Strutturalismo
Il primo psicologo nel senso più completo del termine è tradizionalmente considerato W. M. Wundt (1832-1920), iniziatore della “psicologia fisiologica” e fondatore a Lipsia, nel 1879 (considerato l'anno di nascita della psicologia), del primo laboratorio di psicologia sperimentale.
La
conoscenza scientifica dell'epoca non metteva a disposizione di Wundt e
dei suoi colleghi tecnologie sofisticate per lo studio del cervello
umano e del suo funzionamento (e le conoscenze neurologiche dell'epoca
erano ancora abbastanza abbozzate), pertanto lo psicologo tedesco iniziò
il suo studio della mente da quello che poteva osservare e misurare
direttamente: le esperienze soggettive o personali dei suoi
collaboratori come risposta a stimoli fisici (suoni, colori, energie
fisiche, calore...), sempre in condizioni controllate.
Questa tecnica di analisi dell'esperienza immediata
(chiamata così in quanto si proponeva di studiare direttamente la
percezione e non lo stimolo che la origina, per cui per esempio,
considera la percezione che io ho del colore rosso e non la mela rossa
che mi causa questa sensazione) prese il nome di introspezione. Attraverso l'impiego sistematico di questa metodologia di indagine Wundt e la scuola si proponevano di osservare
direttamente e sistematicamente i processi riscontrabili nei soggetti
nel momento in cui essi sperimentano una qualche percezione della realtà.
In questo modo essi arrivavano idealmente alla scomposizione di
complessi processi psicologici negli elementi che li costituiscono,
semplificandoli poi ulteriormente fino ad raggiungere degli elementi base,
degli atomi non ulteriormente scomponibili, dai quali si proponevano
poi di avviare il processo inverso associando queste unità elementari
per arrivare alla ricostruzione di processi articolati. Al pari
dell'anatomia in medicina, questa vivisezione darà “risultati strutturali e non funzionali”.
Questa corrente (chiamata poi da E.B. Titchener, allievo di Wundt, “strutturalismo”) è dunque caratterizzata dalla concezione della mente come una sommatoria di parti elementari.
La psicologia della forma
Sempre
in Germania, ma a Berlino, nacque presto (agli inizi del Novecento)
un'altra scuola psicologica che si oppose allo strutturalismo. La psicologia della forma, o Gestaltpsychologie, rivendicò infatti il carattere di totalità dei fenomeni mentali rivalutando l'esperienza immediata che l'individuo ha della realtà. Il termine tedesco Gestalt, da cui la corrente prende il nome fa riferimento al concetto di forma, globalità; difatti i
gestaltisti considerano le esperienze mentali come delle totalità che
vanno studiate nella loro interezza, poiché il significato dei singoli
elementi è dato dalla loro collocazione o dal loro ruolo nell'insieme in
cui sono inseriti. Diventa così indebito per i gestaltisti
pretendere di scomporre, come postulato dallo strutturalismo le
esperienze nei loro costituenti ultimi: in questo modo i singoli
elementi separati dal contesto originario diventano pure astrazioni,
prive di realtà psicologica. Gli studiosi della psicologia della forma
condividono dunque con gli strutturalisti il punto di partenza e l'area
di principale interesse: la nascita del movimento vide infatti le loro
ricerche incentrarsi sulla percezione, l'esperienza soggettiva e la
coscienza. Tuttavia i gestaltisti, come risulta ben chiaro dal nome a
cui fa riferimento la loro scuola, non condividono l'assunto degli
strutturalisti, e, di conseguenza, per loro la mente ha valore come
fenomeno unitario e non come sommatoria di singoli elementi. Tanto che
lo “slogan” di questa scuola psicologica potrebbe recitare: “Il tutto è più della somma delle singole parti”,
le quali di per sé possono esistere indipendentemente dal tutto, mentre
è il tutto a perdere il suo significato se considerato a prescindere
dalle parti che lo compongono (le singole note hanno un loro
significato, ma una melodia è composta da note, senza le quali non
esiste). Questa attenzione alla totalità del reale veniva riscontrata in
ogni esperienza percettiva (dal riuscire a leggere un testo vedendolo e
interpretandolo come una serie di stimoli neri su sfondo bianco e come
un insieme organizzato e non caotico, al riuscire a cogliere una melodia
nella sua individualità anche quando viene eseguita con strumenti
diversi: quando cambia cioè il timbro). Essa portava con sé l'assunzione
che la mente non ha una funzione passiva nella percezione, non
si limita cioè a ricevere informazioni dagli organi di senso, ma
organizza in modo attivo le informazioni ricevute in modo da comporle a
formare un “tutto”.
Questa organizzazione del campo fenomenico si stabilirebbe sulla base di principi tendenzialmente innati (tra cui le famose leggi
dell'organizzazione percettiva ).
Le procedure di indagine privilegiate dalla Gestaltpsychologie fanno riferimento al metodo fenomenologico, secondo il quale l'oggetto di studio deve essere il dato così come esso si presenta direttamente e spontaneamente all'individuo. Non si tratterebbe quindi di istruire
il soggetto ad analizzare i propri contenuti di coscienza (come
avveniva con la metodologia dell'introspezione utilizzata dalla scuola
dello strutturalismo): al soggetto è invece semplicemente chiesto di
riferire come gli appaiono le cose che ha dinnanzi o i pensieri che sta
seguendo, così come appaiono, senza eccessive mediazioni intellettuali.
Come
si è detto, il campo di studio privilegiato dalla psicologia della
forma è la percezione, la quale costituì l'ambito in cui il fondatore
della scuola, M. Wertheimer
(1880-1943), compì le prime indagini, a partire da quella sull'effetto
stroboscopico, pubblicata nel 1912, che viene usualmente indicata come
l'atto di nascita del movimento gestaltista. Tra i primi e più noti
rappresentanti della scuola vi furono K. Koffka e W. Koehler, il quale
avviò lo studio dei processi di problem-solving, a cui fecero seguito i
lavori di Wertheimer e di K. Duncker sul pensiero produttivo e quelli di
G. Katona sull'apprendimento. Con l'avvento del nazismo molti esponenti
della psicologia della forma emigrarono negli Stati Uniti, dove ebbero
particolare successo le teorie di K. Lewin, riguardanti la dinamica di
gruppo e la personalità. In Italia il gestaltismo fu coltivato
soprattutto da C. Musatti e G. Kanizsa.
Funzionalismo
Come
la psicologia della Gestalt, ma partendo da presupposti differenti, il
funzionalismo sostiene, in polemica con lo strutturalismo di Wundt e
Titchener, che non è possibile studiare la vita psichica scomponendola
in presunte costituenti fondamentali.
W. James (1842-1910), fondatore del movimento funzionalista con i suoi Principi della psicologia del 1890, ritiene che la coscienza sia caratterizzata da una successione ininterrotta di esperienze (il cosiddetto flusso di coscienza)
in cui gli elementi precedenti si trasmutano in quelli successivi senza
soluzione di continuità. James iniziò i suoi studi esaminando i riflessi,
intesi come “azioni fondamentali”, e dei quali volle andare a indagare
la motivazione. Coerentemente con il pensiero del suo tempo
(estremamente interessato alle basi biologiche del comportamento) lo
studioso americano trovò una spiegazione neurologica a questi atti
involontari. Passò poi ad analizzare la mente a
proposito della quale introdusse il famoso concetto sopra menzionato di
flusso di coscienza: per il funzionalismo la mente è quindi
caratterizzata da incessanti mutamenti cosicché risulta impossibile
“fissarla” in rappresentazioni statiche.
Il funzionalismo fu fortemente influenzato dall'opera di Darwin, e condivide infatti l'assunto
evoluzionistico secondo il quale i fenomeni psichici si sarebbero
sviluppati in quanto capaci di produrre un miglior adattamento
dell'individuo all'ambiente. James, infatti, rivendicò la
fondamentale caratteristica adattativa della mente, intesa come
strumento per prefigurare e raggiungere scopi futuri, introducendo
quindi l'idea che la psicologia non debba solo interessarsi di
descrivere o riconoscere in qualche modo l'esatto contenuto della mente,
ma debba soprattutto interessarsi alle funzioni del pensiero (in che modo il pensiero permette agli esseri umani di far fronte alle sfide dell'esistenza?).
Il funzionalismo studia perciò soprattutto i processi mentali con un chiaro ruolo adattativo,
quali l'apprendimento, il pensiero e la motivazione, e prende in
attenta considerazione le differenze individuali che si manifestano al
riguardo. Inoltre si interessa alle possibilità applicative della
psicologia, soprattutto nel campo dell'educazione. Nell'ambito del
funzionalismo è possibile individuare l'impiego di varie procedure di
ricerca, tanto che si parla al riguardo di un certo eclettismo metodologico.
I funzionalisti, pur promuovendo l'indagine sperimentale e osservativa,
non trascurarono le analisi filosofiche. In generale, essi promossero
un atteggiamento di tipo fenomenologico, già incontrato come metodologia
cara alla psicologia della forma, volto alla descrizione
dell'esperienza immediata del soggetto.
All'orientamento funzionalista vengono in genere ricondotti psicologi americani che si interessarono di dinamiche sociali (G.H. Mead), di costruzione di test (J.M. Cattell) e soprattutto di apprendimento
(E.L. Thorndike e R.S. Woodworth). Il funzionalismo è finito per
confluire dopo il 1910 nel comportamentismo, che pure ha recepito
l'istanza evoluzionistica anche se la sviluppò in differente direzione.
In Europa il funzionalismo si è diffuso grazie a E. Claparède e alcune
sue istanze sono state successivamente fatte proprie da J. Piaget.
Comportamentismo
Nato quasi contemporaneamente alla scuola della Gestalt (la nascita del comportamentismo fu annunciata nel 1913 da J.B. Watson (1878-1958), che espose il “manifesto” della scuola nell'articolo La psicologia come la vede il comportamentista) questo movimento è fondato
sullo studio scientifico del comportamento, cioè degli aspetti
esteriori, praticamente osservabili, dell'attività mentale. Riprendendo il termine inglese behavior (comportamento) è conosciuto anche come behaviorismo.
Si
può dire che con la nascita del movimento comportamentista il concetto
stesso di psicologia che si era diffuso negli ultimi anni subì un
radicale mutamento. Watson, infatti, riteneva che l'oggetto di studio privilegiato dei primi psicologi – la “mente” – fosse in realtà un qualcosa di troppo vago, mal definito e soprattutto estremamente soggettivo,
al punto da non poter essere assunto in alcun modo come oggetto di
studio di una disciplina che voleva proporsi come sperimentale e
scientifica.
Proponendosi di far diventare la psicologia una
disciplina con uno statuto analogo a quello delle scienze naturali
tradizionali, così da poter pervenire a conoscenze oggettive che
permettano di prevedere e controllare il comportamento e di dar luogo
ad applicazioni pratiche, i comportamentismi ridisegnarono la psicologia e i suoi campi di studio, focalizzandosi sullo studio del comportamento manifesto (inteso come insieme di risposte puramente fisiologiche – muscolari e ghiandolari – degli individui) e dell'apprendimento. Proposero quindi di escludere dal campo della psicologia la coscienza e i processi
mentali, fenomeni su cui, secondo i comportamentisti, non è possibile
stabilire un accordo tra gli studiosi e non è possibile indagare
applicando procedure di indagine rigorose. L'oggetto della psicologia
deve invece essere il complesso delle manifestazioni esteriori,
direttamente osservabili, di un individuo, di cui la psicologia dovrebbe
anche scoprire le leggi che ne stanno alla base (quali stimoli
producono le risposte che io posso osservare?).
Più precisamente il comportamentismo è interessato a stabilire rapporti tra gli stimoli recepiti dal soggetto e le sue risposte (il comportamentismo è anche denominato, da alcuni degli studiosi che si riconoscono in questa scuola, psicologia S-R,
cioè stimolo-risposta), senza prendere in considerazione ciò che
intercorre tra questi due elementi, sia che si tratti di processi
mentali, sia che si tratti di processi fisiologici. La mente e il
cervello vengono pertanto definiti come una “scatola nera” (black box),
ossia un dispositivo le cui operazioni interne non possono essere
indagate e di cui sono rilevabili solo gli input (stimoli in entrata) e
gli output (risposte in uscita). Il ritenere irrilevanti i processi
biologici per spiegare il comportamento e l'insistere sull'azione degli
stimoli nel modulare le risposte hanno indotto i comportamentisti a
misconoscere il ruolo dei fattori innati e a considerare le caratteristiche dell'individuo determinate prevalentemente dall'ambiente, che modificherebbe i comportamenti attraverso processi di condizionamento.
Il
comportamentismo ebbe un rapido successo negli Stati Uniti (anche
perché ben si accordava con la mentalità pragmatica, efficientistica e
tecnologica di questo paese) e sino agli anni Cinquanta fu la scuola
egemone nella psicologia anglosassone. Le ricerche di Watson sul
condizionamento furono proseguite da E.R. Guthrie e B.F. Skinner.
Innovazioni teoriche furono invece introdotte da C.L. Hull, K.W. Spence e
W.K. Estes, i quali cercarono di precisare ed estendere i principi
comportamentisti applicandovi modelli matematici. Nel frattempo era
venuto meno il rigoroso divieto di interessarsi di ciò che si frappone
tra gli stimoli e le risposte e si iniziò a ipotizzare
l'esistenza di “variabili intervenienti”, cioè di processi interni
all'organismo non rilevabili a livello del comportamento manifesto, ma
necessari per la spiegazione di quest'ultimo. Hull ipotizzò
l'esistenza di pulsioni, D. Hebb di “assembramenti neuronali”, E.C.
Tolman di “mappe cognitive”. Più in generale, vennero avanzate le
cosiddette teorie della mediazione, le quali ipotizzano
che tra la recezione dello stimolo e l'emissione della risposta
intervengano dei processi intermedi di natura simbolica, non
direttamente osservabili. Queste più recenti proposte teoriche vengono
in genere fatte rientrare nel cosiddetto neocomportamentismo, che media il passaggio tra il vero e proprio comportamentismo e il cognitivismo.
Freud e la psicoanalisi
Sigmund Freud
(1856-1939), medico neurologo austriaco – il personaggio forse più
presente nelle concezioni ingenue della psicologia – si colloco con le
sue idee alquanto rivoluzionarie in posizione decisamente opposta alle
scuole di pensiero che sceglievano l'introspezione come metodologia
volta a studiare la mente dei soggetti . Per Freud infatti, molti dei processi mentali degli individui sono inaccessibili inconsci alle persone stesse che li sperimentano
e pertanto la metodologia introspettiva così come era stata definita ed
utilizzata nelle scuole psicologiche dell'epoca era da scartarsi.
Egli a partire dall'ultimo decennio dell'Ottocento elaborò una nuova disciplina che chiamò psicoanalisi,
traendo spunto dal suo lavoro clinico con soggetti nevrotici, e in
particolare con donne affette da isteria. Freud postulò che i problemi
dei suoi pazienti fossero per la maggior parte legati a desideri per lo più inconsci che essi negavano anche a se stessi. Da queste riflessioni egli derivò le basi della psicoanalisi: esiste una vita psicologica inconscia, le nevrosi (e poi le psicosi) sono malattie della mente e non del cervello; esiste un'articolata sessualità anche in età infantile; lo sviluppo
psichico dell'individuo è caratterizzato dal conflitto tra pulsioni e
desideri da una parte e censure (per lo più di origine morale)
dall'altra. Tale conflitto diventa patologico quando il
soggetto, anziché risolvere in qualche modo i desideri inaccettabili, li
respinge nell'inconscio. Queste tesi vennero poi confermate ed ampliate
con studi successivi sui sogni, sui lapsus e sui motti di spirito.
Nata
come applicazione prettamente clinica, già con lo stesso Freud la
psicoanalisi coinvolse presto altri campi, intervenendo nella
spiegazione di fenomeni artistici, letterari, religiosi, antropologici e
sociali, e diventando di ausilio in ambito pedagogico.
Cognitivismo
Il cognitivismo può essere definito come un indirizzo della psicologia scientifica che si propone di studiare i processi mentali considerandoli analoghi a processi di elaborazione dell'informazione.
In realtà questa corrente psicologica non costituisce una vera e propria scuola, avendo al proprio interno un'eterogeneità di presupposti, di procedure di ricerca, di obiettivi e di modelli teorici. Tuttavia i suoi vari esponenti presentano alcuni elementi comuni: l'interesse per gli eventi mentali interni al soggetto; l'interpretazione dell'organismo come dotato sin dalla nascita di competenze specifiche; la concezione dell'individuo quale costruttore della propria rappresentazione del mondo.
Abbiamo visto come le linee di connessione tra il cognitivismo e il comportamentismo siano forti e numerose. Infatti dopo il primo periodo di stretta osservanza delle posizioni rigorose proposte da Watson e Skinner da più parti si era postulata l'esistenza di variabili interne al soggetto, pertanto non direttamente osservabili, ma ugualmente in grado di influenzare e orientare il comportamento degli individui, e pertanto degne di studio da parte della psicologia.
Già E.C. Tolman (1886-1959), ad esempio, prendendo il via da una serie di esperimenti sui ratti – sulla falsariga di quelli classici di Thorndike – giunse nel 1948 ad ipotizzare l'esistenza di mappe cognitive, “ipotesi”, “rappresentazioni spaziali” e “rappresentazioni delle mete”, collegate all'apprendimento dei ratti che avevano l'opportunità di familiarizzare con l'oggetto del loro apprendere (nel caso specifico un labirinto, da qui l'interesse per la spazialità) senza l'intervento di alcun tipo di rinforzo. Al contrario di quanto previsto da Thorndike (che ammetteva apprendimento solamente in presenza di un rinforzo) l'immagine di apprendimento che emergeva dagli esperimenti di Tolman non poteva essere fatto rientrare nello schema S-R (vedi paragrafo sul comportamentismo), in quanto preveda l'intervento anche di variabili di tipo intenzionale.
E nei modelli teorici elaborati dai cognitivisti si ipotizza infatti l'esistenza di meccanismi e processi mentali ritenuti reali, anche se non direttamente osservabili e non necessariamente corrispondenti a strutture o processi cerebrali. La verifica dei modelli comporta il riferimento alla coerenza logica interna dei modelli stessi e ai dati empirici di varia provenienza acquisiti con diverse metodologie; particolare importanza viene attribuita al metodo della simulazione del comportamento.
La nascita del cognitivismo si deve però molto all'importazione di idee tratte dalla cibernetica e dall'informatica, ai contributi dell'etologia e ad altri apporti: neurofisiologia, matematica (soprattutto la teoria dei giochi, delle decisioni e delle probabilità) e linguistica (in particolare la grammatica generativo-trasformazionale di N. Chomsky). Il cognitivismo comportò inoltre la rivalutazione di autori del passato, quali W.M. Wundt, F. Brentano, F.C. Bartlett, E.C. Tolman, e di esponenti della psicologia funzionalista e gestaltista e il riconoscimento dell'opera di studiosi quali J. Piaget e J.S. Bruner.
•Le correnti del cognitivismo
All'interno del cognitivismo si possono distinguere due correnti. La prima, denominata Human Information Processing (HIP, elaborazione dell'informazione umana), si ispira alla cibernetica, sostenendo l'analogia tra operazioni della mente umana e processi di elaborazione dei dati eseguiti dai computer.
I primi modelli di funzionamento mentale proposti dall'HIP negli anni Sessanta erano caratterizzati dall'elaborazione rigidamente seriale delle informazioni e dalla collocazione finale, nella sequenza delle operazioni di elaborazione, delle fasi di selezione. Tali modelli prevedevano una capacità limitata di elaborazione dell'informazione e canali di elaborazione autonomi. Il merito di questi modelli – definiti, per le loro caratteristiche, “a oleodotto” – risiede nella loro semplicità. I dati sperimentali non hanno però sempre confermato la loro validità. A partire dagli anni Settanta sono comparsi modelli “a cascata” o “in parallelo”, che prevedono l'elaborazione contemporanea dell'informazione lungo canali comunicanti e che le operazioni di selezione vengano poste nelle prime fasi del processo elaborativo dell'informazione. Tali modelli implicano una capacità illimitata di elaborazione, la possibilità di interazione tra i diversi livelli di elaborazione dell'informazione e la possibilità di ricorrere a strategie alternative. Mentre i modelli a oleodotto, di tipo strutturale, postulavano l'esistenza di “blocchi” di operazioni di elaborazione dell'informazione, questi secondi sono di tipo funzionale, in quanto implicano soprattutto flussi di informazione su cui vengono compiute le varie operazioni.
La seconda corrente del cognitivismo (cosiddetta ecologica e ispirata all'opera dello studioso della percezione J. Gibson) ritiene che la mente accolga e riconosca in modo diretto le strutture di informazione che sono presenti nell'ambiente, senza che siano richieste operazioni di rielaborazione. Le versioni ecologiche del cognitivismo sottolineano la funzione adattativa dei sistemi psichici e la loro plasticità, mentre l'orientamento HIP tende a concepire la struttura mentale come fissa e priva della capacità di trasformarsi in relazione alle varie esigenze ambientali. Infine, per la corrente HIP l'informazione trattata dai sistemi psicologici è essenzialmente rappresentata da simboli astratti e le operazioni compiute dalla mente sono computazioni. Al contrario, per il cognitivismo ecologico l'informazione è essenzialmente struttura, organizzazione dell'ambiente e l'operazione fondamentale della mente è quella di cogliere relazioni.
All'entusiasmo inizialmente suscitato dal cognitivismo ha fatto seguito un ripensamento critico, iniziato dallo stesso Neisser con il volume Conoscenza e realtà (1976). La psicologia cognitivista non ha saputo rispondere alle attese, non riuscendo a fornire una spiegazione complessiva dei processi mentali indagati. Inoltre, alcuni dei presupposti su cui il cognitivismo si basava (quali l'analogia tra mente umana e mente artificiale, la natura computazionale dei processi mentali) sono stati messi in discussione. Il cognitivismo è così confluito in un più vasto e recente orientamento teorico interdisciplinare, di cui costituisce uno degli assi portanti, che è la scienza cognitiva.
Un recente ramo della scienza cognitiva può essere considerato il connessionismo, secondo il quale l'architettura della mente è concepita sul modello di una rete di unità (nodi) di elaborazione. Ogni unità è collegata ad altre per mezzo di nessi attraverso i quali si possono attivare o inibire i nodi adiacenti e così modificarne la risposta. Le unità comunicano tra loro in parallelo, cosicché l'intera rete è attraversata in ogni momento da vari flussi diversamente collocati sulla propria superficie. Ne consegue che la conoscenza è rappresentata nel sistema non da simboli, ma da schemi di attivazione che coinvolgono i vari nodi. In questo modo, la conoscenza non è depositata in particolari rappresentazioni o processi, ma è distribuita sull'intera rete. Per questi motivi si parla di parallelismo distribuito; significativamente, i primi e più noti sostenitori del connessionismo si sono raccolti attorno al programma Parallel Distributed Processing (PDP).
In realtà questa corrente psicologica non costituisce una vera e propria scuola, avendo al proprio interno un'eterogeneità di presupposti, di procedure di ricerca, di obiettivi e di modelli teorici. Tuttavia i suoi vari esponenti presentano alcuni elementi comuni: l'interesse per gli eventi mentali interni al soggetto; l'interpretazione dell'organismo come dotato sin dalla nascita di competenze specifiche; la concezione dell'individuo quale costruttore della propria rappresentazione del mondo.
Abbiamo visto come le linee di connessione tra il cognitivismo e il comportamentismo siano forti e numerose. Infatti dopo il primo periodo di stretta osservanza delle posizioni rigorose proposte da Watson e Skinner da più parti si era postulata l'esistenza di variabili interne al soggetto, pertanto non direttamente osservabili, ma ugualmente in grado di influenzare e orientare il comportamento degli individui, e pertanto degne di studio da parte della psicologia.
Già E.C. Tolman (1886-1959), ad esempio, prendendo il via da una serie di esperimenti sui ratti – sulla falsariga di quelli classici di Thorndike – giunse nel 1948 ad ipotizzare l'esistenza di mappe cognitive, “ipotesi”, “rappresentazioni spaziali” e “rappresentazioni delle mete”, collegate all'apprendimento dei ratti che avevano l'opportunità di familiarizzare con l'oggetto del loro apprendere (nel caso specifico un labirinto, da qui l'interesse per la spazialità) senza l'intervento di alcun tipo di rinforzo. Al contrario di quanto previsto da Thorndike (che ammetteva apprendimento solamente in presenza di un rinforzo) l'immagine di apprendimento che emergeva dagli esperimenti di Tolman non poteva essere fatto rientrare nello schema S-R (vedi paragrafo sul comportamentismo), in quanto preveda l'intervento anche di variabili di tipo intenzionale.
E nei modelli teorici elaborati dai cognitivisti si ipotizza infatti l'esistenza di meccanismi e processi mentali ritenuti reali, anche se non direttamente osservabili e non necessariamente corrispondenti a strutture o processi cerebrali. La verifica dei modelli comporta il riferimento alla coerenza logica interna dei modelli stessi e ai dati empirici di varia provenienza acquisiti con diverse metodologie; particolare importanza viene attribuita al metodo della simulazione del comportamento.
La nascita del cognitivismo si deve però molto all'importazione di idee tratte dalla cibernetica e dall'informatica, ai contributi dell'etologia e ad altri apporti: neurofisiologia, matematica (soprattutto la teoria dei giochi, delle decisioni e delle probabilità) e linguistica (in particolare la grammatica generativo-trasformazionale di N. Chomsky). Il cognitivismo comportò inoltre la rivalutazione di autori del passato, quali W.M. Wundt, F. Brentano, F.C. Bartlett, E.C. Tolman, e di esponenti della psicologia funzionalista e gestaltista e il riconoscimento dell'opera di studiosi quali J. Piaget e J.S. Bruner.
•Le correnti del cognitivismo
All'interno del cognitivismo si possono distinguere due correnti. La prima, denominata Human Information Processing (HIP, elaborazione dell'informazione umana), si ispira alla cibernetica, sostenendo l'analogia tra operazioni della mente umana e processi di elaborazione dei dati eseguiti dai computer.
I primi modelli di funzionamento mentale proposti dall'HIP negli anni Sessanta erano caratterizzati dall'elaborazione rigidamente seriale delle informazioni e dalla collocazione finale, nella sequenza delle operazioni di elaborazione, delle fasi di selezione. Tali modelli prevedevano una capacità limitata di elaborazione dell'informazione e canali di elaborazione autonomi. Il merito di questi modelli – definiti, per le loro caratteristiche, “a oleodotto” – risiede nella loro semplicità. I dati sperimentali non hanno però sempre confermato la loro validità. A partire dagli anni Settanta sono comparsi modelli “a cascata” o “in parallelo”, che prevedono l'elaborazione contemporanea dell'informazione lungo canali comunicanti e che le operazioni di selezione vengano poste nelle prime fasi del processo elaborativo dell'informazione. Tali modelli implicano una capacità illimitata di elaborazione, la possibilità di interazione tra i diversi livelli di elaborazione dell'informazione e la possibilità di ricorrere a strategie alternative. Mentre i modelli a oleodotto, di tipo strutturale, postulavano l'esistenza di “blocchi” di operazioni di elaborazione dell'informazione, questi secondi sono di tipo funzionale, in quanto implicano soprattutto flussi di informazione su cui vengono compiute le varie operazioni.
La seconda corrente del cognitivismo (cosiddetta ecologica e ispirata all'opera dello studioso della percezione J. Gibson) ritiene che la mente accolga e riconosca in modo diretto le strutture di informazione che sono presenti nell'ambiente, senza che siano richieste operazioni di rielaborazione. Le versioni ecologiche del cognitivismo sottolineano la funzione adattativa dei sistemi psichici e la loro plasticità, mentre l'orientamento HIP tende a concepire la struttura mentale come fissa e priva della capacità di trasformarsi in relazione alle varie esigenze ambientali. Infine, per la corrente HIP l'informazione trattata dai sistemi psicologici è essenzialmente rappresentata da simboli astratti e le operazioni compiute dalla mente sono computazioni. Al contrario, per il cognitivismo ecologico l'informazione è essenzialmente struttura, organizzazione dell'ambiente e l'operazione fondamentale della mente è quella di cogliere relazioni.
All'entusiasmo inizialmente suscitato dal cognitivismo ha fatto seguito un ripensamento critico, iniziato dallo stesso Neisser con il volume Conoscenza e realtà (1976). La psicologia cognitivista non ha saputo rispondere alle attese, non riuscendo a fornire una spiegazione complessiva dei processi mentali indagati. Inoltre, alcuni dei presupposti su cui il cognitivismo si basava (quali l'analogia tra mente umana e mente artificiale, la natura computazionale dei processi mentali) sono stati messi in discussione. Il cognitivismo è così confluito in un più vasto e recente orientamento teorico interdisciplinare, di cui costituisce uno degli assi portanti, che è la scienza cognitiva.
Un recente ramo della scienza cognitiva può essere considerato il connessionismo, secondo il quale l'architettura della mente è concepita sul modello di una rete di unità (nodi) di elaborazione. Ogni unità è collegata ad altre per mezzo di nessi attraverso i quali si possono attivare o inibire i nodi adiacenti e così modificarne la risposta. Le unità comunicano tra loro in parallelo, cosicché l'intera rete è attraversata in ogni momento da vari flussi diversamente collocati sulla propria superficie. Ne consegue che la conoscenza è rappresentata nel sistema non da simboli, ma da schemi di attivazione che coinvolgono i vari nodi. In questo modo, la conoscenza non è depositata in particolari rappresentazioni o processi, ma è distribuita sull'intera rete. Per questi motivi si parla di parallelismo distribuito; significativamente, i primi e più noti sostenitori del connessionismo si sono raccolti attorno al programma Parallel Distributed Processing (PDP).
In sintesi
Teoria | Concetti chiave | Metodo |
Strutturalismo (1879) | Cerca di individuare la struttura della mente, che è vista come sommatoria di elementi. | Introspezione |
Psicologia della forma (1912) | "Il tutto è più della somma delle singole parti": si rivendica la totalità dei fenomeni mentali. La mente organizza la percezione in modo attivo, sulla base di principi innati. | Metodo fenomenologico |
Funzionalismo (1890) | Impossibile scomporre la vita psichica: esiste un continuo flusso di coscienza. Studia i processi mentali visti come aventi ruolo adattivo (influenza di Darwin). | Eclettismo metodologico |
Comportamentismo (1913) | Studia il comportamento manifesto. La mente è vista come una "black box". Le caratteristiche degli individui sono determinate prevalentemente dall'ambiente. | Metodo scientifico (osservazione ed esperimenti sul condizionamento) |
Psicoanalisi (dal 1890) | Esiste una vita psicologica inconscia; lo sviluppo psichico dell'individuo è caratterizzato dal conflitto tra pulsioni da una parte e censure (per lo più di origine morale) dall'altra. | Clinico (studi su sogni, lapsus, motti di spirito...) |
Cognitivismo (anni Sessanta) | Studia i processi mentali considerandoli analoghi ai processi di elaborazione delle informazioni. | Simulazione del comportamento |
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