Raccolta di pensieri e poesie di Santina Bond
Non ci sono parole che
riescano a narrare il senso di una vita che trascorre, tra gioie e dolori,
sentimenti e sensazioni, accadimenti più o meno piacevoli… solo quelle che
vengono suggerite dai ricordi possono lasciare intravedere qualche scorcio ma
non sono esaustive e non danno soddisfazione raccontando della vita…
Noi siamo qui ancora una
volta con l’onere e l’onore di accompagnare il lettore lungo il percorso che
conduce all’anima di Santina Bond…ogni giorno, ogni ora, ogni minuto è speciale,
è sicuramente meglio sedersi in terrazzo e ammirare il paesaggio che far caso
alle erbacce del giardino. E’ più appagante passare il tempo con la famiglia e
gli amici che affannandosi a lavorare..
La vita dev’essere un insieme
di esperienze da godere, non per sopravvivere.
Non serve conservare gli
oggetti pensando di utilizzarli in una occasione speciale.. Magari sarebbe opportuno chiamare alcuni
vecchi amici per scusarsi e fare la pace per una possibile lite passata.
Ci
sono cose che pensiamo di fare solo quando sappiamo di avere le ore contate
invece.. Santina ha sempre cercato di non ritardare, trattenere o
conservare niente che aggiungerebbe risate ed allegria alle nostre vite e ogni
giorno dice a se stessa e agli altri che questo è un giorno speciale!
Noi la conosciamo e quello che ci ha trasmesso sono una serie di
insegnamenti di vita che ci fanno sentire speciali! Abbiamo imparato che è
bello per noi stessi dare alla gente
più di quello che si aspetta facendolo con gusto, guardando negli occhi le
persone quando diciamo “mi dispiace”.
Santina crede nell’amore a
prima vista e non si è mai presa gioco dei sogni degli altri, ama profondamente
e appassionatamente. Ricordando che l’amore è qualcosa che si costruisce,
si coltiva con pazienza, con sacrificio ma mai con rinunce sostanziali, con
rispetto reciproco e reciproche soddisfazioni, nel compiacimento dell’esistenza
e della vicinanza dell’Altro diverso da Sé, nel progetto comune dell’eternità
di un sentimento.
Per Santina l’amore è
una scelta; ciò significa scegliere l’altro ed essere scelto ogni giorno,
decidere ogni giorno che proprio quella è la persona che può e deve starci
accanto, quella che meglio comprende un nostro gesto, quella che ci conosce più
profondamente, quella che più ci somiglia…forse anche per i suoi difetti. Ciò
che, infatti, non andrebbe
dimenticato, tra le onde tumultuose o a
volte piatte della nostra esperienza amorosa,
è l’attenzione costante su noi stessi, con la consapevolezza delle
nostre imperfezioni e non solo della tolleranza di quelle dell’altro, tenendo
conto che se chi ci sta accanto non sottolinea costantemente le nostre mancanze
ciò non indica la nostra perfezione ma, forse, che chi ci ama ha imparato ad
amarci per come siamo; è un passo avanti a noi e probabilmente è migliore di
noi…
Solo se avremo
ben chiaro tutto ciò potremmo gioire del cammino insieme, nella totale
accettazione reciproca, nella speranza di aver trovato la metà giusta…
Qualche volta
succede!
Alcune volte ne è uscita ferita
ma è stato l’unico modo di vivere la vita e queste pagine sono la risultante di
un gioco di forze che la caratterizzano e la rendono speciale, unica, preziosa..
Lei passa un po’ di tempo in solitudine, apre le braccia
al cambiamento, però non si disfa mai dei suoi valori. E queste pagine scritte con il cuore sono dedicate ai suoi cari e amatissimi congiunti; sono un’analisi delle dinamiche amorose della storia di Santina, a partire dal momento magico del primo incontro, dalla scintilla dell’innamoramento, attraverso i sussulti, le incertezze, i fremiti dell’amore, sino alla rassicurante “normalità” della maturità sentimentale, passando per la dolorosa e meravigliosa esperienza di tutta una vita.
al cambiamento, però non si disfa mai dei suoi valori. E queste pagine scritte con il cuore sono dedicate ai suoi cari e amatissimi congiunti; sono un’analisi delle dinamiche amorose della storia di Santina, a partire dal momento magico del primo incontro, dalla scintilla dell’innamoramento, attraverso i sussulti, le incertezze, i fremiti dell’amore, sino alla rassicurante “normalità” della maturità sentimentale, passando per la dolorosa e meravigliosa esperienza di tutta una vita.
Giuseppina D’Auria
Che meraviglia!!!
Ritornare a vivere al paese natio dopo tanti anni, abitare nella stessa
casa dove sono nata, dove ho trascorso l’infanzia insieme alle mie sorelle.
Quanti ricordi stupendi!!!
Ricordo quando giocavamo - ; la nostra fantasia oltrepassava il paese
delle meraviglie, man mano lasciammo l’infanzia ed entrammo nella giovinezza,
quanti sogni, quante speranze, quante illusioni.
Oggi mi affaccio sul balcone, mi sembra di sentir cantare gli stessi
grilli, veder volare incerte le lucciole, qui dove arde la luna sulle montagne
violastre; i gufi e gli scoiattoli riposano sugli alberi antichi.
Torno col pensiero a ritroso nel tempo, vedo i miei indimenticabili
genitori, l’amore di mia madre, la comprensione di mio padre, il loro modo di
educarci, lo sguardo significativo di un rimprovero di papà, il sorriso
amorevole di mia madre.
Ricordo esattamente i suoi avvertimenti, il suo volto stanco ed
espressivo, che oggi mi manca tantissimo – ; con lo sguardo porgo attenzione ai
gerani e sugli orti di biancospino fioriti; avverto un piacere che mi sembrava
scomparso da tempo.
Torno indietro negli anni; mi sembra di aver vissuto un periodo sospesa nell’aria tra due vite: una,
quella meravigliosa, trascorsa a Cerzeto, bellissima, affascinante in tutte le
stagioni – io preferivo l’autunno.
Con le mie cugine e le mie amiche giocavamo a nascondino sotto i gelsi
di Via Croce, laddove, ancor oggi, si sente il profumo di acacie fiorite, dov’è
alto l’azzurro delle sue primavere, dolce il silenzio delle sue albe.
Io me la ricordo così Cerzeto, bella
nel suo verde in autunno, incantevole nel suo inverno, coperta di una
grande nevicata.
Mi suonano nella mente ancora le voci dei bambini, scalzi ma felici, che giocano
mentre la neve fiocca in silenzio.
Si, una vita meravigliosa perché circondata di attenzioni e dell’amore
dei miei genitori.
L’altra vita, quella della sofferenza e del dolore.
Ricordo il quattro dicembre 1956 quando, d’improvviso, venne a mancare
il mio tanto amato papà. Soffrii tantissimo, il mondo mi crollò addosso, non
riuscivo a dormire, la sua immagine la vedevo dappertutto; gli incubi non mi
lasciavano in pace, niente aveva più senso: guardavo le mie sorelle in lutto,
con una espressione triste e mi tormentavo.
Mia madre era annientata, cercava di farsi coraggio per noi tre, che eravamo
l’unica cosa rimasta del oro grande amore.
Il dispiacere più grosso per mia madre fu quando mia sorella Ada ed io
partimmo per l’Inghilterra; non riusciva a consolarsi, in poco temo rimase sola
con mia sorella Ines.
Tornai dopo sei mesi, non mi sembrò più lei; il dolore ci aveva
trasformate, in casa nostra non c’era più dialogo, non avevamo più niente da
dirci. Ci sforzavamo di sorridere per lenire il dolore di mia madre: non ci
riuscivamo.
Nel 1958 il ragazzo di mia sorella Ada ci raggiunse in Inghilterra,
subito dopo si sposarono.
La chiesa era bellissima. Ricordo che avevano preso in affitto una
bella casa, la arredarono con molto gusto; era stupenda.
Dopo pochi mesi si accorsero di aspettare un bimbo. La mia gioia fu
immensa. Da quel momento capii che, in fondo, non era tutto finito…
Incominciai, assieme a mia sorella, a preparare il corredino del
piccolo.
Ricordo che i mesi non passavano mai; spesso discutevamo ipotizzando su
chi di noi potesse assomigliare. Ecco che il 23 settembre 1959 Ada avvertì le
doglie e, subito, partimmo per la clinica. Era ubicata in un grandissimo parco
fuori città. Le luci che fiancheggiavano il viale confondevano il loro chiarore
con la nebbia e il grigiore del cielo.
Mio cognato ed io eravamo emozionantissimi: non sapevamo se tremavamo
per il freddo o per l’attesa. La mattina seguente venne alla luce un bellissimo
maschietto, pesava tre chili ed era stupendo.
Piansi tantissimo per la gioia e anche perché lo chiamarono con il nome
di nostro padre. Vedemmo questo meraviglioso bambino, con gli occhi azzurri:
era un amore.
In quel momento avrei voluto stringerlo forte: capii che ero cambiata.
La vita cominciò ad avere senso.
Tornai a casa, la notizia si sparse velocemente; la sera tutti i nostri
amici vennero a visitarci e brindammo insieme per festeggiare il lieto evento.
Da allora lui fece parte della mia vita. Lo stesso anno si sposò mia
sorella Ines.
Tornai a casa in Italia molto dimagrita e inferma: soffrivo di
bronchiti. Ricordo che facemmo una bella festa – non a casa nostra ma a casa di
zio Settimio, fratello di mio padre, perché a casa nostra regnava il grande
lutto.
Ines partì per il viaggio di nozze, in casa rimanemmo mia madre ed io.
Ricordo che mi stava sempre vicina, mi riempiva di attenzioni; quando, a volte,
rifiutavo il cibo, leggevo nei suoi occhi lucidi di lagrime la sua tacita implorazione e, insistendo, mi diceva:
“un giorno capirai cosa significa soffrire per i figli, ma sarà troppo tardi”.
Oggi maledico i miei gesti, forse involontariamente l’ho fatta soffrire.
Chissà cosa farei per tornare indietro, colmarla di attenzioni e darle
tutto il mio amore.
Intanto mia sorella Ines tornò da viaggio di nozze, volle portare mia
madre a vivere con lei in un paese campano, precisamente ad Ariano, dove suo
marito prestava servizio come Appuntato dei Carabinieri.
Io partii di nuovo per l’Inghilterra portando con me i miei ricordi.
Durante il viaggio osservavo i paesaggi che, velocemente, scorrevano
sotto i miei occhi.
Niente mi sorprendeva, poiché con il pensiero ero stabilmente a
Cerzeto. Mi accorsi che, purtroppo, mi trovavo su un treno che,
inesorabilmente, correva verso una terra che non mi apparteneva.
Solo quando percepii i sussurri di lingue diverse, in quel
momento, mi sentii divorata dalla solitudine. “Quanta
malinconia”!.. quanti sacrifici” solo per adeguarmi alle loro abitudini, al
loro modo di fare, ai loro sguardi freddi!!!
Con tutto ciò il 18 giugno 1964 conobbi mio marito: un ragazzo
inglese.., mi piacque subito, riflettei tantissimo poiché ero molto attaccata
alle mie origini, soffrivo tanto di nostalgia, non ero sicura di lasciare
indietro le mie abitudini ed adeguarmi a loro.
Intanto questo stupendo ragazzo dagli occhi azzurri e capelli biondi mi colmava
di attenzioni e d’affetto. E poi… nacque l’amore. Ci scambiammo la fedina il 20
settembre, l’amavo e.. l’amo tantissimo.
Decidemmo di sposarci il trenta gennaio 1965, fu un periodo bellissimo,
insieme girammo tutti i mobilifici della città, fin quando trovammo quello che
era di nostro gusto. Avevamo arredato una casa stupenda. Ricordo che mi feci
disegnare l’abito da sposa da una stilista italiana: “era una favola”!
Intanto mia madre ci raggiunse in Inghilterra, leggevo nei suoi occhi
tanta felicità. Ci teneva tanto a vedermi sposata.
Mia sorella Ada ed io uscimmo per invitare i nostri amici una settimana
prima delle nozze, come si usava nei paesi di origine albanese a quei tempi.
Ci sposammo di pomeriggio, in una chiesa molto antica: la “S. Joseph
Church”. Ricordo che ero molto emozionata, mi vidi allo specchio, stavo
veramente bene. Le mie damigelle indossavano entrambe un abito blu notte lungo,
la loro acconciatura era una rosa acquamarina, il loro bouquet era di fresie
colorate.
Il mio nipotino fece da paggetto, portava le fedi sul solito cuscinetto
a forma di cuore.
Tutto era scrupolosamente
all’altezza della situazione. Nuccio era molto nervoso, non voleva che nessuno
mi si avvicinasse; era lui che doveva accompagnarmi in chiesa. Mi diede in
sposa suo padre e Nuccio non si mosse dal mio fianco. Mio cugino Alfredo decorò
la sua Mercedes con fiori e fiocchi bianchi come si usa in Inghilterra. In chiesa trovammo Bryan ed i suoi invitati,
tanti, tanti applausi, lo guardai…
Quando mi prese per mano notai
che aveva un’espressione beata; questo mi diede molta sicurezza; mi sentii
protetta e molto felice. La cerimonia fu molto semplice ma bella. Festeggiammo
a casa nostra fino a tarda ora.
Lasciai alle mie spalle tutte le
amarezze, mi affacciai ad una vita diversa. Mio marito mi adorava, in casa
l’atmosfera era meravigliosa, niente mi era più ostile, ero felice.
Non potrò mai dimenticare
l’emozione che provai quando mi accorsi di aspettare un bambino. Quando lo
dissi a mio marito mi abbracciò stringendomi forte e disse: “grazie amore, non
potevi farmi più felice di così”! Andammo a cena fuori.
Quanta felicità il giorno che il
mio ginecologo, congratulandosi con noi, precisò che avremmo avuto una coppia
di gemelli. In quel momento mi sentii di aver
oltrepassato l’altezza dell’Everest. Il Signore non avrebbe potuto
premiarmi più di così.
Ricordo con tanta dolcezza i
palpiti dentro di me; discutevo con loro promettendogli che insieme avremmo
affrontato il mondo senza paura. Poi ecco il meraviglioso evento – otto
novembre 1965 – quando presi coscienza.
Vidi quei due visini stupendi, gridai dentro di me “alleluia” ringraziando il
Signore, stavamo bene tutti e tre.
Intanto mia madre decise di
tornare in Italia, poiché il clima inglese per lei era molto freddo. Se ne andò
prima che nascessero i bambini. Soffrii tantissimo; sentivo molto la sua
mancanza e la immaginavo sola con i suoi ricordi e le sue amarezze, così
cominciò pian piano a svanire il mio breve
mondo incantato, che avevo creato. Appena
un anno dopo il ritorno di mia madre in Italia mi scrisse mio zio Silvio,
comunicando che si era ricoverata all’ospedale civile di Cosenza. Non dormii
tutta la notte; con mio marito decidemmo di partire subito per la Calabria.
Partimmo esattamente l’11 gennaio; la giornata era gelida, nevicava, i bambini
avevano appena un anno. Mio marito era preoccupato per il lungo viaggio, io ero
pronta a tutto, l’amore per mia madre era più forte d’ogni altra cosa.
Arrivati a casa trovammo ad aspettarci mia zia Amalia, sorella di mia madre,
accanto ad un piccolo braciere, infreddolita, avvolta nel suo scialle.
Vedendoci si alzò,
abbracciandoci, pianse dalla gioia poiché era molto legata a tutti noi.
Io ero ghiacciata, dentro e
fuori, non avevo trovato mia madre ad aspettarci come suo solito.
Mi sedetti al solito posto; dopo
un po’ mi sentii rilassata e felice di ritrovarmi nelle nostre vecchie mura,
testimoni delle mie gioie, dei miei sogni, delle mie delusioni.. ogni vecchio
oggetto mi era caro e tanto amico.
Mi sentivo a mio agio; per mio
marito fu uno shock poiché non ebbi il tempo di metterlo al corrente su come si
viveva nei nostri paesi. Forse si aspettava una casa diversa, più lussuosa. La
sua delicatezza fu unica, non ne parlò affatto, capii che si trovava a disagio
per le comodità a cui era abituato e che mancavano.
La mattina seguente andammo in
ospedale, portai anche i bambini: entrammo, con lo sguardo girai tutta la
stanza e vidi mia madre che, a stento, si era avvicinata alla finestra
guardando fuori con l’ansia di vederci arrivare.
La chiamai e nel momento in cui
si girò avrei voluto gridare dalla gioia e dal dolore vedendola pallida,
dimagrita ed invecchiata; mi feci forza, ci abbracciammo; mi strinse forte e
capii che l’ero mancata tanto.. cercai di darle coraggio dicendole che la
trovavo bene.
I bambini si mostrarono tanto affettuosi,
come se l’avessero sempre vista; notai in lei tanta felicità.
Poi divenne seria e mi disse:
“grazie per avermeli portati, ci tenevo tanto a conoscerli”. Da quel momento le
promisi di starle vicina e che avrei fatto di tutto per portarla a casa. Parlai
con il primario, mi rassicurò sul suo stato di salute dicendomi che l’avrebbe
dimessa.
Tornammo a casa e capii che era
molto contenta; mi occupai di lei personalmente assistendola con tutte le cure
necessarie, dandole tutto l’amore che una figlia può dare ad una madre speciale
come la mia. Purtroppo ogni giorno che passava la vedevo soffrire sempre di
più. Di frequente si ripetevano le aritmie cardiache, il suo cuore scalpitava e la preoccupazione per lei
non mi dava pace. Le chiedevo spesso cosa sentisse ma lei mi rassicurava
dicendomi: “non è niente, stai tranquilla”; non voleva che mi preoccupassi.
Scrissi a mia sorella Ada in Inghilterra, mettendola al corrente sulle
condizioni di salute; preoccupata, ci raggiunse in Italia. Mamma fu tanto felice,
in maggior modo quando vide il nipotino che era tutta la sua vita. Purtroppo
quattro mesi dopo dovemmo rientrare in Inghilterra per motivi di lavoro.
Per me fu un tormento, cercai di
rimandare tutto all’ultimo momento. Quante notti insonni; la guardavo mentre
dormiva, mi sembrava in agonia e dentro me provavo un profondo dolore. Le
sfioravo il volto, la sua fronte gelida e, nello stesso tempo, madida di
sudore. Vedevo quanto soffrisse eppure non si è mai lamentata. Non potrò mai
dimenticare l’espressione del suo volto addolorato quando le comunicai che
dovevamo partire; pianse tantissimo. La guardai e dentro me sentii qualcosa di
indescrivibile che, prepotentemente, mi lacerava il cuore in una quotidianità
che, a breve, sarebbe stata interrotta per sempre.. Ho davanti a me tutta la
scena del distacco come la fine di un film, con tutti i suoi personaggi.
Scendendo le scale mi girai per darle l’ultimo saluto… tornai indietro,
l’abbracciai forte soffocando la ferita che sanguinava e che non potrà mai
guarire. Il diciassette giugno un telegramma mi comunicava il decesso di mia
madre. Mi crollò il mondo addosso, non riuscii a controllarmi, gridai con tutte
le mie forze, come se le mie grida potessero raggiungerla nell’aldilà; mi
sentii sprofondare negli abissi più profondi e, da quel momento, morì parte
della mia vita. Ero distrutta, i bambini piangevano ed io non li sentivo.
Man mano prevalse la ragione.
Decidemmo con mio marito di trasferirci in Italia, precisamente a Fuscaldo.
Mio cugino Alfredo provvide al nostro
lavoro in un albergo chiamato “il Vascello”; ai bambini piaceva tanto il mare
ed erano felici.
Ricordo il loro primo giorno di
scuola, li preparai entrambi con la divisa:
grembiulini blu, colletto bianco e fiocco rosso; erano stupendi. La mattina,
agitati, mano nella mano ci avviammo a scuola, trovammo tanti altri bambini,
tutti emozionati, qualcuno piangeva altri erano imbronciati. Salii le scale
assieme a loro, cercai di tranquillizzarli presentando loro gli altri bimbi, ma
non ci fecero caso. Stringevano le mie mani guardandomi con occhietti
imploranti e, nello stesso tempo, di rimprovero; si aggrapparono tutti e due
alle mie vesti. La maestra, gentilmente, li prese per mano e, finalmente,
entrarono.
Mi feci coraggio, andai via,
scendendo le scale sentii la voce di Giannino che piangeva e mi sentii tanto in
colpa. Tornai a casa e mi sedetti sulla poltrona; in quel momento mi sentii
tanto sola. Cercai di reagire preparando una bella torta augurale per il loro
primo giorno di scuola. Per me quelle poche ore sembrarono eterne, guardavo
spesso l’orologio, il tempo si era fermato. Finalmente giunse l’orario
dell’uscita; mi avviai a passi svelti e in pochi minuti fui davanti la scuola.
Quando li vidi varcare la soglia mi assalì una grande gioia, capii quanto mi
erano mancati.
Il tempo trascorreva senza che io
me ne accorgessi. Arrivò il giorno della loro prima comunione. Silvia indossava
un vestito favoloso, con i suoi lunghi capelli biondi aveva un’espressione
beata; sembrava un angelo. Giannino indossava una tunica bianca e il suo visino
timido e roseo era meraviglioso. Mio marito ed io eravamo orgogliosi e tanto
felici dei nostri figli. La funzione fu bellissima; anche gli altri bambini
erano stupendi; fu un giorno felice per tutti noi.
Ricordo che dopo poco tempo
cambiammo casa, andammo ad abitare in via Messinette, in una villa sul mare
bellissima, con un parco stupendo. I bambini crescevano felici. Frequentemente
organizzavamo festicciole con i loro amichetti; mi univo a loro preparando
tutto ciò che era di gradimento: ci divertivamo tantissimo. A scuola, ogni
qualvolta c’era una riunione dei genitori, gli insegnanti si complimentavano
con me e mio marito.
Crescendo diventarono una coppia
bellissima, due ragazzi che andavano molto d’accordo.
Silvia era la tipica ragazza
inglese, bionda, dolce e molto fine, con un’educazione da vera lady; Giannino,
anche lui simpaticissimo e molto educato. Ero orgogliosa di essere riuscita ad
educarli eccellentemente, sicura di aver fatto un ottimo lavoro.
Si diplomarono con un bel voto;
ero soddisfatta. Il loro desiderio era di continuare gli studi. Li feci
iscrivere entrambi all’Università di Catanzaro: non funzionò poiché i
professori viaggiavano da Messina ed erano spesso assenti. Decidemmo di far
trasferire Silvia alla “Sapienza”, facoltà di giurisprudenza. Fittammo un
villino assieme ad altre due ragazze,
sorelle, originarie di Buonvicino. La preparai con tutto il necessario anche se
mi costò tanto sacrificio. Il giorno che partì ero preoccupatissima, tanto da
essere pentita della decisione. Era la prima volta che la mia bambina si
allontanava da casa, mi costò tanto abituarmi all’idea che ormai era una donna
e dovevo darle fiducia; la preoccupazione non mi dava pace.
Giannino cambiò idea, parlando
con me disse: “mamma sei sicura di voler affrontare questo sacrificio, viste le
nostre scarse possibilità?” – io non risposi e lui ribadì: “magari potessi
lavorare io!!”, poi continuò a discutere ancora; rimasi stupita, non sapevo
come comportarmi, se metterlo al corrente della realtà o fingere e non fargli
capire niente.. Capii che era cresciuto, mi trovai all’improvviso di fronte ad
un ragazzo maturo, lo raccontai a mio marito, lui ne fu soddisfatto ed
orgoglioso mentre io rimasi fredda e due lacrime scesero dai miei occhi.. capii
che i miei figli erano cresciuti troppo in fretta ed io non avevo avuto il
tempo di rendermene conto.
Continuai a lavorare con grande
entusiasmo; il sogno era quello di vedere nostra figlia realizzata e con una
professione soddisfacente. Purtroppo non fu così. Mio marito ed io, convinti
che nostra figlia sarebbe riuscita ad arrivare al traguardo, affrontammo grossi
sacrifici con grande volontà. Dentro di me ripetevo: “per i miei figli questo
ed altro”, con la certezza che un giorno ci avrebbero fatti sentire orgogliosi
della loro riuscita. Malgrado tutto fu un’amara delusione poiché Silvia non riuscì a laurearsi. Non voglio
soffermarmi su questo. Giannino si arruolò AUC nell’esercito; soffrii
tantissimo per la sua mancanza quando partì. Conoscevo quanto grande fosse il
suo sacrificio, anche perché stava assieme ad una bella ragazza, che amò
tantissimo. Quante notti insonni ho passato pensando di trovare il modo di
farlo tornare a casa; erano solo pensieri irrealizzabili. Comunque ci mise
tutta la sua volontà, superò il corso da sottufficiale e tornò in licenza
orgoglioso di aver indossato la divisa, il suo sogno da sempre, finalmente
realizzato. Si fermò a Cosenza, all’Università poiché voleva fare una sorpresa
alla sua ragazza, curioso di vedere la reazione che avrebbe avuto vedendolo in
divisa. Bussò alla sua porta con il cuore che batteva forte dalla gioia; lei
uscì in pigiama, vedendolo impallidì e lo abbraccio freddamente. Gianni
s’accorse che qualcosa era cambiato. Tornò a casa distrutto. Il giorno dopo
s’incontrarono di nuovo, discussero a lungo e lui capì che tutto era finito,
ormai lei stava con un altro.
Il mondo gli crollò addosso, da
quel momento i suoi sogni caddero in frantumi. Intanto, lenti e senza senso,
rotolavano i giorni. Ripartì per Cagliari, dimagrito e senza entusiasmo, ormai
i suoi progetti erano bruciati come castelli in fiamme.
La mia vita diventò un inferno,
assieme a lui soffriva tutta la famiglia. Cominciai ad essere insonne, passavo
le notti guardando il soffitto, il pensiero, la paura non mi davano pace.
Vagavo con la mente: quando la sorte ci perseguita ognuno si chiude nel suo
mondo segreto e cerca di ritrovare se stesso, sospeso tra abissi di silenzio.
La sua corrispondenza divenne più rara, lo chiamavo al telefono ma sentivo la
sua voce velata di tristezza. Cercavo di parlargli d’altro ma notavo che non mi
ascoltava, gli chiedevo come passasse il suo tempo libero, rispose: “in
spiaggia”. Finalmente dopo quattro mesi conobbe una ragazza calabrese
originaria di Terra vecchia; si frequentarono per quasi un anno ma non riuscì
ad innamorarsi.
“Oh mio Signore, fa che la sua vita cambi.
Guidalo a riprendere il suo cammino con fiducia e serenità. Dà a lui
l’amore che sogna, stagli vicino.
Ti prego mio Dio, esaudisci la
mia preghiera.
Grazie mio Signore”.
Io lavoro al “Parco dei
Principi”di Scalea da venti anni, il mio compito è Direttrice ai piani. Passo tutto il mio tempo in albergo. Sono di
un paese a 100 chilometri da Scalea, Cerzeto. La strada che percorro in
pullmann ogni martedì è meravigliosa, si snoda tra le montagne. I suoi colori
sono di tantissime tonalità: verde, dal chiaro allo scuro, dal marrone al
giallo e poi violastro, le sfumature, con il lieve vento, formano onde
meravigliose, che espande nell’aria odore di rosmarino e di fragole; è davvero
incredibile.
Ammiro dall’alto lo scintillio
delle luci dei paesi sottostanti. Da quelle altezze sembra di dominare il
mondo!!
Percorro tutta la strada
ammirando i paesaggi, mi rilassa tantissimo. Il giorno dopo il sole brilla per
tutto il pomeriggio, anche al tramonto. I tramonti sono meravigliosi, il mare è
trasparente e il sole lascia la sua scia giallo oro, le barche sembrano
muoversi appena e in pochi minuti cala la sera.
La mia stanza in albergo è
tranquilla e silenziosa; quella sera alle 21.30 mi misi a letto, guardai per
poco la TV, poi spensi la luce; dopo tanto girarmi e rigirarmi, mi addormentai.
Mi svegliai di soprassalto, con
la mente ripercorsi i miei pensieri, sentii un forte rumore; mi alzai, guardai
fuori dalla finestra, il vento soffiava furioso portando dietro una massa
torbida di nuvole nere. Mi riappoggiai sul letto, mi accorsi che il respiro
diventava faticoso. In quel momento, vedendomi sola tra quelle quattro mura,
pensai: quanti sacrifici ho fatto, forse
i miei figli non si sono accorti. Mio Dio illumina nel giusto il cammino della
loro vita, fa che capiscano quanto è grande l’amore della loro mamma.
La vita continua e la ragione
prevale sul sentimento torturando il cuore che, con l’andare del tempo si ribella,
soffre, vorrebbe gridare le sue amarezze. Pensieri, rimpianti, notti insonni:
quanta tristezza e malinconia, la perdita dei genitori..
Il dolore che sconvolse la mia
vita fu la morte di mia sorella Ines, la sua sofferenza e l’agonia mi lacerano
il cuore. Mi lasciò un vuoto immenso, la ritenevo una figlia poiché ero la sorella maggiore, quasi l’ho allevata io.
Ricordo quand’era bambina, le cantavo la ninna nanna per farla addormentare. L’ho vista trasformata, non era più lei, la
sofferenza l’aveva cambiata.
Notte lunga e infinita che ci donasti lacrime e dolore; quando finirà
il mio tormento?
Piccolo frammento di luce, che fai trasparire la speranza, che penetra
con divina forza nel silenzio di dolore.
Il giorno successivo tornai a
casa dopo due ore di pullmann; feci la spesa, entrai in casa, l’appoggiai sul
tavolo, mi sedetti sulla poltrona esausta. Mio marito mi aspettò con il caffè
pronto, mentre lo gustavo gli feci un sorriso, mi sembrò buffo col grembiule
avanti, tornai seria, notai i suoi occhi
cavati, il volto stanco; mi fece un sorriso, mi sfiorò con un bacio, si
sedete alla sua poltrona e si addormentò. Povero circolo!! Ha sacrificato tutta la sua vita per starmi accanto in
una terra che non è la sua. In silenzio, senza fare il minimo rumore preparai
la cena e gli feci una sorpresa, un tipico piatto inglese. Lo svegliai con un
bacio, si mise a tavola, vidi che lo gustò tantissimo.
Il giorno dopo la stessa routine
di sempre, le stesse raccomandazioni: “sta attento, non mangiare questo, ecc”.
Sul lavoro le stesse cose.
Giannino dopo aver finito il
periodo del militare partecipò ad ogni concorso utile che venne bandito ma,
purtroppo, non ebbe alcun risultato concreto.
Aprimmo una pescheria con la
speranza di risolvere il problema lavoro
ma la vendita fu scarsa e decidemmo di chiudere.
Oh Signore, tendi la tua mano, fa che torni la felicità nella vita di
mio figlio.
- La mia bambina, la piccola
Silvia vive in Svizzera, felicemente
sposata, ha due bambini che sono lo scopo della mia vita: Bruno e Piera. Mi
mancano tantissimo. La mia casa è ubicata vicino la chiesa, a volte, in
lontananza, sento l’eco del coro; cantano divinamente, l’ascolto in silenzio.
I miei occhi riflettono la
tristezza, le mie lacrime vagano per case e annegano nel mare dell’anima. In
questo momento, seduta in spiaggia, l’autunno è inoltrato. Durante la stagione
estiva Scalea è affollata; finalmente ha riacquistato la sua pace, i suoi
silenzi, a volte spezzati dalle grida
di un gabbiano, e accarezzati
dall’ebbrezza salata che viene dal mare. –
Tirai un respiro ed entrai dentro
con un po’ di fretta, mi spogliai, mi misi sotto la doccia e palpai il seno. Mi
accorsi che sotto le mie dita sentivo qualcosa di duro, un nodulo. Il pensiero
di avere un cancro mi terrorizzò. Piansi tutto il giorno, la sera andai a letto
presto, cercai di addormentarmi per non pensarci. Lo tenni segreto per due
mesi, non riuscivo a confidarmi con nessuno.
Cercai di parlare con mio marito
ma non ci riuscii; sapevo benissimo come l’avrebbe presa e non volevo farlo
soffrire. Cercai di parlarne con mia sorella, fu impossibile, ogni volta che mi
decidevo non riuscivo a trattenere le lacrime. E quindi evitavo. Palpavo il
seno con la speranza che fosse sparito ma invece era sempre là; dovevo dirlo a
qualcuno. Mi feci coraggio e ne parlai con mia sorella Ada che, per un attimo
rimase senza parole, poi si riprese subito e disse: “non è niente vedrai, stai
tranquilla”. Parlò con suo figlio Nuccio e con la moglie; loro, preoccupati, in
serata presero un appuntamento con la dottoressa Mistorni.
Andammo allo studio, mi fecero un
ecografia; io ero talmente presa dal panico, il cuore mi batteva tanto forte
che ebbi paura di un infarto. Cercarono di tranquillizzarmi, sia la dottoressa
che l’infermiera, assicurandomi che non era niente, dovevo solo vedere
l’oncologo. Guardavo sbalordita mia sorella e i miei nipoti, chiesi: “che mi
sta succedendo”? il dolore e l’angoscia non mi davano pace, pensavo che prima o
poi avrei dovuto affrontare la questione. La mia vita somiglia ad un racconto:
sposata, madre di due gemelli, attaccatissima
alla famiglia.. Il mio scritto conferma i miei pensieri in frammenti di
progetti interrati.
La mia diagnosi, la conferma della malattia e la partenza per la
Svizzera segnarono l’inizio del mio calvario. Mia figlia prese un appuntamento
da un oncologo e dopo due giorni mi fecero la biopsia, provai dolore e il mio
seno diventò violaceo. Nel mio cuore avevo un filo di speranza, visto che si
parla tanto dei medici svizzeri, definendoli d’avanguardia, dopo gli americani.
Tornai in Italia delusa, mi
aspettavo una risposta negativa. Non mi restava che percorrere due strade:
vivere o isolarmi?
Scelsi di vivere in mezzo agli
altri e percorrere le tappe della vita. Come riempire il vuoto che sentivo
dentro? I veri protagonisti erano la mia anima e la mia vita che lottavano
contro. Soffrivo in silenzio, con la mente vagavo, scavando i ricordi nel mio
intimo. I miei occhi riflettevano il dolore, lo spasimo; sentivo che la ferita
non sarebbe guarita facilmente e recitavo la mia parte, fingendo, per coprire
il mio immenso dolore. Rifeci l’ecografia e il risultato fu che avrei dovuto
essere operata con urgenza. I miei figli, con tanta naturalezza ripetevano:
“dai mamma, non è niente”, mentre nei loro occhi leggevo il terrore. Mio marito
cercava di darmi coraggio, abbracciandomi diceva: “vedrai andrà tutto bene”.
Il diciassette dicembre entrai in
ospedale a Praja a Mare; mi assegnarono una stanza singola. Passai la notte
senza dormire, la mattina mi fecero i prelievi e tutti gli esami di routine,
l’elettrocardiogramma e la preparazione all’intervento. Il giorno successivo i
medici passarono alle ore 9.30, entrarono in camera e mi salutarono con un
sorriso. Io ero pietrificata, terrorizzata. Il Primario, dott. Pirro, mi prese
le mani e disse: “vedrà signora andrà tutto bene”. Mi avrebbero sottoposta
all’intervento il giorno dopo: 19 dicembre 2002.
La mattina mi fecero firmare il
consenso e l’anestesista cominciò a spiegarmene i motivi ma io gli dissi che
non volevo essere messa al corrente di ciò che sarebbe potuto succedere. La mia
famiglia, di buon’ora era in camera. Mia sorella con il marito e i nipoti, Carmen,
Nuccio e Sabrina. Cercarono di distrarmi con delle battute spiritose. Io entrai
in un mondo irreale, persi la mia causa
e dovetti affrontare la realtà a tutti i costi.
Mio marito cercò di darmi
coraggio abbracciandomi e dicendomi di
non pensarci perché sarebbe andato tutto bene. Il mio corpo diventò di gelo,
non riuscii a parlare. Alle 9.30 entrarono in camera due infermieri, con l’aria
serena, chiedendomi se fossi pronta. Con un filo di voce risposi di si, i miei
mi sfiorarono con un bacio e quando si avvicinò mio figlio mi uscirono due
grosse lacrime. Entrai nella sala pre-operatoria, mi fecero indossare un camice
bianco e sdraiare sul tavolo operatorio. L’anestesista mi iniettò l’anestesia e finito l’intervento cercarono
di svegliarmi chiamandomi per nome; non riuscii ad aprire gli occhi. Per un
istante vidi una nebbia scura, poi più chiara, sfocato vidi il viso di mio
figlio e quello di mio nipote Nuccio, poi mi addormentai.
Il giorno dopo mi sentii
annientata, non potevo muovermi; mi resi conto della mia mutilazione, avevo il
terrore di perdere il controllo, la disperazione, la paura di essere vinta
dalla depressione e di perdere ogni speranza. Purtroppo le disgrazie ci
cambiano dentro totalmente, il dolore ci distrugge attraverso i pensieri ed i
sentimenti e arriva fino in fondo all’anima.
Tristi momenti. Soffre una donna in silenzio; il dolore rende sola la
persona che lo percepisce. La sua mente ripete ciò che ha fato nel percorso
della vita, ripete ciò che gli altri le dissero.
Notti lunghe ed infinite, febbre di solitudine che la consuma
lentamente. Nostalgie di desideri sfiorati appena. Sogni di castelli in
frantumi. Una voce le ripete: “dai sii forte, lotta con tutte le tue forze,
sconfiggi il male con la tua forza interiore”. Questo la incoraggia, recita la
sua parte con finzione che coprirà il suo grande dolore.
Sudavo freddo; pregai a lungo rivolgendomi
a San Francesco, cercai di dormire e, nel dormiveglia, mi sembrò di sentire una
voce che diceva: “tu sei stata una donna forte, hai sempre lottato per arrivare
all’obiettivo, non arrenderti”. Purtroppo non era facile, dovevo trovare la
grande forza per uscirne, dovevo affrontare il futuro incerto e con poche
speranze. Avevo così poca fiducia in me stessa; i miei familiari mi sono stati
vicini, attraverso i loro gesti mi hanno data prova di tanto affetto e
comprensione. La mia speranza non era sufficiente, dovevo provare a me stessa
quanto coraggio avevo, solo così sarei riuscita a sopravvivere. Finii tutti gli
accertamenti ed iniziai il ciclo della chemioterapia, che durò sei mesi. Ero
terrorizzata. Ogni volta che uscivo dalla saletta dove mi sottoponevano alla
che mio scoppiavo in un pianto dirotto. Cercavo di pensare al positivo, dentro
di me ripetevo che la vita è meravigliosa e vale la pena d’essere vissuta fino
in fondo. Mi caddero i capelli, seppur non totalmente, passai alla
chemioterapia più leggera. Con tutto ciò mi sentii male e provai molta nausea, stavo veramente con il
vomito alla gola.
I medici di Paola, dove facevo la
chemioterapia, furono degli angeli a protezione della vita di chi soffre
profondamente. Ringrazio con il cuore il dottore Caputo e la dottoressa De
Simone che, con la loro dolcezza, la loro gentilezza e umanità aiutano
psicologicamente il paziente dandogli fiducia. Ringrazio profondamente e con
stima tutta l’équipe, sempre disponibile, del reparto oncologia. Ringrazio
devotamente il Signore che, finalmente, sembra avermi svegliata da un brutto
sogno.
Ogni qualvolta vado a fare un
controllo un brivido investe tutto il mio corpo. Il pensiero di sentirmi dire
qualcosa di doloroso rimane sempre.
Ricordo che guardai la dottoressa
De Simone e vidi nei suoi occhiuta luce… con una stretta di mano mi disse che
avrebbe spostato la visita di controllo a distanza di sei mesi. Oggi mi sembra
di rivedere quella luce chiara, il sole che illumina anche me e, come si dice,
la speranza è l’ultima a morire. La guarigione va cercata con speranza e
fiducia dentro di noi, perché in noi risiedono i veri poteri , perciò è molto
importante la voce interiore. Il dolore purifica l’anima e rinforza la nostra
fede; sta a noi aprire il cuore a Dio.
Ringrazio i miei nipoti Nuccio e
Carmen, che mi hanno accompagnato ad ogni tappa della mia malattia, dandomi
coraggio e affetto; ringrazio Nicola e Valentina che la oro presenza non mi
fecero sentire sola. Ringrazio mia sorella e suo marito che mi sono stati
vicini e un grande grazie va a mio cognato Nicola che, per tutto il periodo
della chemioterapia, mi accompagnò in ospedale.
Un grosso grazie va a mia nipote
Sabrina che, con tutti i suoi impegni, il giorno che sono stata operata rimase
con me tutta la notte.
Ringrazio con infinito amore mio
marito ed i miei figli che non hanno mai smesso di coccolarmi. Un grande grazie
e riconoscimento va alle mie cugine Elena, Rosetta che mi fecero compagnia ogni
giorno; un grande ringraziamento va a tutti gli amici di Cerzeto che, con stima
e affetto, sono venuti a casa a farmi visita. Mi rivolgo al Signore,
ringraziandolo con fede perché mi ha dato la forza di guardare oltre per non
sentirmi annientata da un dolore così grande; mi arrampicai sulla roccia e
superai incominciando a notare di nuovo tutto ciò che mi circonda.
Mia cugina Elena mi convinse ad
uscire fuori, prendemmo la strada che conduce alla contrada chiamata S. Nicola:
arrivate al ponte ci sedemmo sul cornicione
della strada, si stava veramente bene. Girai lo sguardo intorno, notai ciò
che mi circondava, una brezza leggera muoveva le foglie, gli ultimi raggi del
sole al tramonto davano riflessi dorati, l’acqua gorgogliava allegra e
spumeggiante. Era uno spettacolo della natura, che si rinnova ogni anno
meravigliosa. Tornai a casa, mi dedicai a preparare la cena. Mi sentii leggera,
rilassata, con una stupenda visione da paragonare al paradiso, era veramente un
incontro. All’imbrunire i monti diventarono violastri, il cielo blu notte, le
stelle apparvero come lucciole affollando il firmamento.
Tirai un respiro finalmente
rassegnata, capii che dovevo convivere e lottare contro il male che mi aveva
colpita. Quel giorno capii veramente quanto è meravigliosa la vita e tutto ciò
che la circonda.
La vita è una favola,
a volte t’incanta,
a volte ti addolora,
è volubile come il tempo.
Quando ti sorride,
ti fa sentire la sensazione di volare.
Ti fa sognare cose meravigliose,
ti fa conoscere le gioie,
ti fa vedere alberi che puntano l’azzurro e poi…!
Ti delude,
se non trovi la forza di reagire,
ti distrugge.
Entra nel gioco della vita,
quando vuoi, sta a te come e quando ti senti,
è molto divertente.
Mantieni la stessa forza,
anche quando non ci riesci,
se cadi alzati, se puoi anche in fretta…!
Non fermarti!
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