Sempre più spesso, ci
capita di non distinguere più i reali significati dei termini, utili a dare il
giusto peso al nostro lavoro di operatori sociali.
Così, il termine
"devianza" appare facilmente sostituibile da quello del
"disagio", oppure il "disadattamento" con quello di
"emarginazione".
In realtà, per
comprendere correttamente questi termini occorre comprendere quelle profonde
trasformazioni che hanno caratterizzato la nostra società negli ultimi decenni
e mi riferisco soprattutto agli effetti che si sono ripercossi nell'universo
minorile e adolescenziale.
E'avvenuta,
sicuramente, una modifica nel rapporto tra mondo dell'infanzia e quello degli
adulti, una modifica nel rapporto dei più giovani con la famiglia e la società.
Nuove forme di disagio
e povertà, oggi incombono su questo universo ed incidono in modo decisivo sulla
qualità della vita, rendendo necessari interventi di sostegno nel percorso del
minore.
Nel nostro specifico,
potremmo attribuire all'allentarsi delle relazioni significative, alla scarsa
frequenza dei rapporti di tipo primario, all'inadeguatezza e alla precarietà
delle relazioni familiari, alcune delle cause principali che aprono il canale
del rischio ai giovani.
Così, i vari soggetti
istituzionali sono chiamati a riconsiderare le loro funzioni, le modalità di
attuazione degli interventi e le pratiche operative, al fine di poter
rispondere in modo coerente alle esigenze di questa particolare fascia d'età.
In tal senso, nasce
l'esigenza, sia nel mondo accademico, sia in quello dei servizi di attribuire
ad ogni termine il corretto significato.
Così, dei termini come
disagio, emarginazione, povertà, spesso dimentichiamo il contenuto originario o
la loro storia e tendiamo ad utilizzarli come sinonimi intercambiabili.
In effetti, quasi
sempre siamo convinti che essi abbiano lo stesso significato, forse perché essi
condividono una matrice ed origine comune che va ricercata nel filone di studi
sociologici che fanno riferimento alla devianza e al controllo sociale.
Il concetto di devianza
ha subito nel corso degli anni un processo di "normalizzazione", che
ha portato alla sua dissolvenza teorica ed alla nascita di una nuova categoria,
quella del disagio.
Tale processo vuole
rappresentare quell'orientamento in base al quale si è cercato di rispondere
all'esigenza di introdurre un approccio maggiormente cauto verso quei
comportamenti che non sono necessariamente riconducibili alla semplice
riproduzione di norme e valori del sistema sociale degli adulti o in
contrapposizione ad essi.
In tal senso, ci sembra
doveroso in conclusione, analizzare i quattro periodi fondamentali che
caratterizzano il malessere giovanile (Allum, Diamanti, 1986):
- in un primo periodo,
che orientativamente si colloca negli anni sessanta, assistiamo alla sempre più
forte presenza di manifestazioni organizzate e visibili dell'insoddisfazione
giovanile. I giovani, innanzitutto, cominciano a porre seri problemi di
controllo sociale e a farsi portavoce delle trasformazioni sociali di quei
tempi. Nasce così un primo interesse della ricerca sociale nei loro confronti;
- negli anni settanta,
i giovani sono attori passivi del diffondersi della disoccupazione giovanile e
attori attivi della rivoluzione elettorale che provocò un aumento dei consensi
nei confronti della sinistra. Ma la categoria giovanile viene anche considerata
come "classe" sfruttata dal mercato del lavoro e dell'industria, una
classe priva di diritti e opportunità. Lutte (1984) propose uno schema
interpretativo secondo il quale l'adolescenza sarebbe stata un fenomeno
socialmente costruito e basato su una condizione di emarginazione imposta da
una società in cui il potere era detenuto da minoranze privilegiate.
E' proprio questa
condizione di esclusione che, secondo Lutte, porta alla categoria del
"disagio giovanile" e alla conseguente contestazione oppure alla
devianza;
- nella terza fase, si
diffondono varie linee interpretative. I giovani vengono considerati un
problema degli adulti che, di fronte ad un futuro incerto, si interrogano su
come potrà essere ed investono i figli delle loro attese e speranze. In questa
fase, degli anni ottanta, si introduce la convinzione che il concetto di
disagio sia sintomo della difficoltà degli operatori e dei ricercatori di
inquadrare il malessere diffuso fra i giovani;
- la quarta fase,
infine, stabilisce il progressivo dissolversi del concetto di disagio a causa
dell'estendersi dei suoi vari significati. Si può quindi definire il disagio
come frutto dell'incapacità di trovare una soluzione alla contraddizione fra
"centralità soggettiva e marginalità oggettiva" (Garelli, 1984).
D'altra parte il disagio giovanile può anche essere visto come l'espressione
della fatica di prendere decisioni e di compiere scelte in un contesto sociale
sempre più flessibile, differenziato e composito.
Nessun commento:
Posta un commento