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martedì 14 maggio 2013
Approfondimenti pedagogici. Il conflitto.
Il conflitto nasce dalla tendenza di due o più soggetti in relazione tra loro a soddisfare i propri bisogni partendo da una posizione di totale soggettività. La posizione soggettiva vuol dire che la persona e perfettamente in contatto con se stessa, è in contatto senza paura con gli altri ed è in contatto con l'ambiente. Si hanno quindi tre livelli di percezione conflittuale: percezione di sé, percezione di sé in rapporto con gli altri e percezione di sé in rapporto con gli altri nell'ambiente.
La teoria dei bisogni di Maslow dice che la deprivazione di uno specifico bisogno impedisce alle persone di poter evolvere verso il processo di autorealizzazione. Il mantenersi in contatto con i propri bisogni è quindi un elemento fondamentale di crescita personale e quindi di miglioramento della relazione fra sé e gli altri.
Inoltre comprendere quali bisogni sono stati lesi o minacciati in una persona che vive una situazione di conflitto rispetto a un'altra è fondamentale per poter giungere a una soluzione costruttiva, che realizzi certi obiettivi comuni a tutti.
E’ bene quindi, se c'è un conflitto nel gruppo, che emerga. La gestione di un conflitto presuppone il coinvolgimento delle persone in conflitto. Ad esempio, prendiamo il conflitto tra due dirigenti perché uno ha più personale dell'altro. In questo conflitto è bene che intervenga il loro superiore, coinvolgendo le parti interessate, per prendere insieme la decisione più giusta.
La decisione presa sarà dunque una decisione condivisa anche dai due dirigenti in conflitto. L’accordo cui si giunge deve dare ad entrambi la sensazione di aver fatto un buon accordo o un buon affare (soluzione “vinci-vinci”). L’accordo quindi è buono se lascia entrambe le parti soddisfatte. Tutto questo è alla base dell’efficienza, dell’efficacia e della economicità dell’organizzazione. Può accadere che siano tante le persone a lamentarsi e in tal caso il dirigente rischia di uscire confuso perché il conflitto da gestire è più complesso. In questi casi è opportuno riunire le persone e sentirle in gruppo.
Per fare in modo che la riunione sia produttiva è necessario aprire il gruppo menzionando il problema e dettare le regole. Chi parla si autoregola rispetto al tempo che si dà, (tenendo presente che anche gli altri hanno il diritto di parlare), mentre chi ascolta non interrompe e aspetta il suo turno per parlare.
Il ruolo del dirigente è quello di facilitatore empatico. In tal modo una situazione di
conflitto si può trasformare in una situazione di confronto attraverso la "facilitazione"
quale mezzo di comunicazione efficace.
Modi di risolvere un conflitto
Sono quattro i modi più ricorrenti di risolvere un conflitto. Innanzitutto, la metacomunicazione, che consiste nel mettersi fuori dalla situazione e rendersi conto di come si sta comunicando. Si tratta quindi, di spostare l’attenzione, dall’argomento del conflitto al modo in cui le persone stanno interagendo. Vi è poi la ristrutturazione che ristruttura la relazione sulla base del risultato della metacomunicazione. Il disarmo unilaterale consiste nel cedere, andarsene, dopo di che l’altro cede improvvisamente anche lui. Alcune persone hanno bisogno del conflitto per sopravvivere; se l’altro
improvvisamente riconosce loro la superiorità e se ne va, le lasciano sole e quindi finiscono col cedere anche loro. L’ultimo modo consiste nel rivolgersi a un terzo. E’ una terza persona che interviene a risolvere il conflitto.
La soluzione di un conflitto generalmente è una delle funzioni del Leader. Vi sono tre tipi di Leader all’interno di un gruppo. Un Leader gerarchico con leadership gerarchica, il quale viene consegnato al gruppo dall’istituzione; un Leader affettivo che, presiede le dinamiche del gruppo e cioè la parte emotiva del gruppo. Ha la funzione di coagulare il gruppo. Infine, un Leader tecnico competente in campo tecnico.
La mediazione nei luoghi di lavoro
All’interno delle équipe di lavoro le tensioni latenti o i contrasti aperti, spesso, non soltanto incidono negativamente sulla produttività dell’ente, ma giungono a condizionare pesantemente la serenità delle persone coinvolte, anche di coloro che non sono gli attori principali della vicenda conflittuale.
La sfera lavorativa costituisce una quota importante della vita quotidiana, e l’atmosfera che vi regna può essere un elemento capace di influenzare aspetti diversi dell’esistenza di ciascuno: dallo stato d’animo con il quale ogni giorno “ci si presenta al lavoro”, al rapporto con se stessi e con gli altri, inclusi familiari e coniugi.
Una comunicazione strategica è caratterizzata dal suo essere sempre orientata in direzione di un obiettivo da raggiungere. Il “persuasore” si propone di guidare l’altro ad assumere una particolare posizione che lo porterà a modificare la propria percezione rispetto a una data realtà. Per farlo, egli si preoccupa di strutturare la forma della propria comunicazione in modo tale da facilitare questo processo, piuttosto che andare alla ricerca di una condivisione di contenuti.
I Conflitti interpersonali sul lavoro
Nelle strutture organizzate come l’ambiente di lavoro esistono dei sistemi di regole più o meno formali che permettono alle persone che condividono ogni giorno quel luogo di lavoro di agire secondo un obiettivo comune.
Quando qualcuno infrange una o più di queste regole aumenta la probabilità che nascano dei conflitti all’interno dell’ambiente lavorativo, ovvero il disequilibrio delle relazioni fra colleghi o fra colleghi e superiori e così via.
Sono molti i fattori che determinano il sorgere dei conflitti. Dalle caratteristiche dei gruppi alle regole di interazione, passando per le differenze interpersonali, il modo in cui trattiamo gli altri e la percezione della situazione.
Per quanto riguarda le caratteristiche dei gruppi, la situazione tipica è il formarsi dei cosiddetti “gruppetti” che tendono inevitabilmente a dividere le persone e spesso a far nascere dicerie e voci di corridoio con conseguenze facilmente immaginabili. Le regole di interazione sono molto importanti perché la loro infrazione determina quasi sempre lo scontro fra parti diverse e in particolar modo verso chi ha infranto quelle regole.
Lo stessa rilevanza viene assunta dalle differenze interpersonali. Le persone sono diverse e non necessariamente ognuno ha il dovere di andare d’accordo con tutti. L’importante è riuscire a gestire le differenze. I conflitti si generano quando le persone non sono in grado di gestire diversità di pensiero, di genere, d’età o quando qualcuno ha il bisogno di prevalere sugli altri, qualsiasi siano le conseguenze di un tale atteggiamento. I pregiudizi o i forti stereotipi sulle persone portano al formarsi di idee preconcette che compromettono le relazioni fra i collaboratori e la nostra interpretazione degli eventi influisce sui nostri comportamenti e sul modo in cui ci rapportiamo agli altri.
In un prospettiva di risoluzione dei conflitti è necessario ricordare che è bene prima di tutto operare una attenta analisi del conflitto, in secondo luogo conviene analizzare i costi e i benefici della eventuale risoluzione e in ultimo chiedersi se è più facile chiedere una modifica del comportamento altrui o adattare il nostro alla situazione.
Una metodologia molto utile è la simulazione. Cioè si produce o si riproduce una situazione che potrebbe accadere. Non meno importante è il Role-play all'interno di una simulazione che rappresenta un conflitto sociale.
Tra le indicazioni principali per il Role-play è bene ricordare, innanzitutto, che non c'è ruolo “giusto” o “sbagliato” e non ci sono ruoli/atteggiamenti “ridicoli”. Lo strumento ha un valore in sé (non è però il fine dell'esercizio). Ogni ruolo è importante ed è importante per gli spettatori/osservatori annotarsi ed osservare la strategia del protagonista così come “calarsi” nella parte cercando di vivere il ruolo in prima persona ed evitando di interpretare stereotipi (es. il dirigente becero, il funzionario tuttofare, il dipendente giornalaio).
Si suddividono i partecipanti in sottogruppi da 5, scegliendo all’interno del sottogruppo una situazione conflittuale per poterla rappresentare. Per sceglierla correttamente, occorre che vi sia un protagonista centrale e che tutti i componenti del gruppo abbiano una parte. E’ necessario preparare e provare la scena, e rispettare i tempi.
In seguito si avvia una discussione, che analizzi il tipo di conflitto, la modalità di risposta data, e la modalità di risposta che si potrebbe dare. Infine, si passa alla valutazione finale, partendo da qualsiasi spunto ognuno esprime, il proprio stato d’animo, le proprie riflessioni, i suggerimenti e le valutazioni.
Approfondimenti sociopsicopedagogici. LA SEPARAZIONE
In lotta per il potere
Due partner sono assieme da diverso
tempo e la passione e la magia che coloravano gli incontri iniziali si sono logorate. Sono
ormai consapevoli di non essere sempre in sintonia e che alcuni aspetti,
atteggiamenti e comportamenti dell’altra persona irritano sempre più. Ci
si accorge, inoltre, che il rapporto ricrea alcune difficoltà che già vissute
in passato.
Quando c'innamoriamo ci convinciamo
che i nostri desideri più importanti saranno esauditi.
Siamo innamorati del ricalco costante
che l’altro fa di noi stessi.
Appena la relazione diventa più
stabile, queste convinzioni diventano aspettative. Entrambi abbandoniamo
l'atteggiamento colmo d'affetto ed attenzioni e regrediamo all'infanzia, quando
avevamo la pretesa che i nostri bisogni venissero soddisfatti al più presto. Ma
è ben difficile che una cosa del genere possa accadere, anche perché abbiamo
scelto un partner che ha gli stessi difetti dei nostri genitori.
Quando tutto ciò emerge c'è un brusco
risveglio alla realtà e subentrano delusioni e conflitti.
Siamo entrati nella fase critica del
rapporto in cui è in atto una lotta per il potere. In questa fase scopriamo che
il nostro sentimento è meno intenso, che sono diminuiti gli abbracci e le
manifestazioni d'affetto ed aumentano le ore passate al lavoro, davanti alla televisione o in giro con gli amici. Ci rendiamo conto che le nostre aspettative non saranno esaudite e che dobbiamo prendere in considerazione anche quelle della controparte, che non sono manifestate chiaramente.
manifestazioni d'affetto ed aumentano le ore passate al lavoro, davanti alla televisione o in giro con gli amici. Ci rendiamo conto che le nostre aspettative non saranno esaudite e che dobbiamo prendere in considerazione anche quelle della controparte, che non sono manifestate chiaramente.
La lotta per il potere, il periodo di
sofferenza e frustrazione tra la fine dell'amore romantico e l'inizio di quello
vero, è costituita in gran parte dall'ignoranza: ignoriamo infatti quali siano
le cause e le motivazioni di tale fase, e non conosciamo bene nemmeno il nostro
partner. In realtà, lo scopo della lotta per il potere è uguale a quello
dell'amore romantico: porre fine all'infanzia e fare in modo che la persona che
ci sta accanto soddisfi le esigenze lasciate irrisolte dai nostri genitori, e
l'unico modo per ottenerlo è la risoluzione dell'intricata rete di frustrazioni
in cui ci si ritrova coinvolti.
Per prima cosa due persone devono
quindi identificare queste frustrazioni, spesso alimentate anche dalla ignoranza relativa alla
dinamica delle relazioni e dei conflitti.
Nella fase della
lotta per il potere la maggior parte delle coppie finisce per arenarsi in una
posizione di stallo, in una fase che secondo la PNL possiamo definire di ancoraggio negativo. Questa fase dovrebbe essere considerata come
un momento necessario al recupero del potenziale della fase romantica. Rimanere
bloccati significa interrompere il processo naturale che ci porta a
realizzazione di un modo di essere in cui sappiamo occuparci e prendere cura di
noi stessi e degli altri.
La lotta per il
potere non viene superata sino a quando ci concentriamo solo su noi stessi e
sulla nostra sopravvivenza personale.
Il passo
fondamentale per superare adeguatamente la fase della lotta per il potere è la
comprensione della dinamica specifica del conflitto. La nostra ignoranza in merito alle lotte per il potere comprende una
serie di false convinzioni che compromettono seriamente la capacità di
affrontare le realtà del conflitto:
1. Tu sai cosa voglio, e quindi non devo
chiedere nulla. In PNL tale modalità comportamentale viene chiamata lettura del pensiero.
Ma la persona che ci sta accanto non è
capace di leggere il pensiero; anche se non ci chiede nulla, dobbiamo confidarle
i nostri desideri e quello che abbiamo in mente.
2. Se ti faccio soffrire, tu soddisferai le mie
esigenze.
È vero che pur di farci star zitti o di
toglierci di torno il nostro partner è disposto ad accontentarci, proprio come
si fa con i bambini, ma è inevitabile che prima o poi si ribelli contro la
fonte di tanta sofferenza.
3. Tu esisti solo per me.
Il partner ha i nostri stessi diritti,
e dobbiamo quindi condividerne il centro dell'universo.
4. Potresti accontentarmi, se solo lo volessi.
Occorre prima chiarire cosa si desidera, e non esercitare alcuna forma di
pressione.
Qualsiasi
ristrutturazione parte dal punto nodale che vi può essere uno scollamento tra il
comportamento e l’obiettivo che esso dovrebbe conseguire. utturazione parte dal punto nodale che vi può
essere unoscollamento
Sono già diversi
anni che gli psicologi hanno notato questo fatto e hanno coniato il termine autonomia funzionale per indicare
comportamenti che continuano a sussistere anche quando, dopo molto tempo, non
assolvono più per la persona nessuna funzione vitale.
C’è un altro
aspetto della ristrutturazione che contribuisce a renderla così valida, ed è la
sua dichiarata attenzione per il resto della persona. Ci assicuriamo che tutti
i nuovi comportamenti non interferiscano con nessun altro aspetto del modo di
funzionare della persona. Nella scelta di essi, tutte le parti che fanno
obiezioni diventano alleati e in questo modo il nuovo comportamento viene a
inserirsi senza traumi tra tutti gli altri bisogni e comportamenti della
persona.
In questo modo
si tiene conto dell’ecologia interna della
persona ma non ancora, in modo diretto, dell’ecologia del sistema
interpersonale di cui la persona fa parte. Talvolta, quando si cambia una
persona, essa, individualmente, sta bene, ma il resto della famiglia denuncia
improvvisamente alcuni problemi.
Talvolta,
cambiamenti molto importanti per l’individuo si rivelano disastrosi per il suo
ambiente circostante.
Molta gente va
in terapia, comincia a cambiare e finisce col divorziare. Di solito, ciò
avviene perché nel cambiamento l’Altro non è tenuto in considerazione.
Naturalmente, a
cose fatte, se vogliamo nascondere la nostra impreparazione di terapeuti,
possiamo sempre dire che “l’altro non
era disposto a cambiare”!
Solo quando si
riesce ad intervenire con la ristrutturazione sull’intero sistema familiare, si
fa un buon lavoro. Sarà molto più facile e duraturo perché non ci saranno parti
del sistema che cercheranno di disfare ciò che noi, faticosamente, abbiamo
costruito.
La crisi
Terminata la fase nell'innamoramento
entriamo, come si diceva, in quella della lotta per il potere dove si
manifestano conflitti e crisi molto rilevanti. Molte persone pensano che il
conflitto sia la causa della crisi e che la coppia funzioni solo in assenza di
conflitto. Questa credenza è profondamente falsa; la causa della crisi non è il
conflitto, ma l'incapacità di affrontarlo e risolverlo adeguatamente.
La ricerca
psicologica ha individuato quattro modelli inefficaci per affrontare il
conflitto, a cui corrispondono comportamenti e problemi psicologici specifici.
- Il primo modello è quello della sottomissione, in cui prevale l’atteggiamento “io perdo tu vinci”. Una persona tende a rinunciare, ad arrendersi, ad avere atteggiamenti di “martire” o “vittima”, basati sull’eccessivo altruismo. La problematica psicologica che ne consegue è la depressione.
Vengono,quindi, spesso utilizzati Metaprogrammi (cioè filtri percettivi
inconsci che caratterizzano la nostra personalità) funzionali di tipo
motivazionale e/o relazionale che a lungo andare creano situazioni non gestibili.
- Il secondo modello è quello della lotta, basto sull’atteggiamento “io vinco tu perdi”, con tentativi di prevalere sull’altra persona attraverso l’attacco, la denigrazione ecc. Anziché reiterare, come accade nella fase dell’innamoramento, un costante ricalco dell’altro e automaticamente di se stessi, l’altra persona diventa un “nemico”; ci si concentra sui motivi per cui ha torto e su ciò che si vuole cambiare della situazione. La problematica psicologica che ne consegue è quella dell’eccessiva rabbia e della collera.
- Il terzo modello è quello del congelamento, caratterizzato dall’inattività rispetto all’impegno nel perseguire l’obiettivo della coppia, una fase in cui si rimane immobilizzati ed accomodanti rispetto all’altra persona, venendo meno all’implicito patto di collaborazione. La problematica psicologica che ne consegue è l’eccessiva ansia.
- Il quarto modello è quello della fuga, attuata attraverso comportamenti del tipo: cambiare argomento, abbandonare la situazione, distrarsi ecc. Si vengono a strutturare sempre più Metaprogrammi a selezione funzionale di tipo direzionale. Ci si pone lontano dal problema allontanando, di conseguenza, qualsiasi tipo di obiettivo. Questo modello comporta problematiche psicologiche legate alla dipendenza e ad abitudini ossessivo-compulsive.
Tutti e quattro
questi modelli sono inadeguati per affrontare un conflitto sia esso
intrapsichico o interpersonale. Esiste un modello efficace, una soluzione collaborativa, per la soluzione dei conflitti, che si basa
sull’atteggiamento “io vinco tu vinci”, attraverso, cioè, la messa in atto
di modalità funzionali di tipo cooperativo
orientate verso la risoluzione del problema insito nella coppia.
L’atteggiamento
vincere/vincere si basa sulla mentalità dell’abbondanza, vale a dire sull’idea
che c’è abbastanza per tutti e si possono trovare molte soluzioni alternative
ai problemi: modi migliori per elaborare le cose, in modo tale che ci sia una
vittoria per tutti. Con la soluzione di un conflitto sulla base del principio
vincere/vincere, tutte le parti sono contente delle decisioni prese e si
sentono impegnate nella loro realizzazione.
Ma la questione principale non è quella
della presenza del conflitto, bensì quella della sua prevenzione e della sua
gestione e soluzione. Molto spesso i partner
finiscono con l'impantanarsi in conflitti, sempre uguali, che li allontanano
l'uno dall'altro. Questo tipo di conflitto è una vera e propria
"scena madre" che si ripete nel tempo provocando molta sofferenza nei
due contendenti. Importante è saper individuare e risolvere questa "scena
madre", comprendendone le ragioni di fondo e le modalità in cui si
sviluppa.
Nella coppia ci
si ritrova spesso a vivere discussioni e conflitti che hanno qualcosa in comune
e che sono prevedibili. Si tratta di situazioni in cui viene da dire:"ecco, ci risiamo".
Quella che qui
viene definita scena madre è ciò che Bandler e Grinder chiamano processo
di ancoraggio, attraverso il quale associamo naturalmente uno
stato emotivo ad uno stimolo, di modo che ogni qual volta siamo sottoposti ad
esso tendiamo a dare sempre la stessa risposta comportamentale.
L’ancoraggio è
un processo simile alla tecnica del “rinforzo” usata da Pavlov per suscitare la
salivazione nei cani.
Durante tutta la
vita, l’uomo è sottoposto a moltissimi stimoli i tipo visivo, uditivo e
cenestesico, a cui dà un significato consapevole o inconscio, e questo gli
permette di creare una mappa del mondo che influenza e guida il comportamento.
Durante tutta la
vita siamo, dunque, condizionati a rispondere agli stimoli che ci circondano e
lo facciamo accompagnando il nostro comportamento con stati d’animo di
benessere o di dolore. Abbiamo imparato ad attribuire a questi stimoli una
sorta di capacità magica di suscitare in noi degli stati d’animo, piuttosto che
altri.
In PNL l’ancora, quindi, è un qualunque stimolo
capace di suscitare sempre la stessa risposta.
Nella "scena
madre" la coppia ricopre, in continuazione, gli stessi ruoli, con le
medesime battute che portano ad un prevedibile finale, che lascia i contendenti
esausti e furibondi. Nella scena madre il conflitto ha qualcosa di prevedibile,
come se i contendenti stessero seguendo una sceneggiatura con ruoli e
battute predefiniti. Il conflitto si ripete, e non viene risolto, perché il
motivo che sta alla base non è compreso.
Con il passare
del tempo si sviluppa un modello stimolo-risposta, rigidamente ripetuto, in cui
una battuta porta alla successiva e le due persone coinvolte si ritrovano a
combattere vecchie battaglie.
Le coppie
finiscono col trovarsi a discutere sempre per gli stessi motivi perché nessuno
dei due sa come indurre nell’altro certe risposte. La risposta che hanno
intenzione di ottenere è completamente diversa da quella che ottengono nella
realtà.
Il più delle
volte, nella coppia, ciascuno dei due è semplicemente abituato al comportamento
dell’altro, e per questo smette di fare cose nuove. Non è che non sia capace; è
che ciascuno dei due si è talmente ancorato a certi modelli rigidi di
interazione da non fare più nulla di nuovo. E’ molto difficile che si trovino
nelle coppie disfunzioni molto gravi all’infuori di questa abitudine a certi
schemi rigidi.
Uno dei compiti
fondamentali della coppia consapevole è identificare, comprendere e risolvere
la "scena madre" che, inevitabilmente, si presenta al suo
interno. Sostituire, dunque, ancore negative, che scatenano dinamiche
note, con ancore positive.
- Il primo passo è l'identificazione della "scena madre", vale a dire la consapevolezza che nella coppia ci sono situazioni di conflitto che si ripetono e che creano modelli automatici di risposta. Quindi conoscere la sua dinamica di base: da cosa è provocata, che cosa avviene, come termina di solito. Si deve cercare di disancorare, di interrompere, quindi, quel determinato comportamento disfunzionali.
- Il secondo passo è comprendere quali sono i bisogni insoddisfatti che stanno alla base della scena madre. Guardandola più in profondità si scopre, infatti, che è motivata da un bisogno rimasto insoddisfatto nel nostro passato. Si tratta di comprendere qual è la ferita ancora dolorante del passato riattivata nella scena madre, facendo uno sforzo per risanarla. Non appena la persona che ci sta accanto esaudisce il bisogno profondo rimasto insoddisfatto, comportandosi con noi in maniera diversa da come si sono comportati i nostri genitori, la ferita comincia a guarire ed il conflitto si risolve ( creazione di una nuova ancora).
- Il terzo passo è riscrivere la sceneggiatura della scena madre in cui ci si sforza di non ripetere i soliti ruoli o le solite battute (ricalco reciproco). Si scrive un nuovo copione, consapevole, in cui si hanno nuovi modi d'esprimersi e di comportarsi. Non è un compito facile, ma è assolutamente necessario per avere un diverso finale.
I
conflitti possono essere affrontati adeguatamente utilizzando specifiche
tecniche psicologiche come quella della trasformazione delle frustrazioni in
specifiche richieste di modifica del comportamento, nonché attraverso un
monitoraggio e una relativa ristrutturazione, che man mano diviene molto
naturale, delle modalità disfunzionali, operando ricalchi e ancoraggi
positivi delle modalità invece funzionali, gradite e accettate dal partner.
Le
coppie che durano di più sembrano essere quelle che hanno affrontato insieme
delle grandi difficoltà come, ad esempio, situazioni eccezionali, povertà o
crescere un figlio malato ecc.
Siamo abituati
ad esprimere le nostre frustrazioni sotto forma di critiche e lamentele:
"Non mi hai mai detto.." "Tu non fai mai.." ecc. (tipiche generalizzazioni). Ma cosi facendo
otteniamo solo conflitti, rabbia ed atteggiamenti difensivi.
La tecnica della Richiesta di Cambiamento Comportamentale è un’altra strategia
che permette alle coppie di convertire le loro frustrazioni in desideri e poi
in richieste specifiche, positive e realizzabili.
In fondo una frustrazione
non è altro che un desiderio affermato negativamente.
Con la tecnica della
richiesta di modifica del comportamento s'identificano i desideri alla base
delle frustrazioni e si comunicano al partner, senza esprimere alcuna critica.
In una coppia consapevole il partner accoglie i desideri e i bisogni di
crescita dell’altro, li sponsorizza.
In una cornice di
soddisfazione reciproca.
Come dicevamo, nelle coppie
avviene con molta frequenza che un comportamento apparentemente innocuo scateni
una potente reazione. Lo stimolo può anche non essere manifesto, ma la reazione
ci dice che qualcosa di significativo sta avvenendo.
Può essere che il tono della
voce o il modo di guardare sia associato ad altre esperienze del passato.
Spesso, lo stimolo che in una persona provoca una reazione spiacevole può
essere difficile da scoprire, per la sua apparente banalità o innocuità.
In altre parole, “il
messaggio emesso non corrisponde necessariamente al messaggio ricevuto”.
Secondo Bandler, in terapia
di coppia, ogni qual volta si riscontra una differenza tra il messaggio che si
intendeva inviare e la reazione provocata, il terapeuta dovrebbe innanzitutto
allenare la ‘fonte’ a rendersi conto di non aver ottenuto la reazione voluta.
In altre parole: “Che reazione hai ottenuto? Descrivila. Ti
sei accorto di cosa hai ottenuto? Bene.” Ciò potenzia le strategie
percettive della persona che ha inviato il messaggio e la rende più sensibile
alle reazioni che le vengono di ritorno.
La domanda successiva è: “Questa reazione è quella che volevi? E’
questo che intendevi?”.
Questo, secondo Bandler, è
lo schema di ristrutturazione della coppia più semplice possibile; allenare la
‘fonte’ a raccogliere le informazioni che le serviranno per cambiare il proprio
comportamento in modo da ottenere proprio il comportamento che desidera. La
ricerca di comportamenti alternativi può essere effettuata sia all’interno
della persona, utilizzando le risorse inconsce, che all’esterno, utilizzando
modelli tratti dall’ambiente.
Separazione
La separazione ed il
divorzio sono eventi molto dolorosi e stressanti.
Nel contesto del matrimonio, ed
in particolare quando vi sono dei figli, è necessario fare del proprio meglio
per salvare il rapporto. Ma vi sono situazioni in cui non serve più sperare,
tentare, voler discutere; il matrimonio è finito ed è meglio arrendersi
all'evidenza, piuttosto che coltivare altre illusioni. Cosi come per il
matrimonio, la separazione presuppone una decisione ben ponderata, ma categorica.
Dal punto di vista psicologico è certamente utile che, quando è
necessaria, la separazione non sia semplicemente vissuta, ma
decisa. Decidendo di separarsi si pone chiaramente la parola fine al
rapporto, uscendo dal continuo alternarsi di speranze e timori, di attese e
disperazioni, di ritrovamenti ed abbandoni.
Scegliendo la separazione si da
una svolta sostanziale alla propria vita, interrompendo l'identificazione con
il matrimonio ed aprendo la strada ad una nuova vita ed a nuovi rapporti.
Assumere la separazione come scelta, anche se è stata avviata dall'altra
persona, vi mette in una posizione psicologica particolare in cui non siete
soggetti passivi, ma attivi.
La decisione di separarsi
rappresenta per molte coppie un momento molto difficile e contrastato. In molti
casi il distacco emotivo e la delusione rispetto alle aspettative non si
riferiscono alla relazione nel suo complesso, ma verso suoi aspetti specifici.
Alcuni coniugi si distaccano affettivamente dall’altra persona, ma non dal
progetto comune. Altri si distaccano dall'altro come partner sessuale e non
come partner affettivo o sociale, oppure ancora dal progetto e non dall'altro
come persona significativa in termini affettivi e/o sessuali.
Decidere di separarsi per
molti comporta una rinuncia verso qualcosa o qualcuno che rappresenta ancora
una fonte di sicurezza. La separazione può produrre un senso di perdita che
intacca la propria sicurezza personale e la percezione della propria identità e
provoca la necessità di affrontare un processo di lutto anche per la perdita
del vecchio modello familiare. Molto spesso la fase decisionale può impegnare
tempi lunghissimi e sono molti ad affermare di aver operato un distacco
importante, maturando la decisione di separarsi dal coniuge, ma di aver fatto
compromessi per mantenere un certo equilibrio per anni.
La motivazione più
frequente, a livello esplicito, é quella di non poter alienarsi dal progetto
familiare e quindi dai figli e le coppie sono disposte a vivere una sorta di
"separazione in casa" operando progressivamente il distacco
necessario a decidere definitivamente per la separazione, ma più spesso
aspettando la separazione dei figli quando raggiungono almeno la maggiore età.
In questo caso i figli non sono solo, ovviamente, il simbolo del progetto
familiare.
Nel caso di coloro che
subiscono la separazione perché voluta dal partner, la situazione assomiglia
spesso, dal punto di vista psicologico, a quella del lutto provocato dalla
morte inaspettata di una persona cara.
Il conflitto in questa fase é
solitamente centrato sul tema della responsabilità del fallimento dell'unione e
quindi direttamente proporzionale alla difficoltà di operare il distacco
affettivo e alla necessità di convertire il senso di inadeguatezza spostando
sull'altro la "colpa" per non aver saputo affrontare gli ostacoli
salvando l'unione.
Il processo decisionale richiede
la capacità di valutare, uscendo dall'ambivalenza e dall'inconsapevolezza,
l'esistenza o meno di risorse per operare un cambiamento che consenta di riconfermare
l'unione della coppia perché di nuovo soddisfacente.
Dal punto di vista emotivo
l'ostacolo principale in questa fase é l'ambivalenza e sembrerebbe necessario,
per affrontare con successo il compito centrale di raggiungere l'obiettivo
della decisione per uscire dall'instabilità, che le persone abbiano raggiunto
un buon livello di individuazione (sia nella famiglia d'origine che nella
coppia) e che siano capaci di consapevolezza interazionale per poter
partecipare attivamente alla decisione dopo una valutazione delle possibilità
eventuali di superare in altro modo la crisi.
Sul piano psicologico, comunque,
dalla coppia la separazione è vissuta sempre, in maniera consapevole o
inconscia, attraverso un sentimento di "lutto" e di perdita proprio
perché viene a mancare quella consuetudine sulla quale il sistema familiare si
organizza. Quali che siano le cause che conducono ad una decisione così
dolorosa, si tratta di dover prendere atto del fallimento di un progetto, nel
quale si è investito emotivamente e materialmente.
Lutto
Una ricerca condotta dalla psicologa Francescano
su un campione di separati e divorziati italiani, ha rilevato che più della
metà delle persone intervistate ha provato, dopo la separazione, sentimenti di
rabbia, solitudine, sensi di colpa, nostalgia, impotenza e rancore.
Considerando cosa succede
dopo la separazione, la
Francescato ha individuato due tipologie di separati
problematici: i "cavalli al galoppo"
ed i "dinosauri d'amore". I
primi cambiano spesso oggetto d'amore e vivono separazione come un
capitolo finito della propria vita, per andare incontro ad esperienze migliori.
Per i secondi è impossibile dimenticare e trovare nuovi rapporti soddisfacenti.
A volte si risposano, ma rimane loro dentro una specie di nostalgia perenne per
la persona che le ha lasciate o che sono state costrette a lasciare.
La nostra ipotesi è che i
"cavalli al galoppo" siano persone caratterizzate da un modello
d'attaccamento evitante o distanziante, che li porta a vivere più rapporti di
coppia con poco coinvolgimento emotivo ed impegno.
I "dinosauri d'amore"
sono invece persone caratterizzate da un modello d'attaccamento
ansioso-preoccupato, che li porta a vivere i propri rapporti con l'illusione di
stabilire una forte fusione ed unità con l'altro. Nel lungo periodo sono queste
le persone che sembrano risentire più negativamente degli effetti della
separazione. In alcuni casi queste persone sprofondano in abissi di
autosvalutazione, apatia, colpevolizzazione di sé o degli altri e vivono periodi
d'ossessivo ricordare e fantasticare. In genere il loro vissuto della
separazione è il seguente:
- non riescono più a fidarsi di altre persone e ad abbandonarsi ad un altro amore;
- sembrano uscire minati e distrutti da questa esperienza;
- esprimono molto dolore per aver perso tempo ed aver costruito qualcosa che è crollato;
- non sopportano di vedersi diventare indifferenti agli occhi di un altro che prima li amava;
- si sentono depressi.
La peculiare
caratteristica di questi "separati a
rischio" è il forte attaccamento e la dipendenza psicologica da un
rapporto percepito come deludente ed insoddisfacente, ma di cui non riescono a
staccarsi. Più intenso è questo attaccamento e questa dipendenza, più forte è
l'esperienza di disagio emotivo nel periodo post separazione.
I "separati
a rischio" sono persone che hanno profonde difficoltà personali,
preesistenti alla separazione. Queste persone sono caratterizzate da un modello
d'attaccamento ansioso che le porta ad essere impossibilitate a vivere ed a
pensare alla separazione, sia prima che essa avvenisse che dopo.
Queste persone
speravano di realizzare con il matrimonio, la soddisfazione di tutti i loro
bisogni. In questa situazione il rapporto è vissuto, finché permane
l'illusione, in maniera idilliaca e, quando l'illusione cade, in maniera
opprimente.
Il rapporto è il
luogo dove vengono incanalati tutti i bisogni personali e si determina una
forte dipendenza nei confronti dell'altra persona. Quando il rapporto si rompe,
queste persone si sentono profondamente frustrate, l'illusione che l'altra
persona potesse essere il loro contenitore s'infrange ed essi si accorgono
d'essere nuovamente soli con tutte le loro angosce. In questo caso il rapporto
non è riuscito a svolgere la sua funzione risanatrice, ma ha riportato in
superficie, in maniera ancora più dolorosa, antiche ferite.
Come afferma lo
psicoanalista Caruso, il dolore che si manifesta dopo la separazione è molto
forte perché "si ritrova la
disperazione e l'angoscia per le antiche separazioni, che non siamo riusciti ad
elaborare nel passato". Con la separazione si prova una esperienza di
morte in vita, dovuta alla separazione da noi stessi o, meglio, dalla parte di
noi stessi che è stata proiettata sull'altra persona come io ideale, che ora è
persa.
Quando si
condividono lo scorrere degli anni, le ansie, le passioni, gli affanni, i
progetti, ciascuno dei due coniugi, anche senza rendersene conto, resta se
stesso, ma diventa anche un po’ l'altro. Con la separazione ed il divorzio non
si perdono soltanto la stabilità, la sicurezza, la fiducia; si perde anche una
parte importante di sé.
Separarsi
diventa una sorta di mutilazione: viene scardinata quella parte della
personalità che è stata edificata nel corso degli anni, pochi o tanti,
trascorsi insieme al partner. Si soffre non solo per la perdita dell'amore, ma
perché l'abbandono fa franare la nostra identità; improvvisamente i progetti, i
desideri e l'intera immagine che avevamo di noi vanno incontro a un rovinoso
dissesto; e di solito occorre affrontare un lungo periodo buio, in attesa che
la ferita si rimargini.
La separazione
psicologica
La separazione all’interno di una
coppia è un percorso che passa specifiche tappe, che possono essere riassunte
nelle seguenti:
- La decisione di separarsi
- La definizione legale della separazione
- La separazione psicologica
- La riorganizzazione personale e famigliare dopo la separazione
Nelle specifico, il concetto di
separazione psicologica è stato introdotto per la prima volta dalla psicologa
americana J. Wallerstein nella sua ricerca sulle reazioni a lungo termine del
divorzio. La Wallerstein
rileva che circa un terzo dei soggetti presi in esame era ancora
emotivamente coinvolto, dopo dieci anni, con l'ex partner.
Queste persone pensavano che la
vita era ingiusta, deludente e solitaria. Alcuni avevano sperimentato il
fallimento d'una seconda unione ed avevano rapporti difficili con i propri
figli. Dalla ricerca della Wallerstein emerge un esito abbastanza negativo e
doloroso della separazione.
La separazione psicologica
necessita di tempo, consapevolezza e maturità per essere raggiunta. Essa non è
completa sino a quando ognuno dei ex partner non si è davvero differenziato
emotivamente dall'altro, in modo tale da poter avviare una propria vita
indipendente ed avere una nuova relazione di coppia stabile e duratura. Quando
ci si separa è necessario essere onesti con se stessi e con altre persone con
cui si vogliono avere relazioni, valutando quanto davvero ci si è separati
emotivamente dal precedente partner.
Ci vuole del tempo per potersi
liberare da dolori, timori, sensi di colpa e legami del passato.
La separazione psicologica è un
processo che deve attraversare diverse tappe prima di concludersi. Non si può
fare altrimenti; bisogna percorrere tutte le tappe per poter finalmente mettere
un punto fermo al vecchio rapporto ed essere pronti a cimentarci in quello che
vita ci riserva. Le tappe per realizzare il processo di guarigione emotiva e
separazione psicologica sono i seguenti:
- Affrontare i
forti sentimenti e le emozioni generati dalla separazione.
-Esprimere la delusione
- Esprimere la rabbia
- Esprimere le sensazioni di fallimento
- Esprimere il perdono verso sé stessi e l'altra persona - Ricapitolare il rapporto di coppia scoprendo le motivazioni profonde della separazione.
- Scoprire i processi di crescita avvenuti nel rapporto, che ora sono bloccati.
- Accettare i doni del rapporto
- Ridefinire la realtà, gestire il futuro.
7.6 Il passato non è passato
Secondo molti autori, lo scopo primario ed inconscio di
una relazione di coppia é la guarigione delle ferite dell’infanzia.
Chi
ci sta accanto è percepito dal nostro inconscio come la perfetta riproduzione di coloro che si
sono presi cura di noi quando eravamo piccoli e inermi e perciò da lui/lei
cerchiamo di ottenere ciò che non abbiamo avuto in passato.
Per
prima cosa occorre fare chiarezza dentro se stessi e condividere poi con
l'altra persona la comprensione delle proprie ferite. Importante è quindi
identificare un’altra componente delle ferite infantili: le frustrazioni
provocate dai genitori e le reazioni che suscitavano, atteggiamenti che si tendono
a ripetere, inconsciamente, con il partner.
Tutti
noi siamo stati in qualche modo feriti, anche se l'ambiente in cui siamo
cresciuti era stabile ed in grado di fornirci il giusto nutrimento. I nostri
genitori erano senz'altro animati dalle migliori intenzioni, ma le cose
potevano andar male in mille modi, e furono proprio gli avvenimenti negativi ad
avere una maggiore influenza sul nostro sviluppo rispetto a quelli positivi:
ancora oggi ricordiamo infatti con maggiore chiarezza le sgridate furibonde che
non le giornate di pace relativa. Terrorizzati al pensiero che la nostra
sopravvivenza sia in pericolo, sviluppiamo alcune difese contro le
inadeguatezze dell'infanzia su cui non abbiamo il minimo controllo.
Grazie
alla continua ripetizione questi meccanismi si cristallizzano e non ci
abbandonano sino alla fine dei nostri giorni: sono l'unico modo di protezione
dalle situazioni pericolose che conosciamo. Ci aggrappiamo al partner,
nascondiamo l'affetto che proviamo o ci rinchiudiamo in noi stessi al primo
segnale di critica. E fino a quando non diventiamo consapevoli di tali
meccanismi, la nostra frustrazione non può scomparire.
Appena
riviviamo gli antichi scenari dell'infanzia, che sono in pratica le stesse
situazioni che speravamo di risolvere quando ci siamo innamorati, riapriamo le
ferite ancora doloranti che avevamo protetto con le nostre solite difese.
Se
il partner ci delude, cosi come ci hanno delusi i nostri genitori, e le solite
reazioni infantili non producono l'effetto desiderato, non avendo altri modelli
comportamentali se non quelli offerti dalla famigli d'origine, noi minacciamo
la persona che ci sta accanto cosi come all'epoca ci avevano minacciati nostro
padre e nostra madre.
Questo
comportamento provoca la riapertura delle ferite del partner, che a sua volta,
reagisce cosi come ha imparato nei primi anni di vita.
Il
cervello raccoglie infatti ogni informazione, e non compie una distinzione tra
quello che viene detto e ciò che si svolge invece davanti ai nostri occhi.
Per
sfuggire alla tirannia del passato bisogna smascherarlo. Spesso vedere gli
effetti devastanti della sua influenza sul presente é sufficiente e ci spinge
ad agire per eliminare le abitudini vecchie e nocive.
Solo
allora, il passato sarà davvero passato.
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