di Giuseppina D’Auria
Il nostro modo
di vivere, di consumare, di comportarsi, decide la velocità del degrado
antropico (misura dello stato del disordine di un sistema), la velocità con cui
viene dissipata l'energia utile e il periodo di sopravvivenza della specie
umana. Si arriva così al concetto di sostenibilità, intesa come l'insieme di
relazioni tra le attività umane la loro dinamica e la biosfera, con le sue
dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali di
permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro
bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le
variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano entro certi limiti
così da non da non distruggere il contesto biofisico globale. Se riusciremo ad
arrivare a un'economia da equilibrio sostenibile come indicato da Herman Daly,
le future generazioni potranno avere almeno le stesse opportunità che la nostra
generazione ha avuto: è un rapporto tra economia ed ecologia, in gran parte
ancora da costruire, che passa dalla strada dell'equilibrio sostenibile.[1]
Nel 1987, la
Commissione mondiale dell'ambiente e dello sviluppo, conosciuta anche come
Commissione Brundtland dal nome della sua presidente, ha elaborato una
definizione del concetto di sviluppo sostenibile che è ormai generalmente
riconosciuta. Essa afferma che «lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo in grado
di garantire il soddisfacimento dei bisogni attuali senza compromettere la
possibilità delle generazioni future di far fronte ai loro bisogni.»[2] Anche
le generazioni future hanno diritto, come noi, ad un ambiente intatto. Il
concetto di sviluppo sostenibile è però più ampio di quello di protezione
dell'ambiente. Il benessere economico è una condizione indispensabile per il
soddisfacimento delle nostre esigenze materiali e non, tanto quanto lo è la
salvaguardia delle risorse vitali naturali. E solamente una società solidale è
in grado di distribuire equamente i beni economici acquisiti, di salvaguardare
i valori sociali e di sfruttare in modo parsimonioso le risorse naturali. Lo
sviluppo sostenibile concerne quindi in eguale misura i tre settori
dell'economia, dell'ambiente e della società.
Lo
sviluppo sostenibile, definito nelle carte e documenti internazionali da Rio de
Janeiro (1992) in poi, è quello sviluppo che si propone di soddisfare le
esigenze del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni
future. Un concetto, quello di sostenibilità, che integra oggi gli aspetti
ambientali con quelli economici, sociali e istituzionali e che implica un
approccio ed un metodo interdisciplinare. Un compito e un obiettivo che
coinvolge tutti: istituzioni, imprese, associazioni, cittadini e consumatori.
Una nuova generazione di politiche di tipo preventivo che richiede inoltre nuovi
strumenti conoscitivi, informativi, partecipativi, economici.
I tre cerchi Lo sviluppo sostenibile comprende tre dimensioni: l'economia, l'ambiente e la società. Il riguardo verso le generazioni future e la solidarietà con i Paesi sfavoriti sono gli altri elementi centrali di questo concetto. “La costruzione di uno sviluppo sostenibile e la pace si conquistano soltanto con la giustizia nell'uso dei beni della Terra, unica nostra casa comune nello spazio, con una giustizia planetaria per un uomo planetario. Senza giustizia nell'uso dei beni comuni della casa comune, del pianeta Terra, non ci sarà mai pace”[3].
Le
nuove teorie dello sviluppo sostenibile e dell'ecological economics ci
pongono davanti all'idea di un'economia non più basata su due parametri, il
lavoro e il capitale, ma su un'economia ecologica che riconosce l'esistenza di
tre parametri, il lavoro, il capitale naturale e il capitale prodotto
dall'uomo. Intendendo per “capitale naturale” l'insieme dei sistemi
naturali (mari, fiumi, laghi, foreste, flora, fauna, territorio), ma anche i
prodotti agricoli, i prodotti della pesca, della caccia e della raccolta e il
patrimonio artistico-culturale presente nel territorio, si vede come sia
fondamentale oggi investire in questa direzione.[4] Per
la gestione delle risorse ci sono due ovvi principi di sviluppo sostenibile. Il
primo è che la velocità del prelievo dovrebbe essere pari alla velocità di
rigenerazione (rendimento sostenibile). Il secondo, che la velocità di
produzione dei rifiuti dovrebbe essere uguale alle capacità naturali di
assorbimento da parte degli ecosistemi in cui i rifiuti vengono emessi. Le
capacità di rigenerazione e di assorbimento debbono essere trattate come
capitale naturale, e il fallimento nel mantenere queste capacità deve essere
considerato come consumo del capitale e perciò non sostenibile". Il tema
della complessità ecologica si può così leggere attraverso le seguenti parole
di Herman Daly: "Ci sono due modi di mantenere il capitale intatto. La
somma del capitale naturale e di quello prodotto dall'uomo può essere tenuta ad
un valore costante; oppure ciascuna componenente può essere tenuta
singolarmente costante. La prima strada è ragionevole qualora si pensi che i
due tipi di capitale siano sostituibili l'uno all'altro. In questa ottica è
completamente accettabile il saccheggio del capitale naturale fintantoché viene
prodotto dall'uomo un capitale di valore equivalente. Il secondo punto di vista
è ragionevole qualora si pensi che il capitale naturale e quello prodotto
dall'uomo siano complementari. Ambedue le parti devono quindi essere mantenute
intatte (separatamente o congiuntamente ma con proporzioni fissate) perché la
produzione dell'una dipende dalla disponibilità dell'altra. La prima strada è
detta della "sostenibiltà debole" la seconda è quella della
"sostenibilità forte". (...) Oggi stiamo vivendo la transizione da
un'economia da mondo vuoto ad un'economia da mondo pieno: in
questa seconda fase l'unica strada possibile per la sostenibilità passa
attraverso l'investimento nella risorsa più scarsa, nel fattore limitante.
Sviluppo sostenibile significa quindi investire nel capitale naturale e nella
ricerca scientifica sui cicli biogeochimici globali che sono la base della
sostenibilità della biosfera".[5]
I progetti di sviluppo sostenibile definiti a
livello internazionale sono riuniti nell'Agenda 21[6],
documento di propositi ed obiettivi programmatici su ambiente, economia e
società sottoscritto da oltre 170 paesi di tutto il mondo durante la Conferenza
su Ambiente e Sviluppo (UNCED) svoltasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992.[7] Il
Ministero dell'Ambiente con il Bando 2000 ha messo a disposizione delle
amministrazioni locali e degli enti parco 12,9 milioni di euro (pari a circa 25
miliardi di vecchie lire) e sta sostenendo l'attuazione di 111 progetti. Il
prossimo congresso mondiale di sviluppo sostenibile si terrà ad Agosto in
Sudafrica, a Johannesbourg. Secondo l'Agenda 21 i paesi
industrializzati del Nord dovrebbero dare ai paesi in via di sviluppo del Sud
125 miliardi di dollari aggiuntivi all'anno per uno sviluppo sostenibile.[8]
La Conferenza di Rio coronò l'emergere delle questioni ambientali come grande tema delle politiche nazionali e internazionali. Con Rio, da un lato si affermava la necessità di un governo globale di alcuni questioni ambientali planetarie - effetto serra, acidificazione, riduzione dello strato di ozono, tutela della biodiversità -, dall'altro si richiedeva di integrare gli obiettivi di tutela delle risorse e della qualità ambientale sia nelle politiche territoriali ed economiche nazionali (e locali), sia nelle strategie produttive dei gruppi economici. Dieci anni dopo, la Conferenza di Johannesburg 2002, si confronterà con la necessità di fare il bilancio degli effetti ambientali di un decennio di globalizzazione economica. Un triplo bilancio: il bilancio dell'efficacia delle politiche globali e nazionali, pubbliche e private; il bilancio dello stato delle risorse ambientali e dei rischi; il bilancio degli effetti diretti (e indiretti) della globalizzazione dei mercati. Nei paesi sviluppati - e soprattutto in Europa - per molti aspetti si è realizzata una riduzione assoluta dei carichi ambientali.
La Conferenza di Rio coronò l'emergere delle questioni ambientali come grande tema delle politiche nazionali e internazionali. Con Rio, da un lato si affermava la necessità di un governo globale di alcuni questioni ambientali planetarie - effetto serra, acidificazione, riduzione dello strato di ozono, tutela della biodiversità -, dall'altro si richiedeva di integrare gli obiettivi di tutela delle risorse e della qualità ambientale sia nelle politiche territoriali ed economiche nazionali (e locali), sia nelle strategie produttive dei gruppi economici. Dieci anni dopo, la Conferenza di Johannesburg 2002, si confronterà con la necessità di fare il bilancio degli effetti ambientali di un decennio di globalizzazione economica. Un triplo bilancio: il bilancio dell'efficacia delle politiche globali e nazionali, pubbliche e private; il bilancio dello stato delle risorse ambientali e dei rischi; il bilancio degli effetti diretti (e indiretti) della globalizzazione dei mercati. Nei paesi sviluppati - e soprattutto in Europa - per molti aspetti si è realizzata una riduzione assoluta dei carichi ambientali.
La pressione per un allentamento dei vincoli
ambientali e per limitare l'internalizzazione dei costi ambientali resta alta,
anche se ormai il mondo industriale e agricolo è diversificato e non
costituisce più un blocco omogeneo che resiste all'innovazione e alla tutela
ambientale. Ciò nonostante, nella gran parte delle regioni dei paesi sviluppati
è cambiata, soprattutto nel corso di questo decennio, la qualità del problema
ambientale e del conflitto ambientale.
La sfida ambientale - e il conflitto
fondamentale - si è spostato sul campo delle politiche urbanistiche, sul
traffico urbano e sulla mobilità, sull'infrastrutturazione del territorio,
sulla qualità dell'alimentazione, sulla tutela del paesaggio, sul ripristino
degli ambienti verdi e naturali. Globalizzazione dei mercati e tecnologie
dell'informazione sono state le due grandi forze che hanno interagito,
alimentandosi a vicenda, in questi due decenni. Lo sviluppo della società
dell'informazione svolge un ruolo trainante nei processi di globalizzazione,
grazie alla costituzione di reti digitali globali che collegano fra loro una
moltitudine di soggetti e sospingono la creazione di una nuova economia globale
basata sulle reti e su fattori immateriali. Cambiano i fattori che rendono
competitive e dominanti le economie. Il contenuto tecnologico, la qualità e il
marchio del prodotto, la proprietà intellettuale, la tempestività del servizio
stanno prendendo il sopravvento sui tradizionali fattori di costo. Con l 'età
della globalizzazione l 'economia delle materie prime è stata soppiantata
dall'economia della conoscenza. La ricchezza non è più creata solo dalle
risorse naturali o dalla produzione, ma da come i prodotti e i servizi sono
progettati e immessi sul mercato. In questo contesto,
la ricerca e lo sviluppo tecnologico e la qualità del capitale umano (la
qualità della loro formazione) diventano fattori cruciali. Primo, perché si accorcia
il ciclo della ricerca e sviluppo. Il modello classico della ricerca
("ricerca di base pre-competitiva -ricerca industriale -attività di
sviluppo") corrisponde sempre meno alla realtà. Nei nuovi campi
-dall'informatica alle biotecnologie -le attività di ricerca di base possono
portare direttamente alla creazione di prodotti e il tempo di ritorno degli
investimenti nella ricerca è molto più rapido - come testimoniano gli utili
delle società hi-tech nella farmaceutica o nel software; l
'impiego efficace delle nuove tecnologie richiede che l'insieme della forza
lavoro, non solo ristrette élite, sia dotata di una elevata qualificazione. Da
qui la rilevanza economica degli investimenti nel capitale umano, nella
formazione scolare e professionale e nell'aggiornamento. Nascono, in questi
ultimi anni presso gli atenei europei, corsi di Laurea e di Master per
veicolare la concezione privilegiata dell'armonizzazione tra economia ed
ambiente e di pianificazione ambientale incentrata sullo sviluppo sostenibile.
Si vuole la promozione di una crescita capace di coniugare l'efficienza
economica con la tutela delle risorse naturali e la gestione, a livello
centrale e locale, delle necessarie misure amministrative comportano, per le
Istituzioni coinvolte, una formazione costante dei quadri preposti alla
pianificazione del territorio, attraverso un progetto di formazione permanente,
rivolta ai quadri dell'Amministrazione Pubblica, di Enti di Ricerca e di
Aziende di servizi ambientali con funzioni tecnico-direttive nell'ambito delle
tematiche relative alla pianificazione ed alla gestione dei sistemi
agro-ambientali e industriali. Anche enti di formazione privati, vincitori di
concorsi banditi dalla Comunità Europea hanno creato dei corsi post lauream
per la creazione di nuove figure professionali oltre che per favorire e
incentivare la formazione e il lavoro in quelle categorie deboli quali le donne
ed i disoccupati delle regioni Obiettivo 1. Abbiamo questa “fortuna” ancora per
pochi anni (fino al 2006)!
[1]Internet, Sviluppo
Sostenibile, 30/06/2003, http://www.miw.it.
[2] Internet, Sviluppo
sostenibile - nascita e significato del concetto, http://www.are.admin.ch,
30/05/2003.
[3] Nebbia Giorgio, Lo
sviluppo sostenibile, Edizioni Cultura della Pace, Firenze 1991.
[4] Tiezzi Enzo- Marchettini
Nadia, Che cos'è lo sviluppo sostenibile?", Donzelli Editore, Roma, 1999,
pp. 25-44.
[6] L'Agenda 21 internazionale
è costituita da una piattaforma programmatica di 800 pagine in cui, partendo
dai problemi globali che investono la Terra, viene indicato un programma
operativo per una transizione verso uno sviluppo sostenibile, includendo
obiettivi, responsabilità e stima dei costi.
[7] In Italia l'Agenda 21 si
concretizza dopo la Conferenza di Aaalborg in Danimarca del 1994, dal cui ambito
nasce la "Campagna Europea Città Sostenibili". Le numerose
amministrazioni che firmarono la Carta di Aaalborg e aderirono alla campagna
europea delle città sostenibili stanno promuovendo attualmente processi di
Agenda 21 locale sul proprio territorio. Un ulteriore impulso determinante in
questa direzione si concretizzò con la nascita del "Coordinamento
Nazionale Agende 21 locali", avvenuta nel 1999 a Ferrara, con il proposito
di diffondere, valorizzare e monitorare le esperienze di "Agenda 21
locale" attualmente in corso e nel favorire la partnership e lo scambio di
informazioni tra gli enti locali.
[8] Dati estratti dal sito
governativo del Ministero dell’Ambiente.
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