I
percorsi interpretativi nella lettura delle relazioni fra malattia e salute si
sono configurati nei diversi contesti culturali, «come il significato e le
pratiche interpretative interagiscano coi processi sociali, psicologici e
fisiologici per produrre forme distintive di malattie, e traiettorie della
malattia».
Kleinman
ha proposto una distinzione etimologica tra: disease, che si riferisce ad
anormalità nella struttura o nel funzionamento di organi e sistemi e che è
dominio del modello biomedico; illness, che si riferisce alla percezione
individuale di uno stato che ha una connotazione negativa e che comprende, ma
non si limita a disease; sickness, che indica gli eventi che possono diventare
disease o illness.
Il
termine illness dovrebbe riferirsi all’esperienza diretta del malato, il
vissuto della malattia, mentre con disease si indica la concettualizzazione
della malattia da parte del medico.
Esiste
perciò una differenza fra l’essere malato e l’avere una malattia, una
differenza che nella lingua tedesca è percepita come Erkrankung e Krankheit, da
cui deriva la necessità di introdurre un ulteriore termine, sickness, per
indicare la percezione della malattia da parte dell’ambiente sociale non medico.
Proprio in tale prospettiva Young, approfondendo l’aspetto della costruzione
sociale della malattia, ha proposto l’ulteriore specificazione attraverso il
termine sickness, che non sembra essere semplicemente un termine ambiguo che
definisce lo stato tra il danno biologico e la percezione soggettiva del danno.
La
malattia-sickness deve essere infatti intesa come il processo attraverso il
quale, a comportamenti preoccupanti e a sintomi biologici, viene attribuito un
significato socialmente riconoscibile e, di conseguenza, accettabile.
Nella
malattia concepita come disease è possibile perciò distinguere le condizioni
fisiologiche constatate oggettivamente dal medico, il pathos, dalla loro
interpretazione medica in forma di entità clinica o anatomo-fisologica, il
nosos.
Ogni
cultura ha, secondo Young, delle regole per “trasformare” i segni del corpo in
sintomi, per collegare i sintomi a un modello eziologico e di intervento. La malattia-sickness,
quindi, sembra essere un processo per socializzare la malattia disease e la
malattia-illness. Lo stesso insieme di segni, ad esempio, può corrispondere e
diversi tipi di diagnosi e di terapia. E’ il modello eziologico dominante in
quella società che “deciderà” che tipo di malattia ha l’individuo e quale potrà
essere la terapia adatta.
La
malattia-sickness, inoltre, determina la dimensione individuale della malattia.
Ma è la società che stabilisce a quali sintomi prestare attenzione, quando è
lecito stare male e quando non lo è. La malattia-sickness, più ancora che la malattia-illness,
è la cultura più che l’individuo, che determina la scelta e la forma che
assumerà la sofferenza.
Tuttavia,
per tentare di chiarire ulteriormente sembra necessario aggiungere le
osservazioni di Grmek a proposito del rapporto fra salute e malattia. Il Nostro
ha suggerito una distinzione dei problemi: «il primo riguarda la malattia,
concetto generale la cui definizione sottintende quella della salute, cioè
della normalità del funzionamento dei corpo; il secondo, ben distinto dal
primo, concerne le malattie, le entità nosologiche. Il primo problema è quello
della definizione del patologico rispetto al fisiologico. Sarebbe ovvio
definire normale ciò che è più frequente, ma questo non quadra con il fatto che
ci sono della popolazioni nella quali la presenza di certi stati patologici è
più frequente della loro assenza. Il concetto di normalità suppone infatti
quello di norma biologica e sociale, concepita come un tipo ideale di
esistenza, un miglior modo di esistere di un individuo».
Il
modo di sperimentare la sofferenza è cambiato nelle sue configurazioni,
restando però legato ad importanti fattori di origine sociale, quali sono le
condizioni igieniche, quelle relative all’ambiente di vita o ai comportamenti a
rischio, nella più generale definizione dei luoghi del confronto e della
relazione: “è altresì innegabile il rapporto esistente fra le diverse
concezioni della malattia espresse nelle diverse epoche storiche e le malattie
dominanti allora in quelle società”.
Ma
la malattia è anche un fatto sociale, come osservato, perché coinvolge tutta il
gruppo dell’attore sociale malato: «la malattia è, allo stesso tempo, il più
individuale ed il più sociale degli eventi». La ulteriore annotazione sembra
riferirsi proprio alla conseguenza sociale, una conseguenza che fa riferimento
alle diverse dimensioni dei concetti di salute e malattia. La complessità dei
diversi significati assunti sembra essere il risultato di una particolare
lettura della realtà, una lettura che rimanda al fatto che ogni sistema medico
non può prescindere dal più complessivo sistema culturale in cui si colloca
Infatti la stessa definizione di medicina sembra contenere una contraddizione
culturale poiché è definita sia come l’insieme delle discipline scientifiche
che, studiando la fisiologia e la patologia si occupa della salute sia la
pratica professionale dell’arte medica da parte di una persona che ha
conseguito un titolo accademico riconosciuto legalmente. La medicina come
scienza delle scienze è però una costruzione recente perché, tradizionalmente è
conosciuta come «iatriké téchne, non epistéme [...] una sintesi fra scienza,
tecnica ed arte».
Sembra
esserci, nello status attuale delle conoscenze mediche convenzionali una specie
di tensione, culturale e sociale, forse perché, sul fronte epistemologico, la
medicina si è caratterizzata in termini ipercritici, una tensione fra il
bisogno dell’individuo e la difficoltà a realizzare una esperienza conclusiva.
La
storia della medicina occidentale è dominata dalla cosiddetta ideologia curativa,
nella prospettiva di guarire dal male o neutralizzare una lesione. In tale
direzione, la medicina convenzionale si è occupata dell’elaborazione di
tecniche terapeutiche sviluppate in funzione della malattia e della guarigione,
prima che della prevenzione dalle possibile malattie. Per comprendere le
ragioni dello sviluppo e delle dinamiche attuali nella medicina occorre
risalire al Seicento; il cambiamento è rintracciabile con la scoperta
dell’importanza della «misura e del modello meccanico, grazie a Galileo,
Cartesio, Newton e con la biologia di Harvey e altri, cambia in modo
fondamentale il vecchio modello ippocratico-aristotelico essenzialmente
qualitativo, sopravvissuto alla medicina galenica».
Il
diciannovesimo secolo si caratterizza per una svolta epocale nella percezione
del rapporto salute e malattia: un secolo che si configura in un più ampio
quadro teorico costituito dalla scientismo.
È il
secolo dei lavori socio-antropologici ed evoluzionistici di Darwin: Thomas
Huxley ed Herbert Spencer rivendicano che i presupposti teorici dell’Origine
delle Specie siano considerati come verità positiviste. L’evoluzionismo, il
laboratorio di analisi, lo stetoscopio rappresentano quella rottura
epistemologica che porta i medici a ri-trovare la dimensione dell’osservazione
del concetto di malattia
La
salute inizia così ad avere una sua forma all‘interno della società proprio a partire
dal rapporto fra biologia e epidemia e contagio. Infatti, l’epidemia, il
contagio, la paura del male si affermano come dei veri fenomeni del sociale,
passando dall’immaginano incontrollabile ed incontrollato ad un immaginario
sociale.
Gli
ospedali si trasformarono in istituzioni tecnologicamente avanzate. In Italia,
ad esempio, questo periodo segna «il definitivo passaggio dall’età delle
epidemie sociali all’età della mortalità controllata. La mortalità per malattie
infettive, nell’arco di quindici anni, crolla di un terzo.
La
fine dell’Ottocento è così contrassegnata sia dalla consapevolezza della
rivoluzione scientifica in atto sia da vere e proprie novità in termini
normativi ed istituzionali. L’incremento delle conoscenze mediche conduce
all’identificazione di patologie che a loro volta danno luogo ad una
ri-classificazione delle degenze. Nasce così il concetto di “ospedale generale”
che assumerà un ruolo centrale nella pianificazione dell’assistenza sanitaria.
In corrispondenza delle varie patologie identificate e delle rispettive cure,
sorgono spazi separati sottoforma di padiglioni l’accresciuto controllo
igienico dello spazio ospedaliero portava al definitivo trionfo dell’asepsi e
dell’antisepsi.
Successivamente
e fino al secondo conflitto mondiale, i progressi furono considerevoli sia in
campo terapeutico e farmacologico, sia chirurgico, soprattutto a causa degli
eventi bellici del primo conflitto mondiale ed alla necessità di un
significativo uso della chirurgia e delle nuove possibilità offerte dall’
avvento della anestesia. Il secolo Ventesimo ha così mantenuto le promesse del
secolo precedente, con una notevole progressione rispetto ai secoli precedenti
in termini terapeutici e diagnostici. Il Novecento costituisce il secolo in cui
le nuove tecniche scientifiche allargano il campo della ricerca.
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