Translate

mercoledì 23 maggio 2012

Psicologia clinica

Vasto e complesso è il campo di analisi e di applicazione della psicologia clinica. Nel presente capitolo partiremo da un'analisi della figura e del lavoro di Freud, padre della psicoanalisi, per poi analizzare gli esponenti delle altre principali scuole di pensiero collegate alla psicoanalisi o alla psicoterapia. Il capitolo si concluderà con un breve excursus sulle caratteristiche e le differenze tra nevrosi e psicosi, con particolare attenzione ai fenomeni depressivi e alla schizofrenia.

Freud e la psicoanalisi

Freud iniziò la sua carriera come medico neurologo: dopo la laurea in medicina nel 1881 lavorò nel laboratorio del fisiologo Buercke, poi nell'ospedale generale di Vienna con lo psichiatra Meynert, ottenendo nel 1885 la libera docenza in neuropatologia. Nell'inverno 1885-86 seguì le lezioni di Charcot a Parigi.
Le tappe storiche
Tornato a Vienna, aprì uno studio privato, occupandosi in particolare di malati di nevrosi e collaborando con J. Breuer agli Studi sull'isteria (1892-95). Attraverso la cura della nevrosi, nonché l'analisi di sé e dei propri sogni (che iniziò nel 1897, spinto anche dai turbamenti seguiti alla morte del padre), nell'ultima decade dell'Ottocento pose le basi della psicoanalisi. L'interpretazione dei sogni, uscita nel 1899 ma datata 1900 quasi a voler dare un'impronta al nuovo secolo, lo rese poco per volta noto a un più vasto pubblico. A partire dal 1902 le riunioni del mercoledì in casa sua raccolsero un gruppetto di seguaci viennesi, cui poi si unirono Jung, Jones, Abraham, Ferenczi. Ebbe così inizio il processo di diffusione mondiale della psicoanalisi: nel 1909 con Jung compì un giro di conferenze negli USA; nel 1910 fondò con i discepoli l'Associazione Psicoanalitica Internazionale, che fu presieduta da Jung, “erede” da lui designato. Nel 1913 drammatica fu la rottura con Jung per contrasti teorici e di personalità, dopo quella con Adler nel 1911. Dal canto suo, Freud continuò la ricerca, volta ora a sistemare i concetti fondamentali della disciplina, della quale offrì una sintesi nelle lezioni tenute dal 1915 al 1917 all'università di Vienna. Nel dopoguerra riformulò le basi teoriche della psicoanalisi e, tornando alla sua prima vocazione filosofica, elaborò le linee di una visione psico-cosmica (imperniata sulla lotta tra vita e morte). Nel 1923 apparvero i primi segni del cancro al palato che lo avrebbe portato alla morte. Negli ultimi anni di vita si misurò con i grandi temi della cultura, della società, della religione, confrontandosi in particolare, lui ateo, con le sue origini ebraiche (L'uomo Mosè e la religione monoteista, 1938). Con l'avvento del nazismo le sue opere furono bandite e nel 1938 riparò a Londra, dove morì nel 1939.
L'inconscio
Tra il 1886 e il 1892, dopo l'incontro con J. M. Charcot, Freud maturò un nuovo paradigma esplicativo e una nuova tecnica di cura. Le nevrosi non sono tanto malattie funzionali senza base anatomopatologica, come voleva Charcot, né sono dovute, come riteneva Breuer, all'accumulo di energia non scaricata; sono invece causate da rappresentazioni mentali sentite come inaccettabili: con esse il soggetto è in conflitto e le respinge nell'inconscio, da dove riemergono come sintomi nevrotici. Freud ritenne dapprima che tali rappresentazioni rinviassero ad eventi traumatici reali (seduzioni sessuali subite nell'infanzia), poi pensò fossero mere fantasie. Ai fin della cura pertanto era necessaria la presa di coscienza delle rappresentazioni rimosse, guadagnata attraverso una narrazione condotta con libere associazioni.
Nelle parole di Freud, la scoperta dell'inconscio è la terza ferita inflitta al narcisismo umano: con Copernico l'uomo non è più al centro dell'universo, con Darwin non è creato direttamente da Dio, con la psicoanalisi non è più padrone in casa propria. Si distinguono un inconscio descrittivo, per cui si dicono inconscie le rappresentazioni non disponibili a seguito della rimozione, e un inconscio topico, cioè una sottostruttura della psiche – accanto alla coscienza e al preconscio – definita da certi processi e da certe leggi. L'inconscio studiato da Freud presenta una serie di tratti salienti. È caratterizzato da dinamicità e conflittualità, in quanto è sede di processi causativi quali le pulsioni e i desideri, e insieme effetto di processi difensivi quali le rimozioni. Si pone come alterità rispetto alla coscienza nel senso di essere un'altra scena, un altro soggetto: non è il livello di psichicità meramente preliminare alla coscienza, ma vi si dispiegano processi che interferiscono direttamente sulle attività coscienti (imago, fantasmi, complessi). Un ulteriore tratto saliente è l'autonomia: l'inconscio ha una propria logica, o legalità, quella del processo primario, processo regolato dal principio del piacere: consiste nel fatto che le eccitazioni – pulsioni, desideri – tendono alla scarica immediata, cioè al piacere (tramite l'azione nel mondo esterno, o l'allucinazione, come nel sogno); la pulsione, poi, sposta l'investimento da un contenuto mentale (rappresentazione) all'altro, dando luogo ai fenomeni confusivi della condensazione di più rappresentazioni e dello spostamento da una rappresentazione all'altra. L'inconscio infine è caratterizzato dall'infantile che permane nell'adulto.
La questione della natura dell'inconscio è stata motivo di divaricazione tra le varie tendenze psicoanalitiche: la scuola della Klein lo vede come un contenitore di oggetti (mondo interno) che poi si esprimono simbolicamente nelle varie attività coscienti (mondo esterno); la psicologia dell'Io insiste sugli aspetti energetici e pulsionali dell'inconscio, come nettamente separati e in conflitto con l'Io; la scuola di Lacan ne vede la struttura e il funzionamento in analogia con quelli del linguaggio (l'inconscio è “il discorso dell'Altro”). Per Jung l'inconscio individuale riflette le strutture dell'inconscio collettivo: ben lungi dall'essere il primitivo, difettoso rispetto alla coscienza e alla ragione, l'inconscio è fonte di creatività, di vitalità, collegandosi con gli archetipi e i miti dell'umanità, e l'Io dunque non può non attingere ad esso. In altri indirizzi l'inconscio perde di rilevanza nella misura in cui si insiste sulla funzione di integrazione dell'Io e sull'idea di uno sviluppo lineare, non conflittuale della psiche (psicologia del Sé di Kohut).
La psicoanalisi
Con il termine psicoanalisi Freud volle indicare il metodo di indagine dei processi psichici, la tecnica di cura delle malattie mentali e la teoria della struttura e del funzionamento della mente da lui elaborati in seguito alla scoperta dell'inconscio.
Come si è visto, il campo di indagine entro il quale Freud a partire dall'ultimo decennio dell'Ottocento elaborò la sua disciplina fu la cura di soggetti nevrotici e in particolare di donne affette da isteria: egli le ritenne malate di “reminescenze”, cioè di ricordi legati a desideri per lo più inconsci, che non potevano confessare neanche a sé stesse. Ne derivarono le tesi basilari della psicoanalisi: esiste una vita psichica inconscia; le nevrosi (e poi le psicosi) sono malattie della mente e non del cervello, come invece voleva la psichiatria dominante al tempo; esiste un'articolata sessualità anche in età infantile; lo sviluppo psichico è caratterizzato dal conflitto tra pulsioni e desideri da una parte e censure (specie di origine morale) dall'altra: tale conflitto diventa patologico quando il soggetto, anziché risolvere in qualche modo i desideri inaccettabili, li respinge nell'inconscio. Queste tesi vennero confermate e ampliate nei successivi studi sui sogni, sui lapsus e sui motti di spirito. Nata sul terreno della clinica, la psicoanalisi già con Freud coinvolse presto altri campi, intervenendo nella spiegazione di fenomeni artistici, religiosi, antropologici e sociali, diventando di ausilio in ambito pedagogico.
È carattere peculiare della psicoanalisi l'ampia sovrapposizione tra il metodo di indagine e la terapia: in ambo i casi, distinguendosi dall'ideale positivistico di scienza che riserva all'osservatore una posizione esterna all'oggetto osservato, teorizza apertamente il coinvolgimento emotivo dell'osservatore. Viene pertanto utilizzato proprio il fatto che l'analista sia bersaglio ricorrente di quei desideri e conflitti che stanno alla base dei disturbi del soggetto, riferendosi a tale processo con le espressioni di transfert-controtransfert, coppia di termini che indica le interazioni affettive tra l'analizzando e l'analista, e viceversa. In senso lato il transfert è il processo per il quale si sposta su un'altra persona o cosa un moto affettivo in precedenza rivolto a un certo individuo, specialmente dell'ambito familiare. Esso riguarda qualunque trasposizione ed è quindi assimilabile ai processi per cui l'investimento pulsionale si sposta da un oggetto a un altro più neutro quale mezzo adottato inconsciamente per aggirare la rimozione o lo spostamento – inteso come meccanismo inconscio per il quale il desiderio o la pulsione, anziché mirare direttamente all'oggetto o alla rappresentazione che possono soddisfarlo, mira a un altro oggetto o rappresentazione, collegato al precedente tramite un qualche nesso associativo. Il nesso può consistere nella parte anziché nel tutto, nel contenuto anziché nel contenitore, nell'effetto anziché nella sua causa e così via. Nel senso più stretto e comunemente usato, il transfert qualifica il rapporto affettivo che l'analizzando instaura con l'analista nel corso della cura: riproduce nei suoi confronti i desideri, le paure, le aspettative già proprie del rapporto con i genitori. È detto positivo quando prevalgono sentimenti affettuosi, negativo nel caso di sentimenti ostili. Esso da una parte è una resistenza alla cura, giacché l'analizzando riproduce situazioni patogene, anziché prenderne coscienza con la parola, dall'altra è un mezzo importante di cui l'analista dispone per cogliere il mondo interno del soggetto. Il controtransfert, dal canto suo, è la reazione difensiva che può manifestarsi nell'analista a seguito del transfert su di lui; è dovuto ai limiti dell'analista stesso. Recenti teorizzazioni, specie nella scuola della Klein, usano pure il controtransfert come strumento della cura, in quanto la sua analisi sarebbe un mezzo per cogliere le dinamiche presenti in seduta.
Propriamente la psicoanalisi non è un metodo introspettivo, giacché l'introspezione presuppone un ruolo attivo dell'osservatore: al contrario è richiesto al soggetto di lasciarsi andare al flusso delle idee che gli vengono in mente, libere associazioni, tecnica per la quale si lascia correre il pensiero al fine di lasciar emergere immagini inconsce. Già utilizzata nella psicologia introspezionistica, in psicoanalisi è la regola fondamentale per arrivare ai pensieri inconsci. Al soggetto è richiesto di lasciarsi andare, raccontando tutto ciò che gli viene in mente, comprese le cose che ritiene di poco conto, le immagini spiacevoli o imbarazzanti. L'esposizione può consistere in una libera narrazione, oppure può prendere spunto dalle immagini di un sogno, da un lapsus, da un sintomo nevrotico. All'analista è richiesto invece di prestare un'attenzione fluttuante, non centrata sui particolari, così da riuscire a cogliere nel discorso del soggetto quelle espressioni inconsuete, perturbanti, che sono indizi di un altro discorso, inconscio. Compito dell'analista è dunque l'interpretazione dei vissuti narrati dal soggetto, allargandone la comprensione e mettendo in evidenza quei significati che rivelano desideri e rappresentazioni inconsci. La terapia mira a rendere consapevole il soggetto dei suoi processi inconsci: la presa di coscienza dovrebbe portare allo scioglimento del conflitto inconscio e del sintomo nevrotico che da quello deriva.
Il complesso di Edipo
Una volta guadagnati nella clinica questi tre pilastri della teoria psicoanalitica – la causalità psichica, il carattere conflittuale della psiche (rimozione) e l'esistenza di una parte inconscia – Freud si volse tra il 1897 e il 1905 a spiegare con i nuovi concetti una serie di fenomeni normali. L'interpretazione dei sogni oltre a mostrare che il sogno manifesto esprime desideri censurati, permise di cogliere i meccanismi attraverso cui si deformano le rappresentazioni inconsce, prima di apparire alla coscienza: principalmente la condensazione e lo spostamento. Sono gli stessi meccanismi che Freud mostrò all'opera nella formazione dei lapsus e dei motti di spirito (Psicopatologia della vita quotidiana, 1901; Il motto di spirito, 1905). Infine l'importanza della sessualità sull'eziologia della nevrosi lo portò a studiare metodicamente le tappe di sviluppo a partire dalla prima infanzia, distinguendo le forme di piacere autoerotico e pregenitale dalla sessualità genitale dell'adulto (Tre saggi sulla teoria sessuale,1905), e individuando un “complesso di Edipo”.
In psicoanalisi con il termine complesso si indica un aggregato, totalmente o parzialmente inconscio, di immagini, desideri, sentimenti, che influisce in modo rilevante sulla vita psicoaffettiva del soggetto. Il termine fu introdotto in psicologia non da Freud ma da Jung nel corso degli studi sull'associazione mentale: facendo associare parole a partire da una parola introduttrice, il soggetto allunga il tempo di risposta quando la parola richiama qualche complesso in cui è emotivamente implicato. La nozione di complesso venne quindi accolta da Freud solo con significati specifici, per il complesso di Edipo e quello di castrazione. Il complesso di Edipo (dalla tragedia Edipo re di Sofocle), designa la modalità con cui si organizza, dal punto di vista del bambino, la relazione tra bambino, padre e madre. La forma classica, nel bambino maschio, consiste nell'amore sessuale per la madre e nella rivalità col padre. Il complesso di Edipo assume comunque caratteri specifici in ciascuno, appresi nelle prime relazioni con i genitori, verosimilmente sulla base di schemi innati, e si fissa attorno ai tre-cinque anni. I diversi modi con cui si organizza la relazione bambino-madre-padre sono alla base degli sviluppi rispettivamente normali (per cui il complesso di Edipo fonda l'identità personale e di ruolo sessuale mediante l'identificazione con il genitore del proprio sesso), nevrotici (in cui in rapporto al genitore dell'altro sesso si ha il conflitto tra l'averlo come oggetto d'amore e l'essere come lui) e perversi (omosessualità, in cui prevale l'essere come il genitore dell'altro sesso). Anche nella bambina si afferma un complesso di Edipo, non solo perché nelle fasi precoci la madre è l'oggetto d'amore pressoché esclusivo, ma anche perché l'acquisizione dell'identità sessuale è in rapporto al fallo: in ambo i sessi per Freud è questione di averlo o non averlo (complesso di castrazione). Jung invece ipotizza per la bambina uno specifico complesso di Elettra. Altri complessi appaiono in Freud come articolazioni del complesso di Edipo: il complesso paterno allude all'amore-rivalità verso il padre, il complesso fraterno alla gelosia rispetto all'amore dei genitori, il complesso di castrazione alla punizione temuta a seguito del desiderio incestuoso.
La metapsicologia
Negli anni 1911-1925 Freud lavorò per sistemare le osservazioni e le tesi fin allora elaborate, nel quadro di una visione complessiva dell'apparato mentale, utilizzando per altro taluni concetti meccanicistici tratti dalla neurofisiologia ottocentesca, sulla quale si era formato. Nella elaborazione di questa metapsicologia distinse un'area inconscia, una conscia e una preconscia nella psiche: tra queste aree avvengono i processi dinamici propri delle pulsioni e della rimozione, promossi in prima istanza dalla libido, l'energia della sessualità (Metapsicologia, 1915).
Di conseguenza con L'Io e l'Es (1923) propose una nuova, e definitiva, partizione della mente in Es (sede delle pulsioni), Io (che opera la difesa dalle pulsioni) e Super-io (la sede degli ideali e della censura morale, che aveva isolato studiando la depressione e i processi di identificazione).
L'Es è l'area della psiche sede delle pulsioni e delle rappresentazioni rimosse. Il termine tedesco è intraducibile in italiano, essendo in primo luogo il soggetto grammaticale di verbi impersonali (per esempio es regnet, piove), esso era già stato usato come sostantivo da Nietzsche e adottato in psicologia da G. W. Groddeck per designare una forza da cui l'Io è agito. L'Es equivale parzialmente all'inconscio: tutto l'Es è inconscio, ma non tutto l'inconscio è Es, perché anche l'Io e il Super-io sono in parte inconsci. Oltre ad essere sede delle pulsioni e delle rappresentazioni rimosse, è pure il serbatoio della libido. Geneticamente è la parte arcaica della psiche, dalla quale deriva l'Io in seguito al rapporto con l'ambiente. Il lavoro psicoanalitico si prefigge che l'Io recuperi alla coscienza ciò che prima gli accadeva come estraneo: “dov'era Es deve diventare Io”, dice Freud. Secondo la concezione di Freud a partire dall'Io e l'Es (1923), l'Io è in parte conscio, e come tale è sede della percezione e della coscienza; in parte inconscio, e come tale opera la difesa dalle pulsioni e fa resistenza contro il loro ritorno alla coscienza. Geneticamente derivato dall'Es, la sua funzione è di mediazione tra la psiche e l'ambiente: si trova perciò a dover fronteggiare le richieste delle pulsioni e dell'Es da una parte, gli imperativi morali (o pseudo-morali) del Super-io dall'altra. Queste pressioni inconsce sull'Io si manifestano come angoscia, di cui l'Io è appunto la sede. Va notato che negli scritti anteriori al 1923 Freud insisteva invece sulla genesi dell'Io attraverso gli investimenti narcisistici e i processi di identificazione, oltre che sul suo carattere precario rispetto all'inconscio: polemizzando con Jung, nel 1914 paragonò l'Io al clown Augusto, il pagliaccio che si illude di governare con i propri gesti il circo. L'Io ha un duplice aspetto: struttura stabile e ben differenziata che coordina il rapporto con la realtà, o al contrario servo di più padroni. Questa duplicità ha consentito che i concetti freudiani si sviluppassero tanto nella direzione della psicologia dell'Io, che insiste sulla sua autonomia dalle pulsioni e sul suo essere struttura innata, quanto nella direzione della scuola di Lacan, che insiste sui caratteri narcisistici, illusori dell'Io (o meglio io). In Jung l'Io è solo la parte conscia della persona, mentre il Sé è il soggetto dell'intera psiche, il centro della persona; fissarsi sull'Io è chiudersi alle possibilità di crescita e di individuazione offerte dal nesso col Sé.
Il Super-io è l'area della mente sede degli ideali, dei valori cui si ispira il soggetto, nonché sede della coscienza morale con funzione di censura sui comportamenti. Il Super-io è conscio, ma anche inconscio, come attesta l'ampia gamma di sensi di colpa, affioranti senza un motivo definito o adeguato, presenti in vari quadri patologici. Il Super-io deriva dall'interiorizzazione dei comandi e della figura dei genitori; il che accade al tramonto del complesso di Edipo per Freud, mentre per la scuola della Klein già nel primo anno di vita è presente un Super-io precoce. La figura del Super-io raccoglie sia l'aspetto di modello ideale o ideale dell'Io (ciò che il soggetto vorrebbe essere), sia quello di giudice interno, aspetti che peraltro si richiamano a vicenda.
Le pulsioni
La scoperta di nuovi fenomeni caratterizzati dalla coazione a ripetere situazioni spiacevoli (il che contrasta con l'idea che la psiche sia messa in moto solo dalla libido e dal principio di piacere) indusse Freud dopo il 1920 a formulare una nuova teoria delle pulsioni, basata sul conflitto tra pulsioni di vita e pulsioni di morte (Al di là del principio del piacere, 1920).
Per Freud la pulsione è da intendersi come eccitazione di matrice somatica che promuove i processi psichici, concetto quindi diverso da quello di istinto (con cui le prime traduzioni italiane, seguendo quelle inglesi, l'hanno confusa): la pulsione si esplica in maniera assai plastica, mentre l'istinto ha un rapporto rigido e predefinito con l'oggetto a cui mira. Infatti la pulsione è suscettibile di soddisfarsi attraverso i più disparati oggetti, inoltre può volgersi sulla persona del soggetto e trasformarsi da attiva in passiva (per esempio nel masochismo). La pulsione per eccellenza in questo senso è quella sessuale, della quale Freud mostrò quanto essa possa prescindere nella specie umana dalla finalità riproduttiva e come inoltre ad essa concorrano più pulsioni parziali, in funzione della zona esogena interessata. Freud si riferì alla pulsione sessuale anche con il termine di libido: essa è un concetto centrale nelle considerazioni “economiche” di Freud, quelle cioè concernenti il bilancio delle energie in gioco nei processi psichici e la loro quantificazione (uno dei termini più controversi della psicoanalisi). La libido può risultare desessualizzata come nei processi di sublimazione, in cui si rinuncia alla soddisfazione sessuale, e nel narcisismo, in cui investe la propria persona. Non copre per Freud tutto il campo psichico: alla libido si oppongono le pulsioni di autoconservazione (la cui energia Freud chiama “interesse”) e le pulsioni di morte, dotate di una specifica energia che qualche discepolo chiamò “destrudo”. Nella sua ultima teoria delle pulsioni, nel 1920, Freud indica con il termine eros l'insieme delle pulsioni sessuali (che servono alla specie) e quelle di autoconservazione (che servono all'individuo): questi due tipi di pulsioni, in precedenza contrapposti dallo stesso Freud, sono da lui accomunati perché sono pulsioni che operano per la vita e si oppongono alla pulsione di morte. Jung contestò la connotazione sessuale della libido, che riteneva invece una più generale forma di energia psichica, presente in tutto ciò che è tendenza verso qualcosa: la libido occupa l'intero campo psichico, e la sessualità ne è solo un caso. La divergenza della teoria sulla libido fu tra i motivi di rottura tra Freud e Jung.
Si suole scomporre la pulsione in una fonte, cioè la parte del corpo da cui essa origina; una spinta, cioè l'energia di cui si alimenta (libido nel caso della pulsione sessuale) un oggetto, che è ciò attraverso cui si soddisfa (un oggetto reale, ma anche delle mere rappresentazioni, come nel sogno); e una meta che consiste nel soddisfacimento. La natura psichica o somatica della pulsione è questione controversa, ponendosi essa a cavallo tra le richieste del corpo e la soddisfazione tramite la mente. La soluzione proposta da Freud nel 1915 è di ritenere la pulsione di per sé somatica, in quanto è un'eccitazione proveniente dal corpo, mentre a livello psichico essa trova espressione in un elemento ideativo, la rappresentazione (cioè l'immagine dell'oggetto che la soddisfa): quest'ultima propriamente, e non la pulsione, è soggetta ai vari processi psichici di rimozione, condensazione, spostamento e via di seguito.
L'interpretazione dei sogni
Merito di Freud, che ritenne il sogno la via dell'inconscio, è di porre la questione del significato del sogno nel contesto dell'economia psichica: il sogno è necessario all'equilibrio del soggetto, appagando, sia pure per via di allucinazione, quei desideri inconsci che durante la veglia si ha difficoltà a riconoscere; inoltre serve a difendere il sonno dagli stimoli esterni che lo disturbano (per esempio, il sogno di campane che suonano neutralizza il suono sgradito della sveglia). Infine ricusando il metodo dei libri dei sogni già noti all'antichità (corrispondenza univoca tra un'immagine onirica e un certo significato), Freud avviò la metodica contestualizzazione del senso del sogno alla personalità del sognatore, utilizzando le associazioni libere. Il materiale del sogno è spesso dato da stimoli recenti (specie del giorno precedente), ma disposti in una trama tale da esprimere desideri inconsci che si riallacciano in ultima analisi alla storia infantile. Il più delle volte tuttavia il desiderio non si traduce direttamente nelle immagini oniriche: il sogno manifesto (cioè quello che ciascuno può descrivere) è già il risultato della deformazione inconscia (detta lavoro onirico) di un contenuto latente (cioè il desiderio censurato), attuata per sfuggire alla censura onirica. Proprio tramite il sogno Freud evidenziò i meccanismi con cui in genere avviene la deformazione dei pensieri espressivi del desiderio: la condensazione in una stessa immagine di più significati, lo spostamento da un'immagine ad un'altra più neutra, la raffigurazione in immagini di pensieri astratti, il simbolismo. L'interpretazione del sogno consiste nel processo inverso, di decostruzione di quei meccanismi.
Il fatto che Freud stesso si accorgesse che taluni sogni non realizzano i desideri, ma al contrario ripetono situazioni spiacevoli o traumatiche, non toglie che comunque il sogno esprima assetti affettivi rilevanti della vita mentale inconscia. Lo ribadì anche la Klein, che equiparò il gioco dei bambini al sogno. Nella prospettiva di Jung, il sogno è rivelatore di un ben più ricco mondo archetipico: non rinvia tanto a desideri arcaici infantili, quanto prospetta indicazioni utili al processo di realizzazione della persona.

Jung e le teorie neoanalitiche

Prendendo le mosse dalla teoria psicoanalitica di Freud, ma contrapponendosi a essa si sono sviluppate altre teorie delle dinamiche psicologiche del profondo. Le maggiori scuole di pensiero sono quelle che fanno riferimento alla psicologia analitica di Jung, alla psicologia individuale di Adler, alla psicologia dell'Io di Erickson e alle teorie di Melanie Klein.
Jung
Lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961) è considerato il fondatore della psicologia analitica. Laureatosi in medicina nel 1900, entrò come assistente nel prestigioso ospedale psichiatrico di Zurigo, e divenne allievo di J. Bleuler, che aveva individuato nell'ampio genere della demenza i tratti specifici della schizofrenia. Nel 1906 entrò in contatto con Freud e aderì all'Associazione Psicoanalitica Internazionale. Nel 1913 ruppe con Freud, dalle cui teorie psicoanalitiche si discostò nell'interpretazione dell'inconscio e della libido. Anche per contrassegnare il proprio rispetto, comunque mantenuto, nei confronti di Freud, Jung chiamò la propria teoria “psicologia analitica”.
Fedele alle teorie di Bleuler, Jung ritiene che l'inconscio precede la coscienza come una radice, piuttosto che seguirla come conseguenza di una rimozione. Ciò significa che per comprendere lo psichico non bisogna partire dalla costruzione dell'Io (come voleva Freud), ma dall'inconscio da cui l'Io si genera. Per Jung “inconscio” non è un luogo psichico come per Freud, ma un aggettivo che designa un insieme di “complessi” o gruppi di rappresentazioni a tonalità affettiva molto elevata, che l'Io può controllare o non controllare (in questo secondo caso siamo in presenza della schizofrenia quale destrutturazione dei rapporti con la realtà). All'inconscio si accede attraverso approcci metaforici, o figure, quali l'anima, che designa la parte femminile nel maschio; l'animus, che designa la parte maschile nella femmina; l'“ombra”, che è la parte negativa della personalità e che il soggetto tende a nascondere; la “persona”, o maschera, che l'Io assume nelle sue relazioni sociali fino ad identificarvisi quando non è sicuro di sé.
Oltre all'inconscio personale, in cui sedimentano le tracce delle esperienze vissute, dimenticate o rimosse, Jung riconosce anche un inconscio collettivo, in cui resta depositato il patrimonio psicologico dell'umanità. Con questi termini non si deve però intendere un particolare contenuto comune a tutti gli uomini, ma “forme a priori” dell'immaginazione, disposizioni a fare esperienza in un modo piuttosto che in un altro. Tali sono gli archetipi della “grande madre”, o del puer o del senex, per i quali si decide il modo di fare esperienza in maniera materna, o infantile, o senile.
La dinamica psichica è concepita da Jung come relazione tra il Sé e l'Io. Con il termine Jung intese l'unità complessiva della personalità: “Il Sé non è soltanto il centro, ma anche l'intero perimetro che abbraccia coscienza e inconscio, è il centro di questa totalità, così come l'Io è il centro della mente cosciente”. Del Sé Jung parlò in due accezioni: come momento iniziale della vita psichica e come sua realizzazione o meta. Come antecedente dell'Io, il Sé è l'espressione indifferenziata di tutte le possibilità umane: una indifferenziazione mitologicamente espressa dalla divinità rispetto alla quale un giorno l'uomo si era emancipato inaugurando, con la ragione, identità e differenze: questa emancipazione ha consentito all'uomo di uscire dalla notte dell'indifferenziato, dove appunto abita la follia. Come figura ulteriore rispetto all'ambito circoscritto della coscienza razionale, il Sé rappresenta poi il riferimento per una nuova ricerca di senso volta al recupero di motivi esistenziali rimossi per una adeguata costruzione dell'Io. La dinamica psichica in vista dell'autorealizzazione prevede una prima fase di adattamento alla realtà volta alla costruzione dell'Io, e una seconda fase di individuazione che si articola attraverso le due operazioni della differenziazione e dell'integrazione, da considerarsi a livello intrapsichico e interpsichico. Nel primo caso “individuarsi” significa differenziare l'Io dalle istanze psichiche inconsce, per passare successivamente a un'integrazione delle parti rimosse che possono concorrere alla crescita dell'Io ormai consolidato. Nel secondo caso individuarsi significa differenziarsi dall'adesione acritica alle forme collettive d'esistenza, per passare poi all'integrazione critica di forme e modelli culturali esistenti, da sostituire a quelli che hanno presieduto per il passato alla crescita e che ora si rivelano insufficienti. Operatore del processo di individuazione per Jung è il simbolo, che, a differenza di quanto ritiene Freud, non è un segno che rinvia a una cosa nota (campanile = fallo, caverna = contenitore materno ecc.), ma è ciò che rimanda a qualcosa di fondamentalmente sconosciuto e per il quale non c'è espressione razionale adeguata.
Jung scorse nella produzione simbolica individuale e collettiva delle eccedenze di senso rispetto all'insieme dei significati codificati. Da queste eccedenze scaturiscono quelle trasformazioni individuali e collettive in cui si esprime, a livello individuale, il senso di ogni biografia e, a livello collettivo, quello di storia. In tal modo Jung ampliò il concetto di psiche, lo emancipò dallo sfondo naturalistico in cui Freud l'aveva contenuto, identificando la psiche con le pulsioni dell'uomo in quanto organismo biologico, e in definitiva lo integrò con la nozione di storia: la storia come modificabilità della psiche in base alle trasformazioni epocali. Da questa esposizione si deduce che per Jung non esistono contenuti simbolici se non per un inconscio che li instaura; i simboli sono storici, perché non appena partoriscono il loro significato cessano di essere simboli diventando segni; il simbolo non è un significato, ma un'azione che mantiene in tensione gli opposti; nel simbolo c'è un'eccedenza di senso verso cui si orienta il processo di individuazione psichica.
Se l'archetipo fa riferimento alla natura umana indicando ciò che è comune, la tipologia psicologica fa riferimento a ciò che diversifica individuo da individuo, per cui se è ipotizzabile una visione oggettiva della psiche a livello archetipico, questa visione si frantuma a livello tipologico, dove è di volta in volta diverso il modo di essere uomo e di essere sé stesso. Ciò spiega come per la psicologia analitica non si dia una dottrina generale delle nevrosi, perché anche il modo di declinarsi della malattia rispecchia l'individualità.
La psicologia elaborata da Jung viene definita dall'autore stesso con il termine di Psicologia analitica. Staccandosi da una precedente adesione al pensiero psicoanalitico di Freud, nel 1912 con l'opera Simboli della trasformazione Jung prospettò una lettura dell'energia psichica o libido non più limitata alle sole manifestazioni pulsionali come aveva ritenuto Freud, ma estesa anche alle espressioni culturali con finalità creative.
Dopo Jung la psicologia analitica ha percorso due itinerari tipici che si discostano dallo junghismo classico. L'itinerario archetipico, promosso da E. Neumann e J. Hillman, che vuol sostituire al linguaggio concettuale in cui si esprime la psicologia del profondo, il linguaggio immaginale proprio degli archetipi mitologici, perché l'immagine è il modo specifico di narrarsi della psiche, che non può essere distorto dalla sovrapposizione di un linguaggio concettuale ad essa estraneo. Dall'altra parte l'itinerario ermeneutico-epistemologico, promosso in Italia da Trevi, il cui modello ermeneutico, conduce al dialogo dei punti di vista prospettici e perciò stesso delle psicologie, tutte vere purché coerenti con le loro premesse, e tutte relative perché storicamente, psicologicamente ed esistenzialmente condizionate.
Adler
Medico e psicologo austriaco A. Adler fu all'inizio il membro più autorevole del piccolo gruppo che, fin dal 1902, si riuniva il mercoledì nella casa di Freud. Nel 1911 si distaccò polemicamente da esso e fondò la Società per la Psicologia Individuale.
Il termine individuale allude alla considerazione dell'individuo come unità inscindibile sia in sé, sia nei rapporti con la società. Secondo la psicologia individuale la psiche è mossa dalla volontà di potenza, concetto tratto da Nietzsche ma inteso in senso più benevolo: esprime il bisogno di affermarsi ai fini della sopravvivenza e ripara all'originario sentimento di inferiorità del bambino. Alla volontà di potenza fa da contrappunto il sentimento sociale, che si esprime nella capacità di solidarizzare emotivamente con gli altri e dunque di cooperare nella società. Lo squilibrio tra queste due componenti porta alla nevrosi.
Sul piano terapeutico scopo della psicologia individuale è di effettuare una correzione delle impostazioni erronee, derivanti da uno stile di vita inadeguato, aiutando il paziente a vivere secondo una rinnovata progettualità. La psicologia individuale ha avuto seguito specie in Inghilterra e negli USA, anche per la sua sensibilità al sociale, trovando inoltre convergenze con la psicoanalisi dei neofreudiani.
La psicologia dell'Io e Erikson
L'idea centrale della psicologia dell'Io (cui aderì anche Anna Freud) è che esiste una sfera dell'Io autonoma dai conflitti pulsionali: la sfera dell'Io non deriva per differenziazione dall'Es, come voleva Freud, né tanto meno dai processi di identificazione, bensì è innata. Consiste in un'ampia serie di funzioni, quali il controllo della motilità, il linguaggio, la memoria, l'intelligenza, l'esame della realtà: sono funzioni messe in azione non dalla libido, ma da forme di energia neutra, o neutralizzata; all'insistenza sugli aspetti psichici delle funzioni dell'Io, fanno da contrappunto i riferimenti neurofisiologici, al fine di fondare biologicamente l'autonomia dell'Io.
È comunque in forza del suo carattere autonomo che l'Io può opporsi alle pulsioni e regolare i rapporti con l'ambiente: il problema dell'adattamento all'ambiente diventa così centrale nella psicologia dell'Io, che aggiunge un punto di vista adattivo e inoltre uno genetico (per l'attenzione prestata ai processi evolutivi) ai tre punti considerati nella metapsicologia freudiana (topico, dinamico ed economico). Lo scarso peso attribuito invece alla dimensione fantasmatica inconscia fa sì che le relazioni con il mondo esterno vengano lette in un'ottica per lo più realistica.
Con Rapaport si ha inoltre il più importante tentativo di una sistemazione epistemologica della psicoanalisi, secondo i canoni dell'empirismo logico dominanti al tempo; vi prevale una visione meccanicistica e obiettivistica della psiche.
La psicologia dell'Io ha trovato fortuna negli Stai Uniti anche perché si incontrava con due questioni sentite nella cultura locale: il rapporto con l'ambiente e con la società; la scientificità della psicoanalisi e la sua integrazione nella psicologia accademica.
Uno studioso riconducibile per certi versi alla Psicologia dell'Io è E. Erikson, psicoanalista statunitense di origine tedesca. Formatosi con Anna Freud a Vienna (ma è da sottolineare che prima aveva insegnato attività artistiche ai bambini), emigrò negli Stati Uniti nel 1933, dove insegnò in varie università. Si occupò prevalentemente di psicoanalisi dell'età evolutiva, studiando il bambino nel contesto sociologico e antropologico. Nella concezione di Erickson l'acquisizione dell'identità individuale e di quella sociale sono complementari: da una parte è sottolineata la funzione di sintesi e di integrazione svolta dall'Io nel corso dello sviluppo, dall'altra è dimostrata (con una famosa ricerca in cui veniva confrontata l'educazione nelle tribù Sioux, cacciatori, con quella nelle tribù Yurok, pescatori) l'interazione tra la formazione dell'Io e la struttura della società.
Melanie Klein
Psicoanalista inglese, di origine austriaca, si accostò alla psicoanalisi nel 1914 attraverso Ferenczi, allievo di Freud; ma riconobbe come maestro K. Abraham a Berlino, dove si trasferì nel 1921. La morte precoce di Abraham la indusse a stabilirsi definitivamente a Londra nel 1926. Qui fu dapprima accolta con favore, ma dagli anni Quaranta incontrò la vivace opposizione del gruppo ortodosso, capeggiato da Glover e da Anna Freud.
La Klein aveva iniziato la sua pratica come analista di bambini, nella cura dei quali traspose direttamente i principi freudiani. Utilizzando il gioco, lo interpretava al bambino in termini simbolici al pari del sogno negli adulti, vedendovi l'espressione di pulsioni, di conflitti, di angosce inconsce. Ne trasse le prime tesi originali: il complesso di Edipo compare già nei primi anni di vita; il bambino mostra un universo fantasmatico assai ricco, popolato di oggetti dal carattere di quasi-persone, ora crudeli, ora dotate di mirabili qualità.
Il rigido dualismo pulsionale (pulsioni lipidiche e pulsioni aggressive o di morte), la visione della mente come mondo interno (cioè un contenitore di oggetti di volta in volta proiettati all'esterno o introiettati), nonché l'allargamento della cura ad adulti psicotici favorirono l'elaborazione delle nozioni di posizione paranoide-schizoide e posizione depressiva. Le due posizioni compaiono rispettivamente nel primo e nel secondo semestre di vita del bambino. La posizione paranoide-schizoide è qualificata dalla percezione del seno materno da parte del bambino ora come oggetto buono, ora come oggetto cattivo (in quanto il seno è investito di pulsioni sia lipidiche, sia aggressive), dalla presenza di angoscia persecutoria (per una sorta di timore di vendetta al seguito degli immaginari attacchi al seno), o, al contrario, di straordinarie idealizzazioni. La posizione depressiva suppone dal canto suo la riunificazione del seno in un unico oggetto (sentito come buono): il soggetto vive conseguentemente se stesso come cattivo, donde l'angoscia depressiva. Nelle ultime opere la Klein accentuò il peso dei sentimenti, postulando nel bambino un'originaria invidia e una necessità di farvi fronte con atteggiamenti riparatori.

Altri orientamenti

In una seconda fase, accanto alle grandi scuole analitiche, si sono sviluppate altri indirizzi interpretativi e terapeutici, dalla psicologia umanistica di Maslow e Rogers alle psicoterapie comportamentiste e cognitiviste e alle teorie dei tratti.
Maslow e Rogers: le teorie umanistiche
Abraham Maslow, di cui abbiamo già analizzato la teoria dei bisogni e delle motivazioni, fondò nel 1962 la Società Americana di Psicologia Umanistica.
Maslow sottolineò l'importanza dei valori nello sviluppo della personalità, criticando l'impostazione del comportamentismo e della psicoanalisi, ritenuta troppo riduttiva e meccanicistica. Il suo approccio si caratterizzò anche per la tendenza a studiare persone definite come sane, dalla cui osservazione e analisi Maslow derivò le caratteristiche delle persone autorealizzate, che rispecchiano da molti punti di vista la personalità comune, da cui traggono il meglio essendo a proprio agio con sé stesse e capaci di affrontare i propri limiti. La teoria dell'autorealizzazione di Maslow fu tuttavia criticata come eccessivamente indefinita e imprecisa (spesso, notano i detrattori dello studioso statunitense, anche la gerarchia dei bisogni da lui prospettata non viene rispettata in maniera rigorosa).
Carl Rogers, altro psicologo statunitense, di formazione psicopedagogica, nel 1930 divenne direttore della società per la prevenzione della crudeltà ai bambini a Rochester (NY). Professore di psicologia in varie università, fondò centri di consulenza, avviando in essi il metodo della terapia centrata sul cliente. Ne è premessa l'idea che la fonte principale del comportamento sia il bisogno di autorealizzazione, il quale porta ad uno sviluppo spontaneo e lineare (a meno di scontrarsi con l'ambiente). Pertanto, criticando sia le terapie direttive come quella comportamentista (vedi sotto Le teorie comportamentali e cognitiviste), sia la psicoanalisi, sostenne che l'approccio al paziente debba essere fondato sull'empatia, cioè un rapporto a tu per tu, benevolo comprensivo, che valorizza la spinta autonoma alla crescita. La peculiarità del rapporto terapeuta-cliente determina tempi e modalità di ciascun trattamento. Le tesi di Rogers, accostabili alla psicologia umanistica di Maslow, hanno avuto successo anche in Europa.
Le teorie comportamentali e cognitiviste
Secondo i comportamentisti la personalità dipende dall'insieme dei comportamenti appresi sulla base del condizionamento operante, nel quale, come si è visto, ha un'importanza significativa il ruolo del rinforzo. La psicoterapia ispirata al comportamentismo pensa di togliere il sintomo senza coinvolgere l'insieme della personalità: essendo il sintomo un errore di apprendimento, occorre decondizionare il soggetto, avvicinandolo gradualmente all'elemento patogeno e mostrandogli che non sussistono i pericoli che teme.
Secondo i cognitivisti le differenti personalità deriverebbero dai diversi processi di pensiero e dalle rappresentazioni mentali degli altri e della realtà che ci circonda. Il loro intervento si può avvicinare a quello prospettato dai comportamentisti: presupponendo che il comportamento si basa su cognizioni e schemi. Mira alla riorganizzazione delle cognizioni errate del paziente su sé stesso e sugli altri.
Le teorie dei tratti
Alcune delle prime teorie che hanno preso direttamente in considerazione la personalità (quelle di Allport, Cattel e Eysenk) l'hanno intesa come caratterizzata da un insieme di tratti innati o disposizioni stabili applicabili a tutti gli individui, sia pure con differenze per quanto riguarda il numero e il tipo di tratti esistenti.
Gordon Allport, psicologo americano, intese dunque la personalità come l'insieme di diversi tratti (cardinali, che influenzano ogni azione compiuta dalla persona; centrali, che pur essendo forti non possono vantare la coerenza dei cardinali, e secondari, che si esprime in ambiti più limitati dei centrali) che, sebbene comuni in molte persone, possono indurre ogni individuo a comportarsi in maniera diversa. Secondo Allport non possono esistere due persone identiche: la sua teoria ha pertanto lo scopo di salvaguardare l'unicità e irripetibilità dell'individuo. Nel comportamento di un individuo è pertanto importante analizzare sia la combinazione dei tratti, sia le differenze situazionali.
Anche Raimond Cattel contribuì allo sviluppo della teoria dei tratti della personalità, identificando ed elaborando un elenco di 16 fattori che potevano essere utilizzati per descrivere tutti gli individui e predirne il comportamento, fornendo una rappresentazione adeguata della loro personalità. Egli distinse i tratti superficiali (caratteristiche comuni che è possibile trovare in più persone diverse) dai tratti originari (fattori fondamentali della personalità).
Hans Eysenk sostenne insieme a Allport e Cattel l'esistenza nella personalità di diversi tratti comuni relativamente stabili e misurabili; in particolare egli distinse la personalità in tre fattori principali (introversione-estroversione, nevroticismo e psicoticismo) che isolò utilizzando la metodologia statistica dell'analisi fattoriale.

I disturbi del comportamento

La sofferenza mentale e i disturbi del comportamento sono comunemente suddivisi i due grandi gruppi a seconda che il soggetto conservi o perda il senso della realtà: nel primo caso abbiamo la famiglia delle nevrosi, nel secondo il gruppo delle psicosi.
Nevrosi
In psicopatologia, con il termine nevrosi ci si riferisce a una famiglia di disturbi mentali di origine psichica in cui il soggetto, diversamente dalla psicosi, conserva il senso della realtà.
Il significato di nevrosi è assai variato nel corso del tempo e in funzione delle diverse correnti di psichiatria e psicopatologia. Il termine venne introdotto dallo scozzese Cullen nel 1777, per indicare sia le malattie mentali, sia quelle attribuibili al sistema nervoso. La scuola di J.M Charcot (seconda metà dell'Ottocento) distingueva le malattie nervose organiche da quelle funzionali, dovute cioè a difetti del funzionamento del sistema nervoso senza compromissione anatomica: sono le nevrosi nel senso odierno.
La psicopatologia contemporanea è concorde sulla definizione negativa delle nevrosi, come un insieme di disturbi del comportamento di cui non si trova patogenesi organica. Freud insistendo sull'origine puramente psichica dell'isteria, che riteneva causata da rappresentazioni mentali che il soggetto non riusciva ad accettare, fondò la psicoanalisi su una concezione psicogena della nevrosi.
La nevrosi nelle classificazioni psicopatologiche è abitualmente distinta sia dalla psicosi, in cui il soggetto, sopraffatto dalle dinamiche inconsce, dà luogo a deliri e allucinazioni; sia dalla perversione e dalla psicopatia, in cui non vi è rimozione della pulsione; sia dal disturbo psicosomatico, che presenta lesioni organiche obiettive. La psicoanalisi nello sterminato repertorio dei sintomi nevrotici individua alcuni quadri di nevrosi, basati non tanto sulla classificazione dei sintomi quanto sulle dinamiche psichiche atte a spiegare detti quadri. La nevrosi appare così l'esito di un conflitto psichico, radicato nella storia infantile del soggetto, e il sintomo nevrotico è il compromesso tra un desiderio inaccettabile e la difesa da esso. Il sintomo ha dunque un carattere simbolico: rinvia alla rappresentazione di un desiderio come al suo significato. Comportamentismo e riflessologia spiegano la nevrosi come la risposta inadeguata allo stress, ovvero come errore di apprendimento a seguito di apprendimenti sfavorevoli.
Si distingue tra isteria e nevrosi ossessiva. L'isteria è caratterizzata dalla conversione del conflitto psichico in sintomi somatici (paralisi funzionali, anestesie, afasie, cecità e tanti altri), senza compromissione anatomica. La nevrosi ossessiva presenta sintomi meramente psichici, quali coazioni a ripetere azioni insensate, pensieri ossessivi (blasfemi, di colpa, o altro), a cui il soggetto non può sottrarsi. La nevrosi fobica, cioè la paura immotivata di oggetti, animali, luoghi, è da taluni accostata alla nevrosi ossessiva (nevrosi fobico-ossessiva), da altri, come Freud, all'isteria (isteria d'angoscia). Freud accomunò le nevrosi appena elencate con il nome di nevrosi di transfert: in tutte permane la relazione con oggetti (reali o di fantasia), relazione che inoltre il soggetto può indirizzare ad altre persone, come accade nel transfert verso il terapeuta. Contrappose le nevrosi di transfert alle nevrosi narcisistiche o psicosi (per le quali il soggetto, chiuso nel suo mondo perde la capacità di relazionarsi con gli oggetti esterni) e alle nevrosi attuali . Quest'ultima famiglia di nevrosi, la cui consistenza è oggi discussa, non ha origine da un conflitto infantile, ma attuale (per esempio, la nevrosi d'angoscia deriverebbe da un mancato deflusso delle eccitazioni sessuali). Condivisa invece anche al di fuori della psicoanalisi è la nozione di nevrosi traumatica, che scoppia a seguito di eventi sconvolgenti. Ma il fatto che non tutti gli individui reagiscano con la nevrosi a un trauma o a forti emozioni, fa pensare che siano comunque decisive le componenti nevrotiche pregresse.
Psicosi
Il termine psicosi fa invece riferimento a disturbi psichici gravi di origine organica. Proprio la diversa origine differenzia le psicosi dalle nevrosi: le nevrosi non hanno cause organiche (somatiche) ma solo cause psichiche; mentre le psicosi hanno nella loro insorgenza fondazioni organiche che, per alcune, sono conosciute e dimostrabili e, per altre, sono soltanto ipotizzabili. Le nevrosi si possono definire anche come esperienze psicopatologiche contrassegnate da deviazioni quantitative dalla norma (intesa in senso statistico), e le psicosi quali esperienze psicopatologiche caratterizzate da deviazioni qualitative dalla norma .
Nel contesto delle psicosi si devono preliminarmente distinguere quelle correlabili a cause organiche dimostrabili. Sono, queste, le psicosi chiamate da E. Kraepelin psicosi organiche: le più comuni sono conseguenti a lesioni traumatiche dell'encefalo, a sue lesioni degenerative o vascolari, a sue forme infettive e, in particolare, all'infezione luetica che conduceva, quando non era ancora adeguatamente curata, all'insorgenza della cosiddetta paralisi progressiva, malattia oggi praticamente scomparsa, ma della quale morì, per esempio, Nietzsche. Le psicosi organiche, indipendentemente dalle loro cause, presentano una sintomatologia psichica comune che si differenzia per ciascuna solamente sulla base dell'evoluzione. Le psicosi organiche acute sono caratterizzate essenzialmente da disturbi della coscienza, e cioè dalla compromissione più o meno profonda ed estesa, fino alla perdita totale, delle capacità di orientarsi nello spazio e nel tempo. Le psicosi organiche acute sono patologie che hanno un duplice possibile andamento: possono risolversi anche completamente, o possono sconfinare nelle psicosi organiche croniche . Queste ultime non presentano disturbi della coscienza ma si hanno disturbi dell'intelligenza e della personalità, ad andamento strisciante e progredente, fino alla loro profonda destrutturazione nelle forme cosiddette demenziali.
Antitetiche e contrapposte alle psicosi organiche sono quelle convenzionalmente chiamate endogene .

Origini e cause sono ancora oggi oscure e indimostrate, anche se l'indirizzo scientifico prevalente è quello inteso a considerarle di natura organica, benché non si possa escludere l'influenza di fattori integrativi di natura ambientale e interpersonale. Delle psicosi endogene fanno parte sostanzialmente due sole grandi forme cliniche che sono state genialmente individuate e descritte da Kraepelin : la psicosi maniaco-depressiva e la dementia praecox (schizofrenia). In realtà il termine di psicosi maniaco-depressiva, che vuole indicare la presenza e la successione in una stessa persona di episodi maniacali e di episodi depressivi, viene oggi sostituito da una duplice denominazione: quella di depressione bipolare e quella di depressione monopolare. La prima intende caratterizzare le forme cliniche in cui, come nella definizione originaria di Kraepelin, episodi maniacali ed episodi depressivi si alternano nel corso della vita di una persona, ad intervalli diversi di caso in caso; la seconda intende invece indicare le forme cliniche, molto più frequenti, in cui si alternano nel corso della vita solo episodi di natura depressiva. Se il termine di psicosi maniaco-depressiva continua a sopravvivere in alcuni circoli psichiatrici di forte ascendenza kraepeliana, non si parla più di dementia praecox, ma la stessa sintomatologia e la stessa formula clinica vengono definite come schizofrenia. Fu Bleuler a introdurre in psichiatria il termine di schizofrenia, infinitamente più adatto a cogliere gli aspetti costitutivi della malattia (con schizofrenia, dal greco schízein , “scindere, dividere” prhén, “mente” si esprime etimologicamente il concetto di scissione, di dissociazione, di lacerazione della vita psichica), malattia nella quale la demenza è solo apparente.
Delle due psicosi endogene , le depressioni bipolari e le depressioni monopolari sono contrassegnate dalla presenza di un sintomo fondamentale, costituito dal disturbo della vita affettiva, della vita emozionale, al quale sono aggregati altri sintomi più o meno importanti e significativi clinicamente. Il disturbo dell'affettività è contrassegnato nel corso degli episodi maniacali, che si osservano solo nelle depressioni bipolari, da una condizione di gaiezza (euforia) patologica che mantiene solo alcune analogie tematiche con la normale allegria. L'euforia patologica nella fase maniacale non è infatti motivata, cioè non è determinata da eventi significativi che abbiano a giustificarla, ma è del tutto immotivata. Essa inoltre si accompagna ad una concitazione psicomotoria talora molto accentuata, che entra in conflitto flagrante con le norme e le consuetudini sociali ed istituzionali. Il disturbo dell'affettività che si constata nella depressione psicotica (nella depressione che si alterna alla eccitazione maniacale e in quella che si ripete da sola nel corso di una vita) è contrassegnato dalla presenza di uno stato d'animo (immotivato) di tristezza e di malinconia più o meno intenso e più o meno doloroso. A questa tristezza patologica, a questa depressione clinica, si accompagna una condizione di apatia e disgusto della vita che, in alcune forme cliniche, sconfinano nel rifiuto di vivere e nella ricerca disperata della morte volontaria, del suicidio. Nel corso di una depressione di questa natura non si riesce più ad entrare in contatto con il mondo degli altri e ci si rinchiude sempre più profondamente nei confini della propria interiorità, del proprio io. Se curati bene, sia gli episodi maniacali sia quelli depressivi regrediscono e si risolvono .
La sintomatologia e l'evoluzione della schizofrenia sono invece molto più oscure ed enigmatiche. Insorge abitualmente in età giovanile e la sua evoluzione nel tempo può avvenire in forma acuta o in forma cronica, ciascuna di queste forme ha una diversa sensibilità all'azione terapeutica dei farmaci. La sintomatologia della schizofrenia è multiforme e camaleontica, benché la sua struttura portante si riconosca in una scissione e in una dislocazione della personalità e delle diverse funzioni che compongono la vita psichica nel suo insieme.
Sono comunque sintomi ricorrenti di questa psicosi: un ripiegamento sul mondo interiore e un rifiuto di contatti esterni ( autismo ), repentini passaggi dall'attaccamento al disprezzo per il medesimo oggetto ( ambivalenza), comportamenti bizzarri. Nel linguaggio si osserva una seria destrutturazione della sintassi, mentre singole parole – talora costruite artificiosamente e ripetute ossessivamente – concentrano in sé un gran numero di significati; le parole inoltre sono prese per cose, ignorando i sensi metaforici (“perdere la testa” per qualcosa equivale, per esempio, a essere senza testa, decapitato). Il corpo infine è spesso sentito come cosa estranea : il soggetto può infliggersi terribili trattamenti, senza provare dolore.
Accanto al fattore ereditario e a quello costituzionale , sui quali specie in passato si insisteva, sono state studiate in tempi recenti le concomitanti biochimiche nel cervello di schizofrenici (iperattività dei neuroni sensibili alla dopamina): esse però non tolgono il concorso di importanti fattori ambientali e psichici. Questi ultimi nell'ottica psicodinamica, risalgono alla prima infanzia: a modalità assai disturbate nel rapporto con la madre, specie nel passaggio dalla fase simbiotica, alla separazione e alla relazione con gli oggetti. La Klein sottolineò la presenza di assetti schizoidi già nel primo anno di vita, caratterizzati dalla scissione dell'Io e dell'oggetto con cui il bambino si rapporta e dall'affiorare di angoscia persecutoria. Infine la scuola sistemica , o di Palo Alto, ha insistito sul ruolo schizofrenogeno esercitato da famiglie in cui le modalità di comunicazione tra i membri sono perverse, paradossali, caratterizzate dal doppio legame. Secondo G. Bateson e la scuola di Palo Alto, questa è una modalità comunicativa in cui l'emittente invia al destinatario segnali contraddittori o contrastanti con altri messaggi non verbali, ponendolo in una situazione paradossale. Il carattere patogeno deriva, oltre che dalla contraddittorietà dei messaggi, dalla natura intensa del legame tra i partner e dall'impossibilità del destinatario di parlare della comunicazione al fine di risolvere l'incongruenza. Il conflitto si riversa sul paziente designato, cioè l'anello debole della catena familiare.

In sintesi
Freud e la PsicoanalisiLe tappe storiche
–Incontro con Charcot e Breuer
–La pubblicazione de L'interpretazione dei sogni (1900)
–Le lezioni di Vienna (1915-1917)

L'inconscio
–Le nevrosi non sono malattie mentali ma funzionali
–Cura: prendere coscienza delle rappresentazioni rimosse
–Inconscio: dinamico e conflittuale, altro rispetto alla coscienza, autonomo
–L'inconscio per le altre scuole di pensiero

La psicoanalisi
–Sovrapposizione tra il metodo di indagine e la terapia
–Il transfert
–Le libere associazioni
–Presa di coscienza come scioglimento del conflitto

Il complesso di Edipo

La metapsicologia
–Es: sede delle pulsioni
–Io: difesa dalle pulsioni
–Super-io: sede degli ideali e della censura morale

Le pulsioni
–La libido
–La sublimazione
–Il narcisismo
–Eros
–La pulsione: fonte, oggetto meta

L'interpretazione dei sogni
–Sogno come via per l'inconscio
–Necessario per l'equilibrio del soggetto
–Condensazione, spostamento e simbolismo
–Scopo dell'interpretazione dei sogni
Jung e le teorie neoanaliticheJung
–L'inconscio e l'inconscio collettivo
–Anima e animus
–L'ombra e la persona
–Gli archetipi
–La relazione tra il Sé e l'Io
–Differenziazione e integrazione
–La psicologia analitica

Adler
–La psicologia individuale
–Individuo come unità inscindibile sia in sé, sia nei rapporti con la società
–Aiutare il paziente a vivere secondo una rinnovata progettualità

La psicologia dell'Io e Erickson
–Esiste una sfera dell'Io autonoma dai conflitti pulsionali
–Le relazioni con il mondo esterno vengano lette in un'ottica per lo più realistica.
–Erickson l'acquisizione dell'identità individuale e di quella sociale sono com-plementari

Melanie Klein
–Gioco, come espressione di pulsioni, di conflitti, di angosce inconsci
–Complesso di Edipo compare già nei primi anni di vita
–Il bambino mostra un universo fantasmatico assai ricco
–Posizione paranoide-schizoide e posizione depressiva
ALTRI ORIENTAMENTIMaslow e Rogers: le teorie umanistiche
–Maslow: l'importanza dei valori nello sviluppo della personalità
–Rogers terapia centrata sul clienteLe teorie comportamentali e cognitiviste
–La psicoterapia comportamentista pensa di togliere il sintomo senza coinvolgere l'insieme della personalità
–Secondo i cognitivisti le differenti personalità deriverebbero dai diversi processi di pensiero e dalle rappresentazioni mentali degli altri e della realtà che ci circondaLe teorie dei tratti
–Allport, Cattel e Eysenk
–Personalità come caratterizzata da un insieme di tratti innati o disposizioni stabili applicabili a tutti gli individui
I DISTURBI DEL COMPORTAMENTONevrosi
– Famiglia di disturbi mentali di origine psichica in cui il soggetto, diversamente dalla psicosi, conserva il senso della realtà
–Isteria
–Nevrosi ossessiva
–Nevrosi traumatica

Psicosi
–Disturbi psichici gravi di origine organica
–Psicosi organiche
–Psicosi endogene
–Depressione
–Schizofrenia

Nessun commento:

Posta un commento

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale