta emergendo la nuova realtà del
post-umano, popolato da inquietanti forme di vita. L’alternativa di scelta che
l’uomo ha oggigiorno è bipolare: tecnica fine a se stessa, soddisfattrice dei
bisogni consumistici o progetto di vita che vede l’uomo al centro del Creato
con un senso e un valore dell’esistenza. “La bioetica è quella parte della
filosofia morale che considera la liceità.. degli interventi sulla vita
dell’uomo e, particolarmente di quegli interventi connessi con la pratica e lo sviluppo delle scienze mediche e biologiche.
L’antropologia personalistica non può essere ideologica: la persona umana
rimane una grandezza che trascende, nel mistero della sua libertà e
responsabilità, anche lo sforzo di autocomprensione e rimane il fine, e non il
mezzo, dell’agire etico”. Secondo Sgreccia le dimensioni scientifica,
antropologica e giuridico-antropologica compongono il triangolo che configura
il giudizio etico. La fondamentazione
della bioetica in quanto scienza, attraverso la definizione di concetti comuni
a persone provenienti da diverse esperienze culturali, è un tema di enorme
importanza, almeno attraverso l’enunciazione dei tre principi laici di
autonomia, beneficenza e giustizia dell’agire morale.
Le
statistiche mondiali sull’aumento della vita media della popolazione registrano
un aumento del fenomeno dell’invecchiamento
che non ha precedenti per la sua estensione e velocità, con altrettante
conseguenze socio-politiche e di responsabilità per i Governi. Le
trasformazioni sociali della famiglia hanno provocato l’impoverimento e
l’emarginazione dell’anziano, in quanto depositario di un sapere non più
spendibile in senso pedagogico all’interno del nucleo familiare, ormai
frantumato dai cambiamenti tecnologici in atto.
La
medicina ha creato la geriatria per far fronte alle esigenze assistenziali di
una larga fetta della popolazione mondiale. Essa si occupa della ricerca e del
raggiungimento di una buona qualità della vita intesa come la conservazione dei
principali parametri biologici ma anche delle motivazioni, interessi,
creatività e spiritualità, necessarie alla pienezza dell’esistenza umana.
Sarebbe auspicabile che a tutto ciò si accompagnasse una corretta educazione
all’invecchiamento capace di contrastare il processo di distacco dall’ambiente
e la perdita degli interessi vitali.
Per
misurare la qualità della vita degli anziani sono state predisposte delle scale
di misura che riguardano lo stato fisico e la capacità funzionale, lo stato
psicologico e il senso del benessere, le interazioni sociali e i fattori
economici ed i fattori etici-valoriali globali. L’elemento utilitaristico, di
tale visione della qualità della vita, si inserisce quale valutazione del
recupero della produttività e dei costi economici che l’anziano comporta alla
società, e viene rafforzato dal principio di autonomia per cui, solo il
paziente, può decidere sul proseguimento o la cessazione delle cure,
sull’eutanasia o sul suicidio. In tale visione utilitaristica l’anziano non
avrebbe più l’obbligo di difendere e conservare la vita in quanto privo del
quoziente minimo prefissato di “qualità della vita”, unico fondamento della
norma etica. Per fortuna la nostra civiltà considera ogni essere umano persona
sempre ed in ogni condizione e si propone di difendere tale personalismo
ontologico da ogni attentato dell’utilitarismo scientifico-tecnologico.
Anche
il diritto è tenuto ad aggiornarsi, per essere sempre attuale, a seguito degli
interventi dell’uomo sulla vita umana resi possibili dalle nuove acquisizioni
delle scienze e della tecnologia biomedica, oltre che per essere garanzia di
liceità e legittimità delle stesse procedure. Da qui l’accentuarsi delle
attenzione del diritto per la bioetica fino alla necessità di teorizzare una
nuova disciplina giuridica: il biodiritto. Esso esprime il tentativo di dare
pubblica rilevanza a molte gravi problematiche di bionormazione e di
biolegislazione oltre che l’esigenza di una riflessione sistematica e coerente circa i criteri necessari alla costruzione
del pensiero biogiuridico, sviluppandone i confini e i contenuti, raccogliendo
al sfida delle novità e scavando a fondo per portare alla luce il senso ultimo del Diritto
nell’ambito dei diritti umani.
Il
Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo cita: “il
riconoscimento della dignità inerente ad ogni membro della famiglia umana e dei
suoi uguali ed inalienabili diritti, costituisce il fondamento della libertà,
della giustizia e della pace nel mondo”. Quindi il diritto che si occupa di
bioetica è chiamato ad essere se stesso nella fedeltà ai suoi compiti e alla
sua natura di tutela dell’essere umano nelle situazioni estreme. Due principi etico-giuridici fondamentali, quelli
di autodeterminazione e di responsabilità
nel prendersi cura, emergono nella letteratura biogiuridica e nelle proposte di
leggi in tema di bioetica. “Il principio di responsabilità nei confronti della cura fa emergere la
interdipendenza reciproca e la solidarietà umana del tessuto sociale mentre il
principio di autodeterminazione mira ad assolutizzare l’elemento di
soggettività dell’individuo” .
La
donna è pari dell’uomo in quanto a dignità e diritti fondamentali ma alcune
tematiche del biodiritto la riguardano in senso stretto: la riproduzione
assistita, l’aborto, la sterilizzazione.
Etica e diritto non possono e non devono prescindere dalle differenze
sessuali, esigono di essere declinati secondo il sesso e, nella forma più
estrema, sono legati alla specificità etniche, ambientali e culturali dei
soggetti sessuati” . Le peculiari modalità d’esistenza, diverse per tipologie
di educazione e di formazione che vengono offerte alla donna o all’esperienza
che ella fa dell’accudimento del bambino, la rendono comunque e sempre capace
di empatizzare con un altro essere umano, di entrare in sintonia profonda con
lui e quindi di prendersene cura. E’ l’alterità
connaturata alla donna, diversa per ethos, predisposizione spirituale e
inclinazione stabile dell’animo nei confronti dell’essere, a rendere la stessa
soggetto di un biodiritto declinato al femminile, che segue un’etica
relazionale più che soggettiva. La globalizzazione è un processo ambivalente: è
positiva perché senza dubbio promuove lo sviluppo dell’unione tra i popoli, è
negativa perché potrebbe comportare l’egemonia di alcuni popoli su altri oppure
l’eventuale livellamento delle differenze etniche e culturali. La
globalizzazione per essere etica dovrebbe giungere ad un’unità mondiale nel
rispetto delle reciproche diversità.
Il
legame tra la bioetica e la
globalizzazione si pone a diversi livelli. A livello di oggetto materiale
comune delle tematiche ecologiche o ambientali oppure a livello di effetti
causali capaci di contribuire alla strutturazione di alcune realtà politiche in
ambito biomedico (es. le politiche sanitarie). A livello di oggetto formale il
legame tra globalizzazione e bioetica si esprime nell’identità ontologica e
culturale della persona umana.
Il
background antropologico influisce sulle modificazioni della riflessione bioetica,
così come tutti i popoli della terra sono uniti dalla globalizzazione fondata
spiritualmente nella dignità della razza umana. L’obiettivo comune da
raggiungere è la dignità della persona, mentre attualmente la globalizzazione
riguarda soltanto aspetti dell’economia, delle telecomunicazioni, della
politica, del lavoro, dell’alimentazione, della cultura anche se si sta
espandendo a tutti gli aspetti umani del vivere, “influenzando notevolmente la
vita dei singoli individui, le loro scelte e i loro modi di vivere” .
Gallino
sostiene che la globalizzazione dovrebbe teoricamente favorire la crescita
economica, la riduzione della disoccupazione e l’aumento della produttività, in
un contesto di interdipendenza delle società di tutto il mondo. Mentre, in realtà,
i dati statistici mondiali dimostrano inequivocabilmente che “l’economia
planetaria sta dividendosi in due blocchi ben delineati, geograficamente
trasversali, contrapposti e sempre più distanti caratterizzati rispettivamente
da una minoranza sempre più ricca economicamente, che detta le regole della
vita sociale, culturale e finanziaria, e una massa di individui che subisce i
dettami dell’altro blocco, non avendo il potere
di negoziare o di influenzare le scelte ed i valori in gioco” .
Rifkin
ha illustrato un ulteriore esempio di “effetti perversi” della globalizzazione
in materia di biotecnologie, a proposito del nostro modo di comprendere e
interagire con l’ambiente in cui viviamo a seguito della genetica: i geni
stanno prendendo il posto delle materie prime dell’era industriale. La genetica
viene utilizzata per la creazione di nuovi prodotti agricoli, farmaceutici,
materiali da costruzione e nuove forme di energia. Rifkin sostiene la
negatività degli effetti globalizzanti delle biotecnologie in quanto esse
rappresentano delle possibilità di monopolio a causa delle strumento giuridico
della brevettazione. Vi è una sostanziale rottura con il passato poiché prima del 1987 non veniva ritenuto oggetto di
brevetto alcun elemento che fosse comunque presente in natura e non
inventato ma soltanto scoperto. A
seguire da suindicata data il Patent and Trademark Office statunitense ha
decretato che le componenti di creature viventi sono brevettabili e possono
venire considerate proprietà intellettuali di chiunque ne descriva per primo le
funzioni, ne isoli per primo le proprietà indicandone le applicazioni
commerciali.
Una
categoria della globalizzazione ambientale, quella biotecnologica, è
particolarmente preoccupante per i rischi intrinseci e immediati, ossia per la
salute dei consumatori, originati dall’economia e da specifiche circostanze
socio-politiche.
Anche
i brevetti farmaceutici hanno grande peso sulle vite di milioni di esseri umani
a causa del fatto che è vietato produrre un farmaco o acquistarlo dall’estero
senza autorizzazione del titolare del brevetto, che ne conserva il diritto per
venti anni. E’ altresì vietato l’uso di farmaci copia non autorizzati. In tal modo i paesi poveri
del mondo non hanno “accesso a cure
essenziali ed efficaci a causa dei prezzi proibitivi dei nuovi farmaci sotto
brevetto”, della “mancanza di progetti di ricerca che abbiano come obiettivo le
malattie dei poveri”, ormai debellate in tutti i paesi industrializzati, e “a
causa dell’abbandono della produzione dei farmaci efficaci per la mancanza di
compratori che garantiscano un adeguato profitto all’industria produttrice” .
Una
globalizzazione democratica richiede il passaggio ad una cultura della
solidarietà, intesa come struttura etica che dovrebbe sottendere ad un concetto
di progresso lento ma migliore in termini di fruibilità e partecipazione di
tutti a scapito della attuale situazione governata dalla morale dei
costi-benefici.
La
bioetica globale dovrebbe occuparsi della considerazione dei temi
dell’ecologia, dell’ambiente e del territorio, in parole semplici delle
biodiversità dell’ambiente antropizzato.
I
temi ambientali sono di vastissima portata e di immediato interesse e
riguardano l’eredità economica primaria che si lascia alle generazioni future
in termini di fruizione e consumo delle risorse naturali del pianeta, sotto
forma di energie e materie prime, e la gestione appropriata, attraverso la produzione e lo smaltimento
eco-compatibili, dei rifiuti pericolosi.
L’ambiente
antropizzato si configura come la mentalizzazione del territorio, secondo
esigenze antropologiche-culturali, in riferimento alle esigenze di
preservazione e rispetto dei valori di vita e salute. L’ecologia è un tema di
profondità antropologica ed etica così ampia da non poter venire trascurato dalla
speculazione bioetica globale.
Mele
e Maglietta distinguono diversi modelli di ecologia relativi ad elaborazioni
antropologiche di riferimento. L’approccio di fondo è di tipo scientifico, ed i
modelli individuati sono “l’ecologia ambientale, l’ecologia sociale, l’ecologia
profonda, l’ecologia umanitaria o integrale o dell’ambiente globale. L’ecologia ambientale sottolinea il dato
biologico-chimico-fisico degli equilibri che prendono forma nell’ambiente
attraverso strumenti e metodi di analisi, mappe e modelli matematici,
simulazioni, coefficienti, indici, indicatori per la valutazione del rischio o
impatto ambientale, diventa una eco-filosofia. L’ecologia sociale individua il
problema ecologico nel tipo di società presente sul pianeta, estendendo l’analisi
alla politica e all’economia, influenzatici dei processi di modificazione degli
equilibri ambientali. L’ecologia profonda si caratterizza per il rifiuto
dell’immagine dell’uomo nell’ambiente a favore dell’immagine relazionale a
tutto campo, dove gli organismi sono nodi della rete biosferica. Si
caratterizza per l’egualitarismo biosferico ossia per l’uguale diritto a vivere
e realizzarsi pienamente da parte dell’ambiente; per i principi di diversità e
simbiosi, per la lotta contro l’inquinamento e l’esaurimento delle risorse e
per la complessità degli ecosistemi che esaltano l’ignoranza umana circa le
relazioni biosferiche e le relative interferenze.
All’ecologia
umanistica dell’ambiente globale fanno capo considerazioni etico-antropologiche
che richiamano l’antropologia filosofica, il personalismo e la religione.
La
bioetica deve porsi al servizio della prospettiva ecologica per offrire in
chiave multidisciplinare i suoi
fondamenti, sviluppi e metodi” . La chirurgia dei trapianti viene definita come “sicura ed insostituibile
opportunità terapeutica capace di risolvere positivamente oggettive situazioni
di pericolo e di danno per la vita o per la validità individuale, non
altrimenti e non altrettanto efficacemente trattabili” .
“Oltre
a migliorare le qualità della vita in termini di funzionalità organica, i
trapianti d’organo hanno risvolti psicologici e sociali non indifferenti:
tolgono la dipendenza da apparecchiature strumentali riducendo la spesa
pubblica e permettendo ai soggetti di ricoprire le loro attività lavorative, il
loro ruolo sociale, acquisendo sicurezza interiore e vita autonoma”. I
sentimenti nei confronti della donazione sono molteplici e offrono una lettura
socio-psicologica della indifferenza, della speranza o della paura rimossa. La
carenza di sensibilità verso la donazione e la conseguente reticenza sono state
forzate del nostro legislatore attraverso la nuova legge sui trapianti n. 91 del 1999. I punti
salienti dell’attuale normativa in merito sono l’informazione della cittadinanza,
il consenso alla donazione e il riassestamento organizzativo dei centri di
coordinamento e prelievo degli organi. Lo scopo dei trapianti è assolutamente
terapeutico ed esclude ogni tipo di sperimentazione fine a se stessa.
L’informazione è il presupposto principale per dare la facoltà di libera
decisione attraverso la sua intenzionalità e autodeterminazione. Il Ministero
della Sanità promuove vere e proprie campagne di informazione volte a
sensibilizzare il cittadino sull’importanza della donazione di organi e tessuti
a scopo di trapianto. Le competenze impegnate in tale fase informativa sono
quelle sanitarie, giuridiche e filosofiche. La legge introduce in merito il
concetto di silenzio-assenso informato e ha previsto la distribuzione di una
card che rappresenta un mini-testamento biologico, circa la singola
disponibilità alla donazione degli organi post mortem. Il solo lascito di una
dichiarazione scritta in cui si nega
esplicitamente il proprio assenso pone la legge nell’impossibilità di
permettere l’espianto.
I
principi etici in materia di trapianto sono la tutela della vita umana e lo
scopo di migliorarla in caso si trovi in situazioni di malattia inguaribile.
Naturalmente la vita del donatore e del ricevente sono valori fondanti e
rappresentano un bene indisponibile. La legge vieta il guadagno economico e
sociale del donatore, se vivente, o della sua famiglia e rifiuta l’agire degli
operatori sanitari per puro bisogno di successo o di avanzamento di carriera.
Il
trapianto è accettabile a condizione che risulti terapeutico e che venga
eseguito attraverso una buona pratica clinica rispettando il corpo e l’identità
del donatore e del ricevente, deve mirare a massimizzare i benefici e
minimizzare i danni e gli errori, e il suo fine è il dono e la solidarietà,
configurandosi come atto gratuito, volontario, responsabile e disinteressato
nel pieno rispetto della decisionalità del donatore. La donazione si configura come una scelta
pienamente consapevole ed ha connotato di oblazione, di dono giuridico e morale.
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