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mercoledì 23 maggio 2012

Il cambiamento

Per cambiamento sociale si intende ogni variazione nel tempo dei modelli culturali, della struttura e del comportamento sociale. Si tratta di un processo inevitabile, che investe ogni società umana. Ciononostante, esistono momenti storici in cui le modificazioni si susseguono più lentamente e altri in cui mutamenti radicali si succedono con rapidità sconcertante.Un dato tipico del '900 è rappresentato dalla rapidità di cambiamenti strutturali.
Questo fluire incessante e velocissimo di modelli di comportamento, relazioni, organizzazioni, sistemi di produzione, valori di riferimento, forme di comunicazione costituisce una sfida con cui la ricerca sociologica deve rapportarsi, avendo il coraggio di rivedere teorie e sistemi ritenuti definitivi e di proporre nuovi modelli di interpretazione. 
Al fenomeno del rapido cambiamento sociale oggi non si sottraggono neanche le popolazioni più sperdute. In esse si ritrovano, seppure in modi diversi, gli effetti dell'occidentalizzazione: sistemi di produzione, merci, mezzi di comunicazione e organizzazioni politiche di tali società subiscono l'influenza di modelli di comportamento a loro estranei, che alterano le strutture tradizionali. Il mutamento non investe solo le società industrializzate, ma si propaga in un processo di globalizzazione che finisce per coinvolgere tutte le società.
Ma quali cause determinano il passaggio da alcune forme di organizzazione ad altre? Perché questo cambiamento repentino di stili di vita che si sono tramandati nei secoli di generazione in generazione?
ra i fattori maggiormente implicati nel processo di mutamento sociale la ricerca sociologica ha individuato l'ambiente fisico, la popolazione, la cultura, i movimenti collettivi. Spesso si distingue tra fattori di mutamento endogeni (generati, cioè, dalla stessa società) ed esogeni (provenienti dall'esterno).
Il processo di rapido cambiamento tipico delle società attuali è iniziato circa duecento anni fa con il fenomeno che prende il nome di modernizzazione. Con questo termine si intende il processo di cambiamento economico e sociale determinato dall'introduzione del modo di produzione industriale in una società preindustriale. Il fenomeno, iniziato nelle società occidentali, si è esteso rapidamente a tutte le società umane, modificandone radicalmente modi di vita, organizzazione, sistemi valoriali. Questo cambiamento, avvenuto nelle società europee nel giro di diverse generazioni, è stato introdotto assai più rapidamente nei paesi meno sviluppati, con conseguenze spesso sconvolgenti.
Secondo molti autori, l'industrializzazione costituisce un importante momento di sviluppo, ma oggi è superato da una fase successiva denominata postindustriale o postmoderna. Nella nostra epoca, infatti, gli elementi peculiari dell'età moderna sono venuti assumendo connotati talmente diversi da quelli originari da non consentire l'utilizzo del medesimo nome per denotare la nuova fase. Con il concorso dell'automazione, che ne ha enormemente accresciuto la produttività pro capite, la maggior parte della popolazione non è attualmente più occupata nell'industria ma nel settore dei servizi. Ciò non significa che la produzione industriale sia venuta meno, significa piuttosto che accanto alla produzione industriale si sono venute affermando altre forme di reddito derivanti appunto dal terziario. I rapporti politici ed economici, le relazioni sociali e la cultura appaiono assai meno condizionati dall'industrializzazione; il confronto non è più tra classe operaia e capitalisti, ma si presentano nuove forme di dinamica sociale. Dal punto di vista della stratificazione sociale, almeno nelle società postindustriali avanzate si assiste inoltre a un notevole incremento delle classi medie.
La globalizzazione dei mercati tipica del sistema capitalistico avanzato ­ sollecitata dai mezzi di comunicazione di massa, dalla facilità dei trasporti e dai flussi migratori che dai paesi più poveri affluiscono in quelli di più antica industrializzazione ­ dà luogo a società multietniche entro le quali è sempre più difficile trovare elementi capaci di accomunare gli individui che le compongono.
Uno degli aspetti più contraddittori della nostra epoca è dato dal fortissimo incremento demografico registrato nei paesi del Terzo Mondo di pari passo con l'incremento nullo o il saldo negativo della natalità nei paesi ricchi. Ci troviamo attualmente di fronte a società poverissime, la cui popolazione (spesso costituita prevalentemente da bambini e adolescenti) è in continua crescita, e ad altre società dove la percentuale di anziani tende a crescere più velocemente rispetto alle altre fasce di età. Portiamo due esempi. In Brasile, paese relativamente povero, la maggioranza degli abitanti ha un'età inferiore ai 25 anni (il gruppo di età più consistente è quello al di sotto dei 5 anni) e l'età media è in continuo ribasso, dal momento che un gran numero di giovani donne dà alla luce un numero sempre maggiore di bambini. In una società ricca come quella italiana (all'interno della quale continua a sussistere una differenza tra i dati del nord e quelli del sud del paese) il 15% della popolazione è costituito da persone di età superiore ai 65 anni, mentre il tasso di fecondità è di 1,19 figli per donna.
È esperienza quotidiana quella di bere caffè dell'America Latina, utilizzare un computer fabbricato in Asia, mangiare banane provenienti dall'Africa, pompelmi di Israele, formaggio olandese. Sempre più spesso ci capita di scoprire che anche la frutta più casalinga è, per esempio, di provenienza australiana. Ciabattine cinesi, magliette e microchip made in Corea, cacao brasiliano sono prodotti decisamente all'ordine del giorno e che fanno parte dell'esperienza di chiunque. Questo è certamente un aspetto macroscopico di quel fenomeno che prende il nome di globalizzazione e che secondo Edgar Morin trae origine dalla scoperta delle Americhe. Ma la globalizzazione va oltre. Tutti sappiamo che il crack finanziario di una grossa azienda orientale può far tremare le borse di paesi distanti centinaia di migliaia di chilometri, che le avventure sentimentali di un capo di Stato possono incidere pesantemente sull'economia internazionale, che l'oscillazione del prezzo di un prodotto si riflette sui settori più diversi. L'incremento o decremento di un determinato settore economico in un angolo anche remoto della Terra ha ripercussioni a catena su tutti gli altri. Non solo: anche i conflitti politici non riguardano più unicamente gli Stati al cui interno si verificano, ma rischiano di avere ripercussioni diverse sugli altri Stati. L'esempio più evidente al riguardo è stato fornito dai due conflitti mondiali prima e dalla guerra fredda poi.
Nella seconda metà del XX secolo tensioni di paesi lontani come il Vietnam hanno catalizzato l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale per i significati e le implicazioni che in essi si riscontravano. Episodi apparentemente lontani come la sovrappopolazione cinese, la persecuzione dei curdi o la miseria africana si ripercuotono immediatamente sui Paesi ricchi con le ondate migratorie di centinaia di migliaia di disperati, con le ricadute che, sul mercato del lavoro e sulle strutture sociali ed economiche del paese, ciò comporta. Le imprese economiche ragionano sempre più in vista di un mercato mondiale, pronte a coglierne umori e tendenze. Le stesse campagne pubblicitarie devono stare attente a non urtare la suscettibilità di culture tanto diverse.
Come sostiene Amy Gutmann, "Oggigiorno varie istituzioni pubbliche (enti governativi, scuole, facoltà umanistiche) sono severamente criticate per il fatto di non riconoscere o rispettare le identità culturali particolari di alcuni cittadini. Negli Stati Uniti il punto focale di questa controversia è costituito in genere dai problemi degli afroamericani nativi e delle donne; ma all'elenco si potrebbero aggiungere altri gruppi e, se viaggiassimo intorno al mondo, l'elenco stesso cambierebbe. Ciononostante è difficile, attualmente, trovare una società democratica o democratizzante che non sia teatro di controversie importanti sul problema se (e come) le sue istituzioni pubbliche debbano o non debbano riconoscere l'identità delle minoranze culturali e di quelle svantaggiate. Che cosa significa per dei cittadini come noi, con identità culturali diverse basate spesso sull'etnia, la razza, il sesso o la religione, riconoscersi uguali? Uguali per il trattamento politico che riceviamo? Per l'istruzione che le scuole danno ai nostri figli? Per i programmi e le politiche sociali delle facoltà umanistiche?".
Queste affermazioni compendiano il dibattito attualmente in corso all'interno della sociologia, della filosofia, della politica e del diritto riguardo il comportamento che i governi dovrebbero tenere nei confronti di società sempre più multiculturali. Se fino a vent'anni fa il problema sembrava riguardare unicamente paesi come gli Stati Uniti, il Canada e, seppure in maniera inferiore, la Francia, attualmente ne sono investiti molti altri Stati, il cui numero è destinato a crescere. La presenza all'interno di un medesimo paese di gruppi di diversa provenienza geografica, religiosa e linguistica, con abitudini, sistemi di valori e modi di vita infinitamente distanti, crea una situazione rispetto a cui le democrazie occidentali, sorte all'interno degli stati nazionali, non si trovano preparate. Da un lato si sperimenta con immediatezza la difficoltà nel confronto col "diverso" e si teme la messa in discussione di elementi fondamentali del proprio vivere; dall'altro il confronto è sempre più inevitabile e, dall'esperienza della storia passata, fonte di reciproco arricchimento.
Dinnanzi a gruppi di immigrati dotati di caratteristiche culturali ben definite ci si chiede se sia legittima la pretesa di assimilarli nella cultura del paese ospitante, con la conseguente riacculturazione dei nuovi arrivati; o se invece non si debbano trovare delle nuove forme politiche e legislative tese a garantirne il riconoscimento. Secondo l'interpretazione liberale, la politica si deve fondare sull'universalismo delle norme giuridiche: cioè norme che non tengono conto dei caratteri specifici ­ in questo caso delle particolari culture ­ degli individui che sottostanno a esse. Gli autori comunitaristi (come Charles Taylor) propongono invece un modello che si fondi sul riconoscimento dei diversi modelli culturali collettivi. Secondo questi autori è necessario partire dal riconoscimento delle differenze di gruppi e appartenenze culturali. Jürgen Habermas ritiene che sia necessario investigare una terza via capace sia di valorizzare i diritti culturali, sia di salvaguardare elementi essenziali transculturali. Da un lato, infatti, i valori culturali hanno diritto al riconoscimento politico in quanto costitutivi delle identità collettive, dall'altro, secondo Habermas, la valorizzazione delle diversità socioculturali va sempre riferita a una prassi fondata su criteri costituzionali universalistici e transculturali..

In sintesi

I fattori del cambiamentoTra i fattori maggiormente implicati nel processo di cambiamento sociale i sociologi hanno individuato: la popolazione, l'ambiente fisico, la cultura, i movimenti collettivi.
La modernizzazioneLa modernizzazione è il processo di cambiamento economico e sociale determinato dall'introduzione del modo di produzione industriale in una società preindustriale. Iniziata nelle società occidentali circa duecento anni fa, la modernizzazione ha assunto una portata mondiale. Capitalismo industriale, sistema politico e fattori culturali hanno contribuito a dare origine a una società radicalmente diversa da quelle che l'avevano preceduta.
La società postindustrialeSecondo numerosi studiosi, alla modernità sta subentrando una nuova fase denominata postindustriale. Accanto alla produzione industriale, si instaurano altre forme di reddito derivanti dal terziario. I rapporti politici ed economici, le relazioni sociali e la cultura appaiono assai meno condizionati dall'industrializzazione; si presentano nuove forme di dinamica e conflitto sociale; si incrementa il numero degli individui appartenenti alla classe media.
Globalizzazione e società multietnicheLa globalizzazione tipica del sistema capitalista avanzato, sollecitata dai mezzi di comunicazione di massa, dalla facilità dei trasporti e dai flussi migratori che dai paesi più poveri affluiscono in quelli di più antica industrializzazione, dà luogo a società multietniche in cui è sempre più difficile trovare elementi capaci di accomunare gli individui che le compongono.
Le migrazioniFattori quali l'enorme incremento demografico di Asia, Africa e America Latina e il calo della natalità dei paesi ricchi aumentano ulteriormente lo squilibrio di condizioni di vita tra le diverse parti del mondo. I movimenti migratori costituiscono uno dei tentativi messi in atto da fasce sempre più numerose di popolazione di accedere a più umane condizioni di vita.
Il problema della coesistenza etnicaI problemi legati alla convivenza di individui provenienti da culture assai diverse hanno dato origine a un ampio dibattito in cui il concetto di rappresentanza delle diverse culture si confronta con l'esigenza di garantire valori considerati essenziali.

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