Tesi di Laurea in Sociologia Generale.
In nome del “dovere”.
Selezione e Formazione degli operatori dell’ordine.
CAPITOLO PRIMO di Giuseppina D'Auria
Non vi è Stato
al mondo che tra i suoi ordinamenti non ponga e risolva, in qualche misura e
pro-tempore, sin dal primo atto costitutivo, il problema dell’“ordine”,
dell’”uso della forza” al servizio dell’ordine. Per quanto riguarda il nostro
Paese, dal Risorgimento la storia della Polizia italiana ci accompagna fino ai giorni nostri. E’ nel momento della
costituzione dello Stato nazionale che re Carlo Alberto introduce la nuova
denominazione di Pubblica Sicurezza: nasce in Italia con il Regio Decreto n.
798 del 30 settembre 1848; “l’importanza di tale atto risiede nel fatto che la
struttura di polizia già esistente diviene civile” (1). Solo nel 1852 con la
legge di Pubblica Sicurezza si crea una forza di natura civile, il nuovo Corpo
militarizzato delle Guardie di P.S., esclusivamente dipendente dal Ministero
dell’Interno (2). Nel 1852, con la legge
sull’organizzazione del personale dell’Amministrazione della Pubblica
Sicurezza, venne istituito il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza che,
creato prima a Torino e Genova, nel 1867 si estese progressivamente in tutte le
Province del Regno durante il governo Ricasoli. “Nel 1860 il segretario
generale del Ministero dell’Interno è Silvio Spaventa, professore di filosofia
cui viene affidato l’incarico di redigere il regolamento per il Corpo: la
posizione dell’”uomo a servizio
dell’ordine” che ne deriva è “una via di mezzo tra l’ordine monastico (il
celibato è obbligatorio per le guardie) e la necessaria obbedienza cieca ed
assoluta allo Stato (l’arruolamento avviene in ambito provinciale sotto il
controllo diretto dei Prefetti)” (3).“C’era nella polizia, alla fine del
secolo, un tale stato di disordine che rendeva impossibile un’efficiente lotta
contro i cosiddetti delinquenti (4); l’uso delle forze dell’ordine fatto al
fianco dell’esercito era in chiave antipopolare: il brigantaggio con la sua
spietata repressione ne sarà testimonianza più eloquente” (5). “Nel
biennio 1876-78 il Ministro
dell’Interno è Nicotera: ma nemmeno con
l’avvento della sinistra storica si ha una inversione di tendenza. La politica
dell’ordine pubblico si adegua al criterio, seguito dalla destra, del
“prevenire, non reprimere” che, tradotto in pratica “significava anticipare i disordini
con arresti preventivi e con restrizioni della libertà di riunione e di
movimento”(6).
Col governo Depretis,
nel 1876, si avviò un periodo di riforme e riordinamenti nella Pubblica
Sicurezza: Successivamente anche Crispi mise mano alla riforma con la
fondazione, nel 1890, di un nuovo Corpo, le Guardie di Città, nel quale
confluirono le Guardie di Pubblica Sicurezza e le Milizie Municipali.
Nel 1852, con la legge sull'organizzazione del personale dell'Amministrazione
della Pubblica Sicurezza, venne istituito il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza che, creato prima a Torino e Genova, nel 1867 si estese
progressivamente in tutte le Province del Regno durante il governo Ricasoli.
Dopo la costituzione dell’Amministrazione della
Pubblica Sicurezza nacquero la Milizia Comunale e la Guardia Nazionale
(7). La creazione del Corpo delle guardie di città (Legge n. 7321 del 21
dicembre 1890) in sostituzione di quello delle guardie di p.s. appare connessa
al “tentativo di Crispi di centralizzare l'istituto, attribuendo i compiti
della polizia municipale ad un corpo nazionale unico: tale nuova denominazione
parrebbe indicare anche un tentativo di fornire una corrispondenza tra funzione
svolta e nome, tale da eliminare qualsiasi equivoco tra corpo della p.s. e Carabinieri.)
Ciò si può inquadrare in un progressivo spostamento dell'azione di repressione dal piano
militare a quello di polizia” (8). Dopo la spietata repressione operata dal
generale Bava Beccaris a Milano ed il tentativo
di involuzione che ne segue, con l'avvento di Giolitti il Corpo si
rafforza considerevolmente,
nell'ambito della politica
giolittiana “tendente a sviluppare le istituzioni democratiche liberali”(9).
Dal punto di vista dell'ordine pubblico la
posizione di Giolitti
risulterà modificata almeno nella
forma rispetto a quella pratica fino ad allora;
ma “con l'accentuarsi delle
tensioni sociali dovute alla crescente presenza dei lavoratori e delle
loro organizzazioni nemmeno Giolitti rinuncia
all'uso repressivo delle
forze dell'ordine, pur
limitandolo” (10). Nel 1902, con Giolitti, nacque la prima Scuola di Polizia
Scientifica.
Nell’ottobre
1919 il governo Nitti diede vita alla Regia Guardia
di Pubblica Sicurezza (25.000 uomini impegnati nell’ordine pubblico) “che,
contrariamente a quanto previsto per il precedente corpo, viene considerata
come parte integrante delle forze armate dello Stato”, e gli Agenti
Investigativi (8.000 uomini con incarichi di alta qualificazione
professionale). “Fu una scelta di matrice essenzialmente politica: ossia il
frutto del tentativo di riassorbire tutti gli elementi di disordine che
potevano essere costituiti dalla disoccupazione post bellica degli ex
combattanti rientrati dalla Prima Guerra Mondiale e privati di sbocchi nelle
forze armate dello Stato”. Entrambi i Corpi vennero sciolti nel 1922.
Tre anni dopo, nel 1925,
con Regio Decreto, “la
Regia Guardia venne sciolta e fu costituita la Milizia Volontaria
per la Sicurezza
Nazionale, di cui si servì il regime nei primi anni di
assestamento. “Si trattava di una polizia non inquadrata nell’organizzazione
statale e fedele sotto il profilo politico”(11). Appena consolidato il
fascismo, Mussolini volle ricostruire la p.s. che tornò alla denominazione di
Corpo di Agenti di p.s., contemporaneamente la Milizia venne privata
delle attribuzioni di polizia”. “La pressione cui vengono sottoposti gli uomini
della P.S. determina situazioni di scontento sempre più frequenti e condizioni
di vita estremamente disagiate: non ci sono orari prestabiliti di lavoro, non è
previsto il giorno di riposo
settimanale, gli stipendi sono ancora molto bassi, gli alloggi per coloro che non hanno famiglia sono
inadeguati se non malsani; inoltre il Regolamento prescrive un’età per
contrarre il matrimonio (28 anni) oppure avere maturato almeno sei anni di
servizio, ma tutto è subordinato a rigorosi accertamenti sulla moralità della
futura consorte e della sua famiglia fino alla 7° generazione: uno zio suicida
o un nonno incarcerato possono costituire motivo ostativo alle nozze (12)”. A
ciò si abbina una gerarchia impreparata, inefficiente, spesso guidata
esclusivamente da interessi personali, che si serve dei regolamento militari
per rendere ancora più gravosa la vita
dei dipendenti, in molti casi compiendo soprusi. Per fare un esempio dei
condizionamenti sulla vita affettiva e sociale delle Guardie, Paloscia racconta
che “quando la fidanzata era in attesa di un figlio la soluzione era il
matrimonio religioso. Tutto doveva avvenire in gran segreto, come per Renzo e
Lucia, altrimenti l’agente correva il rischio di restare senza lavoro (13). Dal
punto di vista del lavoro i mezzi tecnici di cui dispone la P.S. sono vetusti
(nell’immediato dopoguerra si vanno a ripescare le jeep ed i mezzi pesanti
abbandonati dagli alleati), mancano collegamenti radio, le stesse suppellettili
vengono fornite da qualche occasionale benefattore. Le voci di dissenso sono
fidamene annullate grazie alle cosiddette ‘aggregazioni (giustificate
formalmente con esigenze di servizio) che si trasformano in trasferimenti dei
responsabili. Altra arma in possesso dei vertici della P.S. è l’allontanamento
coattivo dall’Amministrazione: si tratta di un provvedimento sempre praticabile
nei confronti del personale ‘ausiliario’ o ‘aggiunto’, che deve attendere molti
anni prima di veder consolidata la propria posizione lavorativa, ma anche il
personale ‘effettivo’ può essere allontanato rapidamente, magari con la
minaccia della denuncia al tribunale militare (14). Nonostante l’esistenza di
tali circostanze sfavorevoli “si ha notizia di varie forme di protesta, forse
connesse all’immissione massiccia di ex partigiani nella struttura della P.S.;
ma di tali proteste non è pervenuta altra testimonianza storica se non il
documento dei cosiddetti ‘Agenti Democratici, redatto il 21/2/1947, conservato
presso la Camera
del Lavoro di Genova, che risulta inviato alla Costituente, dove però non trova
sbocco in alcuna riforma legislativa (15). Di tale documento colpiscono
l’essenzialità del testo e la precisione con cui sono enumerate le richieste di
vari miglioramenti.
Come tutte le opere e le operazioni umane neppure
l’organizzazione dalle Polizia sotto il Fascismo era impenetrabile; infatti
come scriveva Massimo Buggea “il Corpo degli agenti di p.s. non è integralmente
votato alla logica imposta dal Fascismo: i dissensi sono tali da indurre il
governo, nel 1928, ad emanare un decreto nel quale prevede la dispensa dal
servizio per gli ufficiali e gli impiegati che non danno completa garanzia di
fedele adempimento dei doveri e che comunque siano in posizione incompatibile
rispetto alle direttive politiche generali del governo”. A partire dal 1926,
sotto la gestione del prefetto Bocchini, i compiti della polizia crescono in
modo abnorme anche nel campo amministrativo, dove lo Stato subordina il
rilascio di qualsiasi licenza all’esistenza dei presupposti dell’ordine
pubblico e dell’utilità per il regime (17). L’opera di Bocchini è
rivoluzionaria per il periodo in cui viene concepita: comincia con la creazione
della Divisione di Polizia Politica (i cui uffici provinciali sono diretti da
funzionari di polizia ma dipendono dai Prefetti, spesso di nomina politica,
che, dipendenti dal Sottosegretario all’Interno, sfuggono al controllo del
Prefetto Bocchini) e della Divisione di Polizia di Frontiera e dei trasporti.
Nel giro di circa un anno ristruttura sia la Direzione Generale
sia gli uffici periferici e getta le basi di una polizia che sarà la più
moderna d’Europa (18). “L’istruzione del personale viene migliorata con un
conseguente innalzamento delle condizioni degli operatori nei settori della
preparazione professionale, della disciplina e della stima per il proprio
lavoro, nonostante permanga un diffuso malcontento derivante dalle disagiate
condizioni economiche. Tutto l’apparato viene reso più agile, rinforzato e
dotato di mezzi tecnici più efficienti (19). Bocchini fu il creatore della
moderna polizia italiana: una polizia che, oltre a costituire un ottimo
strumento di prevenzione e di repressione è adeguata a tastare il polso
dell’opinione pubblica, mentre la stampa, sottoposta a censura, non può più
assolvere a tale compito. Come afferma
Paloscia “la polizia durante il regime, artefice Bocchini, ebbe una sola faccia
in cui fu molto produttiva, quella della repressione contro gli oppositori
politici, per cui fu chiamata polizia fascista per far intendere che si era
sposata con la dittatura”(20). Nonostante questo clima “non mancano nella p.s.
esempi di umanità e di professionalità, come testimoniano i numerosi episodi di
solidarietà da parte di appartenenti al Corpo verso esponenti dell’opposizione
salvati dalla prigione se non dalla morte. Inoltre non è irrilevante il
contributo del Corpo alla resistenza, mentre è del tutto inutile il tentativo
di Mussolini di ricostruire una polizia asservita compiuto nel novembre 1943,
istituendo la
Guardia Nazionale Repubblicana e la Milizia Ausiliaria
Repubblicana: dopo pochi mesi degli appartenenti a queste due formazioni si
allontanarono portando con loro le armi e si ebbero numerosi episodi di sabotaggio”
(21). Il 31 luglio 1943 il governo Badoglio
militarizzò la P.S.,
con esclusione dei funzionari e del personale addetto alla polizia femminile
(si trattò di un provvedimento provvisorio che avrebbe dovuto essere revocato
con il mutare della situazione storica; “al contrario la p.s. è rimasta
strutturata militarmente fino alla legge di riforma attuata nel 1981”) e il primo governo Bonomi,
formato dopo la liberazione di Roma istituì il nuovo Corpo delle Guardie di
Pubblica Sicurezza (decreto del 2.11.1944), interamente dipendente dal
Ministero dell’Interno. Per “impedire che la polizia del nord Italia fosse
troppo politicizzata e sindacalizzata al termine della lotta di liberazione, il
governo Bonomi emanò un decreto che prevedeva il divieto per il personale
civile e militare dell’amministrazione della p.s. di appartenere a partiti
politici o ad associazioni sindacali anche se a carattere apolitico”.
Dopo la caduta del fascismo il governo Badoglio
militarizza gli agenti di p.s., già strutturati in modo paramilitare ma il cui
personale godeva di uno stato giuridico civile (22). “Proprio alla vigilia
della Liberazione e mentre in Italia si stanno per avviare processi di
cambiamenti sociali nel nuovo clima politico di libertà, la polizia resta
relegata al ruolo di scomodo trait d’union con il passato regime, senza
possibilità per un suo sviluppo né per un serio inserimento nella vita del
Paese” (23).
Il referendum del 2 Giugno 1946 mutò, com'è noto, la
forma istituzionale dello Stato italiano. Sia pure non in misura schiacciante,
la forma repubblicana prevalse su quella monarchica (nota a piè di pagina
Esattamente, 12.717.923 furono i voti in favore della Repubblica, 10.719.284
quelli per la Monarchia;
i voti nulli 1.458.150. Questi i dati che il Primo Presidente della Corte
Suprema di Cassazione Giuseppe Pagano lesse nella Sala della Lupa, alla Camera
dei Deputati, il 18 Giugno successivo.
Un passaggio non indolore segnò la storica data,
poiché non poche furono le riserve avanzate dalla parte perdente, invano controbattute
dal governo in carica con ripercussioni popolari che raggiunsero qua e là punte
altamente drammatiche). Il Re Umberto II, prima di lasciare l’Italia,
nonostante il parere dei sui più vicini consiglieri, tagliò, come si suol dire,
la testa al toro: anche e soprattutto per non voler esser causa di ulteriori
sciagure per l'Italia, già tanto provata, sciolse dal giuramento le Forze
Armate e le organizzazioni civili dello Stato e, nel pomeriggio del 10 Giugno,
dall'aeroporto di Ciampino, partì in volontario esilio per il Portogallo
(Cintra prima, Cascais dopo) (24).
Con la Repubblica la Polizia
ebbe “compiti molto gravosi e l'ordine pubblico fu uno dei principali problemi
del Paese. La costituzione della "Celere", nel primo semestre del 1946, fornì
la Pubblica
Sicurezza di uno strumento flessibile particolarmente adatto per gli interventi di ordine
pubblico” (25).
Una data importante, dunque, quella del 2 Giugno 1946 nella storia d'Italia e, come
tale, ricordata pressoché ogni anno con feste e parate militari, talune davvero
imponenti, alle quali, fino alla Legge di riforma del 1981, partecipò sempre
brillantemente la Polizia
con rappresentanze degli istituti d'istruzione, dei reparti ad inquadramento
diretto, della Stradale e degli squadroni a cavallo. I momenti e le date che
segnano la storia della Polizia in Italia non devono trarci in inganno in
quanto costituivano i riferimenti di massima di processi dolorosi e complessi,
“la seconda guerra mondiale era da poco finita, ma le innumerevoli ferite da
essa inferta, erano tuttora sanguinanti e soprattutto gli animi erano
esacerbati da odi violentissimi contro coloro che, volenti o nolenti, avevamo
portato il Paese alla rovina. E c'era stata poi la lunga guerra civile, che
aveva scavato solchi profondi in larghi strati del popolo italiano. I partiti
politici ne catalizzavano i diversi sentimenti e speso li esasperavano; talché
la dialettica democratica, che avrebbe dovuto avere come limite invalicabile il
rigoroso rispetto reciproco delle idee, trovava cento pretesti per superare
questi argini e dilagare in sopraffazioni e violenze. II principale bersaglio
delle controversie era, appunto, l'istituzione monarchica, considerata la causa
prima dei tanti mali piombati sull'Italia e, quindi, bubbone da estirpare a
tutti i costi. Gli avversari di tale concezione, che non erano pochi,
reagivano, di conseguenza, con pari determinazione e furore” (26). In questa
fase che segna il rischioso passaggio da una forma di Stato ad un’altra un
contributo notevole fu dato dalla Polizia, “che si trovò, si può dire
quotidianamente, in quella lunga rovente vigilia, in mezzo a mischie furibonde
per salvaguardare le ancor deboli strutture istituzionali, garantire le libertà
democratiche e difendere l'incolumità stessa degli antagonisti. Quel periodo
ormai così lontano rappresentò davvero, per la nostra Polizia, una prova
estremamente significativa di maturità. Essa, probabilmente, fu la prima, tra
gli organismi preposti al mantenimento dell'ordine e della sicurezza interna, a
concepire l'altissima delicatezza politica dei suo ruolo. ‘Sub lege libertas’,
il motto che si diede e che seppe subito onorare con fatti inoppugnabili,
sovente pagando prezzi non lievi in termini umani. …Spesso, in non poche
circostanze eccezionalmente drammatiche, la Polizia risultò la sola barriera fisica - a volte
esile barriera, forte soprattutto della sua dignità, peraltro non una volta
soltanto apprezzata dalle stesse fazioni contrapposte - ad evitare lo
straripamento delle passioni nell'illegalità e nel danneggiamento, se non nella
distruzione, di prestigiose sedi istituzionali, dalle conseguenze morali e
sociali disastrose…”(27). Ricordando i colloqui avuti con gli agenti, con i
dirigenti ed i direttori delle diverse riviste, questi motivi di scontento si
ritrovano quasi tutti presenti nella realtà quotidiana odierna. Rimane
d’augurarsi solo che quanto accadeva in passato, nel passato recente ed accade
oggi non debba accadere in futuro. E ciò anche perché per via delle
complicazioni del vivere sociale, tutte le forze dell’ordine saranno chiamate
ad assicurare le più alte garanzie di democrazia alla vita civile.
Proseguendo nella nostra analisi “gli anni che seguono
la fine della seconda Guerra Mondiale vedono un crescente impiego del la
polizia da parte del governo come mezzo di controllo dell'ordine pubblico,
mentre parallelamente, è costantemente disatteso l'impegno sul fronte della
lotta alla criminalità: tale atteggiamento determina uno squilibrio nello
sviluppo dell'organizzazione della p.s. tale da incidere profondamente sul suo
grado di efficienza operativa e nei rapporti con i cittadini. Del resto l'atteggiamento da parte della
popolazione nei confronti delle forze dell'ordine è riconducibile
al pessimismo nutrito dai cittadini verso l'intero complesso
dell'attività giudiziaria oltre
che ad avere radici nei comportamenti spesso illegali, autoritari
o lassisti degli appartenenti
alla forza pubblica” (29).
Il terzo governo De Gasperi, nato nel gennaio 1947, ha come titolare del
dicastero dell’Interno Mario Scelba. Il 1° maggio 1947 la strage di Portella
della Ginestra apre il periodo di crisi tra governo ed opposizioni di cui si
aveva sentore dopo la sconfitta del “Fronte Popolare” nelle elezioni per la Regione Sicilia
del 18 aprile 1947 (30). “Durante il 1947 c’è un crescendo di conflittualità
nei rapporti tra il Viminale e le opposizioni” (31).
L’anno 1947 vede la riorganizzazione dei servizi di
Polizia Stradale alle cui esigenze doveva provvedere il personale del Corpo
delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Buggea riferisce che “nel 1949 viene
nominata una commissione parlamentare con l’incarico di stabilire se sia
opportuno o meno convertire in legge il decreto del 1943, nonostante la
sinistra si mostri preoccupata dall’uguaglianza prevista tra agenti di polizia
e soldati, il decreto viene convertito in legge nel maggio 1949”. Intanto
“…l'equipaggiamento degli uomini
della Celere viene ammodernato e potenziato mentre nuovi battaglioni
vengono istituiti nelle città dove più forti sono i contrasti sociali; le esigenze connesse all'ordine pubblico
fanno si che anche i successori di Scelba (Fanfani dal 17 agosto 1953 e
Andreotti dal 9 febbraio 1954) privilegino lo sviluppo di questi reparti” (32).
Paloscia fa un elenco dettagliato delle assunzioni e
dei mezzi forniti alla Polizia in vista delle elezioni del 1948; infatti “per
provvedere all’accasermamento i Prefetti hanno la facoltà di requisire per
brevi periodi (6-10 mesi) edifici appartenenti al demanio, ad enti pubblici e a
privati. L’armamento viene migliorato con la dotazione dei mitra e con la
fornitura di autoblindo”(33). Sempre secondo la lucida cronaca degli eventi
fatta da Paloscia, “durante il 1948 vi fu una vera e propria epurazione dei
partigiani dalla Polizia” ad opera di Scelba il quale ammise “molti anni dopo,
nel 1971 al quotidiani ‘Il resto del Carlino’, che la sua intenzione era di
‘far piazza pulita’.
La maggior parte dei partigiani si dimise perché
subiva dalle gerarchie discriminazioni che riteneva motivate da volontà di
persecuzione politica. La ‘Celere’,
inventata dal predecessore
di Scelba, il
socialdemocratico Giuseppe Romita,
“si trasforma da mezzo per sciogliere più rapidamente gli assembramenti in un autentico esercito, pronto ad essere
usato con durezza in qualsiasi parte dell'Italia” (34). Secondo Paloscia la Celere “nelle intenzioni di
Romita doveva essere una struttura addestrata a far fronte ad ogni emergenza
dell’ordine pubblico con interventi incruenti. L’uso dello sfollagente doveva
sostituire l’impiego delle armi da fuoco, …e il carosello delle camionette
…doveva aggiungere un fattore decisivo per la riuscita dell’intervento”(35).
Ma così non fu perché la Polizia fu dotata di armi
da fuoco che superavano quelle delle altre specialità di polizia, quali la
pistola calibro 7,65 e il mitra Beretta.
L’impiego della Celere nei servizi di ordine pubblico
avrebbe dovuto rappresentare un passo avanti verso la strategia di polizia
civile, ma si trasformò, nel 1949, “in una forza di controguerriglia, fornita
di autoblindo, mitragliatrici pesanti e perfino mortai. I battaglioni Celere
costituivano una specie di cintura di sicurezza intorno ai territori in cui si
temeva potessero insorgere gravi emergenze”(36). Nel corso degli Anni Cinquanta
furono introdotte le prime novità in tema di ammodernamento: una sala operativa
al Viminale, un progetto per installarne altre nelle Questure. Si avviò della
rete di collegamenti radio con le auto impegnate nei servizi anti-rapina.
Crebbe la Polizia
Scientifica, ma la novità assoluta fu l'istituzione del Corpo
di Polizia Femminile (1959) con compiti limitati alla tutela delle donne e dei
minori. Secondo Paloscia gli anni ’50 misero in evidenza “esitazioni dei
pubblici poteri nel colpire i delitti di mafia… …i documenti degli archivi
della Criminalpol dicono che fu una guerra di tipo gagsteristico tra i vari
sodalizi mafiosi interessati a definire i confini territoriali e le competenze
nella gestione delle nuove fonti di illecito guadagno” (37). Il periodo fino al
1968 sarà tranquillo sotto il profilo degli scontri di piazza. E’ interessante
notare come durante questo periodo la realtà lavorativa per i componenti dalla
P.S. non subisca sostanziali modifiche:
“nemmeno il memorandum Bye”, redatto dal colonnello inglese nel 1947, “su
incarico della commissione alleata di controllo, per evidenziare i mali della
Polizia con gli eventuali rimedi, riesce a scuotere l’atteggiamento apatico”,
dovuto alle lacune di carattere sociale, “nei confronti di qualsiasi
miglioramento”(38), causando il basso rendimento delle forze di polizia in
Italia. Nelle riflessioni del Colonnello Bye “erano poste con rilievo le
questioni dei bisogni vitali dei poliziotti, dei valori professionali,
dell’autonomia dei progressi di carriera dal potere politico, del rapporto con
la società.
Il colonello Bye è preciso nel proporre la cura per la
p.s.: "Riorganizzazione della Polizia su basi regionali, con capi di ogni
regione autorizzati a provvedere direttamente all'arruolamento; riconoscimento
del diritto al giorno di riposo settimanale e al pagamento del lavoro
straordinario; costituzione dì un comitato rappresentativo con la funzione di
far conoscere ai massimi gradi delle gerarchie i problemi attinenti al
benessere degli uomini del Corpo”(39). Paloscia in un paragrafo della sua
opera, intitolato “il poliziotto negato”, fa il resoconto dello “stato di
salute” della Polizia italiana, propagandato, all’epoca, come “eccellente”, ma
solo sotto la facciata, poiché … “c’èrano i mali profondi che l’istituzione si
trascinava da un secolo. E il più grave di questi mali, il distacco tra la Polizia e la società,
impediva di scorgere come erano cresciuti i difetti della struttura e le
sofferenze del personale” (40). Negli anni ’50 ogni lavoro di pulizia pesava
sugli agenti; si poteva fare la doccia calda solo una volta la settimana; il
vitto era scarso, raramente il poliziotto mangiava la carne; spesso i vincitori
dei concorsi per sottufficiali dovevano rinunciare perché non potevano
mantenersi al corso di specializzazione”(41). Le pagine di cronaca narrano di
suicidi, dovuti alle pesanti condizioni di vita dei poliziotti, “tanto che
negli anni ’50 il Viminale ne fece oggetto di una circolare con cui si
invitavano gli ufficiali ad avvicinare e seguire attentamente gli uomini affidati
al loro diretto comando, chiedendo, nei casi difficili, la collaborazione dei
cappellani militari (42).
Paloscia racconta di come “i poliziotti avessero
bisogno di sentire intorno a loro la stima dei cittadini”. Si sentivano
ripagati assai più da questo che dagli apprezzamenti del governo e
dall’autocompiacimento dei superiori.
Da una parte, i riflettori del governo illuminavano l’immagine di una
Polizia capace di garantire l’ordine e la libertà, dall’altra le campagne
dell’opposizione denunciavano i maltrattamenti di indiziati durante gli
interrogatori, gli eccessi nell’uso delle armi, gli abusi verso i cittadini, la
tolleranza per i rigurgiti del fascismo, i compromessi con la mafia” (43).
Magistri, che ha vissuto in un’epoca immediatamente
successiva la sua professionalità in Polizia ricorda in un suo scritto che “dal
punto di vista del lavoro i mezzi tecnici di cui dispone la p.s. sono vetusti
(nell'immediato dopo guerra si vanno a ripescare le jeep ed i mezzi pesanti
abbandonati da gli alleati), mancano collegamenti radio, le stesse
suppellettili vengono fornite da qualche occasionale benefattore”(44).
Come narra Paloscia “il memorandum Bye era stato
accolto con freddezza dal governo. Per molti anni ancora i poliziotti subirono
l’isolamento, il valore della professionalità fu condizionato dalle influenze clientelari, le
caserme rimasero fatiscenti e prive di riscaldamento, l’addestramento scarso e
fatto su modelli sbagliati. Dagli studi di Buggea è emerso che “le voci di
dissenso venivano rapidamente
annullate grazie alle
cosiddette “aggregazioni” (giustificate formalmente
con “esigenze di servizio”) che si trasformavano in trasferimenti dei
responsabili. Altra arma in possesso dei vertici della p.s. era
l’allontanamento coattivo dall'Amministrazione: si trattava di un provvedimento
sempre praticabile nei confronti del personale “ausiliario” o “aggiunto”, che
doveva attendere molti anni prima di veder consolidata la propria posizione
lavorativa, ma anche il personale “effettivo” puteva essere a1lontanato
rapidamente, magari con la minaccia della denuncia al tribunale militare” (45).
“Nonostante l'esistenza di tali circostanze sfavorevoli si ha notizia di varie
forme di protesta, forse connesse all'immissione
massiccia di ex partigiani nella struttura della p.s.; ma di tali proteste non
è pervenuta altra testimonianza storica se non il
documento dei cosiddetti “Agenti democratici”,
redatto il 21 febbraio 1947, conservato presso la Camera del Lavoro di
Genova, che risulta inviato alla Costituente dove però non trova sbocco in
alcuna riforma legislativa”(46). Del documento, riportato integralmente sia in
Marinelli che in Paloscia, colpisce l'essenzialità del testo ma anche la
precisione con cui sono enumerate richieste di vari miglioramenti. Già al punto
1: "Dare al Corpo un completo aspetto civile togliendolo dalla situazione
confusa in cui si trova" si coglie una problematica che resterà insoluta a
lungo. La richiesta di cui al punto 2 troverà attuazione solo con la legge di
riforma del 1981: "Le forze di p.s. chiedono di costituirsi in sindacato
di categoria perché siano riconosciuti i loro diritti morali, materiali ed
economici"; inoltre la richiesta
di un nuovo
regolamento (punto 3), di varie migliorie sotto
il profilo retributivo
e pensionistico, la
richiesta del beneficio delle case
popolari (punto 11) e di una valida assistenza sanitaria (punto 12); infine
la proposta per l'abolizione delle punizioni militari
con l'instaurazione di
un diverso regime
disciplinare (punto 13)(47). Nel campo della prevenzione e nella
formazione del personale, l’istituzione rimase per tutti gli anni ’50 ai
livelli denunciati dal colonnello Bye. Vicari, in quanto capo della Polizia,
aveva in mente concetti di rifondazione, poiché, come riferisce Paloscia, volle
“lo slogan ‘La Polizia
al servizio del cittadino’ ben visibile in tutti gli uffici di polizia. …Voleva
essere il portatore dell’idea che i referenti della polizia sono il Parlamento
e la società. …Vicari ebbe anche il buon senso di suggerire costantemente
moderazione nelle misure di ordine pubblico, ma non riuscì a far cessare
definitivamente da parte delle forze di polizia il ricorso alle armi da fuoco”
(48).
Negli Anni Sessanta fu istituita la Criminalpol. Ci fu
anche una crescita nel campo della formazione professionale con l’istituzione
nel novembre 1960 della divisione scuole della polizia e, nel 1964, l'Accademia che
formava gli Ufficiali del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. La cronaca
storica della riforma Vicari trasmessaci da Paloscia evidenzia con amarezza
quale “macigno pesava sulla condizione degli agenti: lo stato militare non ere
solo una forma ma lo strumento oppressivo che negava l’esercizio dei diritti
costituzionali a chi doveva prodigarsi per garantirli ai cittadini: Ogni
rivendicazione degli agenti, ogni protesta, offendeva la gerarchia, era
considerata insubordinazione; si rispondeva con le punizioni, l’espulsione dal
Corpo, la denuncia ai tribunali militari” (49).
La filosofia di Vicari non migliorò il clima delle
caserme, non attenuò le asprezze del rapporto gerarchico. Ogni critica, anche
la più ovvia, doveva essere espressa solo in condizioni di sicura
clandestinità”.
Vicari riassunse la filosofia di rifondazione delle
scuole nove anni dopo aver preso la guida della Polizia. Nella presentazione al
libro Le scuole di Polizia in Italia, edito dal Vicinale nel luglio del
1969, scrisse di aver riformato le scuole di polizia secondo due principi: “1,
devono formare uomini preparati spiritualmente e tecnicamente a svolgere la
funzione di polizia , quale è delineata dalla Costituzione della Repubblica; 2,
devono raggiungere la massima efficienza tecnica attraverso un’accurata
specializzazione”(50).
L’esperienza dell’Accademia, istituita nel 1964 “fu,
nel complesso, positiva, produsse vari benefici… risolse la crisi che
minacciava di portare all’estinzione l’organico degli ufficiali… Dalla vita
civile non si presentavano candidati perché si chiedeva per l’ammissione al
concorso la laurea e il servizio militare già fatto. Chi aveva quei requisiti
preferiva cercare un impiego più tranquillo e più remunerativo…L’Accademia dava
la possibilità di programmare la formazione dell’ufficiale sulla base delle
esigenze della polizia… dei quadri preparati con cura a svolgere tutti i
compiti propri dell’istituzione, …poiché fino al ’64 il reclutamento veniva
effettuato fra gli ufficiali dell’Esercito, delle altre forze armate e fra i
sottufficiali del Corpo, i quali venivano avviati a frequentare corsi di
istruzione, di durata variabile a seconda della provenienza” (51), presso la Scuola Allievi
Ufficiali e sottufficiali di Roma, attualmente sede dell’Istituto Superiore di
Polizia.
Il 1969 è un
periodo storico in cui iniziano le stragi e lo Stato è al centro di trame e moti studenteschi; “treni e banche
divennero obiettivo di attentati preannunciati… Vicari e il suo consigliere per
l’ordine pubblico, il questore Troisi, migliorarono la protezione dei reparti
per ottenere interventi più controllati e misurati nelle situazioni di
emergenza”(52); l’elmo di plastica con visiera sostituì l’elmetto di metallo,
il nuovo manganello, più lungo e morbido, avrebbe consentito di colpire da una
distanza maggiore, provocando al contempo lesioni meno gravi…” (53). Gli Anni
Settanta furono anche quelli della lotta al terrorismo: venne creato il Nucleo
Operativo Centrale Sicurezza (Nocs). C’è una svolta nella lotta contro
l’eversione; “il Viminale si riorganizza, vengono soppressi gli Affari
Riservati, e nasce l’Ispettorato per la lotta al terrorismo (S.D.S.), affidato
al questore Santillo. Finalmente un potere statale rompeva l’omertà con i
poteri invisibili. Il rilievo di questo fatto sarà riconosciuto più tardi. Nel
1977 l’attività dell’S.D.S. si avviò alla conclusione in attuazione della
riforma dei servizi segreti. Furono trasferiti ad un apparato nuovo, il SISDE,
i principali compiti di ‘intelligence’ nella lotta al terrorismo, e fu
istituito un braccio operativo contro l’eversione nell’ambito della direzione
generale di P.S., l’UCIGOS” (54). Naturalmente la storia dei servizi segreti e
delle tecniche operative usate è molto lunga e altamente istruttiva. Ma, per
un’analisi, non basterebbe un’altra Tesi.
Paloscia, in
merito agli anni ’70, commenta che “difficilmente si potrà risolvere il
problema dell’eredità del terrorismo se non si accetta come punto di partenza
la consapevolezza che la natura dell’anomalia ha a che fare con sociopatie da
noi stessi prodotte” (55). Nel 1981 comincia la "nuova era" della
Polizia italiana. Viene approvata la
Legge di Riforma della Pubblica Sicurezza (1° aprile 1981,
nr. 121). La riforma “prese spunto dalle rivendicazioni portate avanti per
quasi un decennio da un numero consistente di appartenenti, che avevano il
comune obiettivo della revisione dell’istituto di polizia” (56).
La smilitarizzazione, le rappresentanze sindacali, le
pari opportunità di carriera tra uomini e donne, sono alcune delle novità
sostanziali della Polizia di Stato: è questa infatti la denominazione
dell'Istituzione che va a sostituirsi alla precedente (Corpo delle Guardie di
Pubblica Sicurezza).
L'Amministrazione della Pubblica Sicurezza si
configura come la cornice complessiva
entro la quale opera il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, responsabile del
coordinamento tecnico-operativo di tutte le Forze di Polizia.
L'emergenza mafia
caratterizza in maniera forte la fine degli Anni Ottanta fino ai nostri giorni,
e determina le strategie di contrasto connesse a questo fenomeno criminale. Il
Dipartimento risponde dando impulso alla creazione di strutture specializzate e
instaurando una forte collaborazione operativa con le Polizie degli altri
Paesi, collaborazione internazionale che è ormai diventata l'elemento
essenziale della nuova Europa, alla cui domanda di sicurezza rispondono, dopo
gli accordi di Schengen, l'Europol e le strutture ad esso collegate (57).
Lungo la stesura di
questo capitolo, nel quale abbiamo seguito soprattutto un tracciato di tipo
storico, abbiamo rilevato la lenta e costante crescita di una coscienza di
categoria che, a volte, ha avuto momenti di incertezze e perplessità, ma,
nell’insieme, di crescita. Si vedano le numerose riviste e le conquiste
sindacali realizzate.
NOTE
AL PRIMO CAPITOLO
1.
Buggea Massimo, La questione del
sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica
sicurezza (1974/1981), Firenze, Università degli Studi di Firenze-Facoltà
di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”, A.a. 1989/1990, p. 12.
2.
Ibidem, cit., p. 14.
3.
Buggea Massimo, La Polizia di Stato in “I.P.A. Italia”, 1997, n. 1, p.2.
4.
Buggea Massimo, La questione
del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica
sicurezza (1974/1981), cit., p. 16.
5.
Ibidem, cit., p. 17.
6.
Ibidem, cit., p. 18.
7.
Ministero dell’Interno, Polizia di Stato-La storia, Roma, Ministero dell’Interno, 1999,
p. 3.
8.
Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia dalle origini
alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981), cit., p. 18.
9.
Ibidem, p. 18
10.
Ibidem, p. 19.
11. Ibidem,
p. 21.
12. Paloscia Annibale, Storia
della polizia, Roma, Newton
Compton, ottobre 1989, pp. 152-153.
13. Ibidem, cit., p. 152.
14. Buggea Massimo, La questione del sindacato di
polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza
(1974/1981), cit., pp. 22-23-24.
15. Paloscia Annibale, Storia
della polizia, cit., p.117.
16. Scrive Paloscia che
“l’Assemblea Costituente” non varò una riforma di Polizia,…non trattò in modo
esplicito le questioni relative al modo di essere della Polizia, ma il testo
della Costituzione, approvato il 22/12/1947, offriva ai Prefetti e agli
operatori della Polizia un quadro di riferimenti che li collocava in una
situazione nuova della società nazionale. Ma dovranno passare venti anni prima
che ci sia coerenza tra i principi costituzionali e la qualità della Polizia.
V. Paloscia Annibale, Storia della Polizia, cit., p.118.
17. Buggea Massimo, La
questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della
pubblica sicurezza (1974/1981), cit., p. 22.
18. Ibidem, cit., p. 23.
19. Ibidem, cit., pp. 23-24.
20. Ibidem, cit., p. 25.
21. Ibidem, cit., p. 26.
22. Ibidem, cit., p. 31.
23. Paloscia Annibale, Storia
della Polizia, cit., p.119.
24. Come ricorda ancora lo stesso
Autore, “erano tempi, quelli, in cui i movimenti delle forze di Polizia erano
affidati alle gambe dei singoli: autocarri e pullman vennero dopo, molto dopo.
Ci si muoveva dalle caserme per tempo - anche di notte o in ore antelucane - e,
perfettamente inquadrati, si
raggiungevano i posti di servizio a volte lontani chilometri. E, dopo
ore ed ore di interventi snervanti, allo stesso modo si rientrava in sede. A
rifocillarsi con le... minestrine in polvere degli americani). …Gran parte
delle stesse scarpe calzate da quegli uomini erano appartenute a soldati
alleati caduti”. V. Magistri Francesco, La Polizia all’alba della Repubblica,
in “Fiamme D’Oro”- A.N.P.S., Maggio-Giugno 1999, n. 5-6, pp. 8-9.
25. Ministero dell’Interno, Polizia
di Stato-La storia, cit.,
p. 3.
26. Magistri Francesco, La Polizia all’alba
della Repubblica, cit., p. 9.
27. Ibidem, cit., p. 8.
28. Anche Paloscia osserva che
“la paga era bassa, l’accasermamento precario, molte notti si passavano
all’addiaccio, il vitto era scarso, i mezzi di trasporto erano insicuri perchè
si trattava di residuati bellici dell’esercito americano”. V. Paloscia Annibale.,
Storia della Polizia, cit., p. 136.
29. Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia
dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981)-La
polizia durante il fascismo, cit., p. 32.
30. Paloscia Annibale, Storia
della Polizia, cit., p. 119.
31. Ibidem, cit., p. 120.
32. Buggea Massimo, La
questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della
pubblica sicurezza (1974/1981),
cit., p. 38.
33. Paloscia Annibale, Storia
della polizia, cit., p.
146.
34. Ibidem, cit., pp. 38-39.
35. Ibidem, cit., p. 146.
36. L’equipaggiamento dei
‘celerini’ era costituito da mitra e pistole, tascapane contenente una bomba a
mano, elmetto, occhiali di protezione per i gas lacrimogeni, guanti da
motociclista, giubbone di panno, tuta da meccanico. Per la mitragliatrice
pesante le istruzioni ministeriali avvertivano che doveva essere usata ‘per far
fronte ad eventuali necessità eccezionali’… “Una forza di Polizia come la Celere non aveva riscontro
in nessuna parte del mondo”. V. Paloscia, Storia della Polizia, cit., p.
147.
37. Ibidem, cit., p. 142.
38. Ibidem,
cit., p. 150.
39. Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia
dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981)-La
polizia dalla caduta del fascismo al 1969, cit., p. 39.
40. Paloscia Annibale, Storia
della Polizia, cit., p. 151.
41. Ibidem, cit., p. 151.
42. Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia
dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981),
cit., pp. 33-34.
43. Paloscia Annibale, Storia
della Polizia, cit., p. 154.
44. Magistri Francesco, La Polizia all’alba
della Repubblica, cit., p. 9.
45. Buggea Massimo, La
questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della
pubblica sicurezza (1974/1981), cit., p. 35.
46. Ibidem, cit., p. 36.
47. Ibidem, pp. 36-37.
48. Paloscia Annibale, Storia
della Polizia, cit., p. 187.
49. Le idee del ’68 crearono
movimenti culturali e politici che ovunque trovarono resistenza, in ogni parte
del mondo, in ogni settore della società, produssero forte conflittualità; le
forme di lotta ovunque si organizzavano, avevano lo stesso carattere: erano
spontanee, senza gerarchie, e riuscivano a far marciare insieme la gente.
“L’esperienza del ’68”, a detta di Paloscia, “fece maturare la Polizia. Il difficile
ruolo che fu chiamata a sostenere la rese consapevole che al suo interno c’era molto da cambiare. Le
immagini diffuse ogni giorno degli agenti che si battevano furiosamente con gli
studenti produssero un interesse nuovo. Il poliziotto diventò il pianeta da
esplorare e non fu più uno sconosciuto, …e i suoi superiori dovettero
accorgersi che era un uomo pieno di bisogni”. Pier Paolo Pasolini pubblicò
sull’Espresso dell’11 giugno 1968 dei versi, dando al poliziotto una
connotazione di classe sociale. V. Paloscia Annibale, op. cit., p. 190.
50. Ibidem, cit., pp. 187-189.
51. Ibidem, cit., p. 189.
52. Ibidem,
cit., pp. 199 e 214.
53. Ibidem,
cit., p. 220 e pp. 222-223.
54.
Ibidem, cit., pp. 253.
55. Tinti
Daniele, Dai Reali Carabinieri alla 121- Origini e storia delle Forze di Polizia
in Italia, Perugia, Rodana, ottobre 1999, pp. 211-212.
56. Ibidem,
cit., p. 213. 57. Ministero dell’Interno, Polizia di Stato-La storia, cit., p. 3.
57. Ministero dell’Interno, Polizia
di Stato-La storia, cit.,
p. 3
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