Translate

lunedì 21 maggio 2012

FORMAZIONE. COORDINATE SU IMPATTO AMBIENTALE E SVILUPPO SOSTENIBILE



di Giuseppina D’Auria

Il nostro modo di vivere, di consumare, di comportarsi, decide la velocità del degrado antropico (misura dello stato del disordine di un sistema), la velocità con cui viene dissipata l'energia utile e il periodo di sopravvivenza della specie umana. Si arriva così al concetto di sostenibilità, intesa come l'insieme di relazioni tra le attività umane la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali di permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano entro certi limiti così da non da non distruggere il contesto biofisico globale. Se riusciremo ad arrivare a un'economia da equilibrio sostenibile come indicato da Herman Daly, le future generazioni potranno avere almeno le stesse opportunità che la nostra generazione ha avuto: è un rapporto tra economia ed ecologia, in gran parte ancora da costruire, che passa dalla strada dell'equilibrio sostenibile.[1]
Nel 1987, la Commissione mondiale dell'ambiente e dello sviluppo, conosciuta anche come Commissione Brundtland dal nome della sua presidente, ha elaborato una definizione del concetto di sviluppo sostenibile che è ormai generalmente riconosciuta. Essa afferma che «lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo in grado di garantire il soddisfacimento dei bisogni attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di far fronte ai loro bisogni.»[2] Anche le generazioni future hanno diritto, come noi, ad un ambiente intatto. Il concetto di sviluppo sostenibile è però più ampio di quello di protezione dell'ambiente. Il benessere economico è una condizione indispensabile per il soddisfacimento delle nostre esigenze materiali e non, tanto quanto lo è la salvaguardia delle risorse vitali naturali. E solamente una società solidale è in grado di distribuire equamente i beni economici acquisiti, di salvaguardare i valori sociali e di sfruttare in modo parsimonioso le risorse naturali. Lo sviluppo sostenibile concerne quindi in eguale misura i tre settori dell'economia, dell'ambiente e della società.
            Lo sviluppo sostenibile, definito nelle carte e documenti internazionali da Rio de Janeiro (1992) in poi, è quello sviluppo che si propone di soddisfare le esigenze del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future. Un concetto, quello di sostenibilità, che integra oggi gli aspetti ambientali con quelli economici, sociali e istituzionali e che implica un approccio ed un metodo interdisciplinare. Un compito e un obiettivo che coinvolge tutti: istituzioni, imprese, associazioni, cittadini e consumatori. Una nuova generazione di politiche di tipo Lo sviluppo sostenibile comprende tre dimensioni: l'economia, l'ambiente e la società. Il riguardo verso le generazioni future e la solidarietà con i Paesi sfavoriti sono gli altri elementi centrali di questo concetto.preventivo che richiede inoltre nuovi strumenti conoscitivi, informativi, partecipativi, economici.

 I tre cerchi Lo sviluppo sostenibile comprende tre dimensioni: l'economia, l'ambiente e la società. Il riguardo verso le generazioni future e la solidarietà con i Paesi sfavoriti sono gli altri elementi centrali di questo concetto. “La costruzione di uno sviluppo sostenibile e la pace si conquistano soltanto con la giustizia nell'uso dei beni della Terra, unica nostra casa comune nello spazio, con una giustizia planetaria per un uomo planetario. Senza giustizia nell'uso dei beni comuni della casa comune, del pianeta Terra, non ci sarà mai pace”[3].
 Le nuove teorie dello sviluppo sostenibile e dell'ecological economics ci pongono davanti all'idea di un'economia non più basata su due parametri, il lavoro e il capitale, ma su un'economia ecologica che riconosce l'esistenza di tre parametri, il lavoro, il capitale naturale e il capitale prodotto dall'uomo. Intendendo per “capitale naturale” l'insieme dei sistemi naturali (mari, fiumi, laghi, foreste, flora, fauna, territorio), ma anche i prodotti agricoli, i prodotti della pesca, della caccia e della raccolta e il patrimonio artistico-culturale presente nel territorio, si vede come sia fondamentale oggi investire in questa direzione.[4] Per la gestione delle risorse ci sono due ovvi principi di sviluppo sostenibile. Il primo è che la velocità del prelievo dovrebbe essere pari alla velocità di rigenerazione (rendimento sostenibile). Il secondo, che la velocità di produzione dei rifiuti dovrebbe essere uguale alle capacità naturali di assorbimento da parte degli ecosistemi in cui i rifiuti vengono emessi. Le capacità di rigenerazione e di assorbimento debbono essere trattate come capitale naturale, e il fallimento nel mantenere queste capacità deve essere considerato come consumo del capitale e perciò non sostenibile". Il tema della complessità ecologica si può così leggere attraverso le seguenti parole di Herman Daly: "Ci sono due modi di mantenere il capitale intatto. La somma del capitale naturale e di quello prodotto dall'uomo può essere tenuta ad un valore costante; oppure ciascuna componenente può essere tenuta singolarmente costante. La prima strada è ragionevole qualora si pensi che i due tipi di capitale siano sostituibili l'uno all'altro. In questa ottica è completamente accettabile il saccheggio del capitale naturale fintantoché viene prodotto dall'uomo un capitale di valore equivalente. Il secondo punto di vista è ragionevole qualora si pensi che il capitale naturale e quello prodotto dall'uomo siano complementari. Ambedue le parti devono quindi essere mantenute intatte (separatamente o congiuntamente ma con proporzioni fissate) perché la produzione dell'una dipende dalla disponibilità dell'altra. La prima strada è detta della "sostenibiltà debole" la seconda è quella della "sostenibilità forte". (...) Oggi stiamo vivendo la transizione da un'economia da mondo vuoto ad un'economia da mondo pieno: in questa seconda fase l'unica strada possibile per la sostenibilità passa attraverso l'investimento nella risorsa più scarsa, nel fattore limitante. Sviluppo sostenibile significa quindi investire nel capitale naturale e nella ricerca scientifica sui cicli biogeochimici globali che sono la base della sostenibilità della biosfera".[5]
I progetti di sviluppo sostenibile definiti a livello internazionale sono riuniti nell'Agenda 21[6], documento di propositi ed obiettivi programmatici su ambiente, economia e società sottoscritto da oltre 170 paesi di tutto il mondo durante la Conferenza su Ambiente e Sviluppo (UNCED) svoltasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992.[7] Il Ministero dell'Ambiente con il Bando 2000 ha messo a disposizione delle amministrazioni locali e degli enti parco 12,9 milioni di euro (pari a circa 25 miliardi di vecchie lire) e sta sostenendo l'attuazione di 111 progetti. Il prossimo congresso mondiale di sviluppo sostenibile si terrà ad Agosto in Sudafrica, a Johannesbourg. Secondo l'Agenda 21 i paesi industrializzati del Nord dovrebbero dare ai paesi in via di sviluppo del Sud 125 miliardi di dollari aggiuntivi all'anno per uno sviluppo sostenibile.[8]
La Conferenza di Rio coronò l'emergere delle questioni ambientali come grande tema delle politiche nazionali e internazionali. Con Rio, da un lato si affermava la necessità di un governo globale di alcuni questioni ambientali planetarie - effetto serra, acidificazione, riduzione dello strato di ozono, tutela della biodiversità -, dall'altro si richiedeva di integrare gli obiettivi di tutela delle risorse e della qualità ambientale sia nelle politiche territoriali ed economiche nazionali (e locali), sia nelle strategie produttive dei gruppi economici. Dieci anni dopo, la Conferenza di Johannesburg 2002, si confronterà con la necessità di fare il bilancio degli effetti ambientali di un decennio di globalizzazione economica. Un triplo bilancio: il bilancio dell'efficacia delle politiche globali e nazionali, pubbliche e private; il bilancio dello stato delle risorse ambientali e dei rischi; il bilancio degli effetti diretti (e indiretti) della globalizzazione dei mercati.  Nei paesi sviluppati - e soprattutto in Europa - per molti aspetti si è realizzata una riduzione assoluta dei carichi ambientali.
La pressione per un allentamento dei vincoli ambientali e per limitare l'internalizzazione dei costi ambientali resta alta, anche se ormai il mondo industriale e agricolo è diversificato e non costituisce più un blocco omogeneo che resiste all'innovazione e alla tutela ambientale. Ciò nonostante, nella gran parte delle regioni dei paesi sviluppati è cambiata, soprattutto nel corso di questo decennio, la qualità del problema ambientale e del conflitto ambientale.
La sfida ambientale - e il conflitto fondamentale - si è spostato sul campo delle politiche urbanistiche, sul traffico urbano e sulla mobilità, sull'infrastrutturazione del territorio, sulla qualità dell'alimentazione, sulla tutela del paesaggio, sul ripristino degli ambienti verdi e naturali.  Globalizzazione dei mercati e tecnologie dell'informazione sono state le due grandi forze che hanno interagito, alimentandosi a vicenda, in questi due decenni. Lo sviluppo della società dell'informazione svolge un ruolo trainante nei processi di globalizzazione, grazie alla costituzione di reti digitali globali che collegano fra loro una moltitudine di soggetti e sospingono la creazione di una nuova economia globale basata sulle reti e su fattori immateriali. Cambiano i fattori che rendono competitive e dominanti le economie. Il contenuto tecnologico, la qualità e il marchio del prodotto, la proprietà intellettuale, la tempestività del servizio stanno prendendo il sopravvento sui tradizionali fattori di costo. Con l 'età della globalizzazione l 'economia delle materie prime è stata soppiantata dall'economia della conoscenza. La ricchezza non è più creata solo dalle risorse naturali o dalla produzione, ma da come i prodotti e i servizi sono progettati e immessi sul mercato. In questo contesto, la ricerca e lo sviluppo tecnologico e la qualità del capitale umano (la qualità della loro formazione) diventano fattori cruciali. Primo, perché si accorcia il ciclo della ricerca e sviluppo. Il modello classico della ricerca ("ricerca di base pre-competitiva -ricerca industriale -attività di sviluppo") corrisponde sempre meno alla realtà. Nei nuovi campi -dall'informatica alle biotecnologie -le attività di ricerca di base possono portare direttamente alla creazione di prodotti e il tempo di ritorno degli investimenti nella ricerca è molto più rapido - come testimoniano gli utili delle società hi-tech nella farmaceutica o nel software; l 'impiego efficace delle nuove tecnologie richiede che l'insieme della forza lavoro, non solo ristrette élite, sia dotata di una elevata qualificazione. Da qui la rilevanza economica degli investimenti nel capitale umano, nella formazione scolare e professionale e nell'aggiornamento. Nascono, in questi ultimi anni presso gli atenei europei, corsi di Laurea e di Master per veicolare la concezione privilegiata dell'armonizzazione tra economia ed ambiente e di pianificazione ambientale incentrata sullo sviluppo sostenibile. Si vuole la promozione di una crescita capace di coniugare l'efficienza economica con la tutela delle risorse naturali e la gestione, a livello centrale e locale, delle necessarie misure amministrative comportano, per le Istituzioni coinvolte, una formazione costante dei quadri preposti alla pianificazione del territorio, attraverso un progetto di formazione permanente, rivolta ai quadri dell'Amministrazione Pubblica, di Enti di Ricerca e di Aziende di servizi ambientali con funzioni tecnico-direttive nell'ambito delle tematiche relative alla pianificazione ed alla gestione dei sistemi agro-ambientali e industriali. Anche enti di formazione privati, vincitori di concorsi banditi dalla Comunità Europea hanno creato dei corsi post lauream per la creazione di nuove figure professionali oltre che per favorire e incentivare la formazione e il lavoro in quelle categorie deboli quali le donne ed i disoccupati delle regioni Obiettivo 1. Abbiamo questa “fortuna” ancora per pochi anni (fino al 2006)!




           


[1]Internet, Sviluppo Sostenibile, 30/06/2003, http://www.miw.it.
[2] Internet, Sviluppo sostenibile - nascita e significato del concetto, http://www.are.admin.ch, 30/05/2003.
[3] Nebbia Giorgio, Lo sviluppo sostenibile, Edizioni Cultura della Pace, Firenze 1991.
[4] Tiezzi Enzo- Marchettini Nadia, Che cos'è lo sviluppo sostenibile?", Donzelli Editore, Roma, 1999, pp. 25-44.
[5] Internet, Sviluppo sostenibile, http://www.miw.it, 30/05/2003.
[6] L'Agenda 21 internazionale è costituita da una piattaforma programmatica di 800 pagine in cui, partendo dai problemi globali che investono la Terra, viene indicato un programma operativo per una transizione verso uno sviluppo sostenibile, includendo obiettivi, responsabilità e stima dei costi.
[7] In Italia l'Agenda 21 si concretizza dopo la Conferenza di Aaalborg in Danimarca del 1994, dal cui ambito nasce la "Campagna Europea Città Sostenibili". Le numerose amministrazioni che firmarono la Carta di Aaalborg e aderirono alla campagna europea delle città sostenibili stanno promuovendo attualmente processi di Agenda 21 locale sul proprio territorio. Un ulteriore impulso determinante in questa direzione si concretizzò con la nascita del "Coordinamento Nazionale Agende 21 locali", avvenuta nel 1999 a Ferrara, con il proposito di diffondere, valorizzare e monitorare le esperienze di "Agenda 21 locale" attualmente in corso e nel favorire la partnership e lo scambio di informazioni tra gli enti locali.
[8] Dati estratti dal sito governativo del Ministero dell’Ambiente.

Nessun commento:

Posta un commento

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale