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martedì 22 maggio 2012

Disagio, disadattamento, devianza.



Sempre più spesso, ci capita di non distinguere più i reali significati dei termini, utili a dare il giusto peso al nostro lavoro di operatori sociali.
Così, il termine "devianza" appare facilmente sostituibile da quello del "disagio", oppure il "disadattamento" con quello di "emarginazione".
In realtà, per comprendere correttamente questi termini occorre comprendere quelle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato la nostra società negli ultimi decenni e mi riferisco soprattutto agli effetti che si sono ripercossi nell'universo minorile e adolescenziale.
E'avvenuta, sicuramente, una modifica nel rapporto tra mondo dell'infanzia e quello degli adulti, una modifica nel rapporto dei più giovani con la famiglia e la società.
Nuove forme di disagio e povertà, oggi incombono su questo universo ed incidono in modo decisivo sulla qualità della vita, rendendo necessari interventi di sostegno nel percorso del minore.
Nel nostro specifico, potremmo attribuire all'allentarsi delle relazioni significative, alla scarsa frequenza dei rapporti di tipo primario, all'inadeguatezza e alla precarietà delle relazioni familiari, alcune delle cause principali che aprono il canale del rischio ai giovani.
Così, i vari soggetti istituzionali sono chiamati a riconsiderare le loro funzioni, le modalità di attuazione degli interventi e le pratiche operative, al fine di poter rispondere in modo coerente alle esigenze di questa particolare fascia d'età.
In tal senso, nasce l'esigenza, sia nel mondo accademico, sia in quello dei servizi di attribuire ad ogni termine il corretto significato.
Così, dei termini come disagio, emarginazione, povertà, spesso dimentichiamo il contenuto originario o la loro storia e tendiamo ad utilizzarli come sinonimi intercambiabili.
In effetti, quasi sempre siamo convinti che essi abbiano lo stesso significato, forse perché essi condividono una matrice ed origine comune che va ricercata nel filone di studi sociologici che fanno riferimento alla devianza e al controllo sociale.
Il concetto di devianza ha subito nel corso degli anni un processo di "normalizzazione", che ha portato alla sua dissolvenza teorica ed alla nascita di una nuova categoria, quella del disagio.
Tale processo vuole rappresentare quell'orientamento in base al quale si è cercato di rispondere all'esigenza di introdurre un approccio maggiormente cauto verso quei comportamenti che non sono necessariamente riconducibili alla semplice riproduzione di norme e valori del sistema sociale degli adulti o in contrapposizione ad essi.
In tal senso, ci sembra doveroso in conclusione, analizzare i quattro periodi fondamentali che caratterizzano il malessere giovanile (Allum, Diamanti, 1986):
- in un primo periodo, che orientativamente si colloca negli anni sessanta, assistiamo alla sempre più forte presenza di manifestazioni organizzate e visibili dell'insoddisfazione giovanile. I giovani, innanzitutto, cominciano a porre seri problemi di controllo sociale e a farsi portavoce delle trasformazioni sociali di quei tempi. Nasce così un primo interesse della ricerca sociale nei loro confronti;
- negli anni settanta, i giovani sono attori passivi del diffondersi della disoccupazione giovanile e attori attivi della rivoluzione elettorale che provocò un aumento dei consensi nei confronti della sinistra. Ma la categoria giovanile viene anche considerata come "classe" sfruttata dal mercato del lavoro e dell'industria, una classe priva di diritti e opportunità. Lutte (1984) propose uno schema interpretativo secondo il quale l'adolescenza sarebbe stata un fenomeno socialmente costruito e basato su una condizione di emarginazione imposta da una società in cui il potere era detenuto da minoranze privilegiate.
E' proprio questa condizione di esclusione che, secondo Lutte, porta alla categoria del "disagio giovanile" e alla conseguente contestazione oppure alla devianza;
- nella terza fase, si diffondono varie linee interpretative. I giovani vengono considerati un problema degli adulti che, di fronte ad un futuro incerto, si interrogano su come potrà essere ed investono i figli delle loro attese e speranze. In questa fase, degli anni ottanta, si introduce la convinzione che il concetto di disagio sia sintomo della difficoltà degli operatori e dei ricercatori di inquadrare il malessere diffuso fra i giovani;
- la quarta fase, infine, stabilisce il progressivo dissolversi del concetto di disagio a causa dell'estendersi dei suoi vari significati. Si può quindi definire il disagio come frutto dell'incapacità di trovare una soluzione alla contraddizione fra "centralità soggettiva e marginalità oggettiva" (Garelli, 1984). D'altra parte il disagio giovanile può anche essere visto come l'espressione della fatica di prendere decisioni e di compiere scelte in un contesto sociale sempre più flessibile, differenziato e composito.

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