Tesi di Laurea in Sociologia Generale.
In nome del “dovere”. Selezione e Formazione
degli operatori dell’ordine.
INTRODUZIONE
Circostanze del tutto casuali ci hanno portato a scegliere
questo argomento di studio quale nostro lavoro di chiusura del corso
universitario. Per brevità, si tratta del fatto che il compagno della nostra
vita lavora nella Polizia di Stato già da diversi anni e ci è stato di grande
aiuto, non solo nella raccolta dei documenti, ma come testimonianza di vita
vissuta dall’interno.
Abbiamo motivo di augurarci che questi nuovi livelli di
conoscenza possano continuare a creare ulteriori spazi di reciproca
comprensione.
Come sappiamo il motto della Polizia di Stato è “sub lege,
libertas”, che noi abbiamo tradotto liberamente “in nome del dovere” proprio
per estendere i valori racchiusi in questo motto a tutte le Forze dell’Ordine.
Ci è sembrato opportuno, prim’ancora che immergerci
nell’attualità, di portarci in “medias res”, con tutte le scottanti
problematiche che emergono dalla società in trasformazione e coinvolta nei
processi di globalizzazione, a tutti i livelli, tracciare per sommi capi le linee
storiche della nascita e sviluppo della Polizia di Stato fino alla sua attuale
organizzazione.
Nel II° capitolo, portandoci su uno dei gangli del problema
relativi al personale, dall’agente semplice ai più alti dirigenti, abbiamo
cercato di individuare i criteri di selezione, formazione, specializzazione
aggiornamento. Naturalmente non poteva non seguire una parte dedicata alle
scuole cui sono demandate le quattro funzioni indicate.
Un capitolo a parte abbiamo dedicato ai fattori
caratterizzanti la coscienza e le motivazioni di tutto il personale, quel
personale che dà corpo e vita ad una Istituzione solida, funzionante e
coerente. A tal fine, abbiamo cercato di tracciare, sulla scorta di diversi
studi, il profilo della deontologia degli Operatori di Polizia, di individuare
e sottolineare i valori umani e professionali, concludendo con l’immagine
elaborata dall’Istituzione e percepita dai cittadini. Si può comprendere
l’importanza di quest’ultima in una società, qual è quella in cui viviamo,
contrassegnata proprio dalla comunicazione, dall’apparire, dal senso dello
spettacolo.
L’ultimo capitolo è dedicato ai settori d’intervento della
Polizia di Stato, alla rete articolata in strutture attive sul territorio e,
infine, ai “bilanci” degli ultimi anni con riferimento alle operazioni svolte e
alle principali campagne (sicurezza, immigrati, criminalità, terrorismo,
pedofilia informatica, ecomafie, ecc.).
Concludono la nostra Tesi alcune rapide ed essenziali
considerazioni, completate da tre appendici e da una ampia e specializzata
bibliografia e sitografia.
CONSIDERAZIONI FINALI
Al termine di questa nostra ricerca tra storia, problemi di selezione e
scuole, tradizionali e in via di realizzazione, alcuni problemi ci hanno
particolarmente colpito per il loro interesse presente e soprattutto in
prospettiva.
Certamente la collaborazione tra le polizie europee: un’impresa che
richiede di per sé molti anni per raggiungere un buon grado di efficienza e
produttività. Ma il problema dei problemi sarà quello della formazione del
fattore umano sia sotto il profilo della preparazione che sotto quello della
remunerazione. Con l’entusiasmo si può anche cominciare ma con gli anni si
rende necessario poter contare su delle certezze, praticare il diritto alla
propria progettualità e realizzazione nel senso più umano e personale.
Uno dei settori di attività d’intervento di tutte le Forze dell’Ordine
sta diventando il sistema, ormai fortemente strutturato, delle organizzazioni
criminali, specializzate e polivalenti, che vanno dalle forme di criminalità
diffusa locale a quelle internazionali, lungo filoni di interessi tanto
tradizionali quanto nuovi. Ci riferiamo in particolare alle ecomafie fondate
sul business dei rifiuti di vario genere e, quindi, sulle discariche
autorizzate ed abusive.
Una tecnica operativa nel settore ci viene data “dal silenzioso quanto
pericoloso tentativo di consistenti gruppi criminali di infiltrarsi nel ciclo
di gestione dei rifiuti: dalla raccolta, anche attraverso il condizionamento
delle procedure di appalto, al trasporto, dallo stoccaggio al conseguente
smaltimento in discariche abusive. E’ uno dei tanti segni tangibili di come
quello che viene definito l’ecobusiness sia ormai diventato uno dei più lucrosi
mercati illeciti della criminalità organizzata” (1).
Il crimine ambientale consente non soltanto di realizzare profitti
elevati a fronte di costi modesti e rischi limitati, ma costituisce anche uno
degli anelli della catena attraverso cui i capitali di provenienza illecita
vengono immessi all’interno dei legittimi circuiti economici e produttivi. Va d’altra
parte sottolineato che non sempre i media riservano la dovuta attenzione alle
tematiche relative ai fenomeni criminali connessi all’ambiente: spesso la
scoperta di una discarica abusiva non fa “presa” sulla collettività, non riesce
a diventare “notizia”, forse perché la raccolta illecita di rifiuti si consuma
sovente lontano dai centri abitati e, quindi, non suscita “allarme”
nell’opinione pubblica oppure perché, soprattutto in alcune aree del Paese, non
si è ancora pienamente affermata una forte sensibilità verso i valori del
rispetto e della tutela dell’ambiente, che pure costituiscono una componente
non secondaria della più ampia cultura della legalità.
In questo settore, di conseguenza, l’azione di contrasto delle Forze
dell’Ordine, e non solo per il suo buon esito, dovrà essere coordinata bene e
funzionalmente all’interno del Paese, ma anche, e forse soprattutto, sul piano
europeo e internazionale. La potenza economico-finanziaria, la capacità
organizzativa delle forze criminali sono più veloci ed efficaci in tempi di
possibilità di utilizzazione, di strumenti informatici e di tecniche
d’infiltrazione oltre che di coperture insospettabili (per esempio economia
legale, alti funzionari, sistema bancario).
Non occorrono grandi ricerche per avere le coordinate di questa realtà
che esploderà sempre più nel futuro prossimo. L’andamento del fenomeno, a
nostro avviso, avrà dei picchi scardinanti se non esplosivi. Di qui il
necessario impegno di livello eccezionale. Il primo rischio che si può correre
è quello di sottovalutare l’effettiva portata e l’insidiosità del crimine
ambientale. E’ necessario che maturi sia negli attori istituzionali sia nel corpo sociale la piena consapevolezza
che alla base dell’evoluzione socio-economica delle società ad industrializzazione
avanzata vi è la necessità di conciliare il progresso economico e tecnologico
con la salvaguardia dell’ambiente e della salute della collettività.
Per quanto possa sembrare paradossale, interventi sbagliati quanto il non
intervento possono alimentare il fenomeno criminalità anziché combatterlo. Di
conseguenza “se non si riesce ad adeguare per tempo il sistema di controlli
amministrativi e lo stesso impianto normativo, in una prospettiva che non può
prescindere dal fattivo coinvolgimento delle istituzioni dell’Unione, diviene
sempre più concreto il rischio che il giro d’affari legato al crimine
ambientale trovi maggiori spazi e continui a prosperare”(2). Per cogliere il
senso della dimensione di questo genere di fenomeni basta citare il volume “di affari
dell’ecobusiness, che aiuta a inquadrare le reali dimensioni del fenomeno.
L’insieme delle attività illecite (abusivismo edilizio, traffici e smaltimenti
di rifiuti speciali e pericolosi, racket degli animali, ecc.) ha determinato -
secondo le stime elaborate da Legambiente in collaborazione con le Forze di
Polizia - un fatturato complessivo, per il 1999, pari a 13.413 miliardi di lire
(erano 9.547 miliardi nel 1998), con un incremento di circa quattromila
miliardi di lire. In particolare, nelle attività di gestione illecita dei
rifiuti speciali e pericolosi le risorse economiche sottratte al mercato legale
sono passate da 3.744 miliardi di lire a 4.086 del 1998. Dalla lettura dei dati
risulta evedente che gli effetti negativi sull’impatto ambientale si registrano
soprattutto nelle regioni meridionali, ove minore è la capacità tecnica di
smaltimento dei rifiuti, da imputare soprattutto alla carenza di impianti ad
hoc, e dove, anche in ragione della ramificata presenza di sodalizi criminali,
si registra un costante flusso di rifiuti, talvolta anche ad alto tasso inquinante, provenienti da altre zone del
territorio nazionale”(3).
A fronte di tanta organizzazione è assolutamente elevare e potenziare
l’azione di risposta ma, anche e ancor più, quella di prevenzione, per cui
“sicuramente importante” è la risposta legislativa. E’ in avanzata fase di
discussione in Parlamento la proposta volta ad introdurre una specifica
normativa penale in tema di delitti contro l’ambiente che, una volta approvata,
permetterà di fronteggiare ancor più efficacemente la vasta gamma delle ipotesi
criminose che si vanno individuando. La prevista trasformazione di alcune
fattispecie contravvenzionali in delitti permetterà di disporre di più
penetranti mezzi d’indagine, del tutto indispensabili per accertare i complessi
collegamenti che si celano dietro le illecite movimentazioni di rifiuti. In
questa stessa direzione si sta movendo l’Unione Europea che ha avvertito
l’esigenza di tutelare il “valore ambiente” con l’introduzione di disposizioni
penali dirette a sanzionare quei comportamenti che inquinano gravemente aria,
acqua, suolo e sottosuolo, causando danni rilevanti o provocando manifesti
pericoli per l’ambiente e per la salute. Una linea di successo per
disarticolare un così potente e vasto spettro di interessi illeciti a
dimensione planetaria non può non passare per una solida e funzionale
cooperazione internazionale tra le varie forze dell’ordine. “Molti passi in
avanti sono stati compiuti in questa direzione attraverso una molteplicità di
iniziative: al tradizionale canale di collaborazione Interpol sono andati via
via affiancandosi altri organismi internazionali di polizia, primo fra tutti
Eurogol, che ha visto riconoscersi una specifica competenza nel delicato
settore del traffico di materiale radioattivo, ed una serie di accordi
multilaterali e bilaterali che hanno contribuito a rendere più salda l’azione
di contrasto preventiva e repressiva. Accanto alla collabo9razione
internazionale, un’altra importante direttrice di intervento è rappresentata
dall’azione preventiva. Prevenire significa in primo luogo attivare forme ancor
più moderne ed efficaci di controllo che, superando la tradizionale
impostazione, “sappiano riconoscere e comprendere le dinamiche dei molteplici
territori che coesistono in un medesimo spazio: la città, le zone rurali, le
vie di comunicazioni, le reti telematiche, le linee di confine e così via.
L’ambiente costituisce un territorio specialistico per eccellenza, il cui
controllo per risultare proficuo dev’essere svolto con metodi e strumenti
specialistici ed affidato ad uomini nei quali si è fatto crescere un patrimonio
di competenze e di esperienze in una prospettiva che coniughi l’impiego delle
nuove tecnologie e la professionalità degli operatori di polizia”(4).
Vi è un’altra chiave per affrontare questo tipo di problemi. Una chiave
che, evidentemente, si aggiunge e completa gli interventi di cui si è già
detto. Si tratta della cultura della sensibilità e della legalità,
indispensabile per la comprensione e collaborazione, se non proprio
partecipazione, dei cittadini. Il messaggio da diffondere è un nuovo livello di
sensibilità in ambito europeo su tali tematiche, tra l’altro ad approfondire la
possibilità di perseguire penalmente anche le persone giuridiche responsabili
di danni ambientali. Non è un caso che i Ministri dell’Interno e della
Giustizia dell’Unione abbiano ritenuto di inserire, stabilmente, la tutela
ambientale tra le priorità dell’azione comunitaria. Ma accanto agli interventi
legislativi “occorre sviluppare strategie operative di contrasto di ampio
respiro che non possono non avere una spiccata dimensione internazionale. A
seguito dei sopravvenuti mutamenti nello scenario geo-politico mondiale e della
globalizzazione dei mercati, la criminalità organizzata transnazionale è
divenuta, per potenza di mezzi, capacità di alleanze, dimensioni operative e
disponibilità di capitali, un soggetto capace di muoversi con disinvoltura nei
vari ‘contesti’ regionali, condizionando talvolta la convivenza civile e
democratica di intere comunità, soprattutto nei Paesi meno sviluppati” (5).
Il messaggio da recepire e diffondere è che il fenomeno delle ecomafie,
genericamente inteso come criminalità ambientale, produce effetti
particolarmente nocivi alla salute della collettività. Ogni considerazione
sulle strategie di prevenzione e di contrasto deve ormai essere ricompressa,
quindi, nella c.d. biosicurezza, intesa come tutela della collettività e del
suo habitat naturale dalle insidie che derivano, direttamente o indirettamente,
dai mutamenti biologici e genetici che l’uomo, intenzionalmente o no, apporta.
Siamo consapevoli che, oggi, il nostro ecosistema può essere modificato con
gravissime conseguenze da chi intende avvantaggiarsene illecitamente o anche
per fini eversivi – il c.d. bioterrorismo - , ma siamo del pari fermamente
convinti di essere pronti a raccogliere
e vincere questa nuova ed impegnativa sfida dal cui esito dipende la tutela del
nostro ambiente e della qualità della nostra stessa vita.
Concludendo, è opportuno ribadire che, occorre non solo aggiornare mezzi
e strategie per meglio affrontare la lotta contro i nuovi sistemi criminali
profondamente cambiati dall'era delle informazioni e dell'economia globale, ma
soprattutto è indispensabile raccogliere la sfida che i mutamenti di contesto e
di condizioni impongono, dando vita ad una nuova cultura dei valori.
Naturalmente non ci riferiamo ai valori etici, morali, a quei valori assoluti
sui quali ogni discussione è inutile perché ad essi fanno riferimento ogni
popolo, ma a quei valori che vengono qualificati quali organizzativi in quanto
connotano un'istituzione, un' organizzazione; a quei valori che ne
costituiscono l'identità e che la fanno percepire all'esterno come diversa
rispetto ad ogni altra istituzione ed organizzazione, a quei valori che sono
funzionali al suo successo o che si presentano come elementi limitativi, di
ostacolo a tale successo.
Sono valori questi che, essendo per definizione radicati ed
interiorizzati, regolano, determinano le condotte e l'agire professionale dei
singoli componenti. Per tale motivo è vitale per ogni istituzione avere una
cultura organizzativa che ne esprima i valori nei quali si riconosca identità e
azione. Per altro verso, essi sono per l'interno dell'istituzione l'elemento
più forte di coesione, di orientamento dei comportamenti e d'integrazione dei
singoli nel collettivo; appunto lo spirito di corpo. Verso l'esterno, i valori
sono una leva strategica e competitiva; ad esempio, in Italia, abbiamo più
forze di Polizia e ciascuna di essa esprime propri valori. La percezione che ne
hanno i cittadini non è la stessa, varia da un’istituzione all’altra.
Chi detiene in misura massima la responsabilità di un'organizzazione o di
un'istituzione come la Polizia
di Stato, all’altezza dei suoi compiti, deve avere idee ben chiare sui valori
positivi, funzionali al successo.
Ma idee altrettanto chiare sui valori negativi espressi, su quelli che
ostacolano, che sono limitativi al successo; su quei valori di insuccesso che
sono diventati elementi di identificazione dell'organizzazione e che devono
essere proprio per queste ragioni, con adeguate strategie, depotenziati.
NOTE ALLE
CONSIDERAZIONI FINALI
1.
De Gennaro Giovanni, Intervento del Sig. Capo
della Polizia, Convegno su “Le rotte delle ecomafie”, Palermo, 20
novembre 2000, Internet, www.poliziastato.it,
p. 1.
2.
Ibidem, p. 1.
3.
Ibid., p. 2.
4. Ibid., p. 3.
5. Ibid., p. 5
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