La
famiglia è rappresentata da un gruppo di persone direttamente legate da
rapporti di parentela, all’interno del quale gli adulti hanno la responsabilità
di occuparsi dell’allevamento dei più piccoli1. I legami di parentela sono il
risultato di rapporti provenienti da ‘matrimoni o da linee di discendenza tra
consanguinei e non. In tal senso, la famiglia rappresenta un’ istituzione della
società, un gruppo primario la cui funzione fondamentale è consentire la
socializzazione, l’apprendimento, la comunicazione e lo scambio dei sentimenti.
Per un bambino l’ambiente familiare occupa dunque uno spazio primario per lo
sviluppo della propria personalità, non a caso in essa si ritrovano i più
importanti agenti di socializzazione primaria.
Talcott
Parsons, familista convinto, le ha attribuito il primato assoluto in tale
processo, sottolineando come i primi rapporti sociali della vita di un
individuo si instaurino proprio al suo interno e come questi momenti siano
decisivi per la formazione dell’identità. Distaccandosi da Emile Durkheim, che
alla famiglia contrapponeva le corporazioni come nuova istituzione di base,
Parsons ne esalta la funzione nel processo di integrazione dell’individuo nella
società, che comincia con l’assunzione di ruolo quale “perno connettore” tra i
due sistemi, quello personale e quello sociale. Obiettivo principale del pro
cesso di socializzazione è proprio di far apprendere tutto ciò che serve per
l’assunzione del ruolo sociale.
A
tal proposito Pierpaolo Donati precisa che la
famiglia non è un gruppo primario come gli altri, ma piuttosto un luogo in cui
la relazione è particolare, originale, e segue criteri di differenziazione
propria. Il tipo di relazione che ne sta a fondamento corrisponde a
esigenze «funzionali e sovra-funzionali non surrogabili da altre relazioni
sociali.
Diversamente
da altri gruppi primari la famiglia si caratterizza per un modo specifico di
vivere la differenza di gender (che
implica la sessualità) e le obbligazioni fra generazioni (che implicano la parentela)».
In base a queste due dimensioni, essa segue criteri propri di differenziazione
che la rendono diversa dagli altri gruppi primari. I fattori che originano la
famiglia sono di carattere relazionale e la sua struttura e dimensione non è la
risultante di motivazioni individuali o collettive, siano esse psicologiche,
economiche, politiche o religiose, ma le sue radici sono da ricercare nei suoi
stessi impulsi interni, che non sono per forza riconducibili a motivazioni
esterne quali il sentimento, l’utilità o il potere.
Si
tratta dunque di un sistema relazionale primordiale che «esiste all’inizio e
dall’inizio», poiché essa è all’origine dell’evoluzione della specie umana e al
contempo mediatrice dell’ingresso dell’individuo nella società. La sua
composita struttura si sostanzia di mediazioni di cui gli individui non sono
sempre esplicitamente consapevoli, ma che ritrovano una significatività nelle
relazioni interne e nella formazione della personalità di ciascun individuo che
ne entra a far parte.
In
questo quadro risulta difficile descrivere e schematizzare tutti i processi
relazionali che vivono al suo interno e che vi si auto-producono, tuttavia si
può affermare che le relazioni familiari possono essere formalizzate e
trasformare la famiglia da gruppo sociale primario a istituzione sociale «la
cui importanza sta nel rendere esplicite e regolate le mediazioni funzionali e
sovra-funzionali che la famiglia realizza fra il singolo individuo e le sfere
extrafamiliari, fra gli elementi naturali e quelli culturali, fra le dimensioni
private e quelle pubbliche della vita sociale».
Il ruolo fondamentale che essa ha, rientra nel
processo di socializzazione, fondamentale nella vita dell’individuo per la
presa di coscienza del proprio ruolo nella società, ma non solo: nella
prospettiva relazionale la famiglia acquisisce tra gli altri anche un ruolo
determinante nella salute, nella cura delle malattie, nell’igiene, nelle abitudini
alimentari, negli stili di vita e nell’educazione alla prevenzione. Questo
importante ruolo multifattoriale del rapporto tra salute e famiglia, per lungo
tempo è stato sottovalutato sia dalla scienza sia dalle istituzioni sanitarie,
isolando il paziente dal proprio contesto storico psicologico, relazionale e
sociale.
Escludere
la famiglia e il ruolo da essa compiuto nel momento della comprensione del
disturbo e della comunicazione con il paziente, può significa anche non
comprendere la malattia, lo stato di disagio vissuto, i processi che ne stanno
all’origine, se non addirittura sottovalutare le possibilità cura,
riabilitazione e prevenzione provenienti dal sistema di reti relazioni interne
alla famiglia.
In
un momento storico in cui emerge una concezione olistica della salute (di cui
peraltro si è già parlato in altri capitoli), la famiglia emerge con tutta sua
importanza, quale ambito da valutare nei processi di cura e di trattamento
delle malattie e patologie di varia natura. Alla base di questa concezione pone
l’idea che la salute sia un fatto globale, di natura processuale e relazionale
che chiama in causa tutti gli ambiti dell’esistenza umana nel loro infinito
processo di intreccio sociale.
Indubbiamente
i legami tra famiglia e salute sono evidenti anche nei fenomeni contemporanei,
quali l’incremento dell’obesità nei bambini provenienti da famiglie disagiate
sui quali torneremo oltre, o nelle forme di bulimia nervosa, che possono
originarsi come reazione a un disagio inscritto negli schemi relazionali della
famiglia. Tra gli elementi che predispongono i disturbi alimentari, si fa
accenno anche all‘importanza dei fatti familiari, come ad esempio l’esistenza di
un rapporto disturbato tra genitore figlio/a o una particolare configurazione
della dinamica familiare. Ciò che emerge dalle osservazioni allargate di
famiglie con un componente affetto anoressia nervosa, è che esiste una
molteplicità di fattori relazionali conflittuali interni alla famiglia, che
possono generare tale disturbo.
In
ogni caso risulta difficile trovare dei denominatori comuni sempre uguali in
situazioni diverse, ciò anche nel rifiuto dell’idea che vi sia una famiglia
tipica che favorisca l’insorgenza di malattie, disturbi o patologie di vario genere,
anche perché ognuna ha dinamiche proprie di trasmissione di un disturbo «Non
soltanto tipi, gradi e proprietà della diffusione variano secondo i tipi e le proprietà delle strutture familiari, anche
come “reti allargate”, ma sono rilevanti anche aspetti qualitativi differenti,
a parità di profili strutturali (intesi come le classiche variabili dell’età,
sesso, numerosità dei componenti)». In tal senso, dunque, le relazioni
familiari possono rappresentare una causa possibili disturbi del comportamento
alimentare.
La
famiglia quale istituzione sociale può giocare un duplice ruolo nel processo di
relazione con la salute da una parte essere un “canale” per la trasmissione
delle malattie, dall’altra rappresentare “un aiuto” possibile nella cura e
terapia delle stesse.
L’idea
di una correlazione diretta e univoca tra famiglia e salute, tra contatti
familiari e malattia apre un dibattito assai vasto cha va dalla vicinanza
fisica quale elemento di trasmissione di infezioni, virus o stati patologici
diversi, fino alla diffusione di concezioni, abitudini e conflitti di vario
genere, quali fattori determinanti l’origine di un disturbo. Indubbiamente il
problema va trattato su due fronti, il primo di carattere epidemiologico, il
secondo prettamente relazionale; vi è comunque la convinzione ormai accertata
che esista una suscettibilità differenziale delle famiglie nel diventare motivo
diretto o indiretto di malattia. La variabile famiglia di per sé non può
comunque essere la sola causa di uno stato di malattia, piuttosto la
correlazione con altre variabili che in qualche modo toccano la vita
dell’individuo all’interno e all’esterno della struttura familiare.
I
censimenti, le indagine e le ricerche in questo senso testimoniano un nesso tra
i tassi di morbosità e le situazioni familiari vissute dai pazienti. Nelle
famiglie conflittuali, frammentate o in cui è assente una possibilità d’aiuto,
sono maggiori le probabilità di insorgenza di un disturbo. Se si combinano
situazioni difficoltose o problematiche in famiglia con un’insufficienza di
sostegno sanitario, si verifica anche un accrescimento della suscettibilità nei
confronti di malattie fisiche, psicologiche e mentali In questo senso la
famiglia contribuisce sul piano causale all’insorgenza della malattia, in modo
scatenante o collaterale, «ma in taluni casi può essere essa stessa la malattia
soggiacente al corso esistenziale delle persone, o comunque il fattore
strutturale di amplificazione delle patologie».
Quale
canale di trasmissione, il ruolo della famiglia deve comunque essere inteso
come un rinforzo che si struttura sulla base del sistema delle risposte che la
famiglia fornisce nell’insorgenza della malattia: può contribuire ad aggravarne
lo stato di gravità, come influenzare negativamente il processo di cura.
Esistono dinamiche familiari, peraltro ancora difficili da spiegare nella loro
globalità, che arrivano a situazioni contraddittorie nel trattamento della
malattia, manifestandosi attraverso la negazione della stessa, la vergogna dell’essere
malati o la considerazione superficiale di uno stato di salute gravemente
compromesso. La letteratura psicologica evidenzia come alcuni casi di malattia
come ad esempio il diabete, siano negati nella famiglia e il trattamento del
malato sia espresso in condizioni nascoste, private; così come nel caso di
stati patologici di anoressia o bulimia nervosa ove le madri rifiutano l’ammissione di stati gravi di
disturbi del comportamento alimentare, anche di fronte a evidenze tangibili di
dimagrimento improvviso e immotivato.
Oltre
a rappresentare un canale di trasmissione delle malattie, la fan può comunque
rappresentare anche un luogo di cura e terapia, soggetto nella prevenzione e
nella riabilitazione di diverse patologie. Determinante nell’educazione alimentare,
nell’apprendimento degli stili di vita e di comportamento, nonché nelle abitudini
e nelle pratiche d’igiene, la famiglia ha un ruolo da valorizzare nei programmi
di cura e di trattamento delle patologie Ancora, preso atto che per il malato
la famiglia rappresenta un aspetto da valutare come parte del contesto storico,
sociale, culturale e psicologico in cui vive, appare inevitabile un suo
coinvolgimento al momento nel trattamento terapeutico. Nei casi di malattie
cardiovascolari, di ipertensione arteriosa, di problemi respiratori, le
abitudini quotidiane della famiglia sono coinvolte nella prevenzione; nel caso
di trattamenti specifici farmacologici o di rientri dall’ospedale dopo
interventi chirurgici di rilievo, la famiglia diventa determinante per il
rispetto dei programmi di cura; nei casi di incidenti, invalidità problemi di
mobilità, le reti familiari acquisiscono un ruolo decisivo programmi di
riabilitazione (se si pensa ai soli costi di terapie riabilitative alla
gestione quotidiana di chi con costanza deve effettuare ginnastiche o massaggi
terapeutici); infine nei casi di riuscita dalla tossicodipendenza o da disturbi
del comportamento alimentare, la rete relazionale dell’istituzione familiare,
diventa essenziale ai fini del reinserimento sociale.
Nella
concezione olistica di salute, e sulla base di una teoria relazionale come
espressa da Donati, diventa indispensabile rivalutare il ruolo della famiglia e
di "tutta la rete che si muove dentro e attorno”, quale risorsa basilare
per la comprensione e il trattamento delle malattie, senza limitarsi a ricercare
il problema nei singoli aspetti che possono averlo originato.
Tale
prospettiva ha aperto spazi di considerazione nella gestione della malattia a
domicilio: una politica che spinge a creare le possibilità domestiche per le
terapie nella cura dell’HIV o a dimettere quanto prima i pazienti anziani che
nelle strutture sanitarie vivono un’esperienza troppo forte di sradicamento.
Sia nei casi di malattie gravi, sia nella cura degli anziani o di bambini
ammalati di una delle “malattie dell’infanzia”, la tendenza odierna è di
agevolare la terapia nella famiglia, che può diventare attore principale nel
trattamento e nella cura. La rete di relazioni presente in essa, agevola così
le condizioni per una guarigione più rapida e meno faticosa della malattia, nonché
un decorso meno sgradevole. Nel caso dei bambini, la famiglia e soprattutto la
madre, rappresentano un universo senza dubbio più umano rispetto all’ospedale.
In casi di malattie che si protraggono nel tempo poi, la “domesticità” della
cura permette anche la possibilità di mantenere il contatto con la scuola e con
la dimensione dell’apprendimento, fattore determinante per la crescita
psicosociale.
Seguendo
tale prospettiva diventa inevitabile pensare alla famiglia come a un soggetto
basilare di prevenzione, di cura e di riabilitazione, proprio per la sua duplice caratteristica di possibile fonte
e possibile cura della malattia.
Nessun commento:
Posta un commento